Perché si aprono il ventre al Giappone

« Non è permesso a tutti di andare a Corinto, » dicevano i Greci al tempo di Alcibiade. Nell’epoca nostra, si può aggiungere che nell’Impero giapponese non penetrano tutti quelli che lo vogliono. Il sacro suolo di Nippon è aperto, – sulle coste, a Yokohama, – ma se si desidera penetrare più avanti, la non è cosa tanto facile. Occorre dapprima il permesso speciale del gran taicun, che risiede a Yeddo, e poi – giacchè non è qui tutto – si tratta di procurarsi una scorta di Yakunini per essere protetti e difesi contro gli attacchi dei samurai (uomini a due sciabole), che non amano i Togin, vale a dire gli Europei.
Allorchè si arriva a Yokohama e, dopo aver adempiuto all’ imperiosa necessità degli affari, che vi hanno spinto nel porto principale del Giappone, se si vuol recarsi a Yeddo e visitare la città maravigliosa, è necessario premunirsi contro i casi spiacevoli d’una escursione che presenterebbe grandi pericoli, ove non si fosse circondati da un reggimento di gendarmi del paese, in mezzo ai quali si passeggia, nello stato libero, come prigionieri circondati da agenti di polizia.
In breve, prese tutte le precauzioni, i sei od otto jakunini a cavallo, essendo alla vostra porta ad attendervi, prendete le vostre rivoltelle e vi mettete in cammino.
Prima di partire esaminiamo queste guardie della vita, la cui uniforme è invero molto bizzarra. Il loro copricapo, in cartone-lacca, somiglia molto all’elmo di Mambrino, salvo l’incavatura della barbuta. Un calzone di seta copre le loro gambe, un pastrano a paramani molto rigidi copre il giusta cuore, nella cui cintura sono passate due sciabole molto affilate; i piedi nudi sono cacciati entro pantofole di paglia, ed una doppia sciarpa di seta, assicurata agli anelli dei morsi de’ loro cavalli, serve a questi protettori della vostra vita per dirigere la loro cavalcatura.
Per due strade si può andare da Yokohama a Yeddo: la via di terra e quella di mare. Ordinariamente si segue la prima, ed il paesaggio che si presenta al vostro sguardo da entrambi i lati della strada, è davvero stupendo.
Cosi cavalcando, quando gli stiramenti dello stomaco obbligano il viaggiatore a fermarsi, si mette piede a terra davanti ad una ciùa-jia, ossia caravanserraglio giapponese, casa tenuta con perfetta cura e servita da bellissime giovanette dal vestito elegante e fantastico, dai lucidi capelli adorni di grossi spilloni a pallottole d’oro. In quell’ albergo, il nutrimento è abbastanza primitivo: riso, uova, pesce, confetture sotto tutte le forme, saki, the fortissimo con cui sono mescolate piante inebbrianti, ma assoluta mancanza di carne, selvaggina: nessun nutrimento all’europea.
Il Giapponese, molto sanguinario quando si tratta di fare la guerra all’uomo, arretra davanti all’idea di uccidere un bue, una pecora, un pollo od un’ anitra. La cosa è in questi precisi termini, e si dubiterebbe nel prestare fede a tali racconti, ove non ci fossero confermati da viaggiatori che furono stimati degni dell’ onorevole fiducia, necessaria per visitare il Giappone… ma sempre colla scorta indispensabile alla loro sicurezza personale.
Nelle vicinanze di Yeddo si attraversano boschi estesissimi che coprono tutta la regione, e foreste d’una lussureggiante vegetazione, le cui essenze sono molteplici.
Finalmente si arriva a Sinagama, che è il sobborgo della capitale, in cui risiede il taicun. Questo ammasso d’abitazioni, soggiorno d’uomini appartenenti alla bassa classe, copre tre chilometri di terreno, che fu abbruciato dieci anni or sono; ma due mesi dopo l’incendio fu costruito di bel nuovo, grazie all’attività vertiginosa dei muratori giapponesi ed alle poche esigenze degli abitanti, che si accontentano di quattro muri con porte, finestre ed un tetto. L’interno della casa si compone di una serie di paraventi, col mezzo dei quali si formano camere, gabinetti, e le divisioni indispensabili per la diversità dei sessi ed i differenti bisogni della famiglia. Sinagama nulla ha di particolare pel forestiero.
Yeddo – città dai palazzi e dai giardini – è separata da un’ altra città – Hugié – per mezzo del gran fiume Ohagama. Essa è divisa in tre parti: la prima si chiama Siro; là s’innalza il palazzo del taicun: occupa circa otto chilometri di circonferenza, e si passa e ripassa su trenta ponti innalzati sui canali, attraverso i laghi, per visitare tutto quanto è degno di vedere. Il Soto-Siro serve di residenza ai daimios o signori, principi e nobili dell’impero. Vi si contano più di tremila palazzi, sul frontone delle cui porte si può ammirare il blasone dorato di tutti i proprietari di quelle grandi residenze, ciascuna delle quali contiene l’abitazione particolare del padrone, l’haremme e le sue dipendenze.
È là che son pure aggruppati gli atamothos, altrimenti detti i cavalieri, capitani dell’esercito giapponese, che sono tutti nobili dalla nascita. Si potrebbe designarli, come si usa in Europa e segnatamente in Inghilterra, i cadetti delle famiglie, che si dedicano alla carriera militare.
Le due parti di Siro e di Soto-Siro sono flancheggiate dal Midzi, ossia la città commerciale. La prima parte – quella in cui si trovano le legazioni di Francia e Inghilterra – guarda la baja di Yeddo, dal lato di Yokohama; l’altra costeggia le rive di Ohagama. È là che si occupano esclusivamente del commercio, come nel Hugio, innalzata parimenti lungo l’Ohagama e confinata dall’altra parte da uno dei rami di questo fiume, il Nokagama. Hugio è un’isola vicinissima alla terra ferma ed unita con ponti senza numero cogli altri quartieri e le rive della campagna, dal lato di Simosa.
Ciò che si nota di particolare in queste quattro città giapponesi, che non ne formano che una sola, è che tutti quei quartieri sono abbelliti con giardini dalle siepi di camellie, dai boschetti di lauri bianchi e color rosa, in mezzo ai quali folleggiano augelletti dalle penne dorate e d’argento.
La polizia è mirabilmente tenuta al Giappone e particolarmente a Yeddo. Quanto agli incendj, le precauzioni contro il fuoco sono così numerose, così ben disposte ed ordinate, che dall’alto di scelte torricelle coloro che vegliano alla pubblica sicurezza, scoprono il minimo indizio del fuoco, danno l’all’erta, e vedono accorrere sul luogo del disastro compagnie di pompieri che riescono molte volte ad attenuare il danno.
Le strade di Yeddo sono pulitissime. E come sarebbe diversamente colla quantità d’acqua che circola da tutte le parti nel quartiere imperiale, come negli altri punti della grande città?
Si capirà facilmente come i Togin, che sono tanto privilegiati da poter ottenere l’autorizzazione di visitare Yeddo, provino una grande maraviglia per lo spettacolo che si spiega davanti agli attoniti loro sguardi.
La visita del tempio, fra le altre, offre agli Europei delle sensazioni inaudite. Dappertutto si scorgono grandi viali fiancheggiati da cipressi giganteschi, da folti boschetti, da verdeggianti valli che ricordano agli eruditi i boschi cantati da Virgilio.
Di tratto in tratto tuttavia si scorgono alcune pietre sepolcrali, ricordi di drammi, che commossero il Giappone una cinquantina d’anni fa. Là si ergono davanti a voi le tombe di quarantacinque atamothos; più lungi si vede la cisterna in cui furono gettate le loro teste, da cui sgorgavano rivi di sangue. Avanzandosi ancora, vi viene mostrata la sala del tempio, contenente le statue di grandezza naturale, di quegli eroi giapponesi che, nel delirio dell’entusiasmo, si aprirono il ventre. Togliamo dal sig. Lindau la narrazione vera di questo dramma inaudito negli annali della pazzia.
Un dissenso si era manifestato, in seno del Consiglio di Stato, fra il daimio Athano – Takunino – Kami ed un grande ministro: in seguito ad alcune parole troppo vivaci ed offensive, nelle quali era posto in giuoco l’onore. Athano rientrò nel palazzo, e dichiarò che il suo antagonista aveva insultato il galantomismo e la dignità dei daimios, e chiese alla sua famiglia d’essere vendicato con sanguinosi funerali. Riunendo allora tutte le sue donne e gli ufficiali, fece capovolgere, in segno di lutto, tutte le ricche stuoje della sala d’ onore, e, dopo aver indossato gli abiti più sontuosi, dettò le sue ultime volontà. Quando il suo segretario ebbe terminato di scrivere il testamento, Athano alzò la sciabola fino all’altezza della fronte in segno di saluto, e d’estremo addio, e quindi, con un sol colpo, s’apri il ventre.
Nel dì seguente, il sole era appena apparso sull’orizzonte, che già quarantacinque fra i suoi più fedeli cavalieri ne avevano vendicata la morte, e portata sulla tomba del loro padrone il capo di colui che lo aveva insultato. Ciò fatto, si recarono, secondo le leggi sacre del Giappone, nel tempio di Senga Rutsci, e ad un dato segnale, si aprirono tutti e quarantacinque il ventre.


Questo esempio dei costumi giapponesi – che sono cosi bizzarri in molti altri punti – è davvero terribile. La storia di quegli illustri assassini, che ogni buon Giapponese venera al pari di eroi, è passata già, e verrà tramandata ai posteri allo stato di leggenda della gloria e dell’onore. Del resto queste « aperture del ventre » sono molto frequenti in quello strano paese, ed i nobili ne danno spesso l’esempio.
È d’altra parte stabilito che ogni giapponese deve fare il sacrificio della propria vita per uccidere quegli che osò attentare alla vita del grande taicum. D’altra parte, molto più suscettibili riguardo al punto d’onore, di quel che lo fossero i cavalieri del medio evo, essi sono d’avviso che un oltraggio non può essere realmente vendicato, che colla morte di colui che ne fu l’autore.
Hanno una maniera tutta loro particolare di mettere in pratica quei combattimenti in campo chiuso, in cui « il dito di Dio » si manifestava e giustificava l’assassinio politico designando la vittima come il vero colpevole.
Nel Giappone, da che un assassino ha perpetrato il suo delitto, si apre il ventre per mostrare che egli sa tollerare la morte come seppe darla ad altri. Nel caso in cui sopravvivesse al suo delitto, sarebbe trattato da vile, e gli esecutori della legge gli infliggerebbero l’estremo supplizio; ma se il reo si fa giustizia da sè stesso, la sua memoria è venerata come quella di un eroe.
Accade soventi volte che i due avversari stabiliscano un’ora per aprirsi il ventre, ciascuno in casa sua; e ciascun mantiene scrupolosamente la data parola. Questo modo d’agire se è molto notevole dal punto di vista dell’onore, è grandemente da stigmatizzarsi riguardo allo incivilimento, poco avanzato del resto nel paese retto dal taicun.
Ecco una storia delle più vere, narrata da un marsigliese che abita a Yeddo ed a Yokohama fin dal 1869.
In un giorno di maggio del 1874, il principe Satzuma ed il daimio Nagato, due potenti signori di Soto-Siro, si erano incontrati in una delle vie del loro quartiere, e nè l’una nè l’altra delle loro numerose scorte volevano cedere il passo. Il primo dei due signori mandò il capo delle sue genti, chiamato Ima-marha, a parlamentare col capitano del suo collega, Inano-kami. Da tale abboccamento si ebbe questo risultato, che i due uomini s’interrogarono e vicendevolmente si risposero in modo grossolano. Il principe Satzuma, discese allora dal palankino in cui era portato, ed avanzatosi verso il luogo in cui stava il daimio Nagato, gli diresse mille ingiurie grossolane, intimandogli di ritirarsi da un lato per lasciarlo passare.
Nagata tenne in niun calcolo quelle parole poco cortesi, ed a sua volta colmò Satzuma d’ingiurie. Si venne alle mani e la vittoria restò a Nagato che colpi due volte Satzuma sul volto, e lo inseguì a calci fino al palazzo di proprietà del vinto.
Appena tornato in casa ed ivi riuniti i fuggitivi, Satzuma li fece disporre in mezzo alla corte, e tenne loro press’ a poco questo discorso: – Vassalli miei, il vostro padrone fu seriamente offeso. Secondo l’antica usanza, io non posso sopravvivere all’ onta mia, ma vi scongiuro di vendicarmi; e conto su voi perchè questa vendetta sia terribile, e la storia del Giappone ne abbia a parlare. O amici miei, io sto per separarmi da voi togliendomi la vita, ma non dimenticate ciò che è dovuto alla verginità dell’onore di Satzuma.
Ciò detto, il nobile signore s’apri il ventre senza batter ciglio.
Appena ebbe reso l’ultimo sospiro i suoi servi lo collocarono su un letto di parata, e coprirono il suo corpo con fiori e profumi.
Poi pensarono ad eseguire gli ordini del loro illustre padrone. A tale effetto cinque fra i più valorosi atamothos del principe Satzuma s’imboscarono vicino al palazzo di Nagata, in attesa che questi al tramonto ne uscisse per recarsi, come di consueto, a porgere i suoi omaggi al sovrano. Nagata usci infatti dalla sua signorile dimora, portato in un palanchino riccamente decorato e scortato da dieci schiavi.
Aveva attraversato di soli cinquanta passi la soglia del palazzo, che i cinque atamothos si scagliarono sulle sue genti: parte delle quali trucidarono, e parte misero in fuga; poi, gettandosi su Nagata, Ima-murha con un colpo di spada gli tagliò la testa.
Impossessandosi subito di quel sanguinoso trofeo, ritornò verso il palazzo del suo padrone, seguito da’ suoi quattro amici, ed andò a deporlo sul letto in cui giaceva Satzuma.
– Eccoti vendicato, signore! esclamò. Ed ora noi tutti veniamo a raggiungerti nel soggiorno dei beati. E di mutuo accordo i cinque atamothos, sguainando la loro sciabola la meglio aguzzata, la meglio affilata, si forarono il ventre aprendo la ferita, finchè le loro budella ne uscirono e la morte giunse a strapparli ai tormenti.
La memoria di Satzuma era onorata e salva. I cinque che s’erano uccisi avevano mantenuto la loro parola, essi lo avevano vendicato.
I loro resti mortali vennero trasportati nel tempio di Senga-Rutsci, dove furono collocati nella stessa tomba col corpo del loro padrone.

Articolo tratto da: Giornale illustrato dei viaggi e delle avventure di terra e di mare, Volume 1
Digitalizzato da Google Libri


Seppuku e Harakiri

Sebbene siano quasi equivalenti, provengono da due ideogrammi diversi.

Setsu – Taglio”
Fuku – Ventre”

I giapponesi con Seppuku intendono il taglio dello stomaco, mentre con Harakiri taglio della pancia.

Hara = pancia
kiri = tagliare

Il suicidio con il metodo Seppuku ha una maggiore solennità, e viene eseguito poi il kaishaku, o decapitazione, mentre l’Harakiri veniva perlopiù eseguito da persone non nobili.