Pregare per i morti

Articolo del 1854 tratto da: Dizionario di teologia: 2.2, Volumi 1-2
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La chiesa ha definito nel concilio di Trento, sess. VI, can. 50, che un peccatore perdonato e prosciolto dalla pena eterna è tuttavia obbligato a soddisfare alla divina giustizia con pene temporali in questa o nell’altra vita. V. SODDISFAZIONE.
Perciò insegna il medesimo Concilio, sess. XXV, che dopo la vita presente vi è un purgatorio, dove le anime ponno venir alleviate dai tormenti mediante i suffragi, cioè le orazioni e le buone opere dei vivi, principalmente col sacrifizio della messa, il quale è propiziatorio pei vivi e pei morti. Questi dommi hanno tutti una stretta connessione.
All’art. PURGATORIO si adducono le prove sulle quali è fondata questa credenza, qui dobbiamo giustificare l’antichità e la santità dell’uso di pregar pei defunti; uso che i protestanti rinnegano.
Che quest’uso regnasse presso gli Ebrei si rileva dalle parole di Tobia al suo figliuolo: Metti il tuo pane e il tuo vino sul sepolcro del giusto. Tob. IV, 18. Siccome la legge proibiva il far offerte ai morti, non è a credere che Tobia ingiunga a suo figlio di praticare una tale superstizione dei pagani: quindi si dee supporre che il cibo posto sul sepolcro d’un morto fosse un’elemosina pia fatta secondo la sua intenzione od avesse per iscopo d’indurre i poveri a pregare per esso.
Ciò vediamo anche più chiaramente nel II de’ Maccabei, XII, 42, dove si legge che Giuda, fatta una colletta mandò a Gerusalemme dodici mila dramme d’argento acciocchè s’offerisse sacrifizio pei peccati dei morti in battaglia, e conchiudesi che santo e salutare è il pensiero di pregar pei defunti affinchè sieno prosciolti dai loro peccati.
Ed ancorché i protestanti avesser buone ragioni di non ritener questo libro siccome canonico, esso è per lo meno un’istoria degna di fede a una testimonianza di ciò che allora praticavasi presso gli Ebrei. Un tal costume perpetuossi tra loro, e n’è fatto ricordo nella Mischna al c. Sanhedrin: e per quanto sappiamo, Gesù Cristo e gli apostoli non l’hanno disapprovate.
Il Dalleo nel suo trattato De pœnis el satisfactionibus humanis scrisse una lunga dissertazione per evitare le conseguenze di questi due testi. Dice, 1. v, c. 1., che Tobia non altro raccomanda al figlio suo che somministrare il cibo alla vedova e ai figli d’un giusto: ma come mai il sepolcro d’un giusto può significare la vedova e i figliuoli di lui? Di sì strana metafora non si scontra esempio in tutta la scrittura. Quanto al secondo testo, afferma che si riferisce alla futura risurrezione e non alle pene dell’altra vita, e che, secondo lo scrittore del libro de’ Maccabei, Giuda volea che si pregasse pei morti a fine di ottenere da Dio per essi una parte migliore nella risurrezione, e non la liberazione da veruna pena. Ma la conclusione di quel testo distrugge cotal sua interpretazione.
San Paolo, discorrendo contro coloro che negavano la risurrezione dei morti, che faranno, dice, quelli i quali si battezzano per li morti, se assolutamente i morti non risorgono? E perché si battezzano per quelli? 1 Cor XV, 29. Il qual tosto dai protestanti, che ne temono le conseguenze, è detto oscuro al sommo e di senso fra i padri e i commentatori controverso.
Noi non sapremmo conciliare questa risposta colla opinion generale dei protestanti, i quali pretendono che la Scrittura sacra è chiara, specialmente in punto di dottrina, o che basta il leggerla per sapere il da credersi. Riguardo al testo allegato non ci sembra che vi sia oscurità impenetrabile. È noto che presso gli Ebrei il battesimo era un simbolo e una pratica di purificazione; battezzarsi pei morti* significa dunque purificarsi pei morti. Sia poi che s’intenda con quelle parole il purificarsi invece d’un morto e affinchè tal purificazione a lui giovi, sia il far ciò per sollievo d’un’anima che supponsi qual rea, il significato è sempre lo stesso: ne segue in ogni caso che, secondo la credenza di chi operava in tal modo, le buone opere dei viventi potevano riescire di qualche pro a defunti: e quell’opinione e quella pratica non vengono dall’Apostolo disapprovate. V. BATTESIMO.
Nulla giova l’opporre che, al tempo di san Paolo, v’erano già eretici, i quali pretendevano che si potesse ricevere il battesimo invece d’un defunto che ne fosse rimasto privo. Oltrechè questo fatto è assai dubbio, l’Apostolo non sarebbesi prevalso mai d’un pregiudizio o d’un errore per fondamento al domma della risurrezione futura.
Diamo la stessa risposta a coloro, i quali pretendono che il pregar pei defunti sia una costumanza derivata dai pagani. Gli Ebrei, nemici dichiarati dei pagani, specialmente dopo la cattività di Babilonia, nulla per certo avean preso da loro; e san Paolo avrebbe forse fondato i suoi argomenti sopra una pratica gentilesca?
Quando ci rimanessero ancora de’ dubbi sul senso delle parole dell’apostolo, la tradizione e la consuetudine dell’antica Chiesa varranno a dissiparli. Noi troviamo questa consuetudine stabilita già sul finire del secolo secondo. Negli atti di santa Perpetua, martirizzata l’anno 103, leggiamo come la santa pregasse pel fratello suo Dinocrate, e Dio le desse a conoscere che l’orazione di lei era stata esaudita. San Clemente alessandrino, scrittore di quel tempo, dice che un gnostico ossia un perfetto cristiano ha compassione di coloro che, puniti dopo morte, confessano lor malgrado le proprie colpe mediante i tormenti che soffrono, Strom. I VII, c. 12. Tertulliano, De corona, c. 3, parlando delle tradizioni apostoliche, dice esser costume d’offerir sagrifizi pei defunti nelle feste dei martiri; e altrove, De monogam., c. 10, dice che una vedova prega per l’anima dell’estinto marito ed offre sagrifizio nel giorno anniversario della morte di lui. San Cipriano non tiene linguaggio diverso.
Inutil cosa sarebbe l’arrecare le testimonianze de’ padri del secolo quarto, poichè dai protestanti si ammette che il pregar pei morti era in quel tempo consuetudine generalmente stabilita. Non può dirsi però che fosse uso di recente introdotto, poiché per detto di san Giovanni Crisostomo, hom. III in ep. ad Philipp., avevan gli Apostoli ordinato che si pregasse nei sacrosanti misteri pei fedeli defunti.
Quindi riscontriamo tal preghiera nelle liturgie più antiche, le quali sotto la V. LITURGIA dimostrammo risalire a’ tempi degli Apostoli, quantunque solo al secolo quarto sieno state messe in iscritto. San Cirillo gerosolimitano spiegando quella costumanza ai fedeli, Pro defunctis patribus, dice, el episcopis et omnibus generatim qui inter nos vila functi sunt (oramus) MAXIMUM HOC credentes ADJUMENTUM ILLĪS ANIMABUS FORE pro quibus oratio defertur, dum sancla el perquam tremenda coram jacet victima. Catech. myslag. V.
Non merita risposta il Beausobre, che nella sua Storia del manicheismo, 1. IX, c. 5, osò dire che san Cirillo ha mutata su questo punto la liturgia.
La preghiera pei defunti ritrovasi in tutte le altre liturgie, come in quella di Gerusalemme attribuita a san Giacomo. V. il p. Le Brun, Explic. des cèrèm. de la foi, t. Ile V, e la Perpétuité. de la foi, t. V, 1. VIII, c. 5. Bingham suppone che la quinta catechesi di san Cirillo sia stata interpolata: ove son le prove di questo arbitrario asserto?
In quel secolo stesso, Aerio che avea abbracciato l’errore degli ariani, disapprovò la preghiera pei morti e fece proseliti; ma, grave scandalo pei protestanti, venne condannato come eretico!
Se non che i protestanti non meglio s’accordano su questo punto che su tanti altri I luterani e i calvinisti rinnegano del pari il domma del purgatorio; gli anglicani, che neppur essi l’ammettono, conservarono nondimeno la consuetudine di pregar pei defunti: la lor ufficiatura pei morti è quasi la stessa che quella della Chiesa romana, avendone tolta la professione di fede del purgatorio.
Bingham per giustificare la pratica della chiesa anglicana riferì con molta esattezza le prove dell’antichità di questa consuetudine, per le quali è dimostrato che nei primi secoli costumavasi celebrare il santo sacrifizio nelle esequie de’ morti, e implorare da Dio il perdono di lor colpe e l’ammissione alla gloria eterna: Orig. eccles., t. X, I. XXXIII, c. 3, § 12 e 15. Cionnonpertanto sostiene che tali orazioni non avean che fare col purgatorio,

1.° Perchè si pregava indistintamente per tutti i defunti, per quelli della cui beatitudine si avea certezza, pei santi, per la Vergine medesima; crano quindi non altro che ringraziamenti, ovvero domande d’aumento di gloria pei santi:
2.° Pregavasi Dio che non giudicasse le anime con rigore, e gli si chiedeva pei fedeli la perfetta beatitudine dell’anima e del corpo:
3.° Era una professione di fede che risguardava l’immortalità delle anime e la futura risurrezione de’ corpi. Anzi pretende che tal pratica avesse fondamento su molti errori. Si credeva, dic’egli, che i morti non dovessero fruire della visione di Dio se non dopo la risurrezion generale. Coloro che ammettevano il regno millenario di Gesù Cristo sulla terra pensarono che tra i fedeli gli uni più presto, gli altri più tardi ne godrebbero. Si era persuasi che tutti gli uomini senza eccezione dovessero nell’altra vita passar per un fuoco espiatorio, il quale nessun nocumento (NdR. – efficacia) recherebbe ai santi e purificherebbe i peccatori. Finalmente si perveniva a credere che si potesse mediante le orazioni recar sollievo perfino ai dannati. T. VII, c. 3. § 16 e 17. Lo stesso aveva asserito il Dalleo, De poenis el satisfacl. humanis, I. V e seg.

Stentiamo a comprendere come uno scrittore di tanta dottrina siasi ridotto a sragionar in tal guisa. Perocchè
1.° Se l’uso di pregar pei defunti avesse avuto per base alcuno degli accennati errori, sarebbe stato abuso e stoltezza; perchè adunque la chiesa anglicana lo ha conservato?
2. Tra tutti gli antichi monumenti citati dal Bingham non havvene uno che accenni agli errori da lui mentovati, e potrebbesi provocarlo ad allegarne in contrario.
3.° Se vi fosse stata la persuasione che i gusti non dovesser fruire della visione di Dio se non dopo la risurrezion generale, sarebbe stata pazzia il pregar Dio d’anticipare quel tempo; poichè non può aversi speranza d’indurlo rivocare un decreto che riguardi indistintamente tutti gli uomini.
4.° Confessiamo che molti degli antichi scrittori parlarono d’un fuoco espiatorio, destinato a purificare le anime che ne hanno mestieri: come adunque non riconoscere in questa testimonianza il purgatorio che noi ammettiamo?
5.° Eccetto gli origenisti, che furono sempre assai pochi, non venne in mente a nessuno che si potesse mediante i suffragi procacciar sollievo ai dannati: questo errore trovasi solamente in qualche messale de secoli bassi. La preghiera pei defunti usavasi assai tempo prima che venisse al mondo Origene.
6.0 Gli antichi fondano la consuetudine di pregare pei morti non sulle fantasie del Bingham, ma sui testi scritturali da noi arrecati; sul detto di Gesù Cristo in san Matteo, che la bestemmia contro lo Spirito Santo non sarà perdonata nè in questo mondo nè nell’altro, donde i padri inferirono che vi sono peccati i quali ponno esser perdonati nella vita avvenire; finalmente su quelle parole di san Paolo, che il fuoco proverà quale sia il lavoro di ciascheduno: I. Cor. III, 13. V. PURGATORIO.

Quanto al senso che il Bingham vuol attribuire alle preghiere della Chiesa, esso è chiaro nelle parole dei padri e nelle liturgie.
Concediamo che in tali preghiere si contiene una professione di fede dell’immortalità delle anime e della risurrezione dei corpi; ma evvi qualche cosa di più.
San Cirillo gerosolimitano distingue chiaramente la preghiera che risguarda i santi da quella che vuol farsi pei morti. Recordamur, così egli, eorum quoque qui obdormierunt, primum patriarcharum, prophetarum, apostolorum, martyrum, ut Deus eorum precibus et le gationibus orationem nostram suscipial. Deinde ei pro defunctis patribus et episcopis et omnibus generatim qui inter vos vila functi sunt (oramus), MAXIMUM DOC credentes ADIUMENTUM ILLIS ANIMABUS FORE pro quibus oratio defertur, dum sancta el perquam tremenda coram jacel victima.
Dunque le preghiere pei santi non erano le stesse che quelle per le anime del comun de fedeli: colle prime chiedevasi intercession dei santi, e colle seconde il refrigerio dell’anime.
Ma il Bingham che non volea nè una cosa, nè l’altra, e neanco l’idea di sacrifizio, ha creduto spacciarsene col dire che il passo di san Carillo venne probabilmente interpolato.
Ma l’irragionevolezza di questa congettura dimostrasi da trovarsi le cose dette da san Cirillo anche nella liturgia di san Giacomo ch’era quella di Gerusalemme, e in tutte le altre liturgie d’oriente e d’occidente.
E certo non trattasi in quel passo di domandare a Dio un aumento di gloria pei santi, sibbene la loro intercessione per noi, e non di chiedere pei fedeli la completa beatitudine dell’anima e del corpo, ma il sollievo unicamente della prima. Trovasi la stessa distinzione nella liturgia ricavata dalle Costituzioni apostoliche, lib. VIII, c. 13, e riferita dal Bingham, il quale affetta invano di confondere queste due specie di preghiere a fine d’oscurarne il senso con tutte le sue indagini erudite non riescì che a manifestare la sua preoccupazione.
Il luterano Mosheim, con più pervicacia, assegna al secolo quarto l’introduzione dell’uso di pregar pei defunti, e attribuisce alla filosofia platonica le idee assurde d’un certo fuoco destinato a purificar le anime separate dal corpo: Hist. eccles., sec. IV, parte. 11, c. 5 § 1. Dice che nel quinto secolo la dottrina degli etnici sulla purificazione delle anime dopo disgiunte dai corpi venne più ampiamente spiegata, sec. V, part. II, c. 5 § 2; che in quel secolo appunto prese vigore più che mai, e che il clero al quale importava il sostenerla, si mise a divulgarla con imposture: sec. X, part. II, c. 5, § 1. È opinion generale de’ protestanti, che la dottrina del purgatorio sia un trovato dell’avarizia dei preti.
Ma è proprio certo che gli antichi platonici abbiano ammesso un fuoco espiatore o purgatore dell’ anima dopo la morte? Quand’ anche ciò fosse, il testo di san Paolo, I Cor., III, 13, ov’ è detto che il fuoco proverà quale sia il lavoro di ciascheduno, valeva meglio che i sogni del platonismo per dar fondamento alla credenza del purgatorio: su quel testo appunto appoggiano i padri la loro dottrina. E poichè è provato che il costume di pregar pei defunti risale ai tempi apostolici, può forse dimostrarsi parimenti che in origine i preti ne abbiano ritratto profitto? Se nel secolo decimo e nei consecutivi sopravvennero abusi, conveniva certo abolirli, ma lasciar sussistere una pratica antica quanto il cristianesimo e già vigente presso gli Ebrei.
Osserva un accademico, che quando si è persuasi che l’anima sopravvive alla distruzione del corpo, qualunque opinione si abbia sullo stato di essa dopo la morte, è cosa naturalissima il far voti e preghiere a fine di procurare alcuna felicità alle anime dei nostri congiunti ed amici: nessuna meraviglia quindi che tal consuetudine si trovi per tutta la terra. Tanto è lungi adunque che i cristiani abbiano derivato quest’uso dalle costumanze pagane che anzi dee tenersi per assai più verisimile che i pagani l’abbiano piuttosto attinto alla tradizion primitiva, e che sia come un’idea impressa dal dito di Dio nel cuore di tutti gli uomini. E coloro stessi che sembrano i più mal preoccupati contro quest’uso, confessano sovente che non sanno trattenersi dal far voti in lor cuore pei proprii parenti, voti che dalla forza di natura son loro strappati: Hist. de l’acad. des inscript, t. Il in 12.°
Quando la carità, che è l’anima del cristianesimo, sia spenta verso i defunti, gran rischio si corre che debba venir meno anche fra i vivi. L’uso di pregar per quelli ridesta in noi le più tenere rimembranze de’ nostri congiunti e benefattori, c’ inspira riverenza verso le ultime loro disposizioni, contribuisce a collegare in bella unione le famiglie, ne raccoglie le membra disperse, le riconduce sul sepolcro de lor padri e ricorda ad esse azioni e ammaestramenti che giovano alla loro felicità. I protestanti, distruggendo una tale consuetudine, fecer contro all’ inclinazione della natura, allo spirito del cristianesimo e alle più antiche e venerabili tradizioni.

* NdR. Il battesimo per i morti – Praticato oggi dai Cristiani solo dai Mormoni.


Della commemorazioni dei morti

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Preghiere solenni ricorrenti ogni anno il due novembre a suffragio delle anime del purgatorio in generale.
Amalario, diacono di Metz, nella sua opera De officiis ecclesiasticis, da lui dedicata a Lodovico il Buono l’an. 827, inserì l’officio de’ morti; ma è probabile che tale officio si recitasse solo in privato.
La festa della commemorazione di tutti i fedeli defunti e l’officio per tutti in generale furono da san Odilone abate cluniacense instituiti nel 998 in tutti i Monasteri della sua congregazione. Questa divozione, approvata dai pontefici, si diffuse ben presto per tutto l’occidente.
Alle preghiere unironsi altre opere buone, soprattutto elemosine; e in alcune diocesi havvi parrocchie nelle quali i contadini lavorano in tal giorno gratuitamente a vantaggio de’poveri, ed offrono alla chiesa del grano che, al dire di san Paolo, I Cor. XV, 57, è simbolo della risurrezione avvenire.
A fin di mettere in ridicolo questa festa, il Mosemio dice che l’instituzione di essa si deve alle esortazioni d’un eremita di Sicilia, il quale pretese aver saputo per rivelazione che le preghiere dei monaci di Cluny avevano un’efficacia particolare a liberar le anime purganti. E osserva inoltre che papa Benedetto XIV mostrò bastante scaltrezza nel tacere l’origine superstiziosa di questa festa disonorante, nel suo trattato De festis. Un famoso incredulo non mancò di ripeter l’aneddoto dell’ eremita, siciliano, e aggiunse che l’institutore della festa dei morti fu papa Giovanni XVI, verso la metà del sedicesimo secolo.
Ma questo Giovanni XVI è antipapa che morì nel 996, due anni prima dell’instituzione della festa de’ morti: fu grosso abbaglio l’averlo riposto al secolo decimosesto. Non è poi maraviglia che Benedetto XIV non siasi curato d’ una favola della quale non si reca altra guarentigia che il Flos sanctorum, collezione zeppa di storielle di simil genere. Ma già i protestanti e gl’increduli non sono scrupolosi circa la scelta dei documenti; cercano imporre con ́asserzioni franche e bugiarde.


Il Purgatorio ed il suffragio
Articolo da: L’obolo della carità, ossia Il suffragio perpetuo a favore delle anime del…
Di Alessandro Ciolli

Per stimolare i cristiani a soccorrere coi loro suffragi le anime purganti non è qui intenzione di esporre le pene a cui le assoggetta l’adorabile giustizia di Dio giacchè crediamo i devoti lettori pienamente istruiti di ciò che intorno a quelle pene c’insegna la santa fede.
Solo diremo per non isbagliarla nel farci una qualche idea del purgatorio, che i dottori della Chiesa dietro la scorta delle Scritture ce lo rappresentano non già come un dolore passeggero, ma come uno stato di pena, cioè come un patire abituale e continuo, una riunione di molti patimenti, un luogo ove si va e si stà non per altro che per penare e soffrire; e sebbene non sia priva di ogni consolazione, pur tuttavia la pena è, dirò così, la legge e l’elemento vitale del purgatorio. Il cuore afflitto, la mente umiliata, il senso addolorato, ecco il purgatorio, il quale perciò è nelle sante scritture rappresentato come una fornace da purgarvi i metalli e come un carcere di continuo tormentatore.
Pensateci un po’ bene voi che temete cotanto i dolori anche più passeggieri di questa vita! Qual trista sorpresa per tante anime che in vita evitarono al possibile ogni più piccolo incomodo e tremarono all’idea di penitenza, il cadere in morte in uno stato di continuo e lungo penare! S. Francesco di Sales diceva, è vero, che il purgatorio è il luogo migliore dopo il paradiso, perchè vi si sta sicuri della salute, ma diceva pure che è il luogo peggiore dopo l’inferno, perchè vi si soffrono pene che non hanno nessun paragone con quelle di questa terra.
A questo solo pensiero chi dunque non si sentirà infiammato dal desiderio di soccorrere il più possibile quelle anime benedette, nel loro penare? Se la sola vista di un languente di questo mondo talmente c’ intenerisce che ci sentiamo spinti a soccorrerlo, quanto più la considerazione di quel carcere indicibilmente tormentoso ripieno di migliaia di anime dovrà muovere il nostra cuore a sollevarle?
D’altronde il suffragare i fedeli ‘defunti è opera eminentemente di fede, perchè dalla sola fede noi sappiamo le cose e i patimenti dell’ altra vita, nonchè il valore dei nostri suffragi riguardo alle anime del purgatorio; è opera di speranza, perchè la sola speranza fa sì che noi miseri peccatori tanto in debito con Dio confidiamo di ottener grazia anche per altri colle nostre soddisfazioni; è opera specialmente di carità, perchè se atto principale della carità è il soccorrere ai bisognosi, come ne dice San Giovanni, qual carità maggiore del sollevare quelle anime in tanta miseria?
Anzi il suffragare i defunti è opera eminente di amor di Dio perchè immediatamente diretta a porre nel numero dei beati glorificatori di lui quelle anime sulle quali egli ha già confermata la sua grazia.
Davvero che possiamo dire con un divoto autore esser questa l’opera stessa della redenzione nell’ ultimo suo compimento, perchè coi nostri suffragi noi possiamo far sì che quelle anime sieno messe in possesso di quella gloria, il cui ottenimento fu lo scopo della redenzione operata col sangue di Gesù Cristo.
Epperò chi può dire i grandi pregi e il gran merito che ha questo apostolato a favore delle anime purganti? Il ministero dei sacerdoti in questo mondo per salvare i peccatori dall’inferno tante volte riesce inutile per la ostinazione di questi, ma l’ apostolato verso le anime del purgatorio riesce sempre fruttuoso, poichè si esercita verso anime amiche e spose di Dio, le quali con tutta l’energia desiderano di essere al più presto a lui congiunte.
E d’ altronde non insegna forse S. Tommaso che è più accetto a Dio il soccorrere con preghiere i morti che i vivi, perchè appunto mentre da una parte i defunti ne hanno più bisogno, dall’ altra non si possono aiutare e suffragare da per sè come possono fare i vivi (1)?
Misurate pertanto, o cristiani, la sublimità di un tale apostolato e animatevi a soccorrere quelle anime peverelle con ogni possibile impegno.

Pio esercizio del Suffragio perpetuo.

Il pio esercizio del suffragio perpetuo a favore delle anime purganti consiste nello scegliere che uno fa a proprio piacere un giorno qualunque, onde in ciascun mese consacrarlo a suffragare i fedeli defunti con diverse opere di pietà, che indicheremo in appresso; e si dice perpetuo perchè, se si accordino insieme tante persone quanti sono i giorni del mese, scegliendosi ciascuna un giorno diverso per il suffragio suddetto, ne seguirà che ogni giorno dell’anno vi saranno continuamente persone intente a soccorrere i fedeli defunti; e tanto mag…

NdR. – Interrompo qui l’articolo, che ci porta fuori tema, chi v’è interessato clicchi su questo link.