MADONNA D’OROPA

SANTUARI DEL PIEMONTE – BIELLA

Sulle montagne alle spalle della città biellese chiamate Oropa sorge, in un magnifico tempio, una cappella dedicata alla Madre di Dio. È una meta di pellegrinaggio che attira non solo italiani, ma anche stranieri. L’immagine della Beata Vergine che vi si venera è realizzata in legno di cedro ed è sempre stata considerata opera di san Luca.

Nel IV secolo, in un’epoca in cui gli ariani perseguitavano i cristiani, sant’Eusebio, vescovo di Vercelli nel 351, fu inviato dal papa come legato a Gerusalemme; secondo altri l’imperatore Costanzo lo fece rinchiudere in una gabbia di ferro e così trasportato in Palestina dove rimase per sei anni. Lì apprese, per rivelazione, il luogo dove si trovavano tre statue realizzate da San Luca. Quando fu libero, andò a prenderle, le riportò indietro, ne regalò una a Cagliari, sua terra natale, in Sardegna; la secondo al comune di Créa, nel marchesato del Monferrato; quanto alla terza, che era la più bella, la riportò a Vercelli e la collocò nel suo duomo; costretto a fuggire davanti agli Ariani, si ritirò sul monte Oropa e depositò il suo prezioso tesoro in una grotta. Per evitare che la statua si deteriorasse, fece costruire una modesta cappella con l’aiuto di poveri montanari. Questa fu l’ultima opera di Eusebio il quale, ritornato a Vercelli, ivi fu lapidato dagli Ariani nel 351.

Intorno all’anno 542 o poco dopo, la cura del santuario e della statua fu affidata ai Benedettini che, per soddisfare i desideri dei numerosi pellegrini che accorrevano sul monte, edificarono una chiesa comprendente al suo interno la piccola Cappella.

La storia tace fino al 1030. In quell’epoca un’enorme valanga di neve, precipitandosi sul convento, seppellì tutti i monaci, tranne uno che riuscì a scampare al disastro. Nel 1184 vi si stabilirono i Cistercensi o Benedettini riformati da San Bernardo, abate di Chiaravalle, che vi rimasero per quattro secoli, finché papa Pio II affidò, nel 1459, l’amministrazione del santuario ai canonici di Saint-Étienne, a Biella.
Nel XII secolo la pietà ai piedi della Madonna crebbe ulteriormente; il vescovo e principe di Vercelli, Uguzione, eresse in questo luogo il suo castello e lo rese abitabile; altre famiglie nobili vi costruirono i loro palazzi che furono l’origine della città di Biella.

A metà strada, tra Biella e Oropa, c’è un piccolo paese chiamato Favaro. Nel XII secolo un povero eremita vi costruì un oratorio e pose una statua simile a quella venerata sul monte Oropa, facendo credere alla alla popolazione che si trattava della statua riportata da Sant’Eusebio. I canonici di Saint-Étienne contattarono il vescovo di Vercelli per rimuovere questa falsa statua e riunire l’oratorio con la Madonna d’Oropa.

Rifletterono allora che l’ubicazione dell’oratorio era più idonea ad attirare i pellegrini rispetto a quella del quasi inaccessibile santuario, soprattutto nel periodo invernale, e valutarono di calare lì la statua. Poco dopo hanno voluto realizzare questo progetto; formarono un corteo guidato dal vescovo stesso, tolsero la statua dalla nicchia e si prepararono a trasportarla; ma avevano appena fatto pochi passi che divenne così pesante che era impossibile trasportarla ulteriormente. Avvertiti da questo fatto, così contrario alle leggi naturali, videro un ordine provvidenziale e riportarono la statua nel suo santuario originario.

Così la statua quindi non lasciò mai la sua montagna.

Alla metà del XVI secolo, avendo i francesi invaso il Piemonte, fu profanata dagli invasori e nascosta da mani pie. Dopo questa scomparsa fu ritrovata, intorno al 1596, tra due rocce senza aver subito alcuna alterazione. Sorse allora un nuovo santuario, più bello dei precedenti e degno dei pellegrini che, in numero di trecentomila, vennero lì per celebrare la Natività e l’Assunzione della Madonna.

Nel 1620, Giacomo, vescovo di Vercelli, pose sul capo della Madonna una triplice corona alla presenza di oltre cinquantamila spettatori. Tra i tanti miracoli che la Beata Vergine compì ad Oropa, citiamo un personaggio al quale restituì la lingua che gli era stata strappata dai briganti.

Nel 1844 Canina ricevette l’incarico di elaborare un colossale progetto per una nuova basilica. Lasciò quella vecchia su un lato dell’atrio e costruì a un’estremità un’immensa chiesa.

Da: La Sainte Vierge: études archéologiques et iconographiques, Volume 2
Di Charles Rohault de Fleury

Digitalizzato in Google Libri


IL SANTUARIO DI OROPA

Nel massiccio delle montagne alle spalle della Svizzera, che termina a nord-est con il Piemonte, c’è un piccolissimo altopiano che la natura sembra aver creato appositamente per farne il centro di un delizioso rifugio. Lì, nei pressi del torrente Oropa, sorge il santuario omonimo dedicato alla Vergine, la cui statua attira costantemente bande di pellegrini desiderosi. Quando lo si raggiunge, dopo aver attraversato, con una strada sulle pendici dei monti, profonde gole con pareti ripide, ci si trova in un emiciclo, chiuso nella parte settentrionale da scarpate a malapena abilmente accessibili, e aperto a mezzogiorno sulle immense e ricche pianure irrigate dal Sesia e dal Ticino.
Dalla cima della terrazza naturale che termina bruscamente l’altopiano, si vede prima ai suoi piedi un miscuglio di boschi, anfratti, letti di torrenti e cime verdi punteggiate di borghi e casolari; alzando gli occhi oltre, si spazia su una parte del Piemonte e della Lombardia, fino ai dintorni di Vercelli, Novara e perfino Milano; assistiamo ad uno di quegli splendidi spettacoli che cercavano le anime religiose quando, stanche delle guerre e delle lotte civili, si rifugiarono in eremi di difficile accesso, per dedicarsi alla preghiera, alla contemplazione, e ai culti della Vergine e dei santi.

La fondazione del santuario risale a Sant’Eusebio, vescovo di Vercelli nel IV secolo. Esiliato dalle persecuzioni religiose, si recò in questo asilo dove, secondo una tradizione accettata di tutti i pellegrini, aveva nascosto in una roccia la statua della Vergine, la cui antichità era già a quel tempo rispettabile poiché veniva attribuita (secondo la tradizione) allo stesso san Luca, che ne sarebbe stato lo scultore.

Successivamente sant’Eusebio sarebbe arrivato a rimuovere la statua dalla roccia e avrebbe costruito per essa la piccolissima cappella inferriata dove è tuttora installata, che fu poi circondata da una cappella più grande, che oggi è quella del convento.

La statua della Vergine e la statua del bambino Gesù, che lei tiene sul braccio sinistro, sono completamente nere. I vestiti sono molto ricchi, e la pietà dei fedeli li ricopriva di gioielli d’oro e d’argento, pietre preziose e diamanti. La fede nel potere miracoloso di questa statua sembra essere in aumento, a giudicare dal numero di pellegrini che attualmente varia tra gli ottanta e i centomila all’anno. È giusto dire che in montagna le vie di comunicazione stanno aumentando e che stanno migliorando molto; ma non è per questo meno curioso, per un residente di Londra, Parigi o New York, di essere nel Santuario d’Oropa in pieno Medioevo. I piemontesi più titolati che arrivavano con le loro eleganti carrozze, le famiglie borghesi portate dalle auto pubbliche e le bande di contadini che arrivavano a piedi, si davano gomitate nei cortili, nei chiostri e nei corridoi; tutti insieme si inginocchiano nella cappella davanti alla statua, o per terra, all’aria aperta, davanti all’altare che viene eretto in fondo a un cortile, nei giorni di festa; tutti fanno inoltre le loro pie stazioni fianco a fianco davanti alle diciassette cappelle speciali poste sui tumuli adiacenti al convento; e mai, in tutta questa variegata popolazione, si coglie un sorriso sulle labbra di qualcuno per le espressioni spesso ingenue di rispetto e adorazione offerte come spettacolo da ferventi fedeli.

Il convento regala a tutti i visitatori, ricchi o poveri, la libera ospitalità della camera, del letto e delle lenzuola, per tutta la durata della novena. E se da un lato riceve un’offerta dai nobili, dai borghesi e dai contadini facoltosi, dall’altro distribuisce una zuppa due volte al giorno a tutti coloro che si presentano alle cucine. Non è una piccola carità, perché la folla è a volte tale che il numero dei pellegrini superi i cinquemila. In queste circostanze, è comprensibile che il convento non possa assegnare una cuccetta a ciascuna persona, perché ha poco più di mille letti e seimila paia di lenzuola da offrire agli stranieri. Inoltre, ad eccezione di un certo numero di visitatori che godono di stanze separate con due e talvolta tre letti, la massa dei pellegrini è distribuita in grandi stanze che formano dormitori, dove, a seconda dei casi, dormono da soli o in coppia come nei villaggi, ma dove nei momenti di pressa ci sono tre persone sdraiate sui materassi e tre sul pagliericcio dei grandi letti matrimoniali. Tutti questi letti sono buoni; le lenzuola sono di notevole candore, e molto pulite sono le stanze, di cui due o trecento sono sufficientemente arredate, con graziosi cestini di ferro, molle, cuscini, tavoli, poltrone e segretari, tende alle finestre, ecc.

Accade talvolta che il numero dei pellegrini superi i limiti massimi abituali, e che verso sera arrivino processioni inaspettate. Tuttavia, esse trovano riparo sia nella cappella che rimane aperta tutta la notte, sia nelle gallerie dei chiostri, la cui lunghezza totale supera un chilometro, e che circondano tre cortili che occupano una superficie di oltre due ettari.

In questa vasta distesa, le processioni circolano senza difficoltà in mezzo alla folla. I paesi circostanti si alternano al convento, spesso più volte all’anno, alcuni salendo dalla pianura o dai livelli più bassi della montagna; altri scendono dai punti alti. Le distanze più lunghe non li spaventano, l’anno scorso, gli abitanti del villaggio di Greyssonnet camminarono in processione, digiunarono, per quattordici ore, dopo aver ricevuto l’assoluzione, e si presentarono al mattino alla messa delle nove ore per ricevere la comunione. Il loro sacerdote era in testa, seguito dalla croce e dallo stendardo.

Non tutti i visitatori sono così zelanti. Un gruppo di semplici turisti sono spesso scivolati in mezzo al branco; ci sono amanti del curioso e del raro, ecc. Esiste anche l’abitudine nelle famiglie più ricche e borghesi, in Piemonte e perfino in Lombardia, di venire a trascorrere nove giorni al Santuario d’Oropa, semplicemente con lo scopo molto mondano e sensuale di sfuggire al caldo intenso della pianura, di vivere in società tra loro, e quindi aggiungono ai benefici spirituali che la religione offre loro, il godimento dell’aria fresca di montagna e il salutare relax delle passeggiate alpinistiche attraverso luoghi pittoreschi.
I buoni padri lo sanno bene; ma chiudono gli occhi, contando sull’esempio dei ferventi per scaldare i tiepidi, raccogliendo di tanto in tanto alcune conversioni, e giudicando inoltre che le eccezioni sono perse e scompaiono nel flusso religioso di queste masse religiose piene di fede, che si prostrano ai piedi della Madonna senza sentimenti diversi da quelli di fervente contemplazione e dell’assoluta adorazione.

L’altopiano di Oropa, il convento e i suoi immediati dintorni, furono perfettamente adattati alla loro destinazione dal lavoro ingegnoso di uomini applicati su terreni tormentati. È un susseguirsi di terrazzi e balaustre che si sovrastano l’uno sull’altro, di fossati ampi e profondi arricchiti di colture orticole, di costruzioni alte e massicce che circoscrivono immensi cortili, di chiostri interminabili sorretti da innumerevoli pilastri, di cappelle a profusione sparse sulle colline. Tutt’intorno, i prati lisci, in dolce pendenza, irrigati da limpidi ruscelli, si estendono sotto ombrosi poggi da cui sgorgano rumorose cascate; oltre, le rampe accuratamente disposte si intersecano in curve bianche che contrastano con il verde e accentuano i rilievi del terreno; poi gli stretti sentieri che si affacciano sui burroni a strapiombo; ed infine, in fondo all’emiciclo, si elevano ardite scarpate dove grandi massi si forano da ogni parte e le cui pareti sono squarciate dalle acque torrenziali abilmente trattenute nei loro letti inferiori. Tutti questi dettagli pittoreschi sono animati da vicino e da lontano dai pellegrini che arrivano, che partono, che circolano in tutte le direzioni, a volte mormorando le loro preghiere, a volte recitando ad alta voce le litanie della Vergine, inginocchiandosi qui, prostrandosi là! Certo, sarebbe difficile trovare per gli abitanti delle grandi città un insieme di bellezze naturali e di opere umane più curiose, uno spettacolo più fecondo di pensieri seri!

Ciò che ancora colpisce i visitatori è l’ordine e la tranquillità che regnano all’interno di questa folla brulicante, dove non esiste polizia armata, fatta eccezione per due carabinieri chiamati alle principali feste quattro o cinque volte l’anno. Anche molto raramente vediamo circolare lì alcuni monaci del convento. Il padre rettore attribuisce quest’ordine e questo silenzioso rispetto all’azione segreta e meravigliosa della Vergine. Senza ricorrere al miracolo, è facile comprendere che gli ospiti del santuario, arrivando con pie idee e progetti di preghiere o invocazioni, sono naturalmente più raccolti di quanto lo sarebbe qualsiasi altra popolazione raccolta per scopi di piacere o politici. Nessun fatto dimostra più chiaramente la sincerità della devozione dei visitatori della pace e della serenità che regnano tra le folle che affollano il Santuario.

Per raggiungere questo luogo consacrato è necessario fermarsi alla stazione di Biella, una piccola cittadina molto industriale situata al termine di una piccola diramazione collegata alla ferrovia da Torino a Milano. Vi sono numerose locande, con un numero incredibile di automobili, il cui scopo principale è quello di servire i viaggiatori diretti ad Oropa. La salita, di circa dodici chilometri, dura circa tre ore; la discesa si effettua in un’ora; sicché, scegliendo opportunamente il treno ferroviario, si può partire da Torino la mattina e ritornarvi la sera, dopo aver visitato il convento e avervi cenato, e anche con una buona cena.

Quest’ultimo punto non è privo di importanza, a quanto pare! in montagna è molto frizzante e l’appetito si fa sentire anche quando non è sovreccitato da faticose passeggiate. A questo hanno provveduto i padri. Nel cortile principale, a destra e a sinistra, si trovano due grandi ristoranti, targati Croce Rossa e Croce Bianca, che offrono a prezzi molto contenuti tutto ciò che un visitatore può desiderare; un buongustaio, anche se un po’ raffinato, sarebbe abbastanza soddisfatto di certi pranzi che ci venivano serviti al ristorante Croix-Blanche, al prezzo regolamentare di tre franchi a testa.

L’attuale cappella del convento, pur circondando l’originaria cappella della statua, è diventata troppo piccola, poiché la domenica e i giorni festivi è necessario celebrare la messa nel cortile più grande dello stabilimento. Anche al visitatore viene mostrato, in una stanza, i piani e il modello in rilievo di una magnifica chiesa… da costruire. Il luogo è individuato dietro il convento, al primo livello della scarpata che si innalza a perdita d’occhio sul fondo dell’emiciclo. Ci sono già gli inizi delle fondazioni; ma il terreno è difficile e costoso da preparare. La piazza dovrà trovarsi all’incirca all’altezza dei tetti più alti del convento, la chiesa monumentale che coronerà questa serie continua di prati, cortili, terrazze ed edifici, che si estende sempre dall’estremità meridionale. dall’altopiano di Oropa, affacciato sulle gole della montagna, al fondo dell’emiciclo; produrrà quindi l’effetto più meraviglioso su tutti gli abitanti e i viaggiatori della pianura che potranno vederlo.

Dalla stazione ferroviaria di Biella, e da molti altri punti, si vedono chiaramente le masse degli edifici di Oropa a metà della montagna; tuttavia non possiamo definirne la destinazione. Ma quando la chiesa, sormontata dal suo alto campanile, dominerà questo gruppo di edifici, darà il vero carattere che gli appartiene; sarà come l’ultima parola, il pensiero supremo, e riassumerà per le popolazioni religiose le loro aspirazioni al cielo.

Dal punto di vista paesaggistico pittoresco, i turisti devono quindi visitare il Santuario d’Oropa, e unirsi ai pellegrini per incrementare le donazioni annuali destinate all’erezione della chiesa, i cui lavori languono per mancanza di fondi sufficienti. Non resta che imitare i villaggi e gli abitanti del paese: raramente arrivano a mani vuote.

Durante il nostro soggiorno a Oropa vedemmo una vecchia contadina arrampicarsi a fatica, con una stampella in mano, sulle salite della strada, e piegarsi sotto il peso di alcuni enormi fasci di filato.

– Sei molto stanca e carica, buona donna. Cosa vi serve a fare per portare tutta questa merce così in alto?

– Ma, mio buon signore, è per la Madonna! La Madonna ha bisogno di tante lenzuola per mettere a letto la gente, pensi! E come pensate che la Madonna possa farlo se non le portiamo del filato?

In verità non avevamo nulla a cui rispondere, essendo noi stessi tra coloro che giacciono tra le belle lenzuola della Madonna. Questo è tutto. Devi donare alla Madonna affinché possa ospitarti e dormire; dobbiamo donare affinché abbellisca i paesaggi aperti a tutti gli stranieri, e dentro i quali ha recentemente celebrato il quattordicesimo o quindicesimo centenario del convento!

Prendiamo un altro punto di vista, e consideriamo che se l’altopiano di Oropa fosse stato preso da un principe o da un ricco borghese per edificarvi un castello di piacere, il proprietario se lo godrebbe da solo con la sua famiglia e pochi amici; ma, consacrato dal pensiero religioso, questo luogo privilegiato, questo spettacolo eccezionale, è come proprietà di tutti.

È sia la proprietà dei poveri che del penitente di campagna che depositerà la sua offerta di canapa che ha seminato, come un filo che ha filato, quanto quello dell’opulento Marchese, i cui antenati possono aver ceduto una parte della terra che il Santuario possiede oggi. Entrambi godono della cosa comune davanti a Dio; certamente anche l’intima e dolce soddisfazione di presentare un frutto del proprio lavoro alla divina Madonna occupa nella vita degli umilissimi pellegrini un posto molto più importante e fruttuoso nella vita del grande signore rispetto alle monete d’oro che verserà nelle mani del rettore.

A chi appartiene di più e meglio il Santuario di Oropa, al piccolo pellegrino o al personaggio potente?

Dall’8 al 16 agosto 1871. Sala K. vi.

Da: Magasin pittoresque
Digitalizzato in Google Libri