Annedoto popolare Peppo Colcera

Peppo Colcera è divenuto quasi vecchio, ed il brusco umore di questo contadino di V …… o, villagio poche miglia lontano da Padova e per cui ebbe nome di Lupo, é ormai passato. In gioventù fu ardito manesco, a chi le dava, a chi le prometteva. E ancora ne’contorni hanno paura di Lupo Colcera, e quando il gran turco è maturo, ed è presso la vendemmia, con un vecchio archibugio va girando per le campagne, e le guarda perchè i ladroncelli non rubino qualche mezzo sacco di pannocchie, o qualche cesto d’uva per andare a venderlo alle porte della città.
Era una sera d’autunno, e con un dolcissimo amico tornavamo da un passeggio fatto tra’campi, dove spesso andiamo a fabbricare col pensiero mondo a nostro modo, il qual mondo, basta riponghiamo il piede sulla soglia di casa, sparisce come i fuochi fatui che i paesani credono anime di morti.
Allora si torna dalle nubi alla terra e sparita ogni illusione siamo ancora nella tristissima realtà del vero. — Buona sera, Lupo gli dissimo. — Iddio vi benedica, Signori. — Fate la guardia ai campi, n’è vero? — Si, e con questo mi procuro una fetta di polenta per l’inverno. — Brutta stagione l’inverno. — Per noi contadini brutta non già per i signori. Ci lasciano tra il fango mentre vanno a godere i spassi della loro Venezia. — E foste mai a Venezia? — Messer si, che vi fui, saranno or trent’anni, ma dopo quella volta non mi vi colsero più, nè vi andrò fino a ch’io viva. — E perchè tanta avversione per Venezia? — Esecrato paese! Il viaggio dovetti farlo a piedi e a piccoli passi fino al luogo dove si prende l’imbarco. — Ma è questo che ti porta ad odiare Venezia? Vacci un’altra volta e se non vuoi durare fatica monta nel Burchiello e arriverai a Venezia sedendo. — Io tornarvi? no, al corpo… al sangue… (simili interjezioni sono spesso in bocca di Lupo Colcera) non vi si mangia che de’ cattivi fagiuoli e del pane negro, e poi chi vi può dormire? — Come diavolo dici che non vi si può dormire, se non vi sono nè carri, nè carrozze? — Lupo ripetea le suddette interjezioni, e dicea che in quella brutta catapecchia, dove ebbe albergo, ogni volta che posava il capo sul traversino del suo cattivo letto era sturbato ne’sonni da un grido cupo e lugubre che lo svegliava, e questo grido era: — A Chioza ohe! A Chioza ohe! A Chioza co le comanda.
Infatti sul Molo, fra il palazzo Ducale e le prigioni vi è l’imbarco de’batelli che vanno a Chioggia e partono dalla mezzanotte in poi. Avvolti ne’loro cappotti di Salonicchio, e un berretto turchino di lana in testa, che ricorda il berretto frigio, con una piccola pipa di terra di cui la canna sottilissima è di sanguinella, i barcaruoli chiozzotti che s’addormono prima sotto al coperto delle loro barche o sui gradini del ponte della paglia, quando giunge l’ora che o la marea o il vento favorisce il viaggio, vanno camminando su è giù e gridano del continuo: a chioza ohe! a chioza se le comanda.
Invitano così i passeggieri ad entrare nelle loro barche, e promettono a tutti buon posto e sollecita partenza. Le quali promesse sono mantenute colla medesima esatezza con che tante altre promesse del mondo si mantengono, cioè in quanto torni a conto del promettitore. Non salpano dalla riva se i passeggieri non sieno stipati come le acciughe nel barile, e così cresce il loro guadagno.
L’amico ed io abbiamo indovinato l’origine dell’avversione di Lupo Colcera per Venezia, e ne abbiamo saputo i particolari da un altro contadino. Trent’anni prima, per una certa baruffa fu condotto legato in mezzo alla sbirraglia fino a Fusina, rimase per alquanti mesi a Venezia in prigione, mangiò malamente e fu sturbato nella notte dalle grida de’barcaiuoli chioggioti.
Lupo Colcera nel suo discorso fece egli diversamente da tanti viaggiatori, anzi della maggior parte dei viaggiatori quando scrivono delle loro peregrinazioni, e non dicono ciò che è vero e reale, ma soltanto quello che apparve loro guardando le cose a traverso dei loro pregiudizi, o consigliati da uno stolto amore pelle loro patrie il quale fa si che con maligna compiacenza ricercano soltanto quello che v’è di brutto o di cattivo nelle patrie altrui?

Articolo tratto da: La Moda. Giornale di amena conversazione – 1832
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