LA CARITÀ A VENEZIA

IN QUANTI MODI SI DOMANDA LA CARITÀ A VENEZIA

Di CESARE MUSATTI – 1893

L’accattonaggio è da noi piaga vecchia ed estesa che l’oziosità e il dissipamento del popolino dispiegano in gran parte; ma aggiungi pure che del mendicare fanno poi taluni un vero mestiere, e quindi anche per ciò di non poco s’accresce il numero degli accattoni…

I più intanto cercano impietosirvi col dipingervi la miseria del loro stato civile; onde nello scendere qualche ponte o attraversando qualche calletta vi feriranno l’orecchio queste supplicazioni:
«El me dona do centesimi, signor! So ‘na póvera vedova. » O rincarando: «El me fazza la carità signor…. So ‘na povera vedova co cinque orfani!»

E da una terza femmina col relativo bambinello in braccio. (magari preso a nolo, chè ce n’ha anche di queste):
«Paron, el ghe dona un soldo a sto póvaro inocente!»

E chi ci resisterebbe ?
Altri poveri prendono a intermediari i vostri cari defunti; e lascia poi far a loro l’appigliarvisi ai 2 di novembre, quando ci sanno inteneriti da tante intime e sante memorie, e per conseguenza più buoni e soccorrevoli che in qualunque altro giorno dell’ anno:
«Per l’anema dei so rovari morti, el me aginta d’un centesimo!»

Ci ha inoltre di quelli che niente niente abbiano annusato in chi passa il cristiano devoto, faranno intervenire la Madonna, tanto venerata in queste nostre lagune, e lo benediranno in nome di Lei:
«Benedeto da Maria Vergine, el me dona un lombardo!»

So anzi d’un’accattona che avendo in giorno di sabato chiesta l’elemosina ad un credente, che usciva allora allora di chiesa con dirgli:
«Un toco de pan, paron benedeto, che xe ‘l sabo de la Madona»; quegli, porgendogli il quattrinello, ebbe a risponderle:
«Qua, vecia; ma per vostra regola tuti i sabi xe de la Madona»

Ma la fede chi l’ha e chi non l’ ha; ciò che non tutti possedono e tutti vorrebbero avere, è indubitatamente la salute. Figuriamoci dunque, se i mendicanti non ne tragganno partito: «Paron, el me dona un centesimo che la Madona ghe dará la salute!»

Oppure:
«El me fazza la carità, signor, che pregar Dio che ghe daga la salute a elo e a le so crature!»

Dopo averci implorata la salute, eccoli a lusingarci la vanità. Sentitela quest’ accattona verso la bella ed elegante signora che ha sfiorato col pomposo vestito i suoi cenci:
«La mia bela signora, la me dona un centesimo!»

E le stuzzicherà il caro orgoglio di madre, scorgendola per avventura in compagnia de’ suoi bambini:
«Serva sua, signora… Cari quei bei bambini!… Me donela un lombardo?»

C’è d’altra parte il lacero ma severo omaccione cui bastano tre sole parole, gravemente pronunciate, per pennellarvi il quadro completo della sua profonda miseria:
«Signor, go fame!»

Avrebbe potuto Tacito esprimersi più brevemente e fortemente di così?
Nè riterrà degno di lui muovere lagno, caso mai gli rifiutaste l’óbolo vostro; all’opposto di qualche altro suo collega, che avendovi indarno domandato un soldo da torse un paneto vi susurrerà dietro:
«Varda quel stranato d’ un can, gnanca el se degna de risponder! Pan domando!»

Ora poi sareste ben bravi davvero a non darvene per intesi colla famelica turba che ha piantato suo domicilio in questo sotoportico che state per transitare.
Già un bambino v’è venuto, piagnucolando, tra i piedi al vostro primo apparire; liberatevi da lui; eccovi la sorellina che ne prende il posto; e pochi passi più in là il resto della famiglia colla solita musica:
«L’agiuta sti poveri fantolini. Semo s’un ponte, signor!»

Nota, lettore, quest’ ultime parole pronunciate tanto spesso dalla poveraglia anche se non si trova, quando le dice, materialmente sopra d’un ponte, perchè è frase esclusivamente propria de’ mendichi veneziani e di nessun altro paese. Esser s’un ponte vale trovarsi in squallida miseria; poichè devi sapere essere a Venezia antica costumanza de’ questuanti collocarsi appunto sui ponti (dove chi passa s’indugia di più) a cercar l’elemosina, tanto allorchè i ponti stessi erano di legno e poco arcuati onde i cavalli potessero trascorrerli liberamente, come allorquando si cominciò, e fu nel secolo XIV, a costruirne di pietra.
Il seguente fattarello di cronaca cittadina, poco fresco a dir vero, perchè risale al 1291, ne viene a conferma: Un tal Bernardo della Giudecca stava seduto su un ponte di quell’ isola per domandar carità a’ viandanti, quando un suo compagno, con cui poco prima avea litigato giocando agli scacchi, fece per assestargli una bastonata. Della gente s’intromise, ma non potè impedire che Bernardo n’ andasse colla testa rotta.
«La moglie di lui depose in giudizio che sedendo dinanzi alla porta della sua abitazione vide il marito in pericolo, e che armatasi d’un randello corse per aiutarlo, ma venne anch’essa ferita ad un dito». (1)
Come vedi quindi, da oltre sei secoli usano qui i mendicanti piantar bottega sui nostri ponti…, e le nostre donnette a fare, sulla porta di casa, della pubblica via il proprio privato tinello.

(1) Signori di Notte. Reg. n. 5 nell’Archivio di Stato in Venezia.

È inutile da ultimo aggiungere come l’ indigente approfitti d’ogni avvenimento, ordinario o straordinario che sia, per indurvi colle sue querimonie a pietà; anzi nella ricorrenza di feste sostituirà a quelle addirittura un augurio tanto gentile quanto opportuno. Cosi a Natale ed a Pasqua ti porgerà il suo piattino, dicendoti semplicemente:
«Le bone feste, signor!», ovvero: «Bone feste in salute, el mio paron!» chè il resto viene da sè. E a capodanno: «Paron benedeto, bon capo d’ ano; molti ani in salute, paron!» od anche:
«El bon prencipio, signor!»; o finalmente: «Tanti ani in salute a lu e a lo so famegia»; come auguro per davvero, lettore a te senza aver in mente di spillarti neanche un centesimo.

Ora s’aspetterà forse taluno di vedere accennati i vari artifici oltre a quelli della parola, cui ricorrono i pitocchi pe’ loro scopi ; ma ciò sconfinerebbe dal proposito nostro, come sconfinerebbero le contrattazioni che procedono tra loro per la cessione di questo o di quel posto, i convegni che si danno in questa bettola o da quel liquorista al termine della più o meno grassa giornata (già, magra mai), le loro rivalità.
Ma basti, soltanto a proposito di quest’ultime, ch’ io riferisca la sfuriata udita un giorno colle mie orecchie da una mendicante all’indirizzo d’altra compagna, che avea richiesta d’elemosina una signora usa, e’ sembra, a beneficare la prima solamente:
«Varda sta maledeta che la m’ à porta via la mia signora !… Ma ti la sconti, sa…. co quel cussin su la panza per farte creder incinta!»

Concludiamo.
Filantropi, che si commuovono di leggieri all’eloquenti parole degli accattoni, conti in gran copia; filantropi illuminati, che non fomentino con facili soccorsi individui viziosi ma non bisognosi, trovi invece rarissimi. E it is the question! direbbe Amleto.

Venezia, Dicembre 1893.


D.R CESARE MUSATTI.

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Archivio per lo studio delle tradizioni popolari, Volume 13

Cesare Luigi Musatti (21 settembre 1897 – 21 marzo 1989) è stato un filosofo e psicoanalista italiano.