La donna perdona più volentieri il delitto,
che la bassezza: tanto è vero che anche
il ladro è amato da sua moglie o dalla
sua amante.
Nelle gole dei monti che sorgono presso i confini del regno di Napoli e dello stato di Roma s’incontra per via un deserto villaggio che mette spavento al passeggiero per le sue squallide case, le quali, più che di abitazioni d’uomini, hanno aspetto di spelonche di ladri. Questo villaggio chiamasi Itri, nome famoso nella storia delle rapine, degli incendii e delle devastazioni.
A poca distanza di questo villaggio, verso la metà del secolo sesto (voi vedete che si tratta di una vecchia storia), passava sul far della notte un giovine di bell’aspetto, il quale pareva essersi smarrito nel cammino. Vestiva una breve tunica, aveva in capo un berretto nero alquanto inclinato verso le tempia, e dalle spalle pendevagli una piccola bisaccia artisticamente annodata sul petto, nella quale era facile indovinare che contenevasi tutto il patrimonio del giovine viaggiatore. Avea fiero il portamento, spedito il passo, e tratto tratto volgevasi indietro, come se aspettasse alcuno o avesse sospetto di essere inseguito… la quale ultima circostanza vi sembrerà la più probabile, allorchè saprete che questo giovine si chiamava Salvator Rosa, che fuggiva da Napoli, dove avea parteggiato con Masaniello contro il vicerè di Spagna.
Già spegnevasi l’ultimo raggio del sole, e già le tenebre si stendevano sui monti senza che il nostro pittore sapesse ancora dove avrebbe trovato a ricoverarsi per quella notte. Guardava di qua di là con lena affannata, e non una casa, non una capanna, non un vestigio di umana abitazione.
Che fare? Non era nuovo per Salvator Rosa dormire sotto la protezione di un pioppo o di una quercia, ma ciò che per lui diventava più essenziale di un buon letto, era una buona cena, perocchè, secondo i calcoli che il suo stomaco faceva alle sue gambe, erano ormai dodici ore che camminava e non aveva mangiato.
In questa grave perplessità, ecco fra chiaro e scuro imbattersegli d’innanzi un essere di forma umana. Il viandante non si trattenne a guardarlo in volto, nè si curò di osservare se fosse giovine o vecchio, bello o brutto, e se avesse ciera di furfante o di galantuomo. Per lui in quel critico momento tutti erano galantuomini: eppertanto, dopo averlo cortesemente salutato gli disse senza preamboli: Amico, io sono stanco del viaggio, e sono dodici ore che non ho mangiato: vorreste usarmi la gentilezza d’insegnarmi dove potrei aver ricovero per questa notte? Sarà difficile, rispose l’altro, che vi troviate da queste parti un tetto da ricoverarvi. Chi volete che abiti in queste gole? Qui non troverete che lupi o ladri.
― In questo caso meglio ladri che lupi; tanto più che coi ladri io non avrei conti da aggiustare. Che possono prendere i ladri a un poeta, a un pittore, a un maestro di musica? Una penna, un calamaio, un foglio di carta e una scatola di colori non fanno invidia a nessuno.
― Infatti mi pare che abbiate ragione. Del resto, voi mi avete aspetto di persona dabbene, e non usarvi ospitalità sarebbe atto villano. Prendete questo sentiero: tirate avanti sino alle falde del monte che avete a sinistra. Giunto colà non abbiate paura ad internarvi nel bosco, e tenetevi sempre sulla costa della roccia: camminate, camminate, camminate, e vi troverete in un pianerottolo, nel quale vedrete una piccola casuccia per metà edificata nella montagna. Picchiate alla porta, chiedete di Maria, ditele che Pietro a lei vi manda, e in segno della verità rimettetele questo astucchio. Andate, e vi do la mia parola che capiterete bene. Salvatore avrebbe voluto ringraziare quell’onest’ uomo della bontà sua, ma in quel momento udi un acuto fischio strillargli all’orecchio, e a quel fischio, come se avesse le ali alle piante, vide scomparire di repente il suo interlocutore. Pensò, ripensò su quello che avesse a fare, e dopo aver ben bene pensato e ripensato, conchiuse che il miglior partito per esso era quello di seguire il consiglio dello sconosciuto. Si pose adunque per l’indicato sentiero, e un passo dopo l’altro si trovò alle falde del monte, poi sulla costa della roccia, poi dinanzi al casolare e picchiò….
Salvatore Rosa, da pittore e poeta ch’era, avea piena la mente di notturne avventure, e cento volte avea inteso a raccontare le storie che tutti abbiamo intese di smarriti viandanti, di orride foreste, di cupe spelonche, di foschi lumi, di vecchie befane, e trovandosi egli appunto nel caso di tutte coteste istorie, già si aspettava di vedersi aprire una annerita caverna da una sozza vecchia con un lume in mano, che con voce tartarea lo rimproverasse di esser venuto a disturbarla a cosi insolita ora, e grugnendo e brontolando gli permettesse di adagiarsi sopra un canile…. ma qual fu la sua maraviglia, allorchè vide affacciarsi alla porta una giovine di vent’anni o poco più, bella, vivace, con neri capelli, con fulgidi sguardi e con una espressione di volto che rivelava la bontà e la fierezza! Chi siete, diss’ella, che cercate da me?
― Siete voi, bella giovine, che avete nome Maria?
― Sono io.
― Or bene io vengo a voi dalla parte di Pietro, e vi prego di ricoverarmi per questa notte. Quest’astucchio vi farà testimonio della verità.
― Siate il ben venuto voi che mi portate le parole del mio consorte. Questo pegno è la miglior salvaguardia che possiate avere. Entrate. Qualunque sia la casa che vi posso offrire, voi troverete qui sicurezza e riposo. ― Entrava Salvator Rosa in una rustica camera, nella quale era acceso un buon fuoco, presso a cui si scaldava un fanciulletto di poco più di due anni: nessuna traccia si vedeva che potesse sconfortare il viandante: per contrario, si poteva scorgere a un batter d’occhio che in quelle pareti vegliava sulla famiglia un domestico genio.
Una parca cena era prontamente ammannita. Si collocava la tavola accanto al fuoco, e il poeta sedeva a mensa colla sua bella ospite, la quale con una soavità incantatrice divideva le sue attenzioni tra il forestiero ed il figlio suo.
Riposato, ristaurato, rifocillato il nostro viaggiatore non poteva saziarsi dall’ammirare la bellezza, la grazia, la schietta affabilità della sua albergatrice, tanto che non potè trattenersi dall’abbozzare sulla carta alcuni rapidi tratti del suo volto. Ella pareva non por mente a ciò che faceva il pittore, la mano del quale volava con insolita rapidità, allorchè tutto ad un tratto il pittore s’arrestò, e sospese l’opera sua… Fu cagione di ciò un rumore in fondo alla camera, un rumore come di persona addormentata che si volgesse dall’altro lato, e respirasse faticosamente…. Allora egli fissò lo sguardo in un oscuro angolo, e sopra una stuoia, celata per metà da alcune rozze tavole, vide un uomo disteso e profondamente addormentato.
Questa scoperta lo pose in grande agitazione, la quale crebbe a dismisura, allorchè si accorse di un moschetto appeso al muro, e guardando più attentamente, vide accanto al dormiente alcune spoglie imbrattate di sangue, le quali non potevano a meno di essere state tolte a persone di civil condizione e dopo gagliarda resistenza.
Allora egli sospese l’opera sua, e guardò fisso in volto la sua albergatrice con una terribile espressione: ma ella non se ne commosse menomamente, e non sembrò neppure avvedersi di quello che il pittore volesse da lei, e continuò a spogliare suo figlio per metterlo a letto.
Questa grande tranquillità non bastò tuttavia a rassicurare il pittore, il quale si volse alla donna per interrogarla su ciò che avesse veduto, allorchè l’uomo addormentato si scosse di repente, e si accostò al fuoco. Oh! che è questo, diss’egli vedendo Salvator Rosa, un forestiere? siete bene capitato, amico mio: affè che questa è bella; e in ciò dire con un riso sgangherato gli sporgeva la mano, che Salvatore accettava e stringeva raccomandandosi a tutti i santi del calendario.
— Avete fatta una buona dormita Maccario, disse la donna al novello interlocutore; sono almeno due ore che vi siete sdraiato su quella stuoia.
Lo credo io, rispose l’uomo, era tanto stanco delle fatiche della notte precedente…. Ma, e Pietro dove diavolo si trova egli? e il Losco, e il Nibbio, e il Tartaruga, perchè non sono ancora arrivati? l’ora mi sembra trascorsa, se i calcoli non sbagliano…. ma vedo, mio bel signore, che avete un orologio: ditemi un poco voi l’ora esatta…. e qui Salvatore dovette estrarre un orologio (rara cosa a quei tempi) che aveva avuto in dono da un personaggio della corte di Spagna, e appena lo estrasse, Maccario vi si fece sopra, e lo guardò con tali occhi che parevano dire ― tu sarai cosa mia.
Non ebbe tempo Salvatore a dire qual ora fosse, che tre o quattro uomini, dopo avere picchiato con mano vigorosa, entrarono in casa uno dopo l’altro, e fecero vedere al povero Salvatore tali orridi visacci che avrebbero fatto spavento a Orlando nella grotta d’Isabella: e tutti costoro, in vedendo l’infelice capitato, mostrarono prima grande sorpresa, poi grande compiacenza, e tutti ebbero un sarcasmo, o un ironico saluto che l’ospite si tenne fortunato di accogliere con un sorriso che pareva significare: ― tutta bontà loro.
Mentre stava egli pensando al modo con cui sarebbe terminata la faccenda, ecco Maria farsegli da presso con quella sua aria di bontà, e porgendogli un lume, accennargli un buggigatolo che si apriva in fondo a quell’antro a poca distanza della stuoia di Maccario, e dirgli — andate pure a riposare: io vi auguro la buona notte.
Con qual animo accettasse il pittore quest’augurio, e come egli si sentisse volontà di dormire, lo possono indovinare i lettori. Frattanto egli, per non far peggiore la sua condizione, prendeva il lume, e salutando cortesemente, si andava ad annicchiare nel covile che Maria gli aveva accennato, e senza levarsi gli abiti di dosso, buttavasi giù con un grosso sospiro sopra un letto di stoppie colla più sincera intenzione di non chiuder occhio e di star bene all’ erta.
I malandrini (chi a quest’ora non li ha conosciuti per tali?) si posero intorno a una cena che essi stessi ebbero cura di portarsi, e mangiando e bevendo e proverbiando facevano un chiasso infernale.
Una gran parte dei loro discorsi non era compresa dall’attentissimo pittore, sia per la distanza del suo covile dall’angolo ov’era collocata la tavola, sia perchè il più spesso parlavano costoro un maledetto gergo, di cui nessun cristiano avrebbe capita una sillaba.
Cosi si tirava innanzi oltre alla mezza notte, sin tanto che parve al prigioniero che un caldo diverbio si eccitasse fra Maria e i malandrini: si alzò sul gomito, drizzò gli orecchi, e non tardò ad avvedersi che soggetto di quel diverbio era appunto egli stesso.
Sarebbe pur bella, diceva uno di essi, che lasciassimo fuggire un topo che viene da sè a mettersi nella trappola….
― Che fuggire? Non fuggirà: lo dico io.
― Se aveste veduto che bel pezzo di orologio…..
― E quello che avrà nella bisaccia.…
Con qual animo il poeta udisse queste parole, non è facile descrivere, se non che egli sentivasi alquanto confortato dal suono di queste parole proferite da Maria. ― assolutamente mi oppongo: egli venne a chiedermi l’ospitalità in nome di mio marito: Pietro me lo ha affidato ed io lo difenderò. ― E qui si rispondeva con un scroscio di risa e con un levarsi di tavola confusamente…. Oh via, non perdiamo tempo, disse Maccario, e si avviò al buggigatolo del poeta in punta de’ piedi, e tutti gli altri gli tennero dietro con precauzione, come se volessero sbrigarsi di lui senza rompergli il sonno… Lo sventurato vedeva giunto l’ultimo istante della sua vita, ed era ancora incerto a qual partito dovesse appigliarsi per tentare una via di scampo, e già non più che pochi passi erano interposti fra esso e i malandrini, allorchè d’improvviso Maria si scaglia dinanzi a lui, e afferrato l’archibugio che stava appeso al muro, indietro, si fece a gridare minacciosamente, indietro, ribaldi; quello di voi che oserà il primo torcere un capello a questo giovine, dovrà passare per le mie mani…. Gli aggressori si arrestarono: l’aspetto di Maria e il furore che scintillava dagli occhi suoi, colpì quei perversi d’ignoto terrore: ma fu breve la sorpresa. ― Ci lascierem noi spaventare da una donna? gridò prima il Losco…. A me, a me, soggiunse Maccario, e correndo verso la culla dove stava addormentato il figlio di Maria, se lo recava in braccio, e ponendosi dinanzi all’archibugio della madre ― fate fuoco, gridò, ora son qua io. ― Pera il figlio, disse la misera con un accento da straziare le viscere, pera il figlio, ma sia salvo l’onore del padre ― e si pose in atto di lanciare il colpo ― Maccario vacillava, gli altri si guardavano colla vergogna sul volto, allorchè si apri la porta di repente, e comparve Pietro…. Siete salvo, sclamò Maria, volgendosi a Salvatore, e corse nelle braccia del consorte. ― Si ritraevano i malandrini alla presenza del loro capo, il quale prendendo per mano il suo ospite, voi vedete, gli disse, che mia moglie sa far onore alle mie raccomandazioni ― e stringendo al seno la palpitante consorte: Bere, ripigliò, bene, o Maria: la tua condotta è degna degli elogi miei. E Maria chinava gli occhi, e dagli amplessi del padre correva ai baci del figlio.
Tre o quattro anni erano trascorsi dopo il fatto di sopra raccontato. Salvator Rosa era venuto in gran fama nella capitale del mondo cattolico, e nei giorni della esposizione degli oggetti di belle arti, parlavasi molto di alcuni suoi quadri di paese rappresentanti le gole di Itri, e si celebrava sopra tutto un ritratto di donna sotto le forme di Diana cacciatrice, che sembrava portare impressa la ispirazione delle divinità dell’olimpo.
Un giorno capitava nell’ officina del pittore un uomo che all’abito, ai modi, all’aspetto si palesava un distinto personaggio. Faceva richiesta a Salvatore della Diana cacciatrice, e mostrava gran desiderio di comprarla.
― Non posso venderla, diceva il pittore.
― E perché, se è lecito?
― Voi non avreste oro bastante a pagarla.
― Potreste ingannarvi.
― Sarà difficile.
― Vediamo. Vi offro cinquecento zecchini.
― Ѐ un bel prezzo ma non basta.
― Seicento.
― Non basta.
― Settecento…. Ottocemto…. Mille….
― Non basta.
Allora lo sconosciuto guardandosi attorno, e vedendo che nessuno era presente, estrasse un pugnale da sotto il mantello, e alzandone la punta sul petto di Salvator rosa…. In questo caso, sclamò, quello che non otterrò coll’oro. Lo avrò con ferro….
― Vorreste voi darmi la morte?
― E senza costei che avete dipinta, sareste voi in vita?
― Che? Voi la conoscete?…. Deh! Parlatemi di lei…. È ella felice?
― Credo di sì…. È morta.
― Che dite?
― Fu arrestata e chiusa in carcere, colla speranza che avrebbe sotto i tormenti rivelata la dimora di Pietro. Fu torturata colla corda, fu stesa sulla ruota, fu martoriata col ferro rovente, e morì senza aver proferito un accento. Piero incendiò le carceri: ma fu tardi per salvar Maria: non potè che vendicarla.
Salvator Rosa guardò attentamente in volto lo sconosciuto: poi, tutto ad un tratto presentandogli il quadrò, sclamò:
― Il quadro è vostro.
― I mille zecchini sono pronti.
― Non voglio oro. Pietro, vi ho conosciuto. Accettate il quadro di vostra moglie.
Questo quadro, a cui fu dato il nome della moglie del Ladro, si può ancora vedere oggidì in una galleria privata di Roma.
A. Brofferio
Angelo Brofferio (Castelnuovo Calcea, 6 dicembre 1802 – Minusio, 25 maggio 1866) è stato un poeta, politico e drammaturgo italiano. – Wiki –