UNA NOTTE TRAGICA

RACCONTO

I fantasmi sono sempre più alla moda, ma, fra tutti coloro che li evocano nelle riunioni spiritistiche quanti ve ne sono che avrebbero piacere di vedersi apparire uno spettro davanti, nella solitudine della loro stanza, tra la mezzanotte e le due del mattino? Una tale visione sarebbe pur tuttavia un semplice scherzo a confronto della terribile avventura che capitò al poeta Lemierre.
Verso la fine del mese d’ottobre del 1743 una berlina da viaggio era ferma davanti alla magnifica facciata del castello di Chénonceau e la bella Aurora di Koenigsmarck salutava teneramente il suo sposo, l’intendente generale Dupin, che si recava in Germania per trattare con un principotto bavarese, molto ricco, un grande affare; un imprestito di parecchi milioni di marchi per conto del suo monarca.

Il signor Dupin conduceva seco il suo segretario, che apprezzava assai, il signor Lemierre, un giovanotto dagli occhi mobilissimi, dai capelli neri, di molto talento, che aveva da poco tempo finiti i suoi studii e che faceva sciarade e madrigali, così da divertire tutti gli impiegati alti e bassi addetti al castello.
Il Lemierre trovava troppo lunghi gli addii, e cominciava a mostrarsi impaziente. Egli ardeva dal desiderio di viaggiare attraverso quelle poetiche provincie messe in luce dalle ultime guerre! Quante impressioni vi erano da raccogliere e quante istorie avrebbe potuto narrare poi, al suo ritorno, agli assidui del salotto della signora Aurora!

Finalmente, dopo aver dato un ultimo bacio a sua moglie, il signor Dupin salì in vettura che si mosse dirigendosi verso la Germania.
Era stato deciso che non si sarebbe fatta alcuna fermata. I finanzieri hanno poco tempo da perdere. Ma sebbene i cavalli procedessero sempre al trotto serrato e il signor Dupin distribuisse abbondanti mancie ai postiglioni, occorrevano cinque giorni per arrivare al margraviato d’Auspach situato al di là del ducato di Wurtemberg.

Alla sera del quarto giorno il buon umore del signor segretario era svanito. — Egli sentivasi molto stanco. Quanto al signor Dupin, era stato colto da una febbre violenta per cui occorreva si riposasse almeno un giorno. La debolezza umana tradiva la volontà e i viaggiatori dovettero fermarsi, a loro malgrado, quasi al termine del loro viaggio, nell’unico albergo della piccola città di Rothenbourg.
Siccome il dì dopo v’era una gran fiera a Rothenbourg, nell’albergo non si trovava più un cantuccio disponibile. L’albergatore, salutando rispettosamente colui che scambiava per l’ambasciatore del re di Francia, dichiarò che avrebbe offerta volentieri la propria camera a Sua Eccellenza, ma che non aveva neppure un letto di cinghie per il signor segretario.
Il giovine Lemierre, a tai detti, montò su tutte le furie, ma l’albergatore, con la maggior flemma gli disse:
— Mi spiace, mio signore, ma non so proprio dove alloggiarvi. Bisognerà che vi rassegnate a passare la notte seduto su di una sedia, davanti al camino della cucina.
Il signor Lemierre era desolatissimo. Quale brutta prospettiva per un giovane delicato e nervoso che aveva trascorse quattro notti insonni in vettura! Egli cominciava a trovare i viaggi meno piacevoli di quello che s’immaginava.
Che cosa avrebbe dato per ritrovarsi al castello dei Valois, nel suo comodo letto! Con quanta invidia guardava i domestici del signor Dupin, i quali sdraiati a terra sulla paglia e avvolti nei loro mantelli, dormivano saporitamente.
A mezzanotte, tutti coloro che avevano la fortuna di possedere un letto, erano coricati. Soltanto la serva di guardia quella notte, una robusta bavarese, alta come una granatiera, non dormiva. Tratto tratto essa rivolgeva un’occhiata compassionevole sul disgraziato Lemierre che appariva tanto triste e spossato.
Improvvisamente ella si avvicinò, in punta di piedi, al giovane e, con voce misteriosa, gli disse:
— Che direste se vi procurassi un buon letto per questa notte?
— Perdinci! L’accetterei con entusiasmo e offrirei un luigi a chi avesse pietà del mio martirio.
— In tal caso, abbiate soltanto un po’ di pazienza. Vado a prepararvi un letto e fra cinque minuti sarò di ritorno.
Ciò detto, ella si allontanò. Lemierre si alzò e, stirandosi le membra, mormorò:
— Che brava ragazza! Grazie a lei, potrò domani assistere al banchetto che il margravio deve dare per festeggiare il nostro arrivo. Ma dove mi si alloggierà? Sono curioso di saperlo. Quella bionda ha però una fisonomia abbastanza ingenua…. posso quindi fidarmi assolutamente a lei.
La bavarese ritornò poco dopo in cucina con una lanterna in mano, e disse piano a Lemierre:
Seguitemi senza far rumore, poichè sarei scacciata senza misericordia se si dubitasse di quello che sto facendo per voi.

*
* *

Invece d’uscire dalla casa, essa guidò il poeta attraverso un giardino alla francese, all’estremità del quale si elevava un terreno piantato a larici, all’ombra dei quali, nella stagione estiva, gl’invitati si ricoveravano a bere il caffè.
Lemierre, tremando come una foglia a causa del freddo, seguiva, inciampando, la bavarese la quale, ad un tratto, gli disse:
— Fate attenzione, mio signore…. c’è un pozzo…. voltate a sinistra…. così…. Ora eccoci giunti.
Alzando gli occhi il giovane scorse un padiglione poco elevato sopra il suolo. La serva aprì un uscio, ed entrambi si trovarono in una camera che raramente doveva essere occupata giacchè sentivasi un acre odore di rinchiuso ed un’umidità glaciale.
— Avrei voluto accendere un po di fuoco – disse la tedesca scusandosi, — ma causa la vostra fretta….
— Non importa, — l’interruppe Lemierre. — Fra pochi minuti non sentirò più nulla. Sopratutto non dimenticatevi di venirmi a svegliare domattina, giacché sarei capace di dormire sino a mezzogiorno, e noi dobbiamo rimetterci in viaggio di buon’ora.
— State tranquillo. Domani, verso le ore sette, verrò a liberarvi.
— A liberarmi? Voi scherzate senza dubbio. Avreste forse l’intenzione di chiudermi qui dentro?
Per tutta risposta, la serva chiuse bruscamente l’uscio dando una girata di chiave.
— Riaprite subito, lo voglio. — gridò Lemierre con voce imperativa.
Ma la compassionevole bavarese non fece alcun conto di tale intimazione e il giovane l’udì allontanarsi rapidamente.
Irritato, se non inquieto, Lemierre, prese il candeliere che stava su di un vecchio mobile, ed esaminò la stanza in cui si trovava.
— Non ha proprio nulla di seducente questa camera, — diss’egli; — ma c’è un letto e mi basta. Corichiamoci dunque.
Ciò detto si tolse il mantello, il vestito e il panciotto; quindi si rimboccò le maniche della camicia. Il futuro accademico aveva una manìa strana: per quanto fosse stanco, non si coricava mai senza accomodare il suo letto.
Dopo aver collocato a posto i guanciali e disposte bene le coperte, egli, cacciando le mani tra il materasso e il pagliericcio, incontrò un oggetto freddo e rigido.
Il poveretto trasalì e il cuore gli sussultò con violenza. Afferrato il candeliere l’avvicinò al letto. Il suo bracco si paralizzò, come per incanto, ed egli lasciò cadere a terra il candeliere. La fiamma della candela si spense e Lemierre rimase nella più completa oscurità.
Orrore! Egli non si trovava solo in quella camera. Sul pagliericcio era steso un cadavere.
Reagendo contro il terrore che lo aveva invaso, Lemierre cercò, a tastoni, la tavola che aveva veduta poco prima, vi salì sopra e cercò di aggiungere l’abbaino. Questo era alquanto stretto ma, a costo anche di scassarsi le membra sarebbe certo riuscito a sguisciar fuori. Ciò che gli temeva era di non trovarsi solo con quel cadavere.

Il disgraziato, però, non aveva riflettuto che tra l’apertura e il suo tavolaccio tremante v’era ancora un metro di spazio vuoto. Lemierre balzò pertanto a terra, si precipitò verso la porta e, con una frenesia selvaggia, tentò di aprirla, adoperando le braccia, le mani, le unghie, i piedi. Vana speranza! Quella porta di quercia resisteva a tutti i suoi assalti. Allora si diede a urlare a squarciagola. Nessuno risposta. Solo un gufo, disturbato nel suo sonno, mandò un grido lugubre. Smarrito, disperato, il giovane poeta andò a rifugiarsi dalla parte opposta de letto dove giaceva quel cadavere che gli destava tanto ribrezzo. Egli rendevasi conto di tutto ciò che vedeva ed udiva.

Di tanto in tanto a Lemierre pareva di udire qualche rumore presso il letto, ed allora s’immaginava di vedere il morto sorgere ed avanzarsi verso di lui. L’amico di Rivarol il favorito d’una società scettica e beffarda, tremava come un fanciullo vile.
Inoltre dei timori men chimerici vennero ben tosto ad aggiungersi al assalto dei nervi e della immaginazione.
L’uomo nascosto in quel padiglione doveva essere una vittima: evidentemente quella serva tedesca aveva l’incarico di far cadere i viaggiatori in trappola.
Ad ogni istante, il giovane si aspettava di veder entrare nella camera i briganti, i quali dopo averlo derubato dell’orologio, dei gioielli e dei denari l’avrebbero poi gettato nel pozzo esistente nel giardino. Quale crudele destino!
Morire a vent’anni, quando l’avvenire si presenta sotto il più lusinghiero aspetto e si ha una madre che si ama teneramente!
Il tempo trascorreva lento e terribile. Infine apparve nella camera un debole raggio di luce.

Fedele alla sua promessa, la serva si recò a liberare il prigioniero. Essa indietreggiò stupita davanti allo spettacolo che offrivasi agli occhi suoi.
I materassi ed i guanciali giacevano confusamente a terra; il morto appariva steso sul pagliericcio meno livido del vivo, accoccolato in un canto, colle pupille dilatate, l’occhio smarrito, le labbra convulse e i capelli bianchi al par di neve. Per un fenomeno che qualche volta s’è visto prodursi, le emozioni violenti di quella notte avevano improvvisamente incanutito Lemierre.
La serva bavarese fuggì tosto dal padiglione mandando alte grida. Accorse molte persone, trovarono il poeta in preda ad una violentissima febbre. Egli delirava. Il signor Dupin, meravigliato dello strano cambiamento operatosi in poche ore sulla persona del suo segretario, si adirò vivamente e intimò all’albergatore di fornirgli delle spiegazioni.
Costui, a tutta prima, si turbò: quindi finì per confessare che alla vigilia uno dei suoi clienti un giovane pittore che faceva studi di paesaggio, era morto improvvisamente. Siccome i viaggiatori non amano la compagnia dei morti, egli per isbarazzarsi di un cliente incomodo, l’aveva convenientemente posto sul letto nella stanza del padiglione, mai più immaginando che, per un luigi, la disgraziata sua serva avrebbe avuto il coraggio di profanare l’asilo d’un morto. — Non bisogna che mi accusiate, — saltò su a dire con isfrontatezza la bavarese. — La mia intenzione di offrire un letto ad un povero giovane che non poteva più reggersi in piedi, era buona. Se non gli fosse saltato in mente di rifare il letto, avrebbe dormito tranquillamente. Non v’ ha che la fede la quale salvi!

Non ostante quell’ingegnoso sistema di difesa, la bavarese fu condannata a dieci anni di carcere. Quanto a Lemierre, rimase due mesi ammalato, all’albergo di Rothenbourg. Quando ritornò in Francia i suoi amici lo riconobbero a stento. Egli aveva lasciato il fiore della gioventù in Germania.
Quel vecchietto, magro, pallido, rugoso, dai capelli bianchi che trascinavasi penosamente appoggiato ad un bastone non era più che l’ombra del brillante segretario del signor Dupin.
La prima volta che egli si recò al teatro della Comédie-Francaise, il suo condiscepolo Rivarol, scortolo da lungi, disse a Chamfort:
— Ecco laggiù un vecchio che rassomiglia al nostro amico Lemierre: dev’essere certo suo nonno.

M. Summer

Da: L’Illustrazione popolare, Volume 26
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