La felicità e il dolore

Novella dell’India

A cura di Otello Masini

A Leda il 29 Novembre 1887.

Raja Mudic possedeva una cassa di pietre preziose, cinquecento schiavi di tutte lo razze e nel suo serraglio cento bellissime odalische fumavano l’oppio nelle lunghe pipe d’ambra.

Raja Mudic era bello come il sole, forte come un leone fulvo, coraggioso come il Dio delle battaglie. Tutti, quando lo vedevano passare, portato da quattro negri robusti, nella sua portantina col baldacchino trapunto d’oro e incrostato di zaffiri, dicevano: “Ecco Raja Mudic, egli è dicerto l’uomo felice sulla terra e Budda lo ha eletto figliuol suo”.

Ma non era così. Il core diceva il contrario a Raja Mudic, ed in certe ore del giorno e della notte sentiva di non esser felice. Infatti venne un giorno in cui egli, cominciò ad intristire ed un disgusto di tutto e di tutti lo prese. Zesla, la sua tigre reale, non lo allettò più coi suoi ruggiti, Zuhama, la favorita gentile, lo sdegnò con le sue spalle d’ambra e gli occhi di turchina purissimi, Nadir, il bel sauro nitriente, non ebbe più le usate carezze.

Nel regno di Mudic vi erano cento savi che erano i consiglieri del principe: ei li fece chiamare e disse loro:
― Zesla, Zohama, Nadir non mi allettano più il mio vino di Cipro non ha per me un sapore e son tre dì che non fumo l’oppio profumato nel mio narghilè perchè non mi dà più i bei sogni d’oro e d’azzurro di prima.
Io sono infelice!
Savi del Regno di Mudic; che manca egli mai al figlio di Budda sulla terra?

I cento savi si consultarono fra loro e per tre dì e per tre notti consecutive stetter sempre a consiglio. Il quarto giorno si recarono innanzi al loro potentissimo padrone e gli dissero:
― Raja Mudic, tu sei innamorato.
― Innamorato? disse il principe, e perché? Non ho io forse nel mio serraglio le donne più belle del
mondo?
― Ѐ ben vero, potentissimo Raja, tu hai nel tuo serraglio cento donne e le più belle del mondo, ma ciò non serve al tuo cuore, perché nessuna ti ama come vorresti essere amato, mentre tutte ti temono e, forse anco qualcuna ti sprezza nel segreto del core.
― E che debbo io fare per ritrovar la mia pace?
― Mettiti in viaggio, e quando ti accadrà d’imbatterti in una donna che ti faccia battere il core in petto, costringendoti a guardarla tre volte, prenditela, e fatti amare da lei.

Raja Mudic si pose in viaggio e quando fu giunto alle montagne dell’Ura, s’imbattè in una fanciulla che coglieva fiori nei prati del Gerdemasp. – Raja Mudic sentì il core balzargli con violenza nel petto, vedendo che la fanciulla era bellissima e sei volte girò la faccia per guardarla. – Allora la fece prendere e condurre nel suo palazzo per essere amato da lei. Ma Negda, per quanto Mudic fosse bello e la circondasse di ricchezze, non volle amarlo.

Mudic radunò di nuovo i cento savi e disse loro:
― Negda non mi ama, che debbo fare?
― e i cento savi gli risposero: “Aspetta che il suo core sbocci, poiché Negda è sempre piccina!”.
E Negda infatti crebbe ed il suo core sbocciò e quando fu più grandicella, amò Mudic di grande amore.
I savi rallegraronsi e tutti tornarono a dire di nuovo:
― Ecco Raja Mudic, l’uomo felice sulla terra e Budda o ha eletto figliuol suo.

Infatti nulla ormai mancava più al principe e poteva davvero, con ragione, chiamarsi felice.

Passò del tempo nella comune letizia, ma, incredibile a dirsi, un giorno il Raja tornò a rattristarsi e per quanto egli adorasse Negda, non la vedeva senza un fremito e un interno dolore.
Di bel nuovo adunaronsi i savi e, dopo lunghe discussioni, dissero:
― Raja il tuo dolore è questo: tu ben sai che solo Budda è eterno e, siccome molto ami Negda, ti spaventa l’idea di perderla.
― Infatti, rispose Mudic, io ho paura di morire o di vedere morire Negda che amo ardentemente: ciò
mi rende infelice.
I cento savi studiarono cento giorni e cento notti e composero un filtro che bevutalo da Negda e Mudic li rese eterni come Budda.
E i due giovani amanti seguitarono allora a adorarsi, ed eran felici in sulla terra come i beati dell’Onicram, che godono dell’eterna letizia.

Ma venne un giorno nel quale Mudic fu di nuovo triste e in un subitaneo furore chiamati intorno a sè i savi disse loro: Voi mi avete fatto infelice per la eternità.
― Voglio un filtro che renda me e Negda vulnerabili alla morte, perchè Negda non mi piace più e mi è venuta a noia.
I savi partirono confusi e composero il filtro. Dopo poco Negda morì e il principe la pianse tre dì e tre notti.

Poi chiamato l’eunuco Seridano gli disse: “Va’ al serraglio e prendi e portami Zuhama, perchè ho voglia di divertirmi e mi piace. Ordina poi al grande Sceriffo di tagliare la testa ai cento savi, imperocchè ho compreso che la loro scienza è menzogna, ed essi non son che impostori che non conoscono il cuore di Mudic; egli sa, senza essere savio, che la felicità, quando è eterna, diviene infelicità, e che è soltanto per i dolori che si conoscono le gioie”.

E così fu fatto.

Otello Masini

Da: L’arte rivista di lettere, di arti e di teatri
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