Il Bucintoro

Di Francesco Dall’Ongaro

Il Bucintoro data dai primi secoli della republica: ma la prima volta che lo troviamo ricordato con questo nome è in un registro de’ Procuratori, nel quale si parla dei Consiglieri che nel decembre del 1289 andarono a ricevere il Doge super Bucentaureum.
Anzi troviamo in un ceremoniale più antico, che i Canonici della Cappella Ducale dovevano accompagnare Messer lo Doge quando se ne andava nel Buzo, alla festa dell’Ascensione e delle Marie.
Buzo nel latino grosso dell’epoca scrivevasi Buceus. Gli scrittori di marineria descrivono il buzo come una grossa nave da guerra. Ma un buzo di ceremonia non poteva essere si grande, e sarà stato detto in diminutivo buzino: di qui buzino d’oro, o Buzindoro quello che serviva pel Doge, e sappiamo essere stato in ogni tempo riccamente dorato.
Ci si perdoni se cediamo alla tentazione di opporre questa naturale etimologia alle ipotesi strane del Sansovino, del Gallicioli e di altri che si sforzano derivare il nome di Bucintoro o dalla nave Centaura dell’Eneide, o dal numero ducentorum di un decreto della Signoria che portava a duecent’ uomini l’ampiezza del Buzo.
La forma del navicello ducale dovette variare secondo i tempi. Anticamente, quando il nuovo Doge lo costruiva del proprio dovette essere poco più di un peatone dorato, una specie di burchio, come è indicato dal nome buzo o buzino, che suona ancora in toscano panciuto e panciutello.
Nè in quel tempo traevasi a remi, ma veniva rimurchiato, come vediamo in certe antiche stampe e pitture, da una moltitudine di barchette, di yole, di gondole, appartenenti ai cittadini che formavano il corteggio ducale, quasi figli che ajutano l’andata del padre e gli fanno amorosa corona.
Più tardi, seguita la conquista, o meglio la dedizione dell’ Istria e della Dalmazia, aumentata la ricchezza e la potenza della republica, seguita la riforma politica colla serrata del Gran Consiglio, riservando ai patrizi attualmente riconosciuti, salvo poche eccezioni, il governo della republica, furono diligentemente determinati gli uffici, i diritti, gli onori dovuti al serenissimo principe, il quale fu circondato da un’insolita pompa, per celare sotto l’oro, la porpora e i fiori, le catene che ne frenavano gli arbitrj e gli legavano accortamente le mani.
Fra questi onori che gli vennero statuiti nel 1311, fu quello del Bucintoro, costrutto a pubbliche spese, e addobbato con istraordinaria ricchezza, per servire al doge, alle autorità primarie, e agli ambasciatori esteri, nella festività dell’Ascensione e delle Marie, di cui diremo in appresso.
Allora, ciò ch’era un veicolo quasi privato, divenne una specie di reggia galleggiante, degna per l’eleganza e per la ricchezza di rappresentare il Governo e lo Stato.
Non aveva però ancora la forma snella ed elegante della galea , condotta dagli artefici dell’ Arsenale a forza di remi: era ancora un buzo, ornato, dorato, capo d’opera dell’architettura navale del tempo, ma tratto a rimorchio, come s’è detto, fino all’imboccatura del lido.
Lunga 100 piedi e larga 21, in due piani distinguevasi questa reggia galleggiante sull’acque.
Nell’ inferiore stavano i remiganti; il superiore poi coperto di velluto cremisino, ornato di frangie, galloni e fiocchi d’oro, formava un salone di tutta la lunghezza del naviglio.
Il salone innalzavasi verso la poppa, in capo alla quale trovavasi un apposito finestrino, da cui il principe gettava l’anello in mare. Questo pertugio stava dietro la ricchissima sedia del doge, collocata sopra due gradini.
La poppa rappresentava una Vittoria navale co’ suoi trofei. Due bambini sostenevano una conchiglia e formavano il baldacchino ducale.
Si dall’ una parte che dall’altra del seggio eranvi due figure rappresentanti la Prudenza e la Forza, volendo significare con ciò, che la mente ed il braccio sono i veri sostegni del principato.
Vicino ai gradini erano i sedili anch’essi magnificamente apparecchiati ad uso del patriarca, degli ambasciatori, della Signoria e de’ governatori dell’arsenale.
Per indicar poi che mediante la coltura delle scienze e delle arti un popolo potente si acquista maggior considerazione ed accresce la sua felicità, la parte di questa sala che serviva come di tribuna al trono, era coperta di bassorilievi dorati, fra i quali distinguevasi Apollo in mezzo alle Muse, di cui il Bucintoro poteva a ragione essere riguardato come il tempio.
Sulle pareti di tutto il restante vedevansi, pure in bassorilievo, le Virtù e quelle Arti che servono alla costruzione de’ vascelli, non che quelle che ricreano lo spirito da gravi cure occupato, come sono la pesca, la caccia, e simili; il tutto distribuito con isquisita eleganza, resa più cospicua dalla somma profusione dell’oro.
Il numeroso corteggio del Doge era in questo caso accresciuto da’ forestieri più illustri, che ambivano l’onore di essere del seguito del principe.
Essi misti ai magistrati occupavano le due ale della sala, ora stando seduti sopra le panche, ora godendo la vista dello spettacolo, affacciati a qualunque delle quarantotto finestre, ond’ erano traforati i fianchi del naviglio.
Sulla prua la statua colossale della Giustizia, dea tutelare di ogni ben ordinato governo, attraeva a sè gli sguardi de’ sudditi della repubblica, che ne facevano giulivi l’applicazione.
In fine riguardando il complesso del Bucintoro potremmo dir francamente, che giammai forse la publica maestà si scelse un albergo più degno di questo; nè per la via de’ sensi essa instillò mai negli animi tanta venerazione di sé, quanto allorchè si accoglieva fra l’oro e fra la pompa di si portentoso naviglio.
Il Bucintoro, per quanto ricco e solido fosse, non poteva durare eterno; nè i maestri dell’ Arsenale che dovevano rinnovarlo, erano obbligati a conservarne la struttura e la forma.
Quindi passato un certo periodo d’anni, che può immaginarsi di un secolo, si ricostruiva secondo la moda e la maggior perfezione dell’arte.
Prese quindi la forma di una galea a due palchi, uno de’quali era riservato a cento e ottanta liberi remiganti, che a quattro a quattro maneggiavano i lunghi remi listati di porpora e d’oro.
Poi si torno alla forma anteriore, come apparisce da certe pitture del 1500; per ripigliare un’altra volta la struttura abbandonata, alternando il buzo a rimorchio colla trireme, che durò fino al fine.

Fine del Bucintoro.

Chi entra nella Basilica di San Marco, e prendendo la nave a sinistra si avanza verso la cappella consacrata alla Vergine, può vedere a’suoi piedi un grafito antichissimo rappresentante in due compartimenti vicini il lione simbolico.
In uno di quei compartimenti la belva è raffigurata in attitudine fiera e maestosa, in istato di salute assai prospero, rampante sull’acque. Nell’altro compartimento la vedi arrampicarsi sopra il ramo d’ un albero dimagrata, allampanata e quasi morente.
Il grafito appartiene probabilmente al secolo decimo terzo o decimoquarto tutt’al più.
L’artista quale ch’ ei sia, o facesse di sua testa, o esprimesse il concetto d’un altro, confidò al pavimento della basilica bizantina una terribile profezia.
La fortuna di Venezia, costantemente propizia finchè si estese sulle acque che sono il suo proprio elemento, mutò a poco a poco sembiante quando la republica volle dominare la terraferma e si mise in lotta colle altre potenze del continente.
La nave fu tratta a terra nell’isola di San Giorgio. (ndr – 1798) Tremila statue, tra grandi e picciole, a basso o a tutto rilievo ornavano dentro e fuori il naviglio, tutte riccamente dorate. Volevano non le statue ma l’oro, e non era facile staccarlo dai mirabili intagli.
Vi diedero fuoco. Tutta la parte artistica dell’insigne edificio fu distrutta e ridotta in cenere; e quelle ceneri furono raccolte e portate altrove per estrarne con processo chimico l’oro desiderato! Se questo non è atto di Vandali, non so che sia, nè a qual altra più vile azione sia riserbato quel nome.
Lo scheletro del Bucintoro, per nuovo strazio, fu mutato in una specie di batteria galleggiante o pontone carcerario, e restò là dinanzi al palazzo de’ Dogi, col nome di Prama-idra, monumento parlante della catastrofe che avea dato Venezia in mano dell’Austria.
Più tardi vi fu alcuno che si vergogno di quell’ infame trofeo, e lo fece ricoverare o nascondere nell’arsenale.
Chi scrive queste parole si ricorda di averlo veduto colà. Fra i modelli delle navi veneziane si custodiva anche quello dell’ ultimo Bucintoro: onde i curiosi e tutti quelli che conservano un culto per l’antica grandezza e per le grandi sventure, ammiravano dolorosamente quel modello, e immaginavano quale dovesse essere l’edificio ch’era stato distrutto, e di cui non rimaneva che un informe e misero avanzo.
Codesti visitatori, non sempre potevano frenare un grido d’indignazione che andava per vero dire alla Francia, ma rimbalzava sull’Austria: onde nell’anno 1824 anche quel misero avanzo fu demolito e distrutto in modo che non ne rimase più traccia.
Non so se rimanga il modello, ma ciò poco importa. Se Venezia, liberata finalmente dai primi e dagli ultimi suoi padroni, vorrà rifare il suo Bucintoro perchè l’Italia, rappresentata dal, Re, possa rinnovare le sue nozze feconde col mare, non mancherà certamente un architetto veneziano per costruire un nuovo miracolo, il quale ripigli la tradizione male interrotta, e attesti al mondo che Venezia, anche tra l’artiglio insanguinato che la ghermiva, ha conservato l’idea del bello e il culto antico dell’arte.

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Il Bucintoro
Di Francesco Dall’Ongaro