MARINELLA E IL PESCE COLA

Leggenda siciliana

Verso Messina, venendo da Milazzo, l’orizzonte si perde fra grandi foreste di grigiastri oliveti; lontan lontano havvi il villaggio di Gesso, tutto irto di torri ed antichi palazzotti, e l’occhio del viandante si smarrisce, si sgomenta in quei profondi burroni, in quelle balze ammantate di eriche e di cisti. L’albero dalle frondi verdeggianti non rallegra il luogo, solo il montanaro s’inerpica per le balze che prendono successive il bruno ed il rossastro, e il corvo librandosi sulle ali domina, collo sguardo, quella triste prospettiva.
Più in là ancora, dalla parte del Faro, dove il piede si sprofonda nella sabbia, son visibili e flutti spumeggianti di Cariddi e la battaglia furibonda de’ marosi che si sospingono negli sbocchi del canale: se puro e limpidissimo non fosse il cielo, se le piante aromatiche non spargessero una fragranza inebbriante, triste e desolata ben, apparirebbe quella parte di Sicilia.
Marina amava quel bel sole, quel bel cielo, quelle balze.
Quando appena spuntata l’alba muoveva cogli armenti, i suoi piedini scalzi e bruni si laceravano, s’insanguinavano negli arbusti e nelle spine di pruno.

Saltellava e s’inerpicava come una delle sue caprette: sedeva sulla balza rossastra scherzando co’ fiori silvestri formandone corone. Quando il rozzo villanzone a lei s’ appressava rimproverandole l’indole selvaggia e solitaria: Vatti con Dio, rispondeva, non mi togliere il sole, i fiori e la bell’aria.…
L’acqua tranquilla, i flutti spumeggianti che battevano lievemente sulla spiaggia sedussero la fanciulla.
L’erba v’era rada, il suolo giù giù faceasi arenoso, ma pure vi portava le greggie a pascolare; appressandosi alle acque verdastre provava un senso di ammirazione infantile.
Tu sei grande, tu sei immenso, mormorava intanto che que’ suoi grandi occhioni cercavano scandagliare quell’abisso senza fondo, tu porteresti via la povera Marinella.
Si ritraeva allora spaventata, le sue mani si lasciavano sfuggire una manata di fiori e ancor con un sospiro: — Tu sei immenso, ripeteva, tu porteresti via la povera Marinella…
Quando vide Cola sprofondarsi nelle acque, poi uscirne sano ed illeso, per poi immergersi di bel nuovo nelle onde marine, la povera Marinella ne fu attonita… stupita. Cola era grande, ben fatto, la sua faccia e la sua pelle aveansi il colore del bronzo.
Quelle forme ben fatte che tradivano la forza e il coraggio, quella natura strana che viveva nell’acqua, in quel mondo affatto nuovo, parlarono a’ sensi della fanciulla in favore di lui.
Quando l’estremo orizzonte pingevasi come un fuoco immenso che si riflettesse sulle onde, la giovine Marinella vedeva il pesce Cola librarsi sulle acque, trastullarvisi, farvi insomma le pazzie d’ogni maniera.
— Fanciulla, le disse, vorresti seguirmi?
— Cola, non lo potrei, questo mare immenso, infinito, mi seduce, mi dà una grande vertigine.
— Tu lì vivresti, lì ti trastulleresti come fo io, tu scandaglieresti questi profondi abissi. —

E Cola scomparve nelle onde. Marinella vide quelle acque frangersi sempre spumanti, mormoranti sordamente, e credette per un pezzo che formassero immenso lenzuolo funerario allo sventurato pesce Cola, e in quelle ansie, in quei dubbi tremendi che stringeanle forte forte il cuore ravvisò con ispavento un amore nascente; quando lo vide ricomparire lontan lontano, superbo e sicuro, lo trovò bello e grande, e senti che il cuore le si riapriva…
Il sole splendeva e si rifletteva sulle acque come il riverbero d’un grande incendio, i fiori silvestri, sbucciati all’alito di maggio, parlavano dolcemente a’ sensi di Marinella; lontan lontano i pescatori del paese cantavano le ballate, e quelle voci monotone e dolorose pervenivano alle orecchie di lei come armonia vaga ed indistinta.
— Marinella, Marinella, mia dolce fanciulla, mormorolle all’orecchio Cola, vorreste seguirmi? È da un mese ch’io ti cerco… ch’ io vengo da lontano…. molto lontano per vederti; quand’ io sprofondo in questi abissi imperscrutabili sento che un vuoto infinito mi circonda, che una sola fanciulla potrebbe rallegrare la solitudine, rendermi felice come non lo sono i mortali; questa fanciulla sei tu, o Marinella… tu spazierai, sarai regina delle onde; i tuoi pendenti sono rozzi e di vetro: io te li farò di chiocciole. Sai… ce ne son di belle: ce ne sono chiazzate d’oro, di rosso, di turchino, ed altre ben candide e di madreperla: tu le metterai in mano, le scuoterai, e quella musica ricreerà dolcemente l’orecchio; tu le raccoglierai con quelle brune manine che si squarciano in quelle balze, in que’ tuoi selvaggi burroni, le unirai con un sottil filo e te ne farai una collana, poi abbracciati come amanti felici ci uniremo… confonderemo i baci… spazieremo nel vuoto; quando sarai stanca riposerai nella spiaggia ed io t’asciugherò con una bianca camiciola… Marinella, Marinella, vorreste seguirmi? —
Marinella ascoltava, ed in questo il suo cuore batteva forte di gioia, di giubilo a quel quadro di felicità. Poi scosse il capo con aria dolorosa: — Cola rispose lentamente, io dovrei abbandonare quelle balze, quelle care montagne, que’tetti rossicci e le caprette di cui so i nomi.
— Tu sarai regina… tu comanderai, dominerai.
— Sappilo, sappilo, o mio Cola, io non son libera. Io dipendo dal padre mio. Egli è cieco ed io sarò condannata per tutta la vita a portar la greggie al pascolo, ad sostentarlo… un assai crudele destino ci divide…
— Vieni, o Marinella, tuo padre si avrà pesci in abbondanza; egli ogni giorno se ne avrà un cesto che intesserai co’ rami delle tue balze.
— Cola, mio dolce Cola, verrà l’inverno; le onde mugghieranno furibonde e saranno fredde; quando il vento scuoterà gli annosi alberi della foresta e il tuono ne rimbomberà in lontananza morirò… io, esistenza debole, soggiacerò…
— Marinella, mia cara Marinella, allora noi ci abbraccieremo, ci confonderemo l’uno nelle braccia dell’altro… noi ci ameremo. Quando le onde furibonde minaccieranno, quando i rintocchi della campana del tuo villaggio risuoneranno per l’aere come voce triste e fatidica, noi saremo soli… soli in un mondo sconosciuto. Allora ci abbraccieremo, ci riscalderemo… torneremo a morire l’uno nelle braccia dell’altra.

Marinella ascoltava, ed in questo i grand’occhi ardevano di luce strana; toccò il pugnaletto che univa le sue treccie e si sentì sicura; i suoi occhi s’affissavano nelle onde e sentiva delle voci, delle armonie che la chiamavano, che l’attiravano presso; sentiva degli enti intorno a sè che mormoravano dolcemente il nome suo, che scherzavano lieve lieve colle sue trecce in parte disciolte. Le sue guancie ardevano, ardevano ancora i suoi grand’occhi bruni. Allora sentì ripercuotersi come una musica soavissima nelle orecchie: «Quando le onde furibonde minaccieranno, quando i rintocchi della campana del tuo villaggio risuoneranno per l’aere come voce triste e fatidica, noi saremo soli… soli in un mondo sconosciuto: allora ci abbraccieremo, ci riscalderemo… torneremo a morire l’uno nelle braccia dell’altro, ». Era troppo!… si affidò a lui e si senti spingere nel vuoto. Cola l’attirava… l’attirava dolcemente, e Marinella, la povera Marinella, si sentiva ognor trasportata nel mondo delle acque… Quando il sole s’alzava splendente sconosciuto: per le acque di Messina, la povera Marinella sorretta da Cola libravasi fra le acque; cantavano i marinai le vecchie ballate del paese e loro occorse più fiate veder la coppia felicissima abbracciata mormorarsi frasi, parole di amore, come le fronde parlano un linguaggio dolce e misterioso al sopravvenire della primavera.

Marinella si aveva la collana di conchiglie, di conchiglie aveva pur anco i graziosi pendenti; quando Cola tuffavasi nelle acque e poi ricompariva d’un tratto, Marinella rideva, facea anch’essa la pazza e finivano col confondersi l’uno nelle braccia dell’altra. Sedevano raramente sulla riva, e Cola tutto dolce e premuroso tergea l’acqua che colava dal corpicino della povera Marinella. Allora la fanciulla scuotea la bella collana, batteva le mani, faceasi coperta di erbe marine.
Cantavano da lungi i marinai e Marinella ripetea ognora: — lo mi son felice, io son libera, però che in questo mondo nuovo e non mai scandagliato ci siano tesori sconosciuti. Quando le acque tiepide mi ricrean dolcemente, io sento d’esser col mio Cola completamente felice, però che in questo mare ci siano misteri, erbe, fiori, conchiglie, però che col mio Cola sento che non mi manca nulla. Quando le onde argentine riverberano fantastiche i raggi placidi della luna, Cola mi apparisce più bello e d’una maniera fantastica. Quando il mare pare di sangue e le acque paiono che brillino di fuoco, i miei occhi si fissano in fondo in fondo al mare a scandagliarne i misteri. Io sono completamente felice, però che col mio Cola sento che non mi manca nulla.
Venne l’inverno: il padre della povera Marinella, il vecchio cieco, accieccato dagli anni, andò più fiate sulla riva a chiamare con grida lamentevoli l’ingrata figliuola.
La notte era alta, tetri lampi squarciavano le nubi, e la campana del villaggio che risuonava, perdendosi lontan lontano, pareva voce fatidica che rimproverasse, che minacciasse d’un linguaggio arcano quella coppia.
Il vecchio piangeva; le sue grida lamentevoli straziavano il cuore. Spirava un freddo secco secco per la marina e i cavalloni spumeggianti spingeansi sù sù per la spiaggia. E Cola facea il pazzo, tuffavasi nelle fredde acque intanto che il tuono rimbombava sinistramente in lontananza. Marinella era fredda fredda come ghiaccio e stringeasi a lui per cercar protezione fra la irata natura; Cola rideá e con voce forte intuonava; cantava anch’essa Marinella, ma la sua voce tremava assai forte.
« Quando le onde furibonde minaccieranno, quando i rintocchi della campana del villaggio risuoneranno per l’aeree come voce triste e fatidica, noi saremo soli… soli in un mondo sconosciuto: allora ci abbraccieremo, ci riscalderemo… torneremo a morire l’uno nelle braccia dell’altra. » La voce del vecchio cieco rimbombò ancora una volta per la spiaggia, e Cola senti freddo per tutto il corpo. Strinse Marinella per confortarla, per sorreggerla ma la trovò li fra le acque inerte e priva di moto. —

Questa è la leggenda del Pesce Cola e di Marinella; i villani del paese forse la conteranno altrimenti, forse diranno come Cola fosse un mostro.

Quando la natura è irata, quando imperversa l’acqua, nel villaggio di Gesso e ne’ dintorni, i campagnuoli si segnano col dito e dicono Ave Maria. Allora, mentre il tuono rimbomba fra le montagne, mentre infuria la tempesta di mare, una voce lamentevole parte dagli albereti a piangere la ingrata Marinella.

Una voce sinistra e formidabile interrompe, ed è quella del Pesce Cola. Allora quelle voci si confondono in una, si minacciano, poi tornano a cacciare lamentevoli grida.

Ode il villano quelle voci sinistre, que’ lamentevoli singulti e segnandosi col dito ritorna corne prima a mormorare: « Quando le onde furibonde minacceranno, quando i rintocchi della campana del villaggio risuoneranno per l’aere come voce fatidica, noi saremo soli… soli in un mondo sconosciuto; allora ci abbraccieremo, ci scalderemo, torneremo a morire l’uno nelle braccia dell’altra, » — poi segnasi col dito e ripete: Ave Maria.

ANTONIO SOMMA.

Articolo tratto da: L’illustrazione popolare
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Antonio Somma (28 agosto 1809, Udine – 8 agosto 1864, Venezia) è stato un drammaturgo italiano noto soprattutto per aver scritto il libretto di un’opera che alla fine divenne Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi nel 1859. (Wiki).