IL VETRO PRESSO GLI ANTICHI

G. V.

Se noi osserviamo oggidì a qual punto si trova l’arte vetraria, siamo colpiti dalla sua perfezione, ma se facciamo attenzione alle sue antichità non possiamo a meno di meravigliarci dei pochi progressi che essa fece. Infatti la scoperta del vetro e la sua fabbricazione, benché quasi nulla in confronto dell’odierna, datano antichissimo tempo.
La più remota antichità conosceva il vetro. La sua origine si deve, secondo Plinio, al caso. Alcuni negozianti di nitro che attraversavano la Fenicia, dice il vecchio naturalista, trovandosi alle sorgenti del Belus, vollero far cuocere le loro vivande, ma non trovando pietre di sufficiente grandezza per alzare i loro tripodi si servirono di grossi pezzi di nitro. Accesero il fuoco, la materia incandescente s’incorporò colla sabbia, divenne vischiosa, poi e si formarono così dei piccoli ruscelli d’ un liquore biancastro trasparente.
Raffreddatasi la materia, lasciò vedere ai mercatanti delle lamine di una sostanza dura, trasparente, facile a rompersi, in una parola insegnò loro la maniera di fabbricare il vetro, che fu poscia infinitamente perfezionata.
Da questo passo di Plinio e da un altro del secondo atto delle Nuvole di Aristofane risulta che il vetro si scopri 1000 anni circa prima di Gesù Cristo.
Giuseppe nel libro secondo, capitolo nono delle Guerre degli Ebrei, racconta cose meravigliose della sabbia del Belus, di cui parla Plinio. Egli dice che nelle vicinanze di questo fiume si trova una specie di valle di figura rotonda d’onde si prende sabbia , che quivi è in quantità immensa, o che se vi si mette del metallo si cambia subito in vetro, fondendosi, dice, probabilmente sabbia.
Tacito (libro V della sua storia) racconta pure la stessa cosa dicendo più semplicemente: «Il Belus si getta nel mar di Giuda; si usa della sabbia che si trova alla sua imboccatura per farne del vetro, perchè essa è mescolata a nitro, e il luogo d’onde si piglia, benchè piccolo, ne fornisce sempre.»
Il signor Bosc d’Antic, nelle sue Notes sur la perfection de la verrerie etc., ritiene una favola quanto racconta Plinio della scoperta del vetro. Bisogna esser ben creduli, dice egli, per ritenere che i mercatanti del fiume Belus abbiano veduto la sabbia entrare in fusione. Ciò è assurdo, occorrerebbe perciò, dice egli, un fuoco di riverbero.
Qualunque sia l’origine del vetro sia vero o no l’aneddoto di Plinio è certo però che il vetro era dagli antichi molto usato ed anche molto ben lavorato. Strabone , nel libro XVI, parla delle vetriere della grande Diospolis, capitale della Tebalde, e dice che celebri pure erano quelle d’Alessandria.
Egli è certo che vi si facevano delle coppe d’un vetro portato fino alla purezza del cristallo; vi si fabbricavano pure dei vasi detti Alassuti, che rappresentavano delle figure, di cui i colori cambiavano secondo l’aspetto sotto cui si guardavano, e vi si intagliava e dorava il vetro.
Il signore Minutoli nel suo viaggio racconta aver veduto presso Beni-Hassan nelle figure antichissime relative alla distillazione ed all’arte di fare il vetro.
I Romani usarono il vetro moltissimo. Si trovano in Ercolano vasi evidentemente costrutti con un metodo a soffio analogo a quello che si segue ai nostri giorni.
Col vetro si fecero dagli antichi lavori meravigliosi. Il signor de Vallois, in una sua pregevole ne descrive i principali, e incomincia dai lavori pubblici, di cui l’antichità fa menzione.
Il teatro di Marco Scauro, genero di Silla, è il primo e il più antico di questi monumenti. Scauro, Plinio, fece fare durante la sua edilità l’opera la più bella che sia sortita dalla mano dell’uomo. È un teatro di cui la scena ha tre piani di altezza ed è ornata di 360 colonne.
Il primo piano è tutto in marmo, il secondo è tutto incrostato di un mosaico a vetro, genere di lusso allora sconosciuto, il terzo è in legno dorato.
Il secondo monumento pubblico di vetro si trova accennato nel settimo libro delle ricognizioni di S. Clemente, ove si legge che S. Pietro è pregato di recarsi in un tempio dell’isola d’Aradus per vedervi un’opera degna d’ammirazione. Erano colonne di vetro di grandezza e grossezza straordinaria.
Il principe degli apostoli vi andò È guai coi suoi discepoli e annunciò la bellezza di queste colonne, preferibili a delle eccellenti statue di Fidia, di cui lo stesso tempio era ornato
Dopo ciò il signor de Valois nella medesima sua memoria passa all’uso del vetro, presso gli antichi. Parla degli specchi nelle loro camere; la prova che egli ne adduce è tolta dal XXXVI libro di Plinio al XXVI, in cui questo autore dice positivamente che la città di Sidon celebre per l’arte vetraria e che fu in essa che inventaronsi quegli specchi neri lucenti di cui i romani si servivano.
Sotto l’impero di Nerone, dice Plinio, si cominciò a usare nelle tavole dei vasi e delle coppe di vetro bianco d’una grande trasparenza e imitanti perfettamente il cristallo. Narrasi che Tolomeo, re d’Egitto, facesse porre in alto del faro d’Alessandria delle lenti d’avvicinamento tali, che egli scopriva a 60 miglia in mare i vascelli nemici che avevano l’intenzione di sbarcar nella costa.
Facevansi palle di vetro, e si usavano per giocare.
Il gioco della vitrea pilla consisteva nel lanciarsi reciprocamente tra due giocatori palle di vetro.
Il merito del giuoco consisteva nel non lasciarne mai cader una a terra.
Un’iscrizione antica della preziosa raccolta di Gruter ci insegna che inventore d’un tal gioco fu un romano di nome Ursus Togatus. Infine i latrunculi, o gioco degli scacchi, secondo il dire dei migliori antiquarii, erano in vetro; come pure nelle cerimonie antiche pagane, e in quelle funebri dei primi cristiani, si usavano piccole boccette di vetro, detti vasi lacrimatorii.

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G. V