IL PICCOLO CANE NERO

Chi non conosce il commovente dipinto detto il Convoglio del Povero?…. Sotto un cielo fosco, una bara, coperta da un drappo nero comune a tutti, si avanza sola, senza amici e senza onori; sola non sarebbe propriamente l’espressione, perocchè un cane l’accompagnava; sì, un cane, l’ultimo amico del misero che alla fine ha trovato riposo fra quattro tavole. Questa scena di lutto e di melanconia si riproduceva non ha guari in una strada di Parigi.

— Una bara s’avanzava sola fra una pioggia dirotta, senza altri dietro che un vecchio cane nero, il quale cogli occhi torvi e la testa bassa accompagnava mestamente il suo padrone in questo ultimo viaggio. I passanti non vi facevano neppur caso; perocchè a Parigi son cose assai consuete la miseria e l’isolamento!
I più caritatevoli dicevano: Povera bestia!…. Qualche donna forse innalzava al Cielo una preghiera, acciocchè la povera anima del morto riposasse in pace; ma niente di più: quand’ ecco un giovane ben vestito, sbucando da una contrada traversale, si ferma, e guarda alla sua volta il triste convoglio. “E nessuno lo segue, osserva egli…. quest’ è troppo!
Andrò io; la colazione e gli amici aspetteranno,.

Ciò detto, si mette dietro la bara, vicino al cane, il quale indietreggiò alquanto come se volesse dargli posto, o per meglio dire come per fargli onore. Andarono così fino al cimitero, dove un sacerdote venne a ricevere il cadavere. Ma quel povero abbandonato doveva essere deposto nella fossa comune; a questa idea un vivo sentimento di ripugnanza coglie il giovane, che s’interessava per quella bara sconosciuta; e chiede un momento di tempo, corre dal custode del cimitero, compra e paga una buca, e pianta una piccola croce di legno sulla tomba di quell’amico ch’egli non doveva trovare, nè conoscere che nella valle di Josafat. La cerimonia si compie: la terra cade colle ultime pietre sopra il coperchio della cassa; il sacerdote l’asperge per l’ultima volta di acqua benedetta col supremo Requiescat in pace; e il cane abbaiando lamentevolmente se ne allontana, lasciando il becchino occupato ad empire la fossa.
Il giovane s’allontanava ei pure a passi lenti, ripieno il cuore di una soddisfazione melanconica. Ma non appena passata la porta del cimitero, riprende l’andatura sua consueta ed i suoi pensieri di tutti i giorni.

Ora convien sapere, lettori miei, che al momento ch’egli aveva incontrato il convoglio del povero, correva ad un lieto convegno di amici e di colleghi, i quali dovevano festeggiare con lui la vendita di un suo primo quadro. Amodeo C….. era pittore; e dopo aver lungo tempo lottato contro le difficoltà dell’arte, colle rivalità del mestiere e le asprezze della vita, giungeva infine ad acquistarsi un primo successo. Il suo quadro era stato venduto; il Ministro gli aveva data una ordinazione, e i suoi amici volevano bere in anticipazione dei suoi futuri trionfi.
— Egli si dirigeva dunque, dopo aver fatta quella bella azione verso verso i baluardi, quando tutto ad un tratto si sente non so che fra i piedi; guarda, era il cane nero, che lo accarezzava. — Va via! diss’egli, che tu m’insudici; non sai che ho indosso il mio più bell’abito? Il povero cane lo guarda, e non si muove. Amedeo s’allontana ma appena fatti alcuni passi, sente di nuovo la testa del cane nero frugare fra le sue gambe e peggio ancora tra’ suoi bei calzoni neri! — Va via di quà! grida egli di nuovo, va a casa tua.
Il cane fissa su di lui gli occhi in aria supplichevole: — Ve’! questa è bella! si direbbe che egli ha voglia ch’io lo segua! Vediamo dunque ciò che succederà,.

Cedendo all’ eloquenza di quello sguardo, Amedeo segue il cane, il quale indietreggiando prese una via stretta che conduceva in un povero quartiere. Amodeo lo segue dappresso; il cane si arresta dinanzi una casa di misera apparenza; passa uno stretto ed oscuro corridoio, sale una scala scura interminabile, e s’avanza verso un uscio al quinto piano. Là, il cane s’arresta graffia dolcemente la porta; Amodeo gli era dietro…..

Una ragazza vestita poveramente, cogli occhi tutti rossi dal pianto viene ad aprire l’uscio. Il cane le salta addosso e le lecca le mani. — “Signorina, disse Amodeo, abbastanza imbarazzato dalla sua condotta, le riconduco il suo cane (detto fra noi era il contrario ch’ egli doveva dirle).
La giovane potè appena articolare un la ringrazio, signore, interrotto dalle lagrime; Amodeo si fa un po’ di coraggio,. Ha ella perduto qualcuno? domandò egli con dolcezza. Ho veduto questo povero cane dietro a una bara. — Oimè, signore, quella era la bara di mio padre!… Questa parola ruppe il ghiaccio. Amodeo entrò nella stanza, la quale era un triste tugurio dalle pareti ignude e dal focolaio agghiacciato.

In un canto sopra un letto di paglia giaceva una donna già avanzata in età; i suoi tratti portavano l’impronta del patimento e del più profondo dolore. Ella volse sullo straniero gli occhi inquieti e mesti, e con debole voce domandò alla figlia: — Augustina chi è quel signore? Amodeo si alza, s’avvicina al letto, e tutto rispettoso le dice: “Signora ho seguito la bara di vostro marito fino al cimitero, e ora vi riconduco il cane che lo accompagnava. — Come, signore, voi avete seguito?… voi avete avuto tanta bontà?… Oh grazie, grazie mille volte!…. Ma ella non conosceva il mio buon padre? interruppe Augustina. — No, signorina; ma vedendo una bara senza che alcuno l’accompagni, fui commosso, ed ho pregato, io che non prego mai! — Dio l’avrà esaudita, signore, e il mio povero marito pregherà per lei in paradiso, aggiunse l’ammalata. Ah, signore, il povero uomo aveva un cuore d’oro!… Com’ella vede io sto molto male…. la mia malattia fu la morte di mio marito: vedendomi egli così ammalata da due mesi, lavorava giorno e notte per non mandarmi all’ ospitale! lavorava il poverino, e non aveva di che cibarsi, non riposava mai, e mori in pochi giorni da una infiammazione al petto…. Ed io vivo, io, che sono inutile a tutti, vivo per essere a carico qui della mia povera creatura….. ma non voglio già farla morire come suo padre, andrò all’ospitale subito domani…. A queste parole dette con isforzo, Augustina si getta al collo di sua madre e dice singhiozzando: Madre mia, perchè parli così? No, tu non andrai all’ospitale, io lavorerò giorno e notte, e se ciò dev’essere, moriremo tutte due assieme; vorrei bensì poter trovare del lavoro!

Amodeo era commosso fino al fondo dell’ anima; le lagrime scorrevano da’ suoi occhi, ma quest’ ultima parola fu per lui una improvvisa rivelazione:
— “Cosa fa ella dunque, signorina, le chiese egli?
— Sono cucitrice in bianco.
Oh ciò va a meraviglia! io so di uno de’ miei amici che ha delle camicie da farsi, ed io gliele porterò quì.
— Signore, ella non avrà certo di lagnarsi del mio lavoro. Noi avevamo un negozio di lavori in bianco e di confezione a D….. I crediti ci hanno rovinati, siamo venuti a Parigi, sperando di trovare se non la fortuna almeno i mezzi di sussistenza….. ed invece abbiamo incontrato la miseria e la morte, disse la madre. — Amodeo cercò di consolare le due povere donne con qualche parola, le salutò, e stava per partire quand’ecco di nuovo il cane saltargli addosso e carezzarlo.
— Come si chiama egli? domandò il giovane.
Kelb, rispose la giovanetta: si dice che Kelb voglia dire cane in arabo; mio fratello, che serviva nei cacciatori d’ Africa, l’aveva chiamato così…. povero Giulio! anche egli è morto….
Amodeo fece qualche carezza al vecchio Kelb, e poi si allontanò.
All’indomani, egli rientrava nel malinconico tugurio con un enorme rotolo di tela bella e fina. Era la colazione del giorno avanti che si era convertita in tela Countray. Annunziò alle povere donne la visita di uno de’ suoi amici, che era medico, il quale avrebbe visitata l’ammalata e le farebbe seguire una cura.
Il medico venne difatto, e dichiarò subito che la povera vedova non era ammalata che in causa di privazioni: gli ordinò per ben nutrirsi, dei brodi, dei cibi nutritivi, che pervenivano regolarmente alle povere donne, le quali si stupivano e si domandavano l’una all’altra da chi gli potessero venire que’doni così ben scelti a tanto adattati alla loro situazione….
Gli amici di Amodeo, che lo vedevano lavorare tutto il giorno, e che si canzonavano della di lui virtù e del suo gusto per l’economia, avrebbero potuto rispondere a questa domanda. Difatto il giovane toccò il cuore per la prima volta dalla vista di una miseria reale e dal sentimento che lascia dietro a sè una buona azione, aveva abbandonato le botteghe di caffè e le molli abitudini di una vita in cui tutto si dà alla fantasia, e nulla al dovere ed alla ragione…. Egli era divenuto laborioso, ordinato, economo, e il suo talento ingrandiva nel tempo stesso che il suo cuore ed il suo spirito si purificavano.
Nelle sue visite che egli faceva alla soffitta s’accorse che Augustina, tanto bene educata quanto bella, gli diveniva cara infinitamente, e pensò che la Provvidenza la destinava forse a divenire l’onore, la consolazione ed il sostegno della sua vita.
La domandò in isposa a sua madre, ed in oggi vicino a lei ed al bambino che ella gli diede, egli proclama che la dolce stella della Carità lo condusse alla felicità. — E noi aggiungiamo che in tutto Parigi non v’ ha un cane più felice e più accarezzato del vecchio Kelb.

(Dal Journ. de Demoiselles.)

Tradotto da ENRICHETTA M.

Articolo tratto da: L’Instruttore elementare: Giornale di educazione e d’istruzione…, Volume 3
A cura di A. Mazorana


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