Priapo

Nato dalla dea più bella dell’Olimpo Afrodite/Venere fu il più brutto degli dei, (a pari merito con Vulcano, che poi sarebbe stato il marito di Venere) qualcuno dice che fu per colpa di Era/Giunone che gelosa della bellezza (e del rapporto di adulterio con il marito Zeus) di Afrodite; Solo sfiorandola durante la gravidanza lo fece nascere talmente sgraziato e difforme che Afrodite nemmeno lo allattò e lo espose subito sul primo campo che trovò nella località di Abarnis promontorio presso Lampsaco nella Misia.
D’altronde la stessa Era buttò giù dall’Olimpo il suo figliuolo, Vulcano, appena nato.
Il padre saputo dell’accaduto pensò bene di non farsi vivo, aumentando così le fantasie del popolino, che nelle migliori delle ipotesi pensò che il padre fosse Adone, chi disse Bacco, chi Ermes, chi per giunta Zeus, qualcuno vedendo il bimbo sentenziò che non poteva esser stato un dio, forse un satiro, un panisco, chi mise in discussione la madre: forse era figlio di una naiade, qualcun altro osservando meglio il bimbo nudo, pensò che non potesse esser stato che un asino.
Fu soccorso da un pastore di greggi, (Priapo è protettore delle greggi) che lo sentì piangere, allorché lo vide seminudo capì subito le sue potenzialità; Non fu un caso averlo trovato, ma un dono degli dei, i suoi attributi erano di buon auspicio per la forza generatrice maschile e per la fertilità dei campi e delle greggi, gli diede un po’ di latte di capra e se lo portò al villaggio, (non a casa sua).
Crebbe sotto l’attenta osservazione e la cura dei villici, ma specialmente per l’amorevole cura delle donne che fin da quando arrivò notarono la peculiare differenza dei suoi attributi, che man mano diventava adulto rimanevano sempre esagerati. Nondimeno Priapo ricambiava le attenzioni delle donne con molto “charming”.
Ciò causava fumo agli occhi ai maschi del villaggio che con ragione si sentivano sviliti, appena a Priapo crebbe il primo pelo della barba, furono tutti d’accordo di bandirlo.
Gli dei saputo che un pari loro (quasi) era senza casa, acconsentirono allora ad accoglierlo al loro consesso.
Fatto sta, che le cose al villaggio Lampsaco cominciarono ad andare male, i campi non diedero più le messi, venne la carestia, e secondo altri, anche fra le donne di Lampsaco scoppiò subito una certa intima epidemia. (Priapo è protettore della fertilità).
Dopo lunghe riunioni i mariti temendo il peggio, convennero che forse sarebbe meglio far tornare indietro Priapo, con un atto contrito gli chiesero perdono e non fecero in tempo a revocare il bando che si ritrovarono il Priapo nel villaggio, e miracolosamente l’epidemia e le carestie sparirono.
E furono felici e contenti dato che ancor oggi molti villaggi della zona di Lampsaco sono orgogliosi di aver dato ospitalità al dio Priapo. In seguito egli visitò la Lidia, le isole dell’Egeo prima di arrivare in Grecia.
Si dice che egli fosse un po’ “trasandato” con capelli lunghi e barba ispida, grosso e piccolo, insomma sgraziato; ma forse ciò non era completamente vero, giacché ci pervengono notizie che a lui fu affidato dalla madre Era (ma non era la stessa che lo aveva fatto nascere già disgraziato e itifallico ?) il dio fanciullo Ares, Il quale apprese dal precettore Priapo le prime nozioni della danza, che Marte (presso i romani) usò poi per l’arte della danza della guerra.
In quest’ambito e in quei tempi Priapo ebbe i suoi trionfi, le disfatte, le persecuzioni, si narra che egli volle giostrare perfino con un asino per vedere chi avesse più capacità generatrici, ma perse, e siccome già la parola asino mal lo accompagnava da quando era nato… accoppò l’asino.
Un fatto segnalato da Petronio, ci fa conoscere un altro aspetto di Priapo, il dio perseguita Encolpio per un non meglio precisato oltraggio. Encolpio è un giovane scanzonato, costretto a vivere di espedienti, a rubare, amava la bella vita e un giovane di nome Gitone, Priapo lo rese impotente.
Ma ora finalmente lo vediamo in compagnia degli altri dei, dato che quando si trattava di bere e di mangiare non mancava mai, e certamente con il suo fare, coperto a volte solo da un velo dalla cintola in su non passava inosservato. E’ stato visto anche con un lungo vestito che immagino aperto sul davanti, perché diceva nessuno degli dei nascondeva le proprie armi.
A questo proposito leggiamo un famoso epigramma dai carmina priapea:

L’ARMA DI PRIAPO

Mi chiedi perché le mie parti oscene non siano coperte da una veste?
Ed io ti chiedo perché nessun dio copra le sue insegne.
Il padrone del mondo ha il fulmine e lo tiene ben in vista;
Né al dio del mare è stato dato un tridente nascosto,
Né Marte nasconde quella spada per cui egli vale,
Né la lancia di Pallade è nascosta nel suo tiepido seno.
Forse che Febo si vergogna di portare le sue frecce d’oro?
E Diana porta forse le sue frecce in modo nascosto?
Forse che Alcide nasconde la potenza della sua clava nodosa?
Forse che il dio alato tiene il suo caduceo sotto la tunica?
Chi ha mai visto Bacco stendere la sua veste sull’esile tirso,
Chi vide te, o Amore, con la torcia celata?
Perciò neppure per me sia un delitto se il mio membro è sempre in mostra.
Se questa mia arma non appare, sarei disarmato.

traduzione di Edoardo Mori
http://www.mori.bz.it/humorpage/carmina.pdf

Da codesto sito potrete leggere tutti gli altri carmi, e peculiari delucidazioni sull’opera.

 
Un giorno a un festino degli dei organizzato come al solito da Dionisio, dopo che ebbero mangiato a crepapelle e tanto ben bevuto, arrivata che fu quasi la notte si addormentarono sotto le frasche, tutti tranne lui, che avendo già da prima adocchiata Vesta (o Lotide o Estia) che un poco più discosta si era addormentata, avvicinandosi piano piano cercò di alzarle il velo che nascondeva le sue meraviglie, quando un asino (sì di nuovo il suo paredro-antagonista) si mise a ragliare, Vesta (Notate che Vesta è proprio quella che giurò di rimanere casta e illibata) si svegliò e colse Priapo sul fatto, così come tutti gli altri presenti, la prima mandò un grido, al che gli altri si misero a ridere, Priapo vergognosamente cercò invano d’involarsi. Sarcasmi e risate lo inseguirono, ma assai più temibili furono le conseguenze: fu scacciato dall’Olimpo.

Comunque il culto fu ben accettato a Roma, occupò il posto di Tutunus del quale nessuno si ricordava poi molto, e siccome i romani erano piuttosto libertini, ebbe tanti seguaci e adepti che fecero in onor suo e di Fauno/Luperco celebri feste chiamate Lupercali, cui partecipavano anche le vestali. Priapo non mancava di esser presente anche nelle processioni di Dionisio chiamate Falloforie, ed era sempre nominato nei riti e alle orge di natura dionisiaca.

Ma i romani oculando questo dio intravidero altre capacità, le sue effigi furono impresse in erme, cippi e termini e adoperate villanamente nei giardini, gli misero un falcetto in mano per far paura ai ladri e delle canne sporgenti al sopra della testa per spaventare negli orti gli uccelli, (protettore dei giardini, dei frutteti, dei campi, dei vigneti).

Perché ridi insulsissima ragazza
Non mi fece né Prassitele né Scopas né raffinato da Fidia;
Un villico rude mi scolpì in questo bastone di legno e mi disse:
“Tu sei Priapo”
Tuttavia mi guardi e subito dopo ti mettere a ridere
Senza dubbio ti sembrerà una cosa spiritosa la colonna che vedi essere in piedi in mezzo alle mie gambe.

E altrove fu dichiarato protettore delle api e della buona pesca. Non ultimo si pensò di adoperare la sua immagine anche come custode delle tombe per la sua forza rigenerativa.

Infine e forse non gli dispiacerà, divenne protettore dal malocchio, i romani ammaliati dal suo “fascinum” pensarono che avrebbe potuto contrastare facilmente le cattive occhiate, ovvero tutte le disgrazie provenienti dall’invidia volente o nolente.

Ma che dire alfine, è un dio cosciente dei propri limiti, specialmente quando disse di essere:
“la più piccola divinità tra gli dèi”.

 Liberamente estratto da diverse fonti.




Qui sotto invece, due “vere” versioni di Priapo.

Priapo
dal Dizionario d’ogni Mitologia e Antichità incominciato da Girolamo Pozzoli.
Continuato ed ampliato dal prof. Felice Romani
e dal dr. Antonio Peracchi
Volume 5
MDCCCXXIV

Priapo, il custode dei giardini, che presiedeva alla parte che distingue l’uomo della donna.
Secondo Igino *1*  (fav. 160) *2* era egli figliuolo di Mercurio, secondo Tzetzes *3*  (in Lycophr. v.830),*4* ebbe vita da Adone e da Venere;  finalmente, secondo Diodoro di Sicilia,*5*  (l. 1, c. I; l. 5, c. I), e Pausania,*6* (l. 9, c.31), e lo scoliaste *7* d’Apollonio (in l.I, v. 933), Priapo era nato da Venere e da Bacco, in Lampsaco, città dell’Asia minore, presentemente la Natolia, ove era egli particolarmente onorato, per la qual cosa vennegli dato il soprannome di Lampsacio, Lampsaceno o Lampsaco.
Quest’ultima opinione sembra la più adottata.
Narrasi quindi che, essendosi Venere per capriccio innamorata del dio del vino, andò ad incontrarlo mentre egli ritornava dall’Indie, e che essendo restata incinta, si fermò essa in Lampsaco onde sgravarsi del frutto de’ suoi amori.
Giunione che, dopo il giudizio di Paride, la odiava, le offrì la sua assistenza nel parto, e rendette il fanciullo si deforme, che non osando Venere di riconoscerlo, ordinò che fosse esposto sopra di un monte vicino a Lampsaco, ove fu allevato dai pastori.
Gli venne dato il nome di Priapo, a motivo dell’enorme mole di uno de’ suoi membri, e del vigore che quel membro stesso manifestò nel giorno della sua nascita.

Appena Priapo fu giunto alla pubertà, divenne il terror de’mariti per la qual cosa ne fu discacciato da Lampsaco.
Poco tempo dopo, essendo quegli abitanti tormentati da una violenta malattia nelle parti della generazione, ne attribuirono tosto la cagione al cattivo trattamento da loro usato al figlio di Venere, quindi lo richiamarono, e la loro malattia essendo subito scomparsa dopo il ritorno di lui, tutta gli venne tributata la pubblica venerazione, e in seguito gli furono innalzati degli altari ed un tempio.
Gli impotenti mariti faceangli delle offerte e dei sacrifizii, e le donne dissolute tributavangli un particolar culto in cui la licenza era spinta all’ultimo eccesso.

Dai Greci questa Divinità passò presso i Romani, i quali tosto le innalzarono un tempio sul monte Esquilino.
Tributarono essi a Priapo un culto simile a quello degli abitanti di Lampsaco, ma vi aggiunsero delle altre cerimonie, poiché ne fecero un Dio custode degli orti.
Credevasi ch’ei li rendesse fertili, e per tal motivo poneano la statua di lui, non solo nei giardini degli erbaggi, ma eziandio in quelli di semplice diletto e che niun frutto producevano, come si può facilmente rilevare da un epigramma di Marziale*8* (l. 3, ep. 58), ove beffandosi egli di coloro che aveano delle case di campagna senz’orti, nè pascoli, dice che, per verità, nè egli non è il Priapo delle loro campagne, nulla avevano nei loro giardini che potesse far temere l’assalto dei ladri; ma egli domanda se debbasi chiamare casa di villeggiatura quella abitazione, ove convien portare dalla città gli erbaggi, le frutta, il formaggio ed il vino. 
La statua di questo Dio perciò collocavasi negli orti suddetti onde allontanarne gli augelli ed i ladri.

Virg. Ecl. 7, v. 33
Georg. t. 4, v. 112.
Oraz. Sat. l. I; sat. 8, v. 3 e 16.
Tibul. l.I, eleg. 4.
Ovid. fast. l. 6, v. 333.
Catul. epig. 19, v. 18 e epigr. 20, v. 4.

*1* Gaio Giulio Igino (latino: Gaius Iulius Iginus; Spagna, 64 a.C. circa – 17 d.C. circa) è stato uno scrittore e bibliotecario dell’Impero romano.
*2* Le Fabulae (Le favole – I racconti) è una raccolta di brevi storie scritte nel I secolo a.C. da Igino, sebbene per altri l’autore sarebbe il suo omonimo Caio Giulio.
L’opera in totale comprende 277 favole, tutte incentrate sulla mitologia greca e sui suoi protagonisti: gli eroi e gli dèi.

*3* Giovanni Tzetzes (in greco Ἰωάννης Τζέτζης, Iōánnēs Tzétzēs; 1110 circa – 1180 circa) è stato un filologo bizantino.
*4* Prima del 1138 Tzetzes compose scolî e prolegomena (introduzioni) al testo degli Erga di Esiodo, di alcune commedie di Aristofane, della Alessandra di Licofrone.
*5* Diodoro Siculo (in greco antico: Διόδωρος, Diódōros; Agyrium, 90 a.C. circa – 27 a.C. circa) è stato uno storico siceliota, autore di una monumentale storia universale, la Bibliotheca historica.
*6* Detto anche Pausania il Periegeta per distinguerlo stato uno scrittore e geografo greco antico, d’origine asiatica, vissuto intorno al II secolo d.C.
*7* Scoliaste è il termine coniato nell’antichità per indicare chi interpretava o esponeva (annotando) antichi testi classici.
*8* Marco Valerio Marziale è stato un poeta romano, comunemente ritenuto il più importante epigrammista in lingua latina.

Nella primavera, offrivasi a questo Dio una corona dipinta a diversi colori, e nell’estate un serto di spiche. Gli s’immolava un asino oppure un giovane becco,*9* o una capra; locchè praticavasi anche in Roma, quantunque non vi fosse permesso di far sacrifizii a straniere Divinità, se non fossero state ammesse con pubblico atto.
Da ciò viene che Priapo (Catul. epig. 19, v. 15), nella circostanza dei sacrifizii che a lui si fanno, dice egli stesso, sed tacebitis.*10*

Gli antichi narrano diverse avventure riguardo agli amori di Priapo. Innamoratosi della ninfa Lotide, nè avendo potuto riuscire a piacerle, una notte andò a sorprenderla mentr’essa dormiva. Aveva egli già alzato il velo che a’ suoi sguardi celava le attrattive più segrete della Ninfa, e già stava per saziare la propria passione, allorchè Lotide, svegliata dai ragli dell’ asino di Sileno*11*, che era in quelle vicinanze, dalle sue braccia si scioglie, e dassi alla fuga. Un egual caso gli avvenne colla Dea Vesta, che fu da lui tentata nella stessa guisa mentr’ella si stava immersa nel sonno. Ed ecco il motivo per cui questo Dio immolavasi un asino.

Ovidio fasti libro I, v. 415.
Lactant. de falsa relig. c. 21.

*9* Becco, il maschio della capra o della pecora, caprone, montone.

Altra fonte: a Priapo sacrificavasi un asino, e non già un capretto e agnella, onde veniva ad essere un contrabbando quando gli si sacrificava un di questi due capi.

*10* e però dovea passarsi sotto il maggior segreto, per non incorrere nell’indignazione degli altri Dei, o nella censura degli zelanti.
Volpi vuole che il silenzio qui richiesto da Priapo sia per le infamissime oscenità che commetteansi nei suoi sacrifizi.

*11* I sileni sono figure della mitologia greca, divinità minori dei boschi, di natura selvaggia e lasciva, si credeva partecipasse ai banchetti sacri a Dioniso presentandosi a cavallo di un’asina.

Quasi tutti i poeti che parlano di Priapo, gli danno l’epiteto di rubicundus, ruber.*12* Talvolta lo indicano coi soli nomi di Phallus, di Fascinus, d’Orneate, della città d’ Ornea, vicina a Corinto, ov’era particolarmente onorato, di Lampsaceno o Lampsacio, come abbiamo detto più sopra, di Ellespontiacus, perché la città di Lampsaco è situata sulle coste dell’ Ellesponto.

Orpheus in Hymn. Protogoni
Columell. de Hortorum cultu v.32
Virg. Georg. l. 4, v. III.
Varii Poet. iu Priapeis.
Euphronius, vetust poet. apud Strab. l. 8.
Diod. Sic. l. 2, c. 14.
Plin. l. 5, c. 32.
Phurnutus, de Nat. Deor. c. 27.

Priapo il più di sovente venia rappresentato sotto forma di Erme,*13* o di Termine,*14* con corna di becco, orecchie di capra, o con una corona di foglie di vite o d’alloro. Le sue statue sono talvolta accompagnate da stromenti di giardini, e da canestri per riporvi ogni sorta di frutti, da una falce per le messi, da una clava per allontanar gli augelli.
Perciò Virgilio chiama Priapo: Custos furum et avium (Il guardiano di ladri e di uccelli). Sopra alcuni monumenti di questo Dio, si veggono pure delle teste d’asino, per indicare l’utilità che da questo animale si trae, riguardo alla coltivazione degli orti e delle terre, o forse perchè gli abitanti di Lampsaco offrivano a Priapo degli asini in sacrifizio. Questo Dio era particolarmente venerato da coloro che nutrivano delle mandrie di capre, e di agnelli o degli sciami di api. Alamanni,*15* nel suo poema della coltivazione, lo chiama.

Il barbuto guardian degli orti ameni.

Erano quelle statue di grossa faccia, di molta barba e di gran naso. Avevano fitta sulla testa un’alta canna che tremolava e fischiava ad ogni minima scossa; nella destra mano una falce levata in alto quasi per ferire e tra le coscie un lunghissimo palo tutto tinto di rosso, che sporgeva molto in fuori. Questo ridicolo ed osceno lor Dio non era così, che uno spauracchio somigliante ai brutti ceffi di paglia e di stracci che si appendono tuttavia da’nostri contadini presso ai seminati ed agli orti per allontanare i passeri e gli altri uccelli più ingordi.
Opere di Quinto Orazio Flacco tradotte in lingua italiana e …, Volume 1

Già un tronco er’io di fico, inutil legno,
Quando incerto l’artefice, se avesse
A formarne uno scanno od un Priapo,
Di farmi Dio s’elesse; e quinci io sono
Un Dio sommo terror d’augelli e ladri.
Perocchè la mia destra, e il rosso palo,
Che spunta fuor dalle mie cosce immonde,
Tiene i ladri in dover, la canna affissa
Su la mia testa gl’importuni augelli

Da quest’orto novel caccia e spaventa…

Orazio Satire (VIII)

Ma considerare Priapo solo un tipo rubicondo e bonaccione dedito ai vizi e a proteggere orti ci si sbaglierebbe, un autore come Luciano di Samosata scrive che i popoli della Bitinia, raccontavano, per una loro antica tradizione, che Giunone fece educare il figliuolo Marte, fanciullo d’indole dura ed oltremodo virile da Priapo, che Luciano crede uno de’Titani o de’Dattili Idei, e che chiama dio guerriero. Dal quale apprese prima la danza e gli altri esercizi ginnastici, che servir doveano quasi di preludio all’arte della guerra; percui divenne un insegne capitano, dopo che il suo educatore ne avea fatto un perfetto danzatore. In premio di ciò Giunone diede a Priapo la decima del bottino che avrebbe fatto Marte nelle battaglie…

Priapo divenne il protettore come abbiamo visto dei giardini ma lo era anche degli armenti, della pesca, delle api, delle vigne, dell’abbondanza, e i suoi adepti si spingevano a considerarlo un dio oltre che della fertilità, anche della nascita e della morte. (e protettore dei sepolcri).

*12* rubicundus. Di colore rosso, essere florido con gote rosse a volte per il vino bevuto.
*13* Erme. Le erme erano dei pilastrini di sezione quadrangolare, di altezza variabile tra 1 e 1,5 m, sormontati da una testa scolpita.
*14* Termine. Terminus, segnavano i confini e potevano essere delle pietre appena sbozzate, (ndr leggere interessante), Da notare che c’era una divinità chiamata Termine.
*15*  Alamanni. Luigi Alamanni (Firenze, 6 marzo 1495 – Amboise, 18 aprile 1556) è stato un poeta, politico e agronomo italiano.

Esiodo non fa menzione veruna di Priapo, la qual cosa ne prova che persino i Greci, questa Divinità non era delle più antiche. Era una specie di adozione del Mendete o Mende*16* degli Egizii, ossia della forza generatrice sparsa nell’ universo.
Quindi Furnuto (De Nat. Deor. c. 7) dice che Priapo era la stessa divinità che Silvano. Un solo scrittore anonimo, citato da Suida, assicura che Priapo era l’Oro degli Egizii; senza dubbio, perchè questi aveva un membro del corpo d’una mole enorme.
In un’iscrizione, raccolta da Grutero (95, I) leggonsi queste parole: PRIAPO PHANTHEO, le quali pur esse ci provano che Priapo era l’anima dell’universo.

*16* Mendete Dio egizio. I Mendesii che portavano il suo nome, lo contavano fra gli otto principali loro Dei: Era il caprone consacrato a Pane, o piuttosto era Pane egli stesso che gli Egizj adoravano sotto la forma d’un becco, simbolo del principio della fecondità di tutta la natura.
Nella tavola Isiaca egli ha le corna d’ariete, quindi ne ha quattro. Nel basso Egitto eravi una città di questo nome, ove cotesta divinità era particolarmente onorata. I Mendesii non immolavano giammai caproni o capre, credendo che il Dio sovente si celasse sotto le forme di quegli animali. Allorché moriva l’uno di que’becchi ch’essi onoravano più degli altri, il lutto era generale.

« Gli amatori e gl’ intelligenti del-
« l’arte, dice Winckelmann, distin-
« guono a Portici, nel numero delle
« figure, un Priapo che è veramente
« degno di tutta l’ attenzione. Non è
« egli più lungo di un dito, ma è desso
« eseguito con tant’ arte, che si po-
« trebbe riguardarlo come uno studio
« di notomia, tanto preciso, che Mi-
« chel’ Angelo, per quanto foss’egli
« gran notomista, nulla di meglio a-
« vrebbe potuto eseguire. Sembra che que
« sto Priapo faccia una specie di gesto
« assai comune agli Italiani, ma affatto
« ignoto agli stranieri, quindi difficil-
« mente potrò far loro intendere la de-
« scrizione che m’accingo a farne. Que-
« sta figura tira al basso l’ inferiore
« palpebra, coll’ indice della destra mano
« appoggiata all’ osso della gota, men-
« tre la testa verso la stessa parte è in-
« clinata. Convien credere che un tal
« gesto fosse usato dagli antichi panto-
« mini, e che avesse diversi espressivi
« significati. Quello che lo facea, stava
« in silenzio, e parea che mediante quel
« muto linguaggio, volesse dire: Non
« fidarti di lui; egli è scaltro, e ne
« sa più di te; oppure: Ei crede di
« prendermi per giuoco; io l’ ho col-
« to; o finalmente: Tu t’ incammuni
« bene! Tu hai trovano pane pe’ tuoi
« denti. Colla mano sinistra, la figura
« medesima fa quello cui gl’ Italiani ap-
« pellano far castagn, gesto il quale
« consiste nel collocare il pollice fra
« l’indice e il dito di mezzo, per far
« allusione alla fessura che si fa alla
« scorza delle castagne prima di arro-
« stirle.
« Nello stesso gabinetto, prosegue il
« citato antiquario, si vede un Priapo
« di bronzo, attaccato con una piccola
« mano facente il medesimo gesto. Tal
« sorta di mani frequentemente s’ incon-
« trano nei gabinetti, e tutti sanno che
« presso gli antichi, tenean luogo di
«amuleti oppure, locchè  lo stesso,
« si portavano siccome preservativi con-
« tro gl’ incantesimo e le cattive oc-
« chiate. Per quanto ridicola fosse quella
« superstiziosa pratica, nulladimeno si
« è essa conservata sino a’ nostri giorni
« nel basso popolo del regno di Napoli.
« Io ho veduto parecchie di queste
« mani che alcuni hanno la semplicità
«di portare appese al braccio o al
« petto. Il più di sovente si attaccan’ e-
glino al braccio una mezzaluna d’ ar-
«gento chiamata nel loro vernacolo la
« luna pezziara, vale a dire, la luna pun-
« tuta, e ch’ essi riguardano come un
« preservativo contro l’ epilessia;  ma è
« d’ uopo che quella luna sia stata fab-
« bricata coll’ elemosina raccolta da
« quella persona stessa che dee farne
« uso;  e che poscia venga portata a un
« sacerdote affinchè egli la benedisca. Po-
« trebbe darsi che il gran numero di mez-
« zelune le quali trovansi nel gabinetto di
« Portici, servissero allo stesso oggetto
« di superstizione. Gli Ateniesi le por-
« tavano al cuojo del tallone delle loro
« calzature sotto la cavicchia del piede.
« Nel gran numero dei Priapi, alcuni
« se ne veggono con ali, e con campanelli
« appesi a catene intrecciate, e spesse
« volte la parte superiore termina in una
« groppa di un lione il quale si gratta
« colla sinistra zampa, come fanno i
« piccioni sotto le loro ali, quando
« sono in amore, e per eccitarsi, da
« quanto discesi, al piacere. I campa-
« nelli sono di metallo, legati in ar-
« gento; il loro suono dovea probabil-
« mente produrre un effetto, a un di
« presso somigliante a quello de’ cam-
« panelli che venivano posti su gli scudi
« degli antichi ( Aeschyl. sent. cont.
« Theb. v. 391 ); questi erano per
« ispirar terrore; quelli aveano per
« iscopo di allontanare i cattivi genj.
« I campanelli facean parte eziandio del
« vestimento di coloro che ai misteri
« di Bacco erano iniziati.»

Sopra una pietra incisa del gabinetto di Firenze (Mus. Flor. t. I, tav. 73, num. 5), Venere sta ritta in piedi presso di un termine di Priapo che vi scorge velato, come trovasi altresì sopra un urna sepolcrale della galleria del palazzo Barberini, e sopra due bassi-rilievi (Bardoli admir. tav. 52),  uno del palazzo Giustiniani, l’altro del palazzo Colonna; ove Bacco è appoggiato ad un Priapo che ha un velo.
Nella collezione di Stosch, si vede su d’un anello antico scolpito in oro, la stessa del Dio de’giardini colle parti della generazione appese al collo.
Ciò richiama la rimembranza del barbaro trattamento che il Periplettomene di Plauto(Miles Glor. act. 5, v. 5),  vuol fare all’amante della propria moglie: == Qui jamdudum gestio moecho hoc abdomen adimere, Ut faciam, quasi puero, in collo pendeant crepundia. ==
Quell’anello dovea forse servir di suggello; imperocché a tempo dell’imperatore Claudio, dice Plinio (l. 33, c. 6, p. 604, t. 16) erasi cominciato a suggellare con anelli incisi in oro.
Attaccavansi dei Priapi anche al collo de’fanciulli (Conf. Bochart, Phal. et can pag, 525 ), e si appellavano fascinum.
Sopra una corniola si vede uno scultore che sta lavorando intorno ad un Priapo.
Un sardonico, antico sigillo s’un sol pezzo, offre un Priapo col tirso. Diodoro di Sicilia (l. 2, c. 102) riferisce ch’ eravi una statua di Mercurio, ove scorgeasi mentulam erectam, di cui fece egli un mistero in cui non osiamo di penetrare.
I Priapi fatti innalzare dal re Sesostri affin d’indicare i luoghi ove aveva egli incontrato della resistenza, non erano che semplici colonne colle parti della generazione.
Sopra una corniola, è rappresentato un termine di Priapo sotto d’un albero, col pedum (baston pastorale) sulla spalla.
Un sardonico di tre colori offre Priapo con un pomo nella destra mano.
Sopra una matrice di smeraldo, si vede Priapo con un pomo nella manca mano, e dei frutti entro un grembiale, portando colla destra il caduceo.
Il Dio de’ giardini, in questo luogo, fa le funzioni di messaggero o d’inviato, portante nella destra mano il caduceo, che nei primi tempi dell’antichità era il distintivodei deputati.
Quando Giasone si recò a visitare il re Eeta, prese pur esso il caduceo == Ipse sumpsit Mercurit sceptrum == (Apollon. Argon. l. 3, 198).
Sembra che siasi voluto indicare che Priapo non avrebbe voluto minore energia degli ambasciatori si Sparta introdotti da Aristofane nell’Acropolo d’Atene occupato dalle donne: Incedunt, circumque femora habent paxillum rigentem. (Lysist. v. 1075).
Il caduceo può eziandio riferisi a ciò che abbiamo indicato rispetto a Mercurio. Sopra un diaspro grigio, Priapo è in piedi sovra una mezzaluna col modio in capo come Serapide, sotto havvi un amore con un ginocchio in terra, e con le mani legate dietro.
Sopra una pasta di vetro, di cui l’originale si trova nel gabinetto di Firenze vedesi un Amore sovra uno scoglio che con un tridente uccide una serpe innanzi ad un termine di Priapo.

Parecchi di questi termini si trovano scolpiti in antiche corniole. Ora sono incoronati da Amore, ora inghirlandati e sparsi di vino da Fauni, ora circondati da parecchie figure, donne e fanciulli, che offrono ad essi dei canestri di fiori e di frutti e dei rami di alloro, o fanno sacrifizii e libazioni; come può vedersi in una gemma dell’Agostini da noi collocata nella tav. CLX. fig. 2.
Talvolta Priapo è rappresentato in stravagante maniera. Sovra una pasta antica ei vedesi alato, sovra un’altra trafitto da freccie.
In un vetro colorato vedesi una colonna al cui piede havvi un’urna innanzi alla quale sta un Priapo che termina con zampe di lione, colle quali tiene una lumaca; sopra di lui svolazza una farfalla, e dietro la colonna leggesi l’iscrizione; AΛKIBIAΔΗΣ: in un altro un uomo a cavallo d’un Priapo egualmente terminato in lione.
E’ noto che le nuove spose erano obbligate di porsi a cavallo di un Priapo, la qual cosa è rappresentata in una piccola statua a Roma.
Nel palazzo Fiano-Sforza, egualmente a Roma, eranvi due  Priapi di enorme grandezza, che terminavano in due piccole gambe alte due palmi, e su queste gambe era montata una donna.
Finalmente sopra una corniola, un Priapo alato entra in una conchiglia, e sul suo capo splende una stella.
Una statua riportata da Millin e da noi posta sotto il n. 7 della Tav. CXLV, ci rappresenta Priapo come simbolo della natura, e cogli attributi di Pane.
É  desso coronato d’una ghirlanda di pampini; e vestito d’una lunga ed ampia tunica, che innalza colla mano sinistra, ed in cui porta ogni sorta di frutti; i suoi piedi sono calzati di coturno.

Curioso dialogo fra Apollo e Dionisio raccontato da Luciano di Samosata, nel suo libro Dialoghi marini, degli dei e delle cortigiane.

  • Apollo. E che diremo, o Bacco? che son fratelli nati d’una madre Amore, Ermafrodito, e Priapo, dissimilissimi tra loro per aspetto e per inclinazione? Uno tutto bello, e arciero, e rivestito di gran potere, è signore d’ogni cosa: l’altro è un personcino cascante, mezzo maschio, e a guardarlo non sai discernere se è garzone o donzella. Priapo ha quel del maschio anche troppo.
  • Bacco.  Non è maraviglia, o Apollo. Non è Venere cagione di questo, ma i diversi padri che li han generati: anche da uno padre e da una madre spesso nascono chi maschio, e chi femmina, come voi due.
  • Apollo.  Sì: ma noi siamo simili, abbiamo le stesse inclinazioni, ed ambedue trattiamo l’arco.
  • Bacco.  Sino all’arco siete simili, o Apollo, e non più in là, chè Diana uccide forestieri in Scizia, e tu fai il profeta ed il medico.
  • Apollo.  Credi tu che mia sorella goda a stare tra gli Sciti? Ella è deliberata, se capita qualche Greco in Tauride, di mettersi in mare e tornarsene con lui, essendole venute in orrore quelle uccisioni.
  • Bacco.  Oh! così farà bene. Tornando a Priapo, ti dirò cosa da ridere. Non ha guari fui in Lampsaco, e passando per la città, egli mi accolse ed ospitò in casa sua, e poi che dopo il convito ce ne andammo a letto bene alticci, in su la mezza notte si levò il prode, e…. ma mi vergogno a dirlo.
  • Apollo.  Ti tentò, o Bacco?
  • Bacco.  Appunto.
  • Apollo.  E tu che facesti?
  • Bacco.  Che altro, che riderne?
  • Apollo.  Bene: ei non c’era da pigliarsela a male. E poi è scusabile: ti vide sì bello, e ti tentò.
  • Bacco.  Oh per questo tenterebbe anche te, o Apollo: tu se’ sì bellino e con sì bella chioma, che Priapo anche senza d’aver bevuto ti abbrancherebbe.
  • Apollo.  Ma non m’abbrancherà no, o Bacco: chè io ho la chioma ed una buona saetta.  https://it.wikisource.org/wiki/Dialoghi_degli_Dei/23

Libri e siti. https://lamisuradellecose.blogspot.it/2017/11/salve-o-sacro-priapo.html
Sito di Edoardo Mori dove potete scaricare un pdf dei Carmina Priapea, forme di poesia piccanti.

PROEMIO
Tu che ti accingi a leggere gli sfrontati scherzi di
queste rozze poesie, non aggrottar i sopraccigli come si
converrebbe alla gravità latina.
In questo tempietto non abitano né la sorella di Febo
né Vesta né una dea nata da
l’cervello del padre, ma un
rosso custode di orti, più membruto del giusto, che ha
l’inguine non coperto da veste alcuna.
Perciò, o stendi la tunica sul-
-la parte da coprire oppure,
con gli stessi occhi con cui la guardi, leggi questi versi.
 
http://www.mori.bz.it/humorpage/carmina.pdf


PRIAPO

da Biografia mitologica … Volume III

PRIAPUs, IIpia roc, IIpinorog, dio dell’orticoltura e della fruttificazione, dell’itifallismo e delle voluttà oscene, aveva per madre Venere e per padre Giove. Alcune tradizioni lo fanno nascere da Bacco e da Chione o d’una naiade.
In Asramio, era figlio o di qualche Panisco, o, di qualche Satiro, od anche dell’asino che più tardi gli fu consecrato.
Checchè pensar si debba di tali genealogie, il fatto è, secondo la leggenda, che appena venuto al mondo spaventò Venere sua madre, per le smisurate dimensioni dell’ organo virile suo simbolo. Secondo alcuni mitologi, dovette tale deformità alla gelosia di Giunone; secondo altri, la gelosa regina dell’Olimpo non intervenne al momento del parto di Venere, e questa dea non ebbe ad incolpar altri che sè stessa mettendo il suq grottesco figlio alla luce. Vergognosa di tale mostruosità, Venere lo abbandonò nel luogo stesso della sua nascita, e lo rinnegò.
Tale luogo, che fu poi Lampsaco, assunse allora il nome d’Aparnide ( dal greco e rapniouai, rinnegare).

Per tempo lo si vede apparire tra i Dattili Idei ed in relazione col dio della guerra. Da lui il giovane Marte apprende dapprima la danza armata e poscia la grand’arte delle battaglie: evidentemente qui l’itifallo si è legato con l’idea di lancia in resta. In seguito s’apre un’era di lotta; trionfi, persecuzioni e di nuovo trionfi variano la vita di Priapo. Egli è adulto: le docili cittadine di Lampsaco, discepole non meno ardenti di Marte, pigliano tanto gusto alle sue lezioni, che i mariti si corrucciano. Priapo è bandito dalla città; ma che avviene? Un’epidemia di nuova specie consuma e rode le pallide Lampsacene, vedove inconsolabili del nume che crebbe nelle loro mura.
Dopo lunghi dibattimenti i mariti richiamano Priapo, e gli chiedono perdono. Priapo però non è senza pari nell’aringo che corre. Gli dei sovente trovano vincitori. Marsia ha dovuto piegare dinanzi ad Apollo, Atana dinanzi ad Aracne.
Un ignobile animale, un bruto, l’asino osa un giorno giostrare col dio di Lampsaco per le facoltà generatrici. Priapo perde la scommessa ed accoppa l’asino.
Da quel momento detesta lo sciagurato solipede, ed i suoi adoratori debbono sagrificargli. Alcuni poeti raccontano il fatto diversamente.
Tutti gli dei sono stati convitati alle nozze di Cibele. Si è bevuto a piena gola del nettare, e si dorme promiscuamente nelle tenebre sotto la frasca. Priapo che ha adocchiato
Vesta tutta la sera non dorme; e di repente illuminato dall’idea che gli suggeriscono la notte, il vino ed il suo carattere, s’avanza a passi furtivi verso il canto del bosco dove si è sdraiata la sorella di Giove.
Già stringe lo stesso materasso di frasche, egli ha rimosso in silenzio il pudico velo che copre le attrattive di Vesta, quando ad un tratto l’asino, suo amico, suo paredro, suo rivale, intuona un inno di vittoria. Vesta si sveglia di soprassalto; era tempo. Gli altri dei si stropicciano gli occhi, e tutti ridono alla vista di Priapo che cerca, ma invano, d’involarsi con una pronta fuga agli sguardi, ai sar-. casmi, alle bastonate.
Talvolta si narra tale avventura della ninfa Lotide. Altrove finalmente, Lotide, amata da Priapo e vanamente da lui sollecitata, è trasformata in loto nell’ istante in cui sta per soccombere. – Priapo è un dio misio, e non è uno degli antichi dei della Grecia. Non bisogna tampoco dargli la stessa qrigine che agli dei ateniesi Conissalo, Ortane, Ticone, Dordone, Kibdaso e Pirge che si riguardano come suoi compagni o suoi paredri.
La sua presenza tra i Dattili non è forse che uno scherzo osceno. Ed in sostanza, Priapo dà luogo ad un problema fondamentale. È egli in sul serio che il fallo in istato d’itifallismo fu divinizzato in Misia, oppure il dio-fallo non è egli che una caricatura di mediocre antichità ? Noi inclineremmo piuttosto per questo secondo modo di vedere. Ma non sarebbe da inserirne che Priapo è la caricatura di Adone. Probabilissimamente questo dio non è che umo svolgimento di Bacco. Di fatto:

1. Bacco si reca dal levante al ponente;
2. si adatta al cabiroidismo coribantico, e vi si sa Cadmilo-fallo ; fallo, è sepolto in una cesta     magica, e diventa l’oggetto misterioso della venerazione;
3. ha per paredri ordinarii enti lascivi, Sileni, Satiri, Pani;
4. la tazza d’ebbrezza cui offre agli uomini eccita alla voluttà, e stimola l’organo col quale viene simboleggiato pel momento,
5. il nome di Priapo ricorda quello di Fre (sole), e forse Are è l’asp finale di tanti nomi persiani.

Comunque sia, Priapo, il fallo personificato, era tenuto per dio degli orti, de’vigneti, delle api, delle greggie e della pesca.
Le prime attribuzioni sono semplici, le altre non furono assegnate al dio se non per estensione e come analoghe delle prime. Da orti si passò a fruttificazione, a fecondazione, ad ogni lavoro agrario e rurale.
Del rimanente, Ermete si presenta, presso i Latini soprattutto, con l’aspetto itifallico; e questo Ermete viene di Samotracia.
Ero (l’ amore) tiene similmente qualche rassomiglianza col dio della voluttà pratica, imperocchè in origine Ero senza dubbio era un Ermete itisallico od un fallo.
Ma dopo le idee si depurarono, e si distinsero nelle relazioni da sesso a sesso l’affezione morale, l’attrattiva, l’amore che no è il preliminare dall’atto stesso che me forma lo scioglimento. Da ciò, Ero da un lato, Priapo dall’altro: entrambi si completano; quel che desidera l’ umo, l’altro compie, quel che l’uno incomincia, l’altro consuma e finisce.
– Priapo era principalmente onorato a Lampsaco, metropoli della Misia, celebre pe’suoi vini e le sue ostriche. Gli si sagrificava l’asino. Gli si offrivano pure frutta, grano, grappoli d’uva, mele, talvolta ostriche e pesce. Le sue feste si chiamavano Priapee. Se me veggono parecchie rappresentazioni in pietre sculte.
Quanto al dio stesso, è solitamente un mano di forme grosse, talvolta un adulto di rustica taglia: sempre l’organo al quale dee o dà il suo nome è vistoso per le sue forme smisurate e la sua tensione iperbolica. Sovente lo tiene con la destra mano: la sinistra sostiene uno scettro, od una semplice verga, od una falciuola, o finalmente il fallo stesso.
Del rimanente, tale fallo ostenta spesso le forme più bizzarre, è alato, ha orecchi, si enfia e si gonfia in forma d’anfora.
Talvolta ha quasi esso solo la statura del dio, oppure Priapo ne porta un fascio sulle spalle.

V. Beger, Thes. Brandeb. .