LE PERSECUZIONI DEI CRISTIANI

BREVE STORIA DELLE DIECI PERSECUZIONI DEI CRISTIANI
SOTTO GL’IMPERATORI (1).

Prima persecuzione (64-68). – Nerone accusando i Cristiani dell’incendio di Roma, fa condurre prigioni Pietro e Paolo. Si pubblicano editti contro la loro religione, e i fedeli suppliziati nelle provincie, sono a Roma crocefissi a guisa di schiavi, ovvero coperti di ferine pelli si divorano dai cani, o vestiti di materie infiammabili servono, ardendo, ad illuminar di notte i giardini di Nerone. Paolo è decollato, e Pietro crocefisso sopra il Gianicolo (2).

Seconda persecuzione (95). – Fu essa cagionata dal rifiuto di pagare la capitazione idolatrica, imposta per la riedificazione del Campidoglio. Domiziano, turbato dalla potenza promessa alla stirpe di Davide, saputo che v’avea Cristiani di questa stirpe, si fe’ venire innanzi ed interrogò i due nipoti di Giuda (3). La loro povertà lo assicura, e li rimanda disprezzati. Ma spietato coi Cristiani, non risparmiò neppure i suoi parenti. Flavio Clemente, nipote di Vespasiano, fu messo a morte uscendo dal consolato; e Flavia Domitilla, sua moglie, rilegata a Ponzia. Morì per la stessa causa Acilio Glabrione console; e Giovanni apostolo, condotto a Roma, fu immerso nell’acqua bollente innanzi alla Porta Latina, quindi esiliato a Patmos.

Terza persecuzione (106). – Dopo il pacifico reggimento di Nerva, un decreto di Trajano contro le conventicole segrete porse nuovo pretesto di tormentare i Cristiani. Fu bruciata, a Ponzia, Flavia Demitilla nella propria casa, dopo scannati parecchi dei suoi servi. Evaristo, quarto successore di Pietro, e Simeone, secondo vescovo di Gerusalemme, morirono fra’ martirj. Trajano interrogò e condannò egli medesimo Ignazio III, vescovo d’Antiochia, mandandolo a Roma per essere colà divorato nell’anfiteatro. Da una lettera di Plinio apparisce che la persecuzione era generale, ed il numero de’ Cristiani assai riguardevole (1).
Trajano prescrisse che non se ne facesse indagine; ma se accusati e convinti, si dovessero punire. Dappertutto sorgevano sedizioni contro di loro, nè si attutavano se non mediante il supplizio di alcuni Cristiani. Lo stesso avvenne sotto Adriano.

Quarta persecuzione (166-177). – La seconda apologia di Giustino non commosse punto Marco Aurelio, il quale odiava i Cristiani come filosofo, e incrudelì contro loro come principe. Questa persecuzione, attribuita ai consigli di Frontone e di Crescenzio, fu segnalata dal martirio di Tolomeo e di Giustino. A Smirne pagani e giudei domandarono la morte di Policarpo, dottore dei Cristiani, e poichè il combattimento delle fiere era terminato, gridarono: «Ch’ ei sia abbruciato vivo!» ed accorsero, principalmente i giudei, a cercar legna pel rogo. Ma un fatto straordinario procurò ai Cristiani un rescritto propizio. Marco Aurelio era stato indotto dai Marcomanni in un luogo difficilissimo, ove le sue soldatesche, vicine a perire, cadevano malgrado delle sue esortazioni, de’suoi voti e de’ suoi sacrifici (174).
Improvvisamente dense nuvole coprono il cielo, e una pioggia abbondante scende a rinfrescare i Romani, intantochè lampi, fulmini e venti impetuosi disperdono i Barbari atterriti. I pagani attribuirono questo prodigio all’arte dei magi od alle preghiere di Marco Aurelio: Melitone, Atenagora ed Apollinare, apologisti, l’attribuirono invece alle preghiere della legione Melitina, soprannominata fulminante, composta tutta di fedeli. Si riferisce con molta verisimiglianza, scrive Fleury, un rescritto favorevole dell’imperatore, come una risposta all’apologia di Melitone. Ed infatti la persecuzione rallentò un momento; ma tosto rincappellò.

Quinta persecuzione (199-204). – Un rescritto di Severo che denunziava al prefetto di Roma tutti coloro i quali tenessero adunanze illecite, commosse di nuovo tutte le provincie. In quel tempo chiamavano i Cristiani gente da palo e da sarmento (semaxii e sarmentitii), perchè e’ s’appiccavano ai pali e legavansi con sarmento per abbruciarli.
Nell’occasione che si celebrarono i giuochi secolari (202), s’accrebbe vieppiù la crudeltà fanatica dei pagani, e martiri innumerevoli sparsero da ogni parte il proprio sangue. In Alessandria, i pochi preti che scamparono al carnefice, presero la fuga.

Demetrio vescovo, sforzato pur esso a cercarsi un asilo, commise ad Origene l’uffizio di catechista, e così un giovanetto di diciassette anni sostenne la seconda chiesa del mondo contro il più altero ed il più impetuoso dei principi. Il giovane Plutarco e parecchi de’ più chiari discepoli di Origene, come altresì Leonida suo padre, ebbero a sostenere il martirio. Egli stesso, obbligato a nascondersi, parecchie volte scoperto, strascinato dalla plebe per le vie e torturato, confessò coraggiosamente la fede. I più illustri martiri di quest’epoca furono, nell’Africa, i dodici scillitani; a Cartagine, Saturnino, Felicita e Perpetua; a Lione, il vescovo Ireneo; a Roma, ove la persecuzione fu sempre più fiera, il papa Vittore.
Non risparmiavano neppure la fanciullezza, e percossero spietatamente un bambino di sette anni, figliuolo della nutrice di Caracalla che era cristiana. Spesso suppliziavano i fedeli senza processo, e se taluno toglieva a difenderli: E anche tu hai viso d’esser cristiano, diceva il giudice, e lo facea morire o batter di frusta.

Sesta persecuzione (235-258). – I Cristiani ebbero a soffrire sotto Massimino, che si vendicava in essi delle cospirazioni formate contro lui, delle disgrazie dell’imperio e del favore concesso da Alessandro. I vescovi furono principalmente ricercati, e le chiese, in cui i fedeli si adunavano, date alle fiamme. Dopo la morte del tiranno v’ebbe un breve riposo fino a Decio. Origene scrisse parecchie volte con generoso ardire a Filippo, e corse voce che Filippo e il figliuolo di lui fossero Cristiani. Certo è che questo imperatore regnò mansuetamente, riformò i costumi romani, e tolse ai poeti con una legge il privilegio di sparlare o di scrivere impunemente.

Settima persecuzione (250-252). – Decio, nemico dei Cristiani, come quelli che dovevano desiderare Filippo, volle assodarsi nella sua autorità sostenendo gl’iddii vacillanti. Sì atroce fu la persecuzione sotto il regno suo, che lo stato anteriore pareva in confronto uno stato di libertà perfetta. Prima vittima fu Fabiano papa. La vigilanza de’ magistrati impedì per sedici mesi al clero
di Roma di eleggere un successore. I Cristiani dicevano che l’imperatore patirebbe più volentieri
in Roma un competitore al trono, che non un vescovo
.
Nuove e lunghe torture, terribili apparati, schiere di carnefici non lassi mai, tormenti atroci
per ogni parte del corpo e tali che non togliessero la vita, tutto fu posto in opera. Alcuni vescovi soccombettero essi pure; e molti Cristiani vinti prima di combattere, s’affrettavano ai sacrificj od all’apostasia, pallidi e vergognosi della propria viltà. La maggior parte di costoro cadevano schiavi delle proprie dovizie. Quei che offrivano incensi agl’idoli furono marchiati col nome ignominioso di caduti (lapsi). Quelli che compravano dagli avari magistrati un’attestazione d’aver adempiuto ai riti prescritti, dicevansi libellatici.
Parecchi, dubbiosi del proprio coraggio, seguendo il precetto del Vangelo, fuggirono e morirono di travagli e di stenti. Altri restarono nel deserto, e v’istituirono la vita monastica, martirio più lungo nè meno difficile. Ma illustri esempj sostennero la gloria del nome cristiano. Babila, vescovo d’Antiochia Alessandro, vescovo di Gerusalemme, vergini, giovanette, fanciulli, vecchi infermi stettero saldi contro i tormenti. A Cartagine si esponevano i martiri, il cui corpo era già fatto una sola piaga, all’aculeo delle api. Ad Alessandria bruciavano i Cristiani a fuoco lento. Nella Tebaide li immergevano unti di miele nell’olio bollente. In Siria li stendevano su graticelle infuocate: altrove li lapidavano, li crocifiggevano.
Origene, che aveva allora sessantasette anni, fu perseguitato con accanimento straordinario. Pareva che, lui caduto, dovesse rovinare la chiesa; epperò fu messo in carcere, annodato con un collare di ferro, disteso per parecchi giorni sopra un cavalletto; ma gli era lasciato sperare un supplizio che gli terminasse la vita.
Dopo una breve tregua i furori si rinnovarono. Gallo, per placare la peste che infieriva nell’imperio, ordinò sacrifizi in onore di Apolline, ed eccitò ancora il zelo degl’idolatri contro i Cristiani. Cornelio papa morì in esilio: Ippolito prete e falangi intiere di fedeli furono messe a morte. Il popolo di Cartagine gridò di nuovo, come sotto Decio: «Cipriano ai leoni!» ed il santo vescovo dovė, fuggendo, salvare per la seconda volta la propria vita necessaria al suo gregge.

Ottava persecuzione (258-260). – In capo a tre anni, scorsi assai tranquillamente sotto Valeriano, Macriano, ministro ambizioso e dotto di magia, ottenne un rescritto contro i Cristiani, che riguardava come suoi proprj inimici. Cipriano fu decollato. Nove vescovi, molti preti, e vergini, e fedeli, battuti col bastone, furono quindi condotti alle miniere di Mauritania e di Numidia, il giorno i piedi ne’ ferri e la notte ne’ ceppi. Stefano e Sisto, papi, furono morti: Lorenzo diacono perì abbrustolito. Ad Utica, trecento martiri, piuttostochè sacrificare, si gittarono nella calce viva apprecchiata a dar loro la morte. Il cristianesimo tuttavia rinasceva continuamente dalle sue ceneri, e convenne inseguire perfino nella Gallia settentrionale Dionigi ed i suoi compagni, i quali dopo evangelizzati nuovi popoli versarono il loro sangue sulla collina detta quindi Monte de’ martiri (Montmartre) presso Lutezia. Tutte le provincie furono travagliate con pari crudeltà.

Gallieno, sottentrato a suo padre schiavo dei Persiani, ordinò la restituzione delle chiese e dei cimiteri, e permise l’esercizio pubblico della religione cristiana, la quale tolleranza è tanto più degna di nota; chè egli amava i sofisti, e specialmente Plotino e Porfirio discepolo di lui. Quegli insegnava a Roma la filosofia ecclettica fino dal 244.
Pare che il cristianesimo gl’inspirasse piuttosto emulazione che odio; epperò tentava d’emulare le virtù cristiane: coi costumi e cogli scritti s’acquistò egregia fama. Narrano che chiedesse all’imperatore una piccola città diroccata della Campania, per piantarvi una colonia de’ suoi neoplatonici, ed attuarvi la repubblica di Platone. La gelosia dei cortigiani, e fors’anco l’indolenza del principe, non consentirono l’esecuzione del disegno. Ma i sentimenti di Porfirio, che gli doveva succedere (270), presagivano nella nuova scuola un animo assai diverso. Non ci meravigliamo, diceva egli, che da tant’anni Roma sia afflitta dalla peste, quando Esculapio e gli altri iddii si sono partiti da noi; perocchè da quando s’è cominciato ad adorare Gesù Cristo, nessuno ha più ottenuto pubblicamente la protezione degl’ iddiï.

Nona persecuzione (275). – Aureliano che la pensava così pur esso, ritornò all’antica politica. I sanguinosi editti di lui procacciarono a papa Felice ed a parecchi fedeli delle provincie la corona del martirio. Morto Aureliano, successero vent’otto anni di tregua, benchè, durando le antiche leggi, il capriccio d’un governatore bastasse per mandare i Cristiani al supplizio. Laonde, imperante Caro, Agrestio Comazio, vicario del prefetto di Roma, pronunziò parecchie condanne, fintantochè fu convertito da Sebastiano Centurione. Massimiano imperatore, passando in Gallia a combattere i Bagaudi, fe’ strage della legione Tebea che rifiutava partecipare ai sacrifizj, e presedette egli medesimo alle torture del centurione Vittore. Rictio Varo anch’esso incrudelì nella Gallia, e il sangue dei martiri bagnò il suolo della Gran Bretagna.

Decima persecuzione (303-313). – Diocleziano, la cui esaltazione (284) ebbe nome di era de’ martiri, cedè finalmente alle altere importunità di Galerio, il quale aveva decretato in un consiglio di stato straordinario, giusta l’avviso de’ sofisti, la distruzione del cristianesimo e delle sante scritture. Addì 23 febbrajo 303, giorno delle feste terminali, il prefetto del pretorio fe’ abbattere le porte della chiesa di Nicomedia, bruciare i libri santi e demolire l’edifizio. Il dì vegnente fu pubblicato un primo editto: tutte le chiese fossero demolite e i loro beni tratti al fisco; i libri dei Cristiani si consegnassero ai magistrati per essere arsi; pena il capo a chi tenesse conventicoli secreti.
I Cristiani, liberi, esclusi da ogni onore od ufficio pubblico, gli schiavi, privati d’ogni speranza di libertà. I giudici potevano accogliere qualunque accusa contro i Cristiani; nessun diritto a questi di richiamarsene. Un secondo editto ordinò s’incarcerassero i vescovi; e un terzo si mettessero in libertà i Cristiani che avessero sacrificato, gli altri tutti proscritti. Un cristiano, ne ignoriamo il nome, ardì stracciare quel primo editto. Preso, arrostito a lento fuoco, e fra gli spasimi d’una atroce morte insultava col sorriso al furore dei suoi carnefici.
Tanta fermezza destò spavento ed ira in Diocleziano. Galerio rinfocò l’odio, e fece appiccare il fuoco due volte in quindici giorni al palazzo imperiale di Nicomedia, accusandone i Cristiani. Allora cessò ogni riguardo. La persecuzione durò dieci anni, e superò tutte le persecuzioni passate per la crudeltà dei tormenti e quantità dei martiri. Le prigioni erano ingombre di vescovi e di preti, talchè non più vi capivano i malfattori. Innanzi ai tribunali rizzavano altari agl’iddii, acciocchè gli accusati offrissero sacrificj: loro agevolavano l’apostasia rendendola pubblica.

Affine di sedurre o scoraggiare i martiri, adoperavano ogni mezzo infamissimo. Le vergini e le donne correvano al supplizio per evitare oltraggi peggiori. Parecchi grandi uffiziali del palazzo, Doroteo, Gorgonio, Andrea, Indo, Pietro, Migdonio, furono messi a morte. Prisca e Valeria non ressero ai tormenti, ed immolarono agli dei: cosi pure in Africa fedeli, preti e vescovi furono visti consegnare i libri santi, e non indietreggiare alla ignominiosa nota di traditori. Ma i più seguirono l’esempio del vescovo Felice e dei preti Saturnino e Dativo, ed elessero di morire.
Marcellino papa, modello dei pastori, senza spargere il sangue, seppe guadagnarsi colla sua fortezza la corona del martirio. In tutte le provincie si distruggevano i luoghi delle adunanze, ed a crollare la fortezza dei martiri s’ inventavano nuovi tormenti.
In Egitto se ne suppliziarono, duranti parecchi anni, da sessanta a cento al giorno; li scannavano e li annegavano in massa. In Frigia misero il fuoco ad una piccola città tutta cristiana, onde nessuno potè scampare. L’anfiteatro di Roma tornò ad esser l’arena dei fedeli. Nè la morte bastava a quei feroci, e i mutilati avanzi de’ martiri erano commessi alla guardia de’ soldati, perchè si gettassero pascolo agli augelli di rapina o venissero dispersi e seppelliti sotto le acque. Ma lo zelo dei Cristiani non era punto meno ingegnoso a raccogliere quelle preziose reliquie. La Gallia sola fu tranquilla sotto Costanzo Cloro, il quale pubblicò gli editti e non li fece eseguire.
Dappertutto la persecuzione fu sì feroce e fe’ scorrere tanto sangue, che gl’imperatori si vantarono in due iscrizioni d’avere spento la religione ed il nome cristiano.

Nondimeno, dopo l’abdicazione sforzata di Diocleziano, trovarono ancora argomenti a proscrivere; e quando l’editto di Sardico (311) strappato a Galerio dal terrore della morte, le chiese si raccolsero da ogni parte con grande meraviglia de’pagani. Vedevano sulle vie, sulle piazze pubbliche, schiere di confessori tornarsene alla patria cantando e salmeggiando.

Massimino avea accettato l’editto per timore unicamente di Licinio; ma come si fu accordato con lui, vietò di bel nuovo le adunanze de’ fedeli. Ostinato nelle superstizioni pagane degli oracoli e della magia, trattenea seco e profeti e filosofi, i quali egli riguardava come favoriti del cielo. Tra essi eleggeva i suoi consiglieri e i governatori delle provincie. Costoro gli persuasero che la maggioranza de’ Cristiani derivasse dalla loro disciplina; laonde egli tentò di dare al paganesimo una costituzione modellata su quella della chiesa.

In tutte le capitali rialzaronsi o riedificaronsi i templi degli dei. Ai sacerdoti i sacrificatori dei varj numi e i pontefici si sovrapposero: i quali alla lor volta, come i vescovi dai metropoliti, dipendevano dai sommi sacerdoti vicarj dell’imperatore, che potea dirsi il patriarca del paganesimo. Il nuovo corpo sacerdotale sceglievasi dalle più nobili ed opulente famiglie, ed ebbe a divisa la bianca stola. Per la costoro influenza parecchie città, e specialmente Nicomedia e Tiro, mandarono deputati a Massimino per significargli il proprio orrore contro i Cristiani: anzi Antiochia fe’parlare un oracolo di Giove, e si fabbricarono e s’imposero alle scuole pubbliche falsi atti di Ponzio Pilato. Nuovi rescritti incisi sul rame annunziarono alla chiesa nuovi assalti dopo sei mesi appena ch’essa cominciavasi a riposare (312).
Il tiranno, affettando di credere che il mondo era tornato al culto degl’iddii, proibì, per atto di sua clemenza, che i Cristiani non si uccidessero pubblicamente. Dovevano solamente infiacchirli, ma non sempre si contentavano di mutilarli. Nè contento di queste crudeltà, egli invase l’Armenia per costringere anche quei popoli ad abbandonare la religione cristiana: e benchè, sconfitto e travagliato l’esercito dal contagio e dalla fame, egli sperimentasse la carità degli oppressi, non ne fu punto commosso; e quando, costretto dalle lettere di Costantino e riconoscendo l’ostinazione invincibile dei perseguitati, diede un rescritto di tolleranza, egli li facea tuttavia annegare segretamente.

Massenzio, che avea prima attestato di favorirli in Italia per farsene sostegno, assicurato dell’alleanza di Massimino, cessò la dissimulazione e perseguitò colla ferocia medesima del suo fratello di sceleratezza. Quali fossero allora i dolori della chiesa romana, noi lo possiamo argomentare dall’indole di Massenzio e dalla quantità dei caduti, contro i quali Marcello papa fu costretto imporre severe penitenze. Ma costoro aggiunsero all’apostasia la sedizione contro il papa, e l’imperatore li favorì esigliandolo.
Pure già suonava l’ora del trionfo; il cristianesimo si era costituito senza umano ajuto, e lottando per tre secoli contro feroci oppositori, la croce ornata dalla costanza dei martiri, dalle virtù dei fedeli, dal genio dei dottori e dalle sublimità della vita solitaria, divenne l’insegna dell’imperio, e la religione di Cristo venne sul trono.

È tradizione degna di fede che la risoluzione di Costantino e del suo esercito nella guerra contro Massenzio, fosse provocata dalla apparizione di una croce luminosa colle parole: Per questo segno vincerai. Certo è che Costantino costituì all’antico stendardo dell’imperio il nuovo labaro, sormontato da una croce e dal monogramma del Cristo; e che quando entrò trionfante in Roma, ricusò di andare al Campidoglio, ed abbracció pubblicamente la religione cristiana (1).

Estratto dalla Storia degl’Imperatori Romani
del Dumon
t.

Articolo da: Teatro universale raccolta enciclopedica e scenografica
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