I FRATELLI BANDIERA

Da un articolo del 1866 dal giornale “Universo Illustrato”

Le ceneri dei due Gracchi di Venezia riposano finalmente sul loro suolo natio.

Il barone Emilio Bandiera non contava che 25 anni, suo fratello Attilio 33, quando il 25 luglio 1844 subirono la sentenza di morte in pena del loro eroismo. Figli di un’ammiraglio austriaco, ufficiali essi stessi della marina austriaca, aveano nel loro cuore l’amor di patria che li condusse a sì immatura morte.
Essi aveano disertato dalla marina dello straniero, dove i maggiori onori li aspettavano; e ingannati da false notizie, divulgate ad arte di chi voleva precipitarli, essi partivano la mattina del 12 giugno da Corfù per la Calabria. Tutto il loro esercito si componeva di 18 compagni, fra i quali un Giuda; una piccola barca li raccoglieva. Il 16 sbarcavano presso Cotrone; ed invece degli amici che si aspettavano trovarono le truppe borboniche che davano loro la caccia. In sì piccol numero essi seppero per tre giorni sfuggire alle centinaia di soldati, e spesse volte combatterli.
Ma il 19 venivan presi, ammanettati e condotti a Cosenza, dove si fece il processo con tutta l’iniquità di quei tempi. Degne degli uomini illustri di Plutarco le risposte che i due giovani facevano ai giudici efferati.

Siete barone? chiedevano all’Emilio — Non me ne curo, rispondeva egli. — D’onde siete? — D’Italia. — Ma di che parte? — D’Italia. — Ma dove siete nato? — In Italia, era la costante risposta.

Furono condannati a morte essi ed altri sette loro compagni, tra cui si ricordano specialmente Domenico Moro pur di Venezia, e Nicola Ricciotti di Modena. Un decimo, meno infelice, era stato colpito da una palla poco dopo lo sbarco. Gli altri furono condannati ai ferri, salvo che uno il traditor Boccheciampe.

La valle di Rovito, di cui vi presentiamo il disegno, vide il supplizio di questi giovani eroi, che andaron alla morte cantando: Chi per la patria muore, Vissuto è assai. Li assisteva il prete Benedetto de Rose che ricevette la loro ultima preghiera e un fazzoletto da consegnare un giorno alla madre.

Il vallone di Rovito dove vennero fucilitati i fratelli Bandiera, con i Bandiera sono giustiziati altri sette patrioti:
Moro, Ricciotti, Nardi, Rocca, Berti, Lupatelli e Venerucci.
Quest’ultimo rivolgendosi al plotone d’esecuzione esclama:
”Fratelli, tirate al petto e poi gridate Viva l’Italia”.

Questo giorno venne. È fu l’anno scorso dopo liberata Venezia, che quel sacerdote patriota, sessagenario, poteva visitare la baronessa Maria Bandiera nonagenaria, nella sua patria stessa, e darle quell’ultimo ricordo dei suoi figli, di cui la veneranda donna porta sempre il lutto nel cuore. La scena commovente fu narrata a lungo da tutti i giornali nel novembre scorso, ed è rappresentata nel nostro disegno, dove tutti i personaggi sono copiati da fotografie.

Il governo italiano volle che le ceneri dei Bandiera fossero trasportate in patria; il trasporto avvenne di questi giorni con molta solennità; abbiam voluto anche noi ricordare la pia cerimonia con questi cenni e queste illustrazioni. L’Italia ricordi i suoi martiri!

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A PROPOSITO DEI FRATELLI BANDIERA

Di cui su abbiam parlato, pubblichiamo con piacere e commozione questa lettera da Trieste, che non dovrà essere trascurata dai futuri storici dei precursori del risorgimento italiano.

Leggendo i molti articoli dei giornali italiani, riguardanti i martiri fratelli Bandiera, mi sono non poco sorpreso di non vedere mai citato il nome di Giulio Canal, triestino, il quale ebbe anch’esso bella parte, comechè indiretta, nell’impresa di Calabria.

Il Canal era alfiere di vascello, amico e collega dei Bandiera; ma, gracile di salute e ricco di censo, aveva lasciato il servizio militare, pur conservandone il carattere. Arrivati a Trieste, i fratelli Bandiera furono ospitati da lui, che, splendido e coraggioso, procurò loro i passaporti, l’imbarco e le provvisioni, e così salparono. Dopo la tragedia di Cosenza, il Governo napoletano interessò l’austriaco di rilevare il modo, col quale i Bandiera poterono fuggire dallo Stato; e le attivate indagini ebbero per conseguenza l’arresto immediato del povero Canal, che fu tradotto in catene a Venezia, carcerato sotto i famosi Piombi, e sottoposto a procedura militare. Venne arrestato il giorno 6 aprile del 1844.
Per l’intervento della veramente nobile contessa de Wimpffen, la moglie del Canal ottenne, il di 26 luglio seguente, ch’ egli fosse tratto dai Piombi dopo atroci patimenti, e venisse guardato a vista in una casa privala. Ma già la sua la salute era logora; e dopo lunga agonia, egli spirava il 24 gennaio del 45, nobile vittima dell’amicizia e della causa nazionale, alla quale era attaccatissimo. Giulio Canal, come vi dissi, era nato a Trieste. Era giovane di simpatico aspetto, amabilissimo e di non comune coltura; e la sua fine lagrimevole, sebbene avvenuta per maniera diversa, il fa degno, parmi, d’essere annoveralo fra i molti martiri generosi dell’italiana redenzione, e che la sua memoria non sia scompagnata da quella dei fratelli Bandiera, i quali divisero con lui le aspirazioni, gli adopramenti, i pericoli, e lo amarono sempre del più tenero affetto.

Un altro corrispondente ci assicura che Niccola Ricciotti, il fedele compagno dei Bandiera, non era nativo di Modena come fu detto sinora da tutti gli storici di quell’impresa, ma di Frosinone, ove vivono ancora i suoi parenti.

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