Il teatro della Fenice in Venezia a fuoco

Chi considera di quanto lustro e decoro per la Città, di quanto utile e profitto per una infinita moltitudine di persone fosse lo spettacolo della FENICE, s’immaginerà di leggieri il dolore che occupò tutti gli animi alla nuova dell’ infelice disastro, che ieri mattina (13 dicembre 1836) alle tre circa antimeridiane in poco d’ora distrusse e convertì in cenere il nobile edifizio, a cui avevano posto mano tant’ingegni diversi, che avevano abbellito tutte le squisitezze delle arti, per cui troppi non parvero 500,000 ducati alla munificenza cittadina che lo aveva innalzato, e ch’era insieme la fonte di tanti difetti e di tante oneste speranze.
Certo, se in così grave sciagura nulla può temperarne il dolore, quest’è il confortante pensiero che a nessuno può imputarsi la colpa di negligenza o d’improvvida cura: essa fu una sciagura maggiore d’ogni umano avvedimento o consiglio, che nessuna provvisione poteva antivenire; nè per lo contrario nel gran frangente mancarono solenni prove di zelo, di coraggio, e di somma perizia per parte delle autorità e dei cittadini.
Pare adunque che il fuoco, derivato non si sa da qual cagione, lavorasse da parecchi giorni nascosto nelle interne travi del soffitto, fin che giunto alle materie più facili ad accendersi e divvampare, prorompesse in un subito con tale impeto e furore, che fu un punto il manifestarsi l’incendio, ed essere tutto in fiamme il Teatro.
Appena la guardia del fuoco della torre di S. Marco aveva dato il tocco fatale, appena eran giunti sul luogo i primi soccorsi, che già con orribil fracasso precipitava nel centro del Teatro il tetto ardente e confuso in un’unica fiamma, mentre in pari tempo la furia dell’ incendio si propagava di loggia in loggia e vestiva tutte le interne pareti; onde s’ immagini quale orrenda sembianza rendeva alla vista quell’immenso pozzo, quell’abisso di fuoco che mostrava aperte al cielo le fauci, d’onde uscian fiamme che vincevan tutte le altezze vicine, gittavano sui tetti circostanti faville accese e carboni, e illuminavan d’un lugubre chiarore le parti più remote e lontane della Città.
Le cupole della Salute, le case della Giudecca, riflettevano la misera luce, e chi non fu desto dai rintocchi dalla campana di all’erta, si fu del disastro avvertito da quel subito e ignoto splendore che si osservò fino al Lido e sulla strada di Padova. E però nè forza nè ingegno umano più togliere non poteano il Teatro al mare di fuoco che l’innondava, e la sua perdita fu già irreparabile fino dal primo divvampar della fiamma.Più non rimaneva all’umana industria che limitarne la rapina e la furia, togliendone alla divorante balia le case ch’ erano addossate alle ardenti pareti e versavano quindi in sì prossimo ed imminente pericolo. E qui una misera e pietosa vista s’offerse allo sguardo!
Da quelle case, abitate per la massima parte da persone agiate e civili, le genti, colte dalla sventura nel sonno, e prima involte nel pericolo che fatte accorte di quello, così seminude com’eran nel letto si gettavan piangendo ed empiendo l’aria di lamenti e di gridi sulla pubblica via, dove furon raccolte dalla pietà dei vicini, mentr’altre, in cui più poteva il coraggio e la forza, sgomberavan sulle proprie spalle la casa, e ingombravan, miserando spettacolo! d’arredi le strade! – Ma tali, si pronti ed efficaci furono i soccorsi recati, e in tanta confusione ed urgenza sì maturi e sagaci i consigli, che tale vittoria si ottenne sul vorace elemento, e non solo si giunse a restringerne i furori entro al teatro e a salvarne le case contigue e vicine, ma perfin Patrio stesso, le sale, e il magazzino del teatro ov’era, con tanto maggior pericolo, ammassata gran provvisione di legne. – A sì mirabile effetto principalmente contribuirono tanto le truppe dell’ I. R. Guarnigione, che dell’ I. R. Marina, le quali subito accorsero co’civici pompieri sui luoghi, e non è a dire quali commoventi pruove d’intrepidezza e coraggio in tale occasione si vedessero R. marinai e pompieri s’arrampicavano sulle ardenti muraglie, e quasi il fuoco, nè la vampa non gli giungesse, ivi pazientemente, dove più minacciava il pericolo, al lavoro attendevano, e qui tagliavano travi, là abbattevano muraglie, altrove, in mezzo al ruinar dei tizzoni, o delle pietre, che il fuoco o le mannaie sfasciavano, recavano intrepidi il soccorso delle macchine e delle secchie.
Nè certo poco al fervore ed allo zelo degl’inferiori contribuì il fervore e lo zelo dimostrato dalle autorità, che accorsero sulla faccia dei luoghi, al primo segnal del disastro. V’accorse fra’ primi S. E. il sig. conte di Spaur Governatore, che vi si trattenne tutta la notte fino a giorno molto innoltrato; v’accorsero S. E. il vice-ammiraglio Paulucci, comandante superiore della Marina, gl’II. RR. generali ed ufficiali stabili, il sig. consigliere aulico direttore generale di Polizia, l’ I. R. Delegato, i signori commissari di polizia, e il benemerito signor Podestà, il quale con l’ingegnere dei fuochi sig. Sanfermo principal direttore delle operazioni prese parte si può dir tutta la notte e tutto il giorno alle fatiche e a’pericoli di sì luttuoso frangente.
Coi quali cooperarono pure i signori assessori municipali, il signor Salvadori ingegnere municipale ed alcuni zelanti cittadini. Or dell’interno di sì vasto e ricco edifizio più non rimangono in piedi se non le muraglie, e l’arco della scena che resistè all’urto di tanta rovina.
Chi mira il teatro dalla parte di dietro altro ora non vede, che un libero spazio aperto all’aria e alla luce; confuse in un solo e miserabile aspetto sono le logge, gli anditi, il palco, e di tanta magnificenza di colonne, d’ori, di pitture, di stuc chi, altro più non si presenta alla vista che un mucchio di sfasciumi e ruine ancora fumanti e tenute in osservazione, mentre scriviamo.
Dall’ altra parte all’opposto il principale prospetto non sofferse alcun danno, nè l’uomo colà s’accorge dell’ interna rovina. Se non che in tanto disastro abbiamo pure un motivo di nuova consolazione; il teatro era assicurato, il perchè tutto ne induce a credere, che non sarà se non momentanea la perdita, e che in breve questa Fenice risorgerà veramente dalle fiamme più bella: intanto si pensa di surrogare agli spettacoli ch’ erano già apparecchiati per la Fenice un altro teatro.

G. P. V.

Articolo tratto da: Cenni storici intorno alle lettere, invenzioni, arti, commercio e spettacoli volume 3.
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Tips and tricks

Segni d’allarme. – I segnali d’allarme, convenuti col Comando superiore di Marina, sono i seguenti: cioè, 1.° per incendio; 2.° tumulto di popolo; 3.° difesa delle lagune.

I. Incendio. – L’allarme per incendio viene segnalato

a) Dalla torre di S. Marco. Di giorno, con una bandiera rossa, appesa nella direzione del fuoco. Di notte, con una lanterna, appesa nella stessa direzione.
b) Dalla nave ammiraglia. – Tostochè la nave ammiraglia vede questi segnali, tira tre cannonate semplici, coll’intervallo d’un minuto fra l’una e l’altra.

II. Allarme per tumulto di popolo. – Viene segnalato

a) Dalla torre di S. Marco. – Di giorno, con tre bandiere nere, che vengono appese all’angolo della torre a S. E., verso la Gran Guardia. Di notte, con tre lanterne; esposte al medesimo luogo delle bandiere.
b) Dalla nave ammiraglia. – Con quattro cannonate doppie coll’intervallo d’un minuto fra ciascuna cannonata doppia e l’altra, le quali vengono tirate dalla nave ammiraglia all’apparire dei detti segnali. Una cannonata doppia consiste in due colpi coll’intervallo fra l’uno e l’altro di cinque secondi.

III. Difesa delle lagune. – In questo caso l’allarme viene segnalato

a Dalla torre di S. Marco. – Con tre bandiere rosse simultaneamente esposte verso la Gran Guardia.
b) Dalla nave ammiraglia. – Con otto cannonate doppie coll’intervallo d’un minuto fra una cannonata doppia e l’altra.

Zichy, m. p.

Tratto da: Carte segrete e atti ufficiali della polizia austriaca in Italia …, Volume 3