La festa della Sensa

Ma per ritornare a questo giorno sì rinomato, esso anche in antico fu detto la Festa della Sensa, cioè dell’Ascensione.
Concorrevano a Venezia in folla i forestieri sino dal tempo delle Crociate, essendo quella la stagione, che i pellegrini usavano fare il passaggio di Terra-Santa.
Quando poi la navigazione ed il commercio si dilatarono, e lo Stato andò crescendo in potenza, allora il marittimo spettacolo prese l’ aspetto di un solenne trionfo, quale certo non sarebbesi potuto vedere altrove, e la cui fama si sparse per tutto il mondo.
Il giorno dell’Ascensione era veramente quello, in cui il Doge si presentava al pubblico in tutta la pompa, e come capo supremo della più ricca e florida tra le Repubbliche. Accompagnato dalla Signoria, dal Senato, e pressochè da tutto il Maggior Consiglio, andava ogni anno a rinnovare il possesso di quel Golfo, che le Venete vittorie avevano sottomesso allo Stato.
Gli Ambasciatori delle primarie corti di Europa assistevano pur essi a questa singolar cerimonia, e seduti presso sua Serenità parevano in qualche modo sanzionare quest’ atto di antico possesso, confermare i diritti della Repubblica, è applaudire alla gloria de’ suoi fasti.
Anche il naviglio destinato pel Doge venne costrutto e portato ad un grado di ricchezza e di magnificenza sorprendente.
Chiamossi Bucintoro, nome che alcuni credono essere una corruzione di Ducentorum, perchè allora quando nel 1311 dal Senato fu preso di fabbricarlo, si disse nella legge: quod fabricetur navilium ducentorum hominum, cioè della portata di ducento uomini.
Altri fanno derivar questo nome da Bicentauro, per essere grande il doppio di quella nave detta Centauro, di cui parla Virgilio nella descrizione de’ giuochi funebri celebrati da Enea per onorare la memoria del padre.
Ma poco monta infine il fantasticare sul nome. Alla gran macchina fu a bella posta dato una forma straordinaria fra’ vascelli.
La distribuzione dell’interno corrispondeva egregiamente all’uso, e la sontuosità degli ornamenti era del pari degna del glorioso suo oggetto.
Lunga 100 piedi, è larga 21, in due piani distinguevasi questa regia galleggiante sull’ acque.
Nell’ inferiore stavano i remiganti; il superiore poi coperto di velluto cremisino ornato di frange galloni e fiochi d’oro, formava un salone di tutta la lunghezza del naviglio.
Il salone innalzavasi verso la poppa, in capo alla quale trovavasi un apposito finestrino, da cui il Principe gettava l’ anello in mare.
Questo pertugio stava dietro alla ricchissima sedia del Doge collocala sopra due gradini. La poppa rappresentava una Vittoria navale co’ suoi trofei.
Due bambini sostenevano una conchiglia, che formava il baldacchino Ducale. Sì dall’ una parte che dall’ altra del seggio eranvi due figure rappresentanti la Prudenza e la Forza, volendosi intender con ciò, che la mente ed il braccio sono i veri sostegni del principato.
Vicino ai gradini erano i sedili pur essi magnificamente apparecchiati ad uso del Patriarca, degli Ambasciatori, della Signoria e de’ Governatori dell’ arsenale.
Per indicar poi che mediante la coltura delle scienze e delle arti, un popolo potente si acquista maggior considerazione, ed accresce la sui felicità, la parte di questa sala che serviva come di tribuna al trono, era coperta di bassi-rilievi dorati, fra i quali distinguevasi Apollo in mezzo alle Muse, di cui il Bucintoro poteva a ragione essere riguardato come il tempio.
Sulle pareti di tutto il restante vedevasi, pure in basso-rilievo, le Virtù, e quelle Arti che servono alla costruzione de’ vascelli, non che quelle , che ricreano gli spiriti da gravi cure occupati, come sono la pesca, la caccia e simili; il tutto distribuito con isquisita eleganza, resa più cospicua dalla somma profusione dell’oro.
Il numeroso corteggio del Doge era in questo caso accresciuto da’ forestieri più illustri, che ambivano l’onore di essere del seguito del Principe.

Essi misti ai Magistrati occupavano le due ale della sala, ora stando seduti sopra le panche, ora godendo la vista dello spettacolo affacciati a qualunque delle 48 finestre, ond’ erano traforati i fianchi del naviglio.
Sulla prua la statua colossale della Giustizia, Dea tutelare d’ogni ben regolato governo, attraeva a sè gli sguardi de’ sudditi della Repubblica, che ne facevano giulivi l’ applicazione. In fine riguardando il complesso del Bucintoro, potremo dir francamente, che giammai forse la pubblica Maestà si scelse un albergo tanto proprio di lei quanto questo; nè per la via de sensi essa instilla mai negli animi tanta venerazione di sè, quanto allorchè si accoglieva tra loro e la pompa di sì portentoso naviglio: Tenerezza poi e giubilo aggiungeva il vederlo mosso e fiancheggiato dalla classe de’ primi abitatori di queste lagune, che spontanea e senza mercede alcuna accorreva colle sue apposite barche giocondamente a rimorchiarlo, sopravveghiando a’ suoi movimenti per ogni accidental cangiamento di venti e di meteore .
Oltre li rimorchi che lo traevano, avea 168 remiganti molto opportuni ad agevolare il maestoso suo corso. Non erano essi nè galeotti, nè marinaj, nè gondolieri; ma bensì gli unici Arsenalotti, cioè que’ membri, che componevano la famiglia prediletta della Repubblica, che con sì soave e dolce nome erano chiamati, e col quale eglino stessi chiamavansi con una specie di vanità derivante da veracissimo attaccamento.
Essi ambirono ed ottennero il privilegio di condurre il Doge a tali nozze, ed abbandonati in questa sola occasione i loro giornalieri stromenti, non isdegnavano, seduti sulle panche, d’impugnare a quattro a quattro il remo, godendosi a gara de’ loro inusitati sforzi, e de’ loro anniversarj sudori.
Seguivano a lento corso il Bucintoro numerose Galee, non solo per aumentar la pompa dello spettacolo, ma più ancora per richiamar alla memoria de’ veri patrioti, che segnatamente su simili bastimenti gli Avi nostri, mercè delle più ardite navigazioni, e delle imprese le più difficili avevano portato la Patria all’apice della gloria, mentre le potenze marittime , che sono grandi oggidì, radevano appena con battelli le coste de’ fiumi.
Certe grosse barche dorate del Dominio seguivano dappresso il Bucintoro. Esse in questo giorno, ed anche in qualche altro solenne, servivano a comodo del Patriarca e degli Ambasciatori.
Aumentavano il corteggio lancie, canotti, caicchi spettanti agli Uffiziali di mare; e tutti questi legni erano sfarzosamente apparecchiati.
Il Doge de’ Nicolotti, cioè degli abitatori della contrada di San Nicolò, aveva esso pure una barca particolare per sè. Questo capo di una classe utilissima di que’ pescatori, che abbiamo veduto figurare come rimorchianti, godeva molti privilegi, fra i quali avea l’onor di seguire il Bucintoro, e di sopravveghiare a’ suoi subalterni.
Anche li capi principali dell’ arte Vetraria e delle Conterie, dalle quali arti traevasi un grandissimo vantaggio nel commercio, avevano il privilegio in tal giorno di accompagnare il Doge.
Seduti in una peota ornata a loro spese, avevano l’ambizione di farsi osservare ed ammirare per il loro buon gusto e per la molta magnificenza.
Ed in vero eravi sempre motivo d’ applaudir vivamente all’industria di questi ingegnosi ed utilissimi abitatori dell’isola di Murano.
Ciò poi che animava nel modo più brillante la Festa, era l’ infinita quantità di barchette di ogni fatta, che quasi tutta ricoprivano la laguna da San Marco sino al Lido, dalle quali venivano spesso scelti concerti musicali.
Non solamente la nobiltà e gli opulenti cittadini concorrevano a gara nelle loro barche e peote, ma persino le diverse classi del popolo artigiano ornavano a festa dei battelli con festoni di fiori, e sopra tutto con corone di alloro, pianta cara agli Dei ed agli Eroi, e di cui il popolo Veneto impiegava sempre le foglie immortali come contrassegno sicuro dell’universale allegrezza.
Le grida di gioja di questo felice popolo mescevansi insieme cogli spari dell’artiglieria de’ vascelli sì pubblici, che mercantili ancorati, paviglionati, sfilati, che facevano ala all’ illustre comitiva, e le rendevano il militare saluto.
In mezzo al lampo, al rimbombo guerriero, in mezzo ai vortici di fumo, e sopra que’ flutti vivamente agitati, le ninfe dell’ Adriatico passavano sì intrepide, che si sarebbero a tanto coraggio potute prendere per Amazoni, sé la loro agile gondoletta, l’eleganza del lor vestito e la voluttuosa lor giacitura non le avessero fatte riconoscere per le legittime figlie della bella Dea nata da quelle onde medesime, ch’esse sì mollemente solcavano.
Così accompagnato il Doge rientrava nel suo palazzo, dove tratteneva a pranzo tutti i Magistrati che si erano trovati nel Bucintoro.
Altri spettacoli v’erano in questo giorno; essi troveranno il lor luogo. Non volli qui parlare che dello sposalizio del Doge col mare; di quella Festa sì celebre, che per l’applauso popolare e il gran concorso di gente sembrava ogni anno improvvisa e novella, benchè per tanti secoli ripetuta.
Essa non era altrimenti la Festa di pochi fastosi ricchi, ma di tutti indistintamente i cittadini, che vi concorrevano spontanei, e mossi non meno da particolare zelo, che da spirito di nazionale orgoglio; e le loro acclamazioni non erano prezzo, late e bugiarde, ma figlie di quel sentimento patriotico, che nasce dalla personal sicurezza e dalla gloria dello Stato.

Tratto da Google Libri

Origine delle feste veneziane, Volumi 1-2
Di Giustina Renier Michiel