TORCELLO

C’è, fra altro, un rubicondo prete che ha in che cura le anime dell’isola.
– Reverendo, a quante ammontano le sue pecorelle? – gli è chiesto saltando a terra e affondando un palmo nella mota.
– Quasi sessanta!
Cinque dozzine di creature vive in una città che pur ispirò la fantasia a Marziale e a Columella, che ebbe consoli, che armava una flotta, che sapeva opporsi da sola alle incursioni degli Ungari e dei Franchi!
Viene quasi il sospetto che la storia – il romanzo eterno – abbia mentito, perocchè non sembra verosimile tale trasformazione. La vita è battaglia chi vince e chi perde, chi cade e chi resiste, chi scompare e chi risorge, ma una desolazione maggiore che a Torcello non è possibile immaginare. L’ala del tempo ha spazzato via quasi ogni cosa, – e occorre adesso una grande virtù per prestar fede alle guide.
– Qui era il porto! Qui il canale maggiore: qui i bei templi cristiani: questo il palazzo Pretorio: quest altro il convento delle monache, e laggiù intorno le dilettose ville e i giardini e i palazzi ricchi di marmi irradianti al sole….
E allora ci si passa in fretta una mano sugli occhi, come per persuaderli dell’inganno che ordinare patiscono, mentre il parroco ripete con insistenza ai gaudenti che approdano nella sua magra vigna: – adesso siamo quasi in sessanta, mentre negli anni andati non si toccava la cinquantina: la popolazione cresce….
La Provvidenza dà penne agli uccelli e virtù agli uomini in proporzione al freddo sfidare e all’angustia dell’ambiente in cui devono vivere, altrimenti il parroco di Torcello non si illuderebbe fino a credere di aver intorno una popolazione….
Ho interrogato le vecchie cronache, ma nessuna l’unito seppe dirmi quanti fossero gli abitanti nei tempi andati, allorché i Longobardi invadendo e abbattendo Altino, costrinsero quel vescovo a trasportar nel 640 la propria sede a Torcello. È positivo però che dieci secoli addietro oltre a trentamila persone qui si addestravano alle armi e ai commerci, qui maturavano leggi, qui elevavano monumenti, le rovine dei quali ancora oggi resistono.
Pur reggendosi con governanti propri, Torcello era soggetta alla repubblica veneta, e per la salute e fortezza di quella costruiva navi e armava eserciti. Poi, alle fatiche della guerra teneva dietro il riposo, ma un riposo fecondo per le arti belle, sì che i pavimenti si coprivano di mosaici e i muri di marmi, e s’involtavano archi e sorgevano villette rispecchiantisi nelle terse lagune.
Perchè Torcello è oggi come allora un’isola perduta nella laguna superiore, lontana assai da Venezia. Il viaggio è supremamente melanconico, il canale che vi adduce scorrendo tortuoso fra barene e bassifondi scoperti. Quando grava il solleone, è la moria che allarga dovunque, e le febbri di malaria sterminano spietate i pochi ostinati che ancora durano in que’luoghi per amor della pesca e della caccia.
Già non d’ altro vive adesso Torcello. Davanti alle poche e umide case siedono le donne ed i bimbi accomodando le reti, mentre gli uomini, compresi della desolazione che li circonda, fumano la pipa…. e aspettano.
È un’esistenza di dolori e di contemplazione che appena il prete interrompe con la messa domenicale. – È ricco di troppo il patrimonio artistico dell’Italia, perchè tutto sia possibile di serbarlo intatto, altrimenti anche il duomo di Torcello avrebbe sussidio di restauri.
Molto in passato si fece per robustare il tetto e le mura, ma oggi il coro di marmo greco non è più che un mucchio di rovine, tra le quali appare a stento qualche contorno, essendosi fin dagli inizi sospesa la decretata rinnovazione. Eppure quel coro semicircolare di sei gradoni, con al centro la tribuna vescovile, è il solo che di tal forma esista nella penisola; eppure il duomo, sorto nella prima metà del secolo VII, è magnifico per ampiezza e architettura. In esso è rimarchevole il pavimento di pietre intarsiate, il colossale mosaico coprente tutta una parete, l’ambone di squisita fattura e i bassorilievi fissati in ogni parte dov’è viva e geniale la fantasia dei lontani artisti.
E come se due età diverse si fossero accostate per completarsi, accanto al duomo eleva le braccia supplicanti la chiesa di Santa Fosca – secolo IX – pregevole per la forma sua, per il portico a colonne e a capitelli arabi che anteriormente la circonda, e meglio ancora per l’abside, che ricorda i migliori delle chiese veneziane.
Quasi quotidianamente approdano a Torcello decine di curiosi e di artisti, e perchè le rovine di una città parlano subito alla fantasia, e perchè il museo che vi esiste ammaestra.
Battendo il piede sovra la mota annegante le vie, sorgono statue infrante, marmi ornati e scritti, armi, utensili, urne cinerarie, are pagane, stemmi, idoli, lapidi, immagini sacre: tutto un mondo di cose in contrasto che da secoli il sole non benedice.
Fu precisamente il compianto senatore Luigi Torelli ch’ebbe primo l’dea di raccogliere quelle reliquie che facilmente la terra rendeva agli agricoltori sudanti su la vanga. Acquistati i ruderi dell’antico palazzo del Consiglio, egli riuscì con opera paziente a ridonar loro dignità di edifizio, e quindi a promuovere e consigliar gli escavi. E ogni giorno donne e bimbi recavano all’antico patriota quale una moneta, quale un’ascia irrugginita, quale una pietra sculta, contenti di guadagnar pochi soldi. Cosi ebbe vita il museo di Torcello. Certo l’opera volonterosa del senatore Torelli non avrebbe tanto presto condotto a materiali risultati, senza il soccorso del defunto cavaliere Battaglini, il quale per tre lustri vi dedicò tutto il suo tempo e il suo ingegno nell’accrescere e ordinare la raccolta. Presto anzi alla memoria di lui verrà inaugurata una lapide accanto a quella ricordante le virtù del Torelli.
Morto immaturamente il Battaglini, fu chiamato a succedergli il comm. C A. Levi. Ispettore degli scavi e monumenti: un artista, un dolce poeta cui il larghissimo censo non toglie agli studi.
Già nel museo di Torcello oltre a mille oggetti d’importanza assoluta stanno racchiusi nelle vetrine. Quanta varietà di forma, di misura e di stile essi abbiano, lo sa il pittore Vizzotto, che accompagnandomi fissava qualche contorno nell’unito disegno.
In alto è una vignetta di Torcello quale appare attraverso l’arco del ponte solcante il canale che all’isola adduce, e accanto un magnifico altorilievo del 1407, dov’è tutta una gloria di fraticelli genuflessi ascritti alla confraternita di Santa Fosca. Assieme ai capitelli che figurano al basso del disegno, tale altorilievo fu nel settembre scorso trasportato dalla cattedrale ove giaceva dimenticato.
Di sommo interesse per la storia del passato è lo stemma – il leone fra due scudi – dell’isola, che aveva per emblema una torre, donde il nome di Tauricellium, Torcellum, Torcellae e infine di Torcello, e curiose per forma le chiavi scoperte dal Levi tra le rovine dell’antico oratorio di San Michele di Zampanigo.
Piena di soavità è una madonna in legno dipinto, alta più che un metro, d’imitazione della scuola d’Alonzo Cano, che apparteneva ad un distrutto monastero dell’estuario, ed efficace per espressione, un San Giovanni in legno dorato su fondo nero, già esistente nello scomparso tempio votato allo stesso santo.
E nelle vetrine si alternano armi e terrecotte, teschi e monete. Vi sono coppe e anfore etrusche di elegante contorno, – asce longobarde e barbare, alcune delle quali donate a Torcello dal museo di Münchenberg, – una testa laureata in marmo, – utensili domestici, orecchini, forchette, cucchiai testé scoperti a qualche miglio di dististanza in terraferma, – poi una deliziosa lampanina di lavoro siculo, una testina di Tanagra, e altri metalli e altri marmi e altre pergamene alluminate che il Levi escava e generosamente dona all’isoletta gloriosa. Forse però maggiore curiosità raccoglie una strana sfinge pesante nel canale tra il forte di Mazzorbo e Torcello, e regalata al museo dal signor Jesurum.
Non volendo discorrere d’ogni cosa – perchè Levi ha quasi condotto a termine un catalogo generale – anche non intrattenendomi sulle due vere da pozzo recanti una uno stemma vescovile e l’altra quello di Torcello, accenno volontieri alle due ultime scoperte dell’anno scorso: una bellissima ara ottagona ricca di superbi fregi, ed un’epigrafe al tribuno L. Cornelio.
Nelle giornate di sole, dall’angolo del palazzo consigliare dove oramai il museo ha sede viva e duratura, sventola la nuova bandiera, che ha il leone d’oro a molecca in campo bianco e su l’ asta la torre intagliata, – e quella nota di colore raccoglie l’attenzione dei pescatori perduti in giro ed equivale ad un saluto confortevole.
Dopo dieci secoli di silenzio, le desolate terre che contornano l’isola cantata da Marziale, si squarciano e sono tesori per il dotto, sono reliquie per l’artista che l’operaio solleva.
Cosi più spessi nel futuro approderanno i visitanti a Torcello, con benefizio immediato dei sessanta abitatori, e chissà forse il prete non abbia a rallegrarsi per davvero della popolazione in aumento… .

ATTILIO CENTELLI

L’illustrazione italiana rivista settimanale degli avvenimenti e personaggi…
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Attilio Centelli, è stato il primo direttore de “La Domenica del Corriere” (8 gennaio 1899 – giugno 1915)