UNA NOTTE SUL MARE

Ell’è una vita allegra e ricca di emozioni quella del marinaio, quando non rugge la tempesta, quando non tuona il cannone, quando una calma ostinata non tiene il naviglio quasi prigioniero in mezzo alle acque. Quello stato d’isolamento nei vasti campi dell’oceano presta una piccante dolcezza a tutti i piaceri che gustar vi si possono. Havvi nella vita marittima un misto di dispotismo e di repubblica. Si obbedisce ciecamente agli ordini del capitano, ma si comanda agli elementi, ma si ride dei muggiti dell’abisso; ogni istante della traversata somiglia ad un trionfo.
La più frugale refezione si anima di schietta allegria. Prigionieri in quel fluttante edifizio, gli uomini che l’abitano si studiano a vicenda con cura; più forti vi sono gli odii e le amicizie; le relazioni sociali nulla hanno di leggero o di frivolo; i pericoli che si affrontano insieme e le fatiche, cui tutti partecipano, producono una perfetta eguaglianza fra quelli che la voce tuonante del capo dirige e conduce alla manovra od alla pugna,

Bisognava vederci sul nostro nobile naviglio il Davy Jones, la quarta sera del nostro viaggio alla Giamaica. Una mezza bottiglia di vino posta sulla tavola, bastar doveva a dieci persone, ma la cena non era cattiva; ci rallegravano le allegre canzoni del nostro amico Runner; e giammai scoppii di risa così gioiose e sincere avevano echeggiato fra le pareti solenni dei palazzi. Gli scherzi erano famigliari e senza amarezza; gli epigrammi innocenti; i motti franchi e liberi passavano da labbro a labbro; insomma eravamo felici.
Tutto che l’uomo può attristare era obbliato; tutto, financo la marcia del naviglio, che un’impulsione ognor più violenta trasportava rapidamente attraverso le onde. Il mare solcato dalla chiglia del vascello, scrosciava, fischiava; una brezza nascente annunciavasi con buffi frequenti e interrotti.
Ma tutte queste profezie non valevano a richiamare la nostra attenzione; questo felice disprezzo dell’avvenire non ci permetteva di prevedere, che tra brev’ora molti di noi avrebbero trovata nel mare la tomba.
Eravamo dunque immersi in quell’indifferenza che assopisce il terrore e la previdenza dell’uomo, quando una fisonomia a noi ben nota, un volto abbronzato dal sole dei tropici, una testa calva che l’uragano e la manovra aveano resa liscia come un albero tutto nuovo, ci apparve d’improvviso silenziosamente nello spazio vuoto, che lasciava la porta semi-aperta.
Era il vecchio contro-mastro. Per la prima volta, da due ore, ci accorgemmo dei muggiti profetici che il mare udir faceva quasi per avvertirci: un calpestio di passi numerosi faceva risuonare il ponte del vascello: tutti gli occhi si volsero al contro-mastro.

«Mille perdoni, signor Splinter, diss’egli volgendosi al luogotenente. (Non v’ ha cosa più pulita d’un dialogo marittimo, salvo alcuni ornamenti retorici, particolari alla lingua del luogo e necessarii all’energia della dizione, nelle grandi circostanze.)»
– Che volete, Kennedy? Che chiedete? Ma prima un bicchiere di grog.
– Grazie, grazie! Avremo una notte cattiva. Fa un oscuro del diavolo. Il mare è seminato di vascelli armati in corso. Impossibile di veder qualche cosa in mezzo di quest’oscurità infernale.
– Ebbene, Kennedy, che vi occorre?
– Vivaddio, continuò Kennedy, senza rispondere direttamente alla domanda, locchè succede ai più grandi oratori, mi è sembrato più d’una volta udire distintamente una vela straniera, che filasse sotto vento presso di noi; ho creduto anzi di vederla. Forse non era che la schiuma bianca…. Ma, per venire al fatto, ho bisogno d’un uomo; prestatemi per un’ora il signor Pringle che qui siede».

« (Il mio nome è Pringle. Prestare un uomo come un istromento! Ciò mi parve singolare, anzi disgustoso.) Kennedy continuò:
« Il signor Pringle ha i migliori occhi del mondo, nessuno sul vascello è più atto a renderci questo servigio. Un’ora di osservazione sul castello di prua…. la luna si leverà e tutto sarà detto!
« Va bene, rispose il tenente Splinter, volete voi andarvi, Tommaso?
Traducete queste parole con le seguenti: «Tommaso! affrettatevi ad obbedire.» Almeno sopra un vascello, quando un superiore rivolge ad un dipendente quest’ esortazione amichevole, tale è il senso necessario della medesima.
Eccomi dunque costretto ad accettare questo triste scioglimento di una dilettevole serata.
Mi levo l’uniforme, indosso la mia giacchetta turchina o grigia (la gradazione del colore è indifferente), mi copro il capo col mio berretto di lontra, spesso battuto dai venti, e, senza dir parola, prendo il mio posto sul castello di prua. Passai il mio braccio intorno ad uno degli stragli, e mi rassegnai alla mia sorte. La pioggia mi batteva sul viso: l’infrangersi delle onde contro la prora, mi spruzzava addosso la schiuma; i flutti, scroscianti, scintillanti di fuochi fosforici, divenivano ad ogni istante più tumultuosi; l’atmosfera prendeva una tinta più cupa. Mi volsi un istante, poichè gli occhi, affaticati da una tensione continua ed inutile, mi dolevano; vi portai la mano per recare con la pressione un sollievo a questo dolore; e quando li riapersi, cioè pochi secondi dopo, scorsi dinanzi a me il più singolare fantasma che giammai uomo poco credulo abbia veduto sollevarsegli dinanzi. Era la figura e la persona del vecchio Kennedy; ma scarno, gigantesco, terribile a vedere, e più spaventoso rendevalo una luce abbagliante, azzurra in certi siti, in certi altri giallastra, che l’inondava dalla testa ai piedi. Il suo profilo irradiato scintillava, come i lineamenti di Satana nel Pademonio.
Io trasalii, ma egli con la solita voce:
– Ebbene, havvi qualche cosa di nuovo?
– Ma voi, ripresi tremante, voi che avete? Somigliate ad una apparizione d’inferno?
– Eh! Che diamine! Continuate la vostra osservazione, restate fermo al vostro posto. Il resto poco importa.
– Ma…
Colpito di sorpresa, e’ se, debbo dirlo, di terrore, sollevai lo sguardo e scorsi sulla punta d’albero di trinchetto, una brillante meteora, d’un chiarore verdastro, trasparente, cangiante. Avea soventi volte udito parlare di questo fenomeno, ma non si era mai offerto a’miei sguardi. Bisogna vederla, in mezzo alle più profonde tenebre, quella massa luminosa seguire le oscillazioni del naviglio, e progettare sull’equipaggio quella luce sepolcrale che avea fatto di Kennedy, il contro-mastro, un’apparizione così sorprendente e così nuova.
Il colore della meteora rammentava quella gradazione prismatica di cui risplende la lucciola sui nostri prati. Verso il centro una fiamma più ardente e più viva sembrava animarla; la circonferenza si estingueva e si diversificava in varie tinte indecise, come un’ aureola nebulosa, somigliante a quella di cui la luna si circonda nelle notti piovose. I movimenti del vascello cangiavano ad ogni istante la forma del globo infiammato; ora si distaccava in lingue di fuoco che serpeggiavano intorno ai cordaggi e sdrucciolavano lungo le vele; ora si rotondava come un baldacchino, o si estendeva come un vasto soffitto; ma sempre i mobili elementi che la costituivano, tornavano ad errare e a volteggiare intorno al punto centrale che li raccoglieva dopo pochi minuti.
Gli oggetti circostanti sembravano nuotare in questa atmosfera sinistra; i gruppi di marinai, seduti sul cassero, parevano spettri. In questo istante di fantastico spavento, un essere vivente e velloso discende lungo l’albero di trinchetto; una mano fredda mi afferra pel collo; il vento fischia, la luce spaventevole brilla pur sempre; ancora un momento, e io abbandonava il punto d’appoggio cui era attaccato; ancora un momento, e l’oceano si sarebbe aperto ad accogliermi cadavere ne’ suoi abissi.
« Dio mio, aiutatemi! gridai; che è mai questo?
La fredda mano aveva allentata la sua stretta. I marinai accorsero alle lamentevoli mie grida.
«Oh! disse il luogotenente; è Giaco, quel gran demonio di scimia che il capitano ama tanto. Vedetelo come scherza in mezzo alla tempesta, i bianchi suoi denti scintillano sotto il fuoco della meteora; ei sembra il genio malefico di quell’azzurra fiamma.»

Frattanto una densa nebbia, portata dalla brezza e simile a quella massa di fumo che sorte dalle macchine a vapore, avvolse il globo luminoso, e traendolo seco lo forzò ad abbandonare il nostro naviglio. Io lo seguii con lo sguardo: fluttuava nell’aria, ma a breve distanza da noi parve trovasse un ostacolo e s’arrestò, e stette immobile. Una subita idea rischiarò il mio spirito. Mi sforzai di scoprire attraverso la profonda oscurità l’oggetto che avea potuto arrestare l’aereo cammino della meteora, presto il sospetto divenne certezza.
«Una vela! una vela sottovento!» gridai con tutta la forza de’ miei polmoni.
Generale fu allora il movimento sul vascello. Il capitano, in piedi sulla tolda, mi rispose:
» Grazie!… ma, quale strada tien ella?
– Sud-sud-est!
– È dunque nelle nostre acque. Coraggio! ragazzi, all’opra! E comandò la manovra: udivasi la parola del comando, ripetuta dall’equipaggio, formare una specie di cadenza melanconica e solenne, alla quale il capitano dava l’intonazione. In mezzo al muggire del vento ed al fracasso dei flutti, era un eco tristo, monotono, lugubre, che stringeva il cuore.
« Che bella voce avete! Dissi al contromastro studiandomi di scherzare. – Ei scosse il capo e disse in tuono afflitto.
– Prima che il sole ricomparisca, molti di noi andranno, chiusi nelle loro amache, a visitare il fondo dell’oceano.
– Profeta di sciagura! »

La meteora, che i marinai nel loro stile famigliare chiamano l’olandese errante, si allontanò poco a poco e disparve; e quest’ultimo raggio che ne serviva di guida, ci lasciò estinguendosi in mezzo a fitte tenebre. Per qualche minuto, strani romori colpirono le mie orecchie, il vascello ricevette degli urti violenti; udimmo gli attrezzi lacerarsi, e fu d’ uopo acorciare le vele. Finalmente si levò la luna. Dinanzi a noi ondeggiava un largo schooner a vele spiegate, il quale scorgendoci si diede alla fuga. Cominciammo ad inviargli alcune bordate, ma poco danno gli recavano, tanto era abile la sua manovra e rapida la sua fuga.
« Vedete, dissi al capitano, quelle lunghe striscie bianche sulla poppa, e quelle scheggie di legno sui suoi boccaporti?
– Sì; è il nostro vascello che l’ha serrato dappresso. Con una brezza un po’ più forte ci saressimo fracassati l’uno contro l’altro.
– Ed ora, che fare?
– Avviciniamoci, il vento ci favorisce . . . non un uomo sul ponte del vascello nemico; è soprendente! »
Infatti il ponte era deserto; non vi si scorgeva un’anima. Soltanto una forma nera scorgevasi a poppa, ma impossibile distinguere ciò che fosse.
«Olà! Dello schooner, gridò il capitano, chi siete?»
Nessuna risposta.
«Rispondetemi o vi calo a fondo!»
Lo stesso silenzio.
«Ebbene! sergente Armstrong, all’armi! prendete la vostra carabina e atterrate quel mariuolo, là sulla poppa, precisamente in faccia di noi.»
Il sergente balza sul casserò, appresta la sua arma, ma prima che il suo dito si fosse posto sul grilletto, un colpo di fuoco partito dalla poppa nemica gli fracassò la testa; e cadde a’ nostri piedi.
Il capitano espresse il suo corruccio con un’imprecazione formidabile.
« …..! Qui, contromastro, spazzatemi quel ponte.
– Sì, capitano, rispose il contromastro e si recò al suo posto.
La nostra bordata fu violenta, ma produsse poco effetto. Lo schooner virò il bordo con una rapidità di manovra così sorprendente, che le nostre palle, fischiandogli dappresso senza colpirlo, caddero nell’onde. Allora tutte le vele dello schooner si ripiegarono; una moltitudine d’uomini armati apparve ad un tratto sul ponte, poco prima vuoto e deserto.

«Ecco che vuol dire disprezzare i nostri fratelli d’America, » sclamò il contromastro. Poco dopo, quasi a conferma di queste parole lo schooner, accorciando di nuovo le vele, scaricò sopra di noi il suo lungo pezzo da trentadue, smontò i nostri cannoni e ci uccise tre uomini. Una destra manovra ci salvò dalla seconda scarica; ma in breve fummo costretti a temer l’inimico che ci aveva ingannati e tratti nel suo agguato con una fuga simulata.
« Udite che concerto fanno a bordo? mi disse il capitano fremente di collera e di rabbia.
– Si! suonano l’aria nazionale degli Stati Uniti.
– Si ridono di noi! Andiamo, ancora un colpo di cannone e cerchiamo di pagare il nostro debito! »
Mentre si caricava il nostro pezzo, un’ altra bordata dello schooner venne a colpire la cannoniera. Vidi le scheggie volare nell’aria e scintillare sotto il raggio della luna. Sorse un grido acutissimo. Mi volsi, e vidi il contromastro, che teneva in mano la miccia accesa, cadere sul bordo del vascello. Nella sua caduta ei tentava di avvicinare con moribonda mano la miccia al focone del pezzo; e infatti il cannone tuonò.

D’improvviso un sanguigno chiarore si sparse in quell’atmosfera grigiastra che la luna faceva risplendere d’una luce sì dolce. Avreste detto che un vulcano, aprendosi subitamente il varco dal seno del profondo mare, invadesse tutto l’orizzonte. Un fracasso spaventevole, uno spezzarsi di legnami, di cordaggi, d’attrezzi, di materie solide d’ ogni specie; grida confuse, gemiti laceranti, urli di dolore si mescolavano l’un l’altro nella notte profonda. Una densa nube avea nascosto il disco della luna. Lo schooner, di cui era balzata in aria la santa barbara, ardeva d’una sola fiamma; gli eleganti suoi alberi, accesi come torcie, si spegnevano sibilando nell’acque. Qua e là un corpo cadente nel mare, un grido solitario, il mormorio delle onde che bollivano intorno a quella massa ardente, l’ultimo sospiro degli sciagurati che la fiamma inseguiva e i flutti soffocavano, alcuni barili di polvere mezzo bagnata, fischianti ancora ed esalanti in mezzo ai fiotti il resto di loro energia, tutto ci annunciava la trista sorte del naviglio americano.

La luna ricomparve, nè più di esso alcuna traccia. Noi eravamo soli, soli in mezzo a quell’oceano inesorabile. La mano d’un morente avea bastato a sterminare il nostro nemico dopo la sua vittoria; una palla lanciata da un cadavere aveva infranto quel naviglio sì ben armato, quell’opera ammirabile dell’industria umana, e annientati ad un tempo tutti quei prodi che lo dirigevano.
« Luogotenente! che è ciò ch’ io veggo là abbasso su quel cannone ancora fumante che ha fatto sì bel colpo?
– Qualche cosa di nero, che non distinguo.
– Un cadavere! Il moto del naviglio lo agita come una sanguigna bandiera.
«Oh! è il contromastro! l’ultima bordata dello schooner l’ha tagliato in due. Ma si è ben vendicato!»

Il povero contromastro era stato il profeta del suo destino. La sua salma fu avviluppata nell’amaca che gli serviva di letto, e gli diemmo sepoltura nel mare.

(A . . . )

Articolo tratto da: L’Emporeo artistico-letterario, ossia Raccolta di amene lettere, novità …
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