I LUPI MANNARI

CREDENZE E SUPERSTIZIONI POPOLARI


Dalla Revista delle tradizioni popolari italiane, Volume 1

Leggendo nel primo fascicolo della nostra Rivista ciò che la distinta signorina Roma Lister scrisse nel suo articolo: Leggende classiche e superstizioni dei Castelli romani, a proposito dei lupi mannari, fui tratto a cercare qual concetto di essi avesse il nostro popolo. Io ho avuto occasione di parlare intorno a ciò con molti popolani di Catania e del comune di Maletto, e ho potuto vedere come in ambedue i luoghi si credano quasi le stesse cose intorno a tali esseri.
Il lupo mannaro, o, come si dice, il lupinaru o lupuminaru è, secondo la credenza del popolo, un uomo infermo, ma di una malattia che ha relazione intima con le fasi della luna. Egli può guarire nel caso raro che qualche persona coraggiosa voglia affrontarlo, quando è ne’ suoi momenti di maggior furore, e abbia la destrezza di ferirgli la fronte in modo che corrano alcune goccie di sangue.
Il lupo mannaro, quando è reso feroce dagli attacchi del suo male, di notte, per le strade solitarie, corre e corre, mandando un urlo lungo, lamentevole, che agghiaccia il sangue nelle vene.
La sua fisonomia diviene stravolta, i capelli gli si allungano in un momento, e le unghie gli crescono straordinariamente a somiglianza di artigli.
Disgraziata quella persona che si trovasse sul suo mirino!
Giacché, essendo il lupo mannaro abilissimo alla corsa, se pure essa si desse a fuga precipitosa, sarebbe presto o tardi raggiunta.
Unica via di salvezza è il salire almeno quattro scalini, perché il disgraziato non può salirne più di tre: la ragione di ciò non ho potuto averla.
Il lupo mannaro, quando ritorna a casa, chiama la moglie perché apra; ma, se questa, per sua disgrazia, fa ciò prima che sia stata chiamata tre volte, vien subito lacerata dagli unghioni e dai denti del marito.
A questo proposito, un contadino di Maletto mi raccontava che una volta un lupo mannaro, sentendosi già preso dal suo male, nell’uscire, avvertì la moglie che, al suo ritorno, non aprisse, se prima non si fosse sentita chiamare tre volte.
La poveretta, stanca com’era dal lavoro della giornata, fu presa dal sonno; poi, quando, svegliatasi, udi la voce adirata del marito che la chiamava, credendo di averlo fatto gridare più di tre volte, corse subito ad aprire.
Ma senti allo stesso tempo il freddo delle unghie che le penetravano nella carne e gliela laceravano, e udi la voce lamentevole del marito che la rimproverava della sua fatale dimenticanza, e che intanto, spinto da una forza ignota, era tratto a dilaniare a poco a poco, barbaramente, quella donna che amava tanto, e che gli era stata cara compagna per anni ed anni!

I. A. TROMBATORE