LA SABBIA

Avvicinandomi un dì alla porta del mio albergo, sentii pochi passi da me lontano una voce robustissima e cosi aspra e roca da metter quasi paura, che gridava: sabion, sabion.
Mi voltai rapidamente, e vidi un uomo tutto lacero e scalzo e di brutto e fiero aspetto. Teneva costui infilzato pel braccio destro un cesto empito quasi di sabbia ed altra poca ne conteneva il suo vecchio cappello tenuto pendente colla sinistra mano pei lembi.
Appena questo uomo annunziò ch’esso vendeva sabbia, vidi molte donne e serve affacciarsi alla finestra e gridare: fermeve là, aspeteme, che vegno subito da basso.

Mi parve cosa strana che un oggetto tanto vile e comune com’è la sabbia e che rinviensi facilmente quasi in ogni terreno, in ogni fiume e torrente, fosse venduto a Venezia così al minuto.
E più crebbe il mio stupore sentendo quelle donne che scese alle loro porte d’ingresso piativano con forza e si lamentavano con quel torvo venditore, che dava loro per uno o due soldi un pugno soltanto di quella sabbia detta dolce.

Salite le scale del mio alloggio, esternai su ciò qualche meraviglia con la mia albergante. Ma essa mi rispose gravemente: non ne sa la storia ?

Io no: soggiunsi tosto.

E qui detta buona signora con grande serietà e molta enfasi mi narrò quanto segue.

Nell’anno 1340, il 15 febbraio, sotto il doge Bartolammeo Gradenigo, sopraggiunse di notte una cosi orrenda tempesta di mare con venti tanto impetuosi per cui parea che la città di Venezia sommergere affatto si dovesse.
Le acque del mare e quindi quelle della laguna si erano alzate in modo insolito, recando danni gravi, e guastando assai merci nonchè altri utili e cortesi oggetti.

Un vecchio poverissimo pescatore, con un suo piccolo figlio, era fuggito a grande stento dalla spaventosa procella giunta quasi all’improvviso e nel mentre che in mezzo alla laguna aveva esso gettate le sue reti.
Stavasi ora riparato col piccolo suo battello sotto al ponte della paggia. Gl’impetuosi colpi di vento minacciavano di rompere la non grossa corda con cui la barchetta stava ad un anello di ferro affidata, e le burrascose acque alzandosi ognora più, parevano voler giungere ad occupar tutto il vano del ponte.
Quell’infelice vecchio giacevasi indeciso e tremante per tanto pericolo e stringeva tra le braccia il piagnolente fanciullo. Non sapeva, se da quel luogo togliersi, temendo di essere ben presto annegato da quelle acque crescenti, e prevedeva il suo certissimo naufragio, s’ egli staccata avesse quella corda che assicurava il suo fragilissimo legno.
Quando vede, soltanto a mezzo dei frequenti vivaci lampi, un uomo in piedi sulla ripa vicina, che tosto intimagli con forte autorevole voce di prenderlo nel battello e di tragittarlo all’isola di San Giorgio maggiore.
Quel vecchio fu colpito da questa voce malgrado al fragor romoroso della ria procella, ma più rimase sorpreso alla strana proposta, e rifiutò, dicendo, che sarebbono tutti iti incontro ad irreparabile morte.
Ma quell’uomo ignoto con più alta e più sonora voce gli soggiunse di nulla temere e di aver fiducia nella divinità.
Al pescatore parve di udire un che di straordinario nel suono di queste parole, e di più miracolo sembravagli come quello incognito star potesse colà irremovibile a dispetto di una bufera impetuosissima che rovesciava bastimenti e fea volar le tegole dei tetti.
Acconsenti il buon vecchio; e fatto sedere il pavido fanciulletto sotto alla prora, staccò la barchetta e spintala verso la ripa, accolse quel passeggiere, che in mezzo all’orrido trambusto se ne stava coraggioso in piedi su quel piccolo e debolissimo legno. Dato il pescatore di piglio al remo, sali la poppa malgrado al furioso vento che incontro soffiavagli per rovesciarlo.

Spinta con alcuni colpi di remo ed a grandissima fatica la barca fuori del corto ramo di quel canale, entrò nella laguna, qui conobbe assai più il grandioso sconvolgimento di questa.
Ma insieme conobbe quel fiducievole vecchio che la conservazione sua e della sua barchetta esser non poteva che un celeste miracolo. Assicuravalo vieppiù di ciò una insolita forza che in sè tutto sentiva, ed egli andava nel suo interno ringraziando la divinità di tanto favore.
E coraggiosamente seguì a vogare e andare incontro a quegli enormi e schiumosi flutti e a non paventar la grossa e densa pioggia nè i buffi di quel vento furentissimo.

Appena toccò colla sua barchetta l’isola di San Giorgio che pur qui nuovo passeggiero stava fisso sulla ripa. Montò pur questi nel legnetto, ed il pescatore ebbe ordine di tragittarli entrambi a San Nicolò del Lido.
Ma se pericoloso fu il primo tragitto, quanto era questo più ancora, ove la barchetta moveasi in un vasto aperto di laguna ed affrontava la bocca del porto del Lido! Ma il pescatore, pieno di santa fiducia, non osò rifiutarsi.
Anzi parve che quelle irate onde spingessero la barchetta con sollecitudine straordinaria verso San Nicolò del Lido.

Ecco pur quivi ignoto passeggiero che attendevali. Ha pur questi posto nell’angusta barchetta, ed il pescatore ode comandarsi di guidare la barca fuori del vicino porto del Lido e precisamente sul mare. Egli non osò rifiutarsi, certo ormai che que’tre esseri che accoglieva nel suo legnetto fossero esseri straordinari e celesti. Giunto fuori del porto, qui apparvegli come l’assoluto finimento del mondo, tanto erano, senza paragone, i cavalloni smisurati, i venti impetuosi e continuo lo scoppio di tuoni e di striscianti saette

Ma al buon uomo tremò assai più il cuore allorchè vide, per mezzo dei fulgidi spessissimi – lampi, poco dalla sua barchetta distante un enorme vascello. Era questo lutto pieno, cosa in vero spaventosissima a vedersi, di spiriti infernali. Le sarte e le antenne (ndr -Lunga e sottile asta di legno, che nelle galee e, attualmente, in imbarcazioni e piccoli velieri, pescherecci, tartane è posta in posizione obliqua rispetto all’albero che la sostiene,) stavano coperte dai più stravaganti mostri che figurar umana fantasia si possa.
Sulla tolda miravansi chimere, idre, gorgoni, giganti enormi con cento braccia, altri che scuotevano lunghissime lance; chi impugnava spade triplicate di fuoco, e chi dalla bocca gettava numerosissimi minori demoni di bizzarre forme.

Quei tre ignoti allora si manifestarono per san Marco, san Giorgio e san Nicolò. Ordinarono essi ai diabolici spiriti di cessar tosto dalla fissatasi mira di sommerger Venezia.
Ma quegl’immondi risposero con vili beffe e clamorosi ululati.
Allora quei tre gran santi inginocchiatisi chiesero umilmente a Dio che salvasse Venezia, la loro diletta città, e spingesse il sommo suo potere contro quelle inique diaboliche legioni.
Immensa fu allora la rabbia ed il furore degli empissimi spiriti. Eccitarono tali buffi di vento, e tale agitazione nelle acque, e tanta pioggia, neve e grandine contro quella meschina barchetta, che la primiera burrasca cosa lieve sembrava al confronto del nuovo indescrivibile orrore.
Inoltre i demoni inviavano contro quei santi con fierissime e le più oltraggianti minaccie, e col vestirsi di altre più enormi bruttissime, e ributtantissime forme.
Qui al tremante vecchio parve con tutta certezza di dover perire, tanto difficilmente star poteva in piedi, e tanto agitata e quasi sconvolta mirava la propria barca, che ora era spinta ad un’altezza pari ai monti ed ora toccava gli abissi arenosi del mare.
Ma ad un tratto, prodigioso, assordante fulmine scòso (scosso) dall’etra (etere) piomba sulla maledetta nave che viene con tutti quegli arrabbiati infernali spiriti tosto dalle onde ingoiata.
Il cielo cominciò prestamente a serenarsi, apparve l’azzurro stellato firmamento, si ritirarono i venti, e sulle acque marine, prima tanto agitale, tranquilla calma a poco a poco si estese.

Il pescatore ricondusse san Nicolò e san Giorgio ai loro templi, e poscia guidò la barchetta al ponte della paggia.
Nell’ accomiatarsi da san Marco il grande protettore di Venezia, questi gli disse: che da potentissimo negromante furono eccitate quelle numerose turbe di spiriti di Averno a rovina della sua diletta città; e ch’esso assieme a’ detti due santi aveva ottenuto dal sommo e vero Nume la grazia di salvarla.
Consegnò poscia il santo al pescatore un anello d’oro, ordinandogli di recarsi in pien Collegio e di darlo al doge Gradenigo, qual prova di quanto aveva veduto.

Nel giorno dietro il pescatore obbedi. Narrò il prodigio ed il beneficio dei tre santi e consegnò al principe l’anello d’oro.
Questo anello esisteva già prima fra le reliquie sacre della chiesa di San Marco, che in apposito locale stavano con tutta esattezza racchiuse.
Si corse ad aprire quella stanza e la teca dove stava l’anello, e fu di grandissima sorpresa il non più trovarlo. Esaminato con rigore quello che il misero pescatore aveva presentato, lo si conobbe ad evidenza per l’anello d’oro mancante.
Quindi nessuno dubitò che fosse stato tolto dal santo evangelista, onde il veneto governo si convincesse della veracità del miracolo. L’anello fu di nuovo posto fra le reliquie della chiesa.
Il doge diede poscia comando che si facesse una solenne processione a ringraziamento di tanto prodigio.

Il vecchio pescatore fu chiesto dal principe qual premio ambisse. Quel buon uomo d’innocenti costumi poverissimo d’idee, domandò lo strano privilegio di poter vendere al minuto in Venezia soltanto esso ed i suoi discendenti la sabbia dolce, la qual sabbia in Venezia è ricercata principalmente per la pulitura dei ferri e dei rami da cucina. La grazia gli fu tosto concessa; e fino al presente i suoi discendenti conservano il detto privilegio con tutto il rigore, e vanno essi soli gridando e vendendo per la città quella pesante merce.

La signora Dorotea mi aggiunse: ella, signor Edmondo, non crederà o poco alle mie parole. Ma se vuole, potrà leggere questa verissima storia in vari libri. Se poi brama recarsi alla Scuola di San Marco(1), troverà ivi due quadri relativi a questo gran fatto.

Il giorno dietro soddisfeci alla mia curiosità. Mi recai alla detta scuola posta ai Santi Giovanni e Paolo, e nella stanza detta l’albergo vidi le indicatemi due pitture. Colà pure da que’ servienti mi fu ripetuta la storia del miracolo e fui assicurato del privilegio concesso al pescatore ed a’ suoi discendenti.

Uno di quei quadri, lavoro di Paris Bordone, rappresenta il pescatore che consegna l’anello avuto da san Marco al doge Gradenigo; e l’altro della nave co’demoni è di Jacopo Palma (2).

(1) Ora Ospital Civico.
(2) Questi due quadri al presente stanno nell’Accademia di Belle Arti.

Tratto da Google Libri.
Misteri di Venezia, Volume 1.
Di Edmondo Lundy