Chiusi i Giardini Pubblici di Venezia

Quante volte ho pensato al perché si chiudano i Pubblici Giardini la notte! Fino a che si serrino que’ cancelli nel verno, quando nelle lunghe ore notturne la neve cade a grossi bioccoli e il vento di tramontana spira impetuoso, – pazienza! Ma l’estate, coi chiarori di luna di questo limpido cielo, in mezzo alla poesia delle notturne veglie veneziane, quando noi e tanti forestieri amano passeggiare per questa storica e monumentale città e goderla cogli occhi a quella luce argentea, che imprime ai monumenti marmorei una malia di effetto, che il sole, per avventura non rende; trovare allora chiusi i Pubblici Giardini, mentre si amerebbe pur tanto riposarvisi. meditare o folleggiare, onestamente conversando, e fors’ anco cenando; la è cosa che non piace, che non può piacere ad alcuno – che non ha, ovvero ha poverissima giustificazione.
Si teme forse, che i maleintenzionati vi cerchino rifugio, ricetto, vi faccian combriccole, si dividano le spoglie non opime de’ loro ladronecci; o si accomunino i sessi e si sconvolga l’ordine della natura? Ma le guardie vi hanno stazione, le vigili guardie municipali, che se non veggono tutto e sempre nel giorno; possono benissimo vederci di notte e vegliare. E poi, se quelle scene potessero avvenire ai Giardini, esse ponno egualmente accadere in Campo di Marte, dove si approda assai più facilmente che non ai Giardini; a Santa Marta deserta e liberissima, e in tanti altri siti della città. In conclusione, non vi è buon motivo perchè i Pubblici Giardini sieno chiusi la notte, e manca a Venezia assai, nell’estate principalmente, mancando quel ritrovo, oggidì regolato assai bene e ricco di nuove piantagioni, che promettono di renderlo assai più simpatico per l’avvenire.
Venezia, che non offre ora molte attrattive al forestiero, che ne porge ancor meno al suo mesto cittadino; non deve togliersi spontaneamente e fors’ anche irragionevolmente, i suoi vantaggi, quelli almeno che non le costano sacrifici di denaro, o che nel caso presente le costerebbero assai poco.
Abbiam detto, e non si può negarlo, che la nostra Città non ha Bagni Pubblici a buon mercato. È verissimo ed è sconveniente: i denari che s’impiegassero a tale uopo, non sarebbero perduti, e la Città acquisterebbe in credito, e fors’ anche in salute. È superfluo dire, che gli Stabilimenti privati a tale uopo, per quanto sieno taluni benissimo regolati, non sono quelli di cui abbiamo bisogno, perché esclusivi ai pochi che ponno e voglion spendere molto.
Così come non si può alludere ad altro Stabilimento a più mite prezzo di tutti, il quale è più propriamente instituito a vantaggio dei militari; benché sia aperto a chiunque. Noi vorremmo i Bagni Popolari; i Bagni a buon mercato, i Bagni quali sono quelli di pressoché tutte le altre grandi città d’Italia e più ancora fuori d’Italia.
Noi ameremo aperto il nostro Pubblico Giardino e sorvegliato, affinché non avvenissero sconci od inconvenienti, la qual cosa è facilissima. Anzitutto, si tolga una bella volta quella ringhieretta, che impedisce tuttora di spingere il piede ne’tortuosi e attraenti sentieruzzi, che fiancheggiano con le nuove piantagioni di sempreverdi, il primo viale d’ingresso.
Che diamine! Quando si vorrà lasciar godere al pubblico quel po’ di pittoresco e di misterioso che si è operato da varii anni in quel luogo! E’ vero che a Venezia il basso popolo, e principalmente il popolo canaglia, inclina a gustare in ogni maniera le fresche muraglie, i netti edifici; e per conseguenza si spinge anche a sfrondare alberi ed a guastare tutto che inclini al bello ed al nuovo; ma in nome del cielo! Non l’abbiam poi questa benedetta Guardia Municipale, e perché non la si adopera più energicamente e non la si rende responsabile di tante sconcezze? Siamo adunque intesi su ciò: maggiore vigilanza e maggiore responsabilità nelle Guardie, ed anche i Pubblici Giardini potranno mantenersi salvi dai vandalismi, puri di azioni disoneste – ed aperti la notte.
Ricorderanno i nostri cortesi lettori, che abbiamo non ha guari accennato al bisogno di Venezia di vedere finalmente i suoi canali illuminati dal Gaz, o da qualsivoglia altra materia atta a rischiarare nelle tenebre. Or bene, s’illuminino anche i Giardini, almeno nella buona stagione; e poiché si tratta oggidì della pubblica illuminazione e il Consiglio deve probabilmente provvedere a che ella sia con più equità, anzi equamente distribuita per la città tutta; non si trascuri la mozione d’illuminare anche i Canali; e si aggiunga, in via d’urgente, per iscopo utile, decoroso e gradevolissimo a tutti, una illuminazione opportuna per i Pubblici Giardini, e si effettui subito, – prima che finisca l’estate, – che non è ancora veramente e di fatto cominciato!
Là dove le fronde sono più spesse, più attraente il recesso, un lumiccino or verde, ora rosso, ora azzurro, or giallognolo, ne rischiari, ne colorisca il recesso e imponga al fantastico le gentili inspirazioni poetiche, al licenzioso il rispetto e – poniam pur – la paura.
Oh! i Pubblici Giardini, illuminati siccome io vorrei, sarebbero pur magici, sorti siccome sono dal seno della laguna e circondati da quelle isolette, che, rischiarate dalla luna, opporrebbero il più grazioso contrasto in questo passeggio di Venezia, che è ancor tanto trascurato, – perché non si è mai pensato ad animarlo, a popolarlo, a svariarlo, – a poetizzarlo!
Non mi si parli poi di denari: quand’ io sono in cima alle mie fantasie, non amo sentirmi sussurrare all’orecchio considerazioni prosaiche: i denari ci sono, o si trovano; non se ne cercano adesso pel Cimitero?… a proposito: io non voglio nasconderlo, io son contrarissimo all’erezione del Cimitero in questi momenti. Mi pare, il ciel mi perdoni! che si pensi quasi a seppellirci iutti! Ma noi non siam morti, noi vogliam vivere, vogliamo sperare e godere!
Prego intanto i signori che, per avventura, ci giudicassero avventatamente, a credere, che noi pure sentiamo nell’anima il rimprovero, che abbiam finora meritato: di avere un Cimitero indegno di Venezia! Pensare a nuovo e condegno asilo de’ morti, è dovere, è degnissimo di plauso, meritevole d’incoraggiamento. Ma basti l’averci pensato! per effettuarlo non mancherà tempo! Basti, ripetiamo, che si sappia che ci abbiam posto mente e che ci provederemo!
Ciò serve pei vivi; i morti, poveretti! non si lagneranno di trovarsi in buonissima compagnia, s’anche non sono in bellissimo asilo.
Oggidì, nelle angustie economiche in cui volgiamo, è bene pensare ai Vivi, occuparsi dei vantaggi dei Vivi; fare in guisa, che Venezia attragga, anziché rispingere il forestiere. Ed ahi! che questo forestiere, pur troppo! parte da noi, ci lascia forse anzitempo, dolorosamente funestato da una delle più fetide piaghe, che paese del mondo abbia mai avuto, diciamo la piaga dei vagabondi, dei biricchini, degli oziosi, de’viziosi, dei Lazzaronissimi d’ambo i sessi della città di Venezia! No, nemmeno a Napoli – dove abbiam soggiornato lungo tempo e più volte – nemmeno a Napoli, quand’era veramente la città dei Lazzaroni veri, vi erano tanti biricchini e così immorali siccome in Venezia! È verità, dura verità, vergognosissima verità, – e bisogna rimediarvi! Tutti vi sono interessati, le più alte Autorità, al pari delle Edili; il cittadino più elevato, al pari del più umile artigiano; l’abitante stabile, come il forestiero; la morale, la religione, il dovere, l’onore, l’amor proprio, il progresso.
Ben lungi dall’esagerare, dal caricare le tinte del nostro quadro doloroso e vergognosissimo, noi non potremmo mai colorirlo con quella forza, che agguagli, che raggiunga la verità.
Sono innumerevoli, inevitabili i ragazzi dai cinque ai diciottanni, che invadono, che deturpano, che ingombrano, che insudiciano, che guastano, che infamano Venezia. I maschi sono più frequenti delle femmine; male ragazzine abbondano anch’esse e sono colme di laidezze e brutture. L’essere ladri, o in pratica di ladri, è il meno, che si possa attribuire a quella tanta canaglia. Non solo ignorano ogni dovere di natura e di società; ma calpestano, dileggiano, maledicono, bestemmiano que’ doveri. Da quelle oscene bocche infantili escono, frammiste ad urla, le più orribili, le più ributtanti proposizioni. I lor genitori, non curanti o fautori, sono spesso nelle lor frasi, e ad essi affibbiano epiteti i più esecrandi. Gli atti, le parole, gli scherzi, le baruffe, le paci, tutto è contraddistinto dalla immoralità la più stomachevole, dal dileggio de’più santi doveri, dalla più infame di tutte le infamie.
E questa, ripetiamo, non è esagerazione: abbiamo appena appena tracciato l’abbozzo dell’orribile quadro, che potremmo colorire volendo. E ciò continua! A tanto non si provede! non si avvisa, subito, energicamente ai mezzi di togliere tanta canaglia al delitto, all’ infamia, alla vergogna della città?
Vergogna! Voi, voi no’l sapete, o almeno non credete a tanto eccesso. Voi chiusi nelle vostre stanze, seduti ai vostri scrittoi; ma informatevi bene; muovetevi, girate per la città; riconoscerete allora, che lungi dall’ esagerare, abbiamo moderatamente accennato; e che ‘a vece di concedere asili pei già delinquenti, è assolutamente doveroso provedere affinchè il ragazzame abbandonato

non possa delinquere!

Ripetiamo ciò che abbiam detto altre volte: o raccogliere i monelli per instituirne una pepiniera di utili marinai; ovvero creare una Industria colossale dove quei fanciulli debbano lavorare – per amore o per forza! Per le ragazzine da trivio, insisteremo affinchè Quelli, che progettano ed eseguiscono Istituti nuovi, vi accolgano di preferenza quelle fanciulle, che trascinano ne’trivii le lor membra tenerelle e l’infamia.
Ma, terminiamo un po’ men tristamente:
Caro Signor Municipio, fateci questo piacere, non vi fate tanto pregare, siate buono, siate condiscendente: apriteci i Giardini anche le notti d’estate; illuminateli; ma fate presto: abbiam bisogno di respirare…. e di vederci più chiaro.

Articolo del 1 Maggio 1864

Tratto da: Il Gallo. Giornale che canta.
Di Gian Jacopo Pezzi
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