Storia di una gatta.

Come fece la gattina a riavere il premio.

Masina, la bella micina adorata dalla sua padrona, fu mandata alla mostra dei gatti per il suo pelame vellutato e per i suoi occhioni gialli come il bottone dorato delle margheritine; per i suoi orecchi rosei come l’interno delle conchiglie marine. La padrona sperava di molto che Masina avesse il premio, e difatti la gatta tornò a casa con una bellissima medaglia d’argento appesa al collo con un nastro celeste, e con una certa aria di superbia, come se fosse stata la regina di tutti i gatti della terra.
Quante carezze ebbe Masina dalla sua padroncina Alice e quanti bocconcini ghiotti! Basti dire che per una settimana intera la sfamò a petti di pollo e crema. I poveri gatti grigi e neri e bianchi, che non erano stati mandati alla mostra, la osservavano con occhio d’invidia quando passeggiava davanti alla cancellata del giardino scotendo la medaglia d’argento, che pendevale dal collo, e voltando la testina a destra e a sinistra affinchè tutti vedessero quell’ornamento.

— Si dà certe arie quasi avesse ucciso una dozzina di topi disse Bobi, un gatto spelacchiato e cieco da un occhio.
— E dire invece che non saprebbe difendersi dagli attacchi di un topo disse Maso, che era un famoso cacciatore.
— Mi ha baciato e accarezzato stamani quando l’ho incontrata nell’aiuola delle violette disse — Buricchio — e dopo s’è arrampicata sopra un olmo per mostrare la sua medaglia al cane di Malta, che le aveva regalato una testa di passerotto ucciso da lui facendo il chiasso.

— È una gattina inutile — disse la vecchia Gigia prendendo una presa di tabacco da gatti.
— Non è certo una bellezza. Io non desideravo altro che far lanci e corse, ma lei invece cammina in punta di piedi e par che vada sul burro.
— Leviamole la medaglia e facciamola inquietare — disse Sancho, che era un povero gatto nero con gli occhi avidi e affamati.
— Bravo! Leviamogliela pure! — esclamò Maso e tutti i gatti e i micini si trovarono d’accordo e miagolarono come se discutessero come dovevano fare per mandare ad effetto il loro divisamento. I loro miagolii dettero sui nervi al cuoco della casa vicina, il quale si avanzò con una scopa in mano per cacciar via quei noiosissimi gatti, che non lasciavano in pace un cristiano.
Intanto Masina, ignara dei disegni dei suoi nemici, aveva mangiato con grandissimo gusto la testa del passerotto, ed accovacciatasi sotto una pianta di rose schiacciava un sonnellino, e dormiva tanto forte che non senti il piccolo Buchettino salirle pian piano sulle zampe vellutate, acchiapparle delicatamente il nastro celeste e tagliarlo con i dentini bianchi, e fuggir via trionfante con la medaglia in bocca.
Non è possibile figurarsi le smanie di Masina quando nel destarsi non trovò più la sua medaglia preziosa e la vide invece luccicare sul petto di Maso, il quale stava seduto in mezzo agli altri gatti, che parlavano con soddisfazione dell’esito felice della loro marachella.
— Miao! miao! miao! — miagolò lamentevolmente la gattina. — Rendetemi la mia medaglia, la mia bella medaglia.
— Non te la renderemo finchè non l’avrai meritata — rispose Sancho, il gatto nero, con la serietà di un giudice.
— E che cosa devo fare per meritarla?
— Portare la testa del più astuto dei topi, di quello che ci ruba il cibo e beve il nostro latte — disse Buricchio — ed allora avrai il premio.

Tutti i gatti si misero a ridere sgangheratamente canzonando Masina, poichè tutti sapevano che la gattina non era punto brava per acchiappare topi, e quello appunto che doveva uccidere era fortissimo, astuto, e si batteva con coraggio contro i più valorosi gatti.
A quelle parole la povera Masina miagolò più lamentevolmente che mai credendo di aver perduto per sempre la medaglia; essa si fece soltanto animo quando il cane maltese che aveva simpatia per lei, le suggerì di prendere a servizio un cane terriero, che stava porta a porta.
Masina aveva una paura matta del cane terriero, ma il desiderio di recuperare la medaglia gliela fece vincere, così prese in bocca un osso di pollo, che le servisse d’introduzione, e andò a chiamare il terriero.
Esso non era troppo amico dei gatti; così appena scorse Masina, le mostrò i denti, ma lei con furberia lasciò cadere l’osso di pollo davanti al cane, il quale soddisfatto dell’attenzione ricevuta, prestò ascolto alla domanda della gattina.
— Dunque volete che io uccida il topo bigio per voi? — disse. — Saprete che è un topo vecchio e mi ha fatto ridere più volte quando lo vedevo sbocconcellar le orecchie ai gatti; ma voi siete stata trattata malissimo e se mi portate un osso spungoso di vitella vedrò quel che posso fare per voi.
Masina fece il muso addolorato a quelle parole, ma appena il terriere si voltò e incominciò a dar la caccia alle mosche, essa disse:

— Tenterò — e girò la cantonata sulla quale aveva bottega un grasso e allegro macellaro.
— Miao, miao, miao! — disse Masina allungano le zampine davanti.
— Che vuoi, gattina bella? — domandò il macellaro.
— Miao, miao, miao! — ripetè Masina; ma siccome il macellaro non capiva il linguaggio dei gatti, essa, per farsi intendere saltò sul banco e prese un pezzo d’osso fra i denti. Allora il macellaro disse:
— No, cara Masina; tu non avrai quell’osso se non mi dài un soldo.
Masina rimase male.
— Chi mi darà un soldo? — pensava, uscendo pian piano dalla bottega.
Appunto dal lato opposto della strada essa s’imbattè in una scimmia che aveva ballato allegramente al suono di un organino ed alla quale la gente aveva dato molti soldi, che ella faceva scivolare nella tasca del giubbetto. Era seduta per riposarsi un poco, e si rifocillava mangiando una mela. Masina miagolò, allungò le zampine e disse:
— Mi faccia il piacere, signora Sofonisba, mi dia un soldo per comprare un osso spungoso di vitella per darlo al terriere, il quale deve ammazzare per conto mio il vecchio topo, affinchè io possa riavere la medaglia che ottenni alla mostra dei gatti.
— Chio, chio, chio — rispose la scimmia. — La maggior parte di questi soldi appartengono al mio padrone; ma gliene darò uno dei miei purchè mi dia una manciata delle nocciuole che sono là in vendita su quel banchetto. Mi piacciono tanto e ne danno così poche per un soldo.
Il banchetto apparteneva ad una vecchia sdentata che non sapeva farsi capire dai gatti; così Masina corse dalla vecchia e sentì che mormorava:
— Darei una manciata di nocciuole per un pochino di latte fresco da mettere nel caffè; cosi nero non mi piace punto.
Nell’udire quelle parole Masina fece le fusa dalla gioia e allungò le zampine, perchè conosceva bene una capra, e credeva le avrebbe dato un poco di latte. Quando peraltro andò nel prato dove pascolava Bianca, la trovò così egoista come tutti gli altri.
La capra disse che non le avrebbe dato neppure una goccia di latte se non le portava un cesto di lattuga fresca per cena.
La povera Masina provò un grandissimo scoraggiamento.

— Dove troverò ora la lattuga! e trascinò le sue zampettine stanche verso un orto al limite estremo della città dove c’era un pezzo di terreno coltivato a insalata, e le lattughe erano tenere e fresche.
A guardia dell’insalata era posto uno spauracchio, col panciotto rosso e la tuba sulle ventiquattro destinato a far paura ai passerotti, che distruggevano ogni cosa.
— Dio me la mandi buona, ma è un gran brutto figuro quell’uomo — disse Masina accostandosi col batticuore allo spauracchio. — Miao, miao! — fece umilmente, fermandosi.
— Ohe, ohe! — urlò lo spauracchio girando intorno.
— Signor Spauracchio, non vi date pena, sono una gattina e vi chiedo in grazia un cesto della vostra più tenera lattuga per Bianca, la capra.
— Che cosa ti dà la capra in cambio della lattuga? — domandò lo spauracchio.
— Un poco di latte per la vecchia, che vende le nocciuole, la quale vuol metterlo nel caffè.
— E che cosa ti dà la venditrice di nocciuole in cambio del latte?
— Una manciata di nocciuole per la sora Sofonisba, la scimmia.
— E la sora Sofonisba che cosa ti dà invece delle nocciuole?
— Un soldo per comprare un osso spungoso di vitella per il cane terriere.
— Il quale poi, probabilmente, ti darà dei morsi per tutte le brighe che prendi per lui.
— No davvero. Mi ha promesso di uccidere quel topaccio birbone, che ci ruba ogni cosa; allora Buricchio e Sancho mi renderanno la bella medaglia, che ottenni alla mostra dei gatti.
— Ora la vincerai per la seconda volta; ma ti riesce di metter paura agli uccelli?
— Oh, si certo.
— Ebbene, scaccia quel branco di passerotti, che non hanno nessun rispetto per me e saccheggiano il campo sotto i miei occhi. Se ti riesce ti darò il cesto di lattuga.
— Sono contentissima di far qualcosa per lei, signore Spauracchio — disse Masina correndo verso i passerotti, i quali, sgomenti e impauriti, volarono lontano e non ricomparvero più.
— Grazie tante — disse lo spauracchio quando Masina tornò ansante verso di lui per la corsa fatta e col naso rosso come una lazzarola. — Agli altri uccelli ci penso io. Ora prendi da te un cesto di lattuga.
Masina fece quel che avevagli detto lo spauracchio, e augurandogli la buona sera corse da Bianca, la capra, la quale abbassò le corna in segno di gioia vedendo le foglie fresche della lattuga, e dette alla gattina tanto latte quanto ne stava in un guscio d’uovo, e un altro poco perchè lo bevesse lei.
La vecchia sdentata, la quale appunto s’era rassegnata a bere il caffè senza latte, fece festosa accoglienza a quello che portavale la gattina, ma dimenticò le nocciuole; Masina ci messe sopra le zampe per rinfrescarle la memoria.
— È vero, tu volevi le nocciuole — disse. — Se le vuoi ancora, prendine da te una buona manciata. Te le meriti, perchè sei una gattina così piccina, eppure mi hai portato quel che volevo.
Masina se ne andò con la bocca e gli unghioli pieni di nocciuole e le portò alla sora Sofonisba, la quale mandò diversi urli di gioia vedendole, e dette alla gattina il soldo più grosso che avesse in tasca.
— Dunque mi hai portato il soldo! — esclamò il macellaro spalancando la bocca dalla sorpresa quando Masina lo gettò davanti a lui, e corse via con l’osso in bocca, prima che egli potesse aggiungere altre parole.
— Bau, bau, bau! Ti meriti una medaglia davvero — disse il terriero agitando la coda nel vedere l’osso che facevagli venir l’acquolina in bocca. Dopo che l’ebbe divorato mezzo e nascosto il rimanente sotto il suo casotto, andò a far la caccia al topo, come aveva promesso.

Quella notte ci fu una guerra accanita, e il vecchio topo si battè con grandissimo coraggio, ed il cane ebbe diversi morsi e sgraffi sul naso, ma alla fine rimase vincitore, e la testa del topo, involtata in una grande foglia, fu mandata la mattina dopo a Masina, la quale la portò agli altri gatti, che fecero una grandissima allegria per la morte del loro nemico.
— Ti sei meritata il premio — disse la Gigia, dopo che Masina ebbe raccontato le sue avventure. Buricchio stesso legò il nastro azzurro al collo di Masina, mentre la signorina Squallida intuonò un allegro coro di «miao» prolungati.
Non dissero più che Masina si dava delle arie, anzi prestava sempre la sua medaglia agli amici quando dovevano andare a balli o serenate, ed era nota a tutti come la micina premiata e i compagni si vantavano di lei come della gatta più accorta e graziosa del vicinato.

C. Carli.

Tratto da: Giornale per i bambini
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Spungoso – Dal Latino Spongiòsus = spugnoso
Lazzarola – Lazzeruòla = Il frutto commestibile del lazzeruolo (Crataegus azarolus), simile a una piccola mela.