Il Tempio di San Marco in Venezia ed il suo ultimo ristauro

Venezia sembra surta dal mare non pel pertinace voler dell’uomo, ma pel magico comando di uno degli onnipossenti genii delle Mille ed una notte. Qui tutto, o per singolarità di forma, o per magia di colorito, o per ricchezza di marmi, si scosta dal comune; e calli e piazze, canali e ponti, palazzi e chiese hanno un carattere affatto speciale, che non ha riscontro nel resto d’Italia, e che piuttosto in qualche parte ricorda l’Oriente.

Specialmente poi richiama l’Oriente il meraviglioso tempio di S. Marco, ed evidentemente l’architetto di esso, per immaginarlo cosi ricco di marmi e di oro, cosi brillante di fulgidi e differenti colori, cosi variato nelle parti e con tutto ciò cosi armonico, deve essersi ispirato nella fastosa Bisanzio, deve aver studiato quei monumenti e specialmente quel tempio, allora splendidissimo, di S. Sofia, poichè il nostro San Marco ha grande rassomiglianza di stile ed analogia di struttura con quell’insigne tempio. Con ciò io non intendo dire che esso ne sia la copia, come da alcuni poco intelligenti scrittori fu detto. Le copie, più o meno stereotipate, sono un prodotto esclusivo del secolo nostro; nei passati secoli, e massime in quelli del medio evo, l’artista, anche quando si prefiggeva un modello, lo imitava cosi liberamente che ne venia un’opera originale. Nel nostro tempio inoltre, per renderlo maggiormente dissimile dal suo prototipo, si unì, – senza che per questo l’unità del concetto ne soffrisse danno, – l’opera di diverse epoche e di artisti differenti.
In fatto sappiamo che fu principiato nell’828, appena seguito il trasporto da Alessandria del corpo di S. Marco; ma che poscia si dovette rifabbricarlo, essendochè nel 976 fu quasi del tutto distrutto da un incendio. Dalle cronache inoltre ci risulta che la ricostruzione durò sino al 1071, poichè solo in quest’anno fu compita la facciata.
Sembra però che con troppa fretta siano stati fatti i primi ristauri dopo l’incendio, e che nel far le murazioni non vi sia stata impiegata la necessaria cura; e fosse per ciò, o solamente per la forza distruttrice dei secoli, fatto sta che in questi ultimi anni, tanto nel lato settentrionale che meridionale, le mura e le fondamenta cedettero, e si manifestarono negli archi e nelle volte dei gran crepacci che potevano mettere in grave pericolo la stabilità di tutto il tempio; poichè, come ben si sa, nelle fabbriche a volta la caduta di una può occasionare quella di molte altre.
Fortunatamente, il governo austriaco pensò subito al necessario ristauro radicale, e lo affidò ad un uomo capacissimo, il capomastro Giov. Antonio Dorigo; il quale, oltre ad una lunga pratica in simili lavori, ha un amore da vero artista per l’arte e per i monumenti della sua Venezia.
L’impresa era difficilissima e di grande impegno, perchè non si trattava già di rimettere soltanto alcune colonne, o di rinnovare i rivestimenti marmorei; ma bisognava in molte parti rifare le murature interne, in altre rinforzare ed anco rinnovare le fondamenta, e nel frattempo sostenere con puntellature i muri o le volte superiori ed impedire il dilatarsi dei guasti. Ma il Dorigo, occupandovisi con tutto lo studio e tutta la cura necessaria riusci a superare ogni difficoltà, dandoci in non molti anni (relativamente alla importanza del lavoro) un opera veramente perfetta; cosi che ora si può star sicuri che per molti secoli non vi sarà più pericolo per la solidità dell’insigne tempio. Però se il ristauro è inappuntabile dal lato tecnico, dall’ artistico potrebbe in qualche parte esser migliore; poichè non si pensò a rimediare al brutto inconveniente di quel finestrone sul lato meridionale, cosi nudo in mezzo a tanta ricchezza, cosi goffo in mezzo a tanta leggiadria.
Colà bisognava rimettere le suddivisioni marmoree a colonnine ed archetti, che anticamente vi doveano essere (come c’erano anche nell’altro identico finestrone della facciata) e che devono esservi state levate nel cinquecento, per quella mania che allora aveano della gran luce ad ogni costo.
Io voglio però sperare che il valente direttore della parte artistica del ristauro, ingegnere Meduna, cedendo alle istanze di tutti gli intelligenti d’arte, vorrà ovviare alla suddetta mancanza (tanto più che la cosa è facilissima), rendendo cosi l’opera completa e perfetta.

(Da Venezia).

Cordenons Federico, architetto

Tratto da: L’ Illustrazione italiana: rivista settimanale degli avvenimenti e … – 1876
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