Il Carroccio

Nel principio de’municipi italiani, il nerbo delle truppe era posto nella santeria: perché questa avesse maggiore regolarità ne’ suoi movimenti ed unione, essendo formata di cittadini che lasciavano i proprj focolari per difendere la propria terra, Eriberto arcivescovo di Milano, che correggeva le cose sacre e conduceva le battaglie, pensó d’inventare uno strumento di guerra, il quale ad un tempo imprimesse moto alle truppe e colla religione li tenesse nel debito rispetto. Questo fu il carroccio che apparve per la prima volta nelle armate verso il 1050.
Il carroccio consisteva in un carro più alto, più grande, più forte di quelli che sono in uso; lo trascinavano due, quattro, talora sei buoi, coperti di drappi e coi colori della città. Sovra il carroccio si innalzava un’antenna, in cima alla quale era un globo dorato, ed una croce: sventolavano più sotto alcune bandiere e lo stendardo del comune, e presso ad esso era appesa una piccola campana detta martinella. In mezzo al carroccio sorgeva un altare su cui celebravasi non di rado la Messa; intorno al carroccio erano tubatori e valorose guardie.
Varia forma ebbe il carroccio presso alcune città, come nomi diversi: i Firentini vi elevarono due antenne, i Milanesi alla croce aggiungevano l’immagine di S. Ambrogio che benediva, due bianchissime vele a coda: tiravasi da quattro paja di buoi; i Pavesi, oltre alla lunghissima bandiera rossa colla croce bianca, aggiungevano alla sommità un ramo d’ulivo, e all’antenna un padiglione e presso all’altare una casuccia di legno in cui stavano appiattate alcune persone: i Padovani denominavano il loro carroccio berta; regolio que’ di Parma, e gajadas i Cremonesi.
Allorché aprivasi una guerra, veniva il carroccio levato dalla maggiore chiesa, o dal palazzo del Comune in cui serbavasi, e consegnato alle milizie, ed uno de’ più forti ne era posto a dirigerlo: e intanto che si apparecchiava alla guerra, si suonava alcune volte al giorno la martinella, siccome per disfidare i nemici della prossima guerra.
Abbiamo da Dino Compagni, che talora innalzato su un picciolo carro un castello di legno, e appesa a questo la campana, la si mandava a suonare per un mese sul confine de’ nemici. Il carroccio stava al centro delle armate. Intorno a lui convenivano i padri del consiglio, teneasi giustizia, vi si trasportavano come franchigia i feriti: nelle marcie e nelle battaglie imprimeva il carroccio ordine e moto, quindi era sempre eguale il movimento sì della fanteria, che della cavalleria; e quando venivasi alle mani, la fanteria avvezza a starsi ordinata, sosteneva l’orlo della cavalleria nemica, senza aprirsi o retrocedere; se la fanteria investiva, procedendo serrata, uniforme, mercè il carroccio, era più formidabile.
Se la fortuna era avversa, e doveasi cedere, non seguiva mai una rotta od una fuga, ma bensì una ritirata ordinata e maestosa. Era inoltre grave cosa quando il nemico minacciava di prendere il carroccio, e vi portava vicino il ferro; suonava la campana a soccorso, ed era quel suono uno spirito avvivatore che rinnovava le forze, rannodava i soldati, e pronti a morire, anzichè perdere il sacro vessillo, sovente avveniva riportassero vittoria.

Era gran lutto allorché in una battaglia si perdeva il carroccio, e chi giungeva a conquistarlo ne faceva gran festa, e allorchè vinse Federico quello de’ Milanesi, ne menò tanta festa che il portò in trionfo, e il mandò poi in dono al popolo romano. I Padovani come ebbero acquistato quello de’ Vicentini nel 1198, il tennero per quattro anni nel palazzo vescovile, e vi facevano sopra le più immonde sozzure: a Vicenza si ha tuttora in costume ogni anno di portare in trionfo per la città una ruota; non conosco sì addentro la storia di quella città per poter darne l’origine; ma dubito sia una conquistata a qualche carroccio nemico.
Nei trattati di pace avevasi maggiore cura di farsi restituire il carroccio, che i prigionieri, e il riconduceano con festa in città e il riponevano nel sacro suo ripostiglio. In fine presso i popoli del medio evo d’Italia, aveasi rinnovato del carroccio l’uso degli antichi Ebrei dell’arca santa, e intorno ad esso vi faceano festa e canti.

In tempo di pace non veniva questo sacro carro condotto in pubblico, se non per qualche gran causa, come per onorare i Papi e gli Imperatori, che venissero nella loro città; e su alcuni luoghi si andò con esso ad incontrare il nuovo vescovo, od il pretore, e talora nelle grandi discordie civili per calmare, si usò di condurlo in pubblico; e allorchè frate Giovanni da Vicenza riunì nelle pianure di Verona i cittadini de’ diversi municipi, onde ricomporli in pace, ogni città vi si recò col proprio carroccio, e forse da uno di que’ carri parlò l’apostolo di pace.

Come cambiò l’arte della guerra, divenne inutile il carroccio, e colto spirare del secolo XIV ei più non apparve fra le truppe italiane, e quindi fatto inutile, cadde anche la di lui venerazione nelle città, e si sbandì fino dalle feste e dalle insegne di lusso.

Articolo tratto da: Cosmorama pittorico
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