L’ULTIMO PECCATORE

di Don Armando Trevisiol

È illusione mantenere una fede viva e ardente senza alimentarla con atti di culto e preghiere appassionate, ma è altrettanto illusorio pensare di credere veramente solo perché, a tempo debito, uno infila nella gettoniera del culto qualche formula o qualche preghiera.

Un vigile amico mi ha detto che sono un cattivo utente della strada. Ha ragione; infatti quando mi sposto in motoretta, e lo faccio di frequente, penso ai fatti miei, rifletto, rimugino, medito o sogno. L’altro giorno impiegai il tempo del tragitto tra la canonica al cimitero riflettendo su questa constatazione: “lo devo esser l’ultimo peccatore!”

Eh sì, perché quella poca gente che viene ancora a confessarsi potrebbe anche risparmiarsi questo incomodo, tanto pare che tutti abbiano anime candide come le novizie o le educande.

Se poi si confessa un giovane, allora, non affida alla misericor­dia di Dio i vecchi peccatacci dell’età ruggente, ma solamente qualche leggero appannamento della coscienza. Di fronte a questa sorpresa, confrontando le aperture dei miei penitenti con la pece nera che mi sento dentro il cuore, mi viene proprio da pensare che io debba essere l’ultimo peccatore, l’epigone di quella folla immensa che secoli fa si flagellava per purificare il cuore, piangeva amaramente i suoi peccati, o andava a Santiago di Compostela o in Terrasanta per farsi perdonare da Dio i peccati.

Ma possibile che in questo mondo moderno in cui si avverte la crisi del sacro, la “morte di Dio” o l’incombente secolarizzazione, tutti siano diventati così santi da riuscire a mantenere immacolata e fulgente l’anima?

M’é venuto da pensare che qualcosa non funzioni nella coscien­za dei parrocchiani. Fino ad un paio di anni fa una lunga fila di penitenti apriva la confessione dicendo: “Padre, fuor che rubare ed ammazzare, li ho fatti tutti”, poi, se andavi per il sottile, ti accorgevi che non erano neppure completamente a posto né il quinto né il settimo comandamento. Ora invece pare che nessuno vada più in là di “mi sono distratto a guardare una mosca durante la preghiera”! Più ci pensavo e più mi veniva da dubitare che ci fosse qualcosa che non funzionava.

Un guasto al contachilometri del motorino ha acceso la famosa lampadina nella mia mente; pur accelerando a tutta birra la sfera se ne rimaneva questa e rincantucciata sullo zero! Come se la velocità non la riguardasse per nulla! Ho scoperto, pensai; la mia gente ha dimenticato, non conosce, o ha messo fuori combattimento l’indicatore della conoscenza dei comandamenti di Dio.

Ho cominciato a fare qualche saggio; i ragazzi e i giovani nati dopo la contestazione non conoscono la legge di Dio; gli adulti e i vecchi l’han messa in soffitta probabilmente perché tornava più comodo farne senza. Le infrazioni al codice della vita avvengono purtroppo ancora eccome e con tutte le conseguenze rovinose; ma il fatto di non conoscere il bene dell’uomo e il fatto che i “vigili” vigilano poco, porta l’illusione che tutto vada bene; fin quando non capita poi l’irreparabile!

Carissimi parrocchiani lasciate che il vostro parroco vi dia un consiglio che gli viene dal cuore e che è del tutto disinteressato: “Andate a rileggervi i vecchi comandamenti, meglio se ve li ripete­te tutte la mattine, meglio ancora se alla sera misurate le vostre azioni con le dieci regole di Dio!”

Il verificare la propria salute con esami appropriati non vuol dire di per se stesso di stare bene; è mille volte meglio il sapere di avere in corpo un bacillo in agguato pronto a colpire che il mettersi la testa sotto la sabbia per non vederlo. Tanto più che Cristo ha affermato che chi volesse togliere anche una virgola, dalla legge che ci ha dato per il nostro bene, non potrà entrare nel Regno.

Don Armando Trevisiol