LA TOMBA DI MARIA VERGINE A GERUSALEMME.

Articolo del 1881.

Un venerando prelato (1) che passò gran parte della vita sua sacerdotale a Gerusalemme, ci favorì un articolo sulla chiesa del Santo Sepolcro, e noi lo publicammo nella settimana in cui si celebra la morte e la risurrezione del Cristo (2). Il medesimo autore ci invia una relazione sulla tomba di Maria.
Nel momento in cui la Chiesa, nella festa così popolare dell’Assunzione, celebra il trionfo della Madre di Gesù Cristo, non leggerassi senz’interesse la storia e la descrizione del Sepolcro glorioso di colei che associamo al Figliuol suo nella venerazione nostra e nel nostro amore.

(1) Mons Poyet, protonotario apostolico.
(2) Veggasi il numero 15 di quest’anno a pag. 175

I. Storia della chiesa dell’Assunzione, e del Sepolcro di Maria Vergine.

Senz’entrare in discussioni storiche e teologiche sul luogo della morte, o sull’Assunzione della Madre di Dio, puossi credere, appoggiati alla tradizione, che i cristiani fecero per la sua tomba quanto venne fatto pel sepolcro del Signore; dovettero chiuderla in un edifizio.
San Giovanni Damasceno, in fatti, fa dire all’imperatrice Pulcheria, in atto di chiedere a Giovenale il sepolcro della Vergine: « Giungemmo a sapere che a Gerusalemme esiste una bellissima chiesa della Madre di Dio, in un luogo detto Getsemani, ove fu seppellito in un sepolcreto o bara (loculus) il corpo di colei che portò la vita. »
Il monaco Cirillo parla esso pure del venerabile tempio detto della santa Assunzione. È adunque certo che nel V.° secolo eravi nella vallata di Getsemani una chiesa sopra il sepolcro dove fu deposto il corpo della Beata Vergine.
Il beato Antonino, martire di Piacenza, che visitò la Terra Santa prima del 600, dice (cap. xvi): « Precisamente nella valle di Getsemani è la casa di santa Maria d’onde elevossi al Cielo. »
Poco tempo dopo, nel 614, ebbe luogo l’invasione dei Persiani condotti dai generali di Cosroe. L’istoria non dice se la chiesa dell’ Assunzione sia stata distrutta; se lo fu, dovette esser stata riedificata subito dopo, dacchè sant’ Arcolfo vescovo di Gaulez, pellegrino in Terra Santa nel 697, così la descrisse: « Era una stupenda rotonda a due piani separati da una volta di pietra. Nella chiesa, sotterranea, l’altare era ad oriente; alla destra di esso era scavato nel macigno il sepolcro di santa Maria ove, seppellita riposò per alcun tempo. Nella rotonda superiore eranvi quattro altari situati probabilmente ai quattro punti cardinali, come nella chiesa del Santo Sepolcro d’allora. »
Il califfo Abd-el-Mélek, della famiglia degli Ommiadi, che regnò dal 705 al 715, ordinò di inviare alla Mecca le colonne che sostenevano la chiesa dell’ Assunzione. Facea allora costrurre la grande moschea della Kaaba. Alcuni patrizii cristiani, che avean autorità sopra di lui, riescirono a farlo rinunziare a questa spogliazione, promettendogli altri marmi da parte dell’imperatore Giustiniano II. Teofane (Giorgio), scrittore bisantino del secolo VIII, abbate di un monastero della Misia, notò questo fatto nella sua cronografia.
Nel 870 il monaco Bernardo il Saggio, trovò la chiesa in uno stato deplorevole, e nel 936 era in rovine secondo la testimonianza di Said-Iben-el-Batrik, scrittore arabo.
Da questo tempo fino alle Crociate, non si hanno più notizie. È certo che, se venne ricostrutta nel X o sull’aprirsi dell’ XI secolo, fu di nuovo distrutta, o nel 1010 dal feroce Hakem-Bi-Amr-Allah, califfo fatimita d’Egitto, o dai mossulmani all’arrivo dei Crociati nel 1099.
Subito dopo la conquista di Gerusalemme, Goffredo di Buglione onorò questo santuario. « Avea seco condotti dalla Francia, così Guglielmo di Tiro (libro 1x, cap. 9), alcuni monaci presi in monasteri regolari, uomini religiosi, notevoli per la santità della vita loro. Eletto re di Gerusalemme, li installò da essi pregato nella valle di Giosafatte e loro assegnò pingui rendite. »
Questi religiosi apparteneano all’ordine di San Benedetto di Cluny, ed eran vestiti di nero.
Ad essi senza dubbio è dovuta la ricostruzione della chiesa che vedesi presentemente. È certo d’altronde che risale ai primi anni del secolo XII. Lo stile rozzo e semplice permette di attribuirle, questa data remota, giusta l’opinione del Signor di Vogüé.
Giovanni di Wirtzburgo porge preziosi ragguagli sull’interno di questa chiesa al tempo del suo pellegrinaggio fatto nel 1150; paragona il sepolcro della Vergine, situato nel mezzo d’una cripta, ad un baldacchino (ciborium) costrutto sotto il sepolcro. La sacra tomba era coperta da lastre di marmo e da ornamenti d’oro e d’argento. Vi si leggeva la seguente iscrizione:

Hic Josaphat vallis: hinc est ad sidera callis
In Domino fulta; fuit hic Maria sepulta:
Hinc exaltata cælos petit inviolata,
Spes captivorum, via, lux et mater eorum.

La descrizione che segue, fatta nel 1185, da Giovanni Phocas, monaco dell’isola di Creta, concorda benissimo colla chiesa presente:
« La chiesa che circonda la tomba della Madre di Dio, è sottoterra; ha la volta intieramente coperta da lunghe pietre rotonde all’estremità. Il sepolcro sta nel mezzo ed è scavato nella roccia in forma di edifizio quadrato (‘ἐν σχήματι τετρακαμάρα). Nell’ interno, sulla parete orientale, nella pietra stessa del monumento, è una specie di banchina sulla quale fu deposto il corpo verginale della Madre di Dio, trasportato dal monte Sion dagli apostoli.
Sopra la porta che mette nella cripta, leggonsi questi versi:

Heredas vitæ, Dominam laudare venite,
Per quam vita datur mundique salus reparatur. »

Presso la chiesa era il convento dei monaci Benedettini. Se ne parla sovente nelle croniche delle Crociate, negli statuti officiali del cartolaro del S. Sepolcro e nel codice diplomatico dell’ordine di San Giovanni di Gerusalemme, da Sebastiano Paoli.
Quando Saladino riprese ai Crociati, nel 1187, la città di Gerusalemme, i Mossulmani distrussero il convento, ma rispettarono la chiesa dell’Assunzione, certamente per la venerazione che nutrivano verso la Vergine, dacchè Maometto ne parla rispettosamente nel Corano; a ciò furono eziandio portati da un alto motivo meno nobile: la speranza di trar profitto dalla pietà de’ Cristiani d’Occidente. E invero i sultani d’Egitto e quelli di Costantinopoli, signori della Palestina dopo il 1517 accordarono sempre ad alcune famiglie di Gerusalemme il diritto di esigere un tributo, per penetrare nella chiesa della Risurrezione e in quella dell’Assunzione. Ma il pascià Ibrahim, figlio di Mehemet-Ali vicerè d’Egitto, abolì nel 1832, dietro dimanda del Signor Mimault, console generale di Francia ad Alessandria, quest’ imposta vessatoria, che saliva fino a 72 franchi della nostra moneta corrente.
Nel 1392, coll’intervento di Giovanna regina di Napoli, i PP. Francescani ottennero dal sultano d’Egitto la chiesa dell’ Assunzione, coll’ autorizzazione di costruirvi accosta un convento. Questo convento poi non fu edificato e il perchè lo ignoro. Quanto alla chiesa, i religiosi non avevano senza dubbio che un diritto di proprietà indivisa colle altre comunioni cristiane.
Comunque sia, nel 1632 i PP. Francescani vi esercitavano con piena libertà le funzioni ecclesiastiche. Il Padre Roger difatti, di passaggio a Gerusalemme, assicura che sulla tomba della Madre di Dio possono dire la messa i soli religiosi dell’ordine suo e i sacerdoti cattolici ai quali il P. Custode dà il permesso. Il suo scritto inoltre lascia intravvedere che essi soli aveano la chiave dell’entrata.
Alcuni anni dopo i monaci greci, che riuscirono a spogliare i Francescani di parecchi santuarii, vollero impadronirsi della cappella sotterranea della tomba della Vergine. A ciò inventarono, dice il Sig. Boré, una calunnia: i religiosi Francescani, diceano, rubarono il corpo della Madre di Dio e lo vendettero al Papa per una grossa somma di denaro. Quest’ inezia fu oggetto d’una rigorosa inchiesta, compiuta la quale l’ambasciatore di Francia a Costantinopoli, Dionigi della Haye, ottenne nel 1666 un firmano di riprensione contro i monaci greci.

Nel 1673 il Sig. di Nointel, guarentì per sempre i diritti de’ cattolici latini coll’ inserzione dell’ articolo 33:
« I religiosi Francescani che, secondo l’usanza antica,
< sono stabiliti dentro e fuori della città di Gerusalemme,
< non saranno molestati pei luoghi di pellegrinaggio che
< abitano e sono nelle loro mani, i quali continueranno
< a rimanere nelle mani loro, come altre volte, senza
< che possano essere inquietati a questo riguardo. »

Ecco, dice il Sig. Boré, la pietra angolare del nostro diritto, contro la quale verran sempre a spezzarsi la frode, l’ingiustizia e la violenza.
Infine il 30 maggio del 1740 (dell’ egira 1153), il signor di Villeneuve, ambasciatore francese, rinnovò i trattati colla Porta ottomana e vi fece inoltre aggiungere parecchi articoli importanti.

L’articolo 33 riproduce l’antico articolo 33 del firmano ottenuto dal Sig. di Nointel, e dopo le parole: « senza che possano essere inquietati a questo riguardo, aggiunge:
< così pure per pretensioni di imposte; e
< se loro sopravvenisse qualche lite che non potesse es
< sere decisa sul luogo, sarà rimandata alla Sublime
< Porta. >

L’articolo 84 stipula che:
< Se si venisse a produrre
< qualche comandamento di data anteriore o posteriore,
< contrario al tenore degli articoli precedenti, non verrà
< eseguito, sarà soppresso e cassato conformemente alle
< capitolazioni imperiali.

< Articolo 85. – Io, Sultano, prometto a nome della
< Nostra Maestà imperiale, sotto il nostro augusto giu
< ramento il più sacro ed inviolabile, vuoi per la sacra
< nostra persona imperiale, vuoi per gli augusti succes
< sori, come per i supremi visir, gli onorevoli pascià e
< in generale per tutti gli illustri servitori che hanno
< l’onore e la fortuna di essere sotto la nostra dipen
< denza, (la parola turca dice rigorosamente schiavitù),
< che non lascierò nulla permettere che sia contrario ai
< presenti articoli.
< Il 4° della luna di Rebi-Awal, l’anno dell’egira 1153
< (dì 30 maggio 1740), nella residenza imperiale d’Istam
< bul (Costantinopoli). »

La tomba di Maria

Nonostante i molti firmani che riconosceano i diritti dei latini, non era lontano il giorno che i Francescani doveano venire spossessati un’ultima volta. La vigilia del dì 2 d’aprile, Domenica degli Ulivi del 1757, i monaci greci stimolarono i numerosi pellegrini loro connazionali, presenti a Gerusalemme, a rovesciare il magnifico altare eretto dai religiosi, secondo il costume, davanti al santo sepolcro, per la cerimonia del dì seguente; spezzarono i candelieri, rubarono le lampade d’oro e d’argento, doni della pietà de’ principi cattolici.
Il pascià Raghib, allora gran visir, uomo venale, non solo lasciò impunito il delitto, ma accordò subitamente ai Greci un firmano che li mise in possesso della chiesa della Beata Vergine e della tomba del Santo Sepolcro del Salvatore, della grande chiesa di Betlemme, della grotta della Natività, ecc.
A tutte le ragioni allegate dall’ambasciatore di Francia, il pascià Raghib non oppose che questa:
« Queste terre appartengono al sultano, mio signore, che le dona a chi gli piace. Può essere che siano sempre state nelle mani de’ Franchi, ma presentemente Sua Maestà vuol che siano de’ Greci. » Passarono cento diciotto anni dopo questo spogliamento così iniquo e violento. Invano la Francia rinnovò i reclami, per mezzo degli ambasciatori a Costantinopoli, appoggiandosi sempre alle capitolazioni del 1673 del 1740.
Solo brillò un barlume di speranza quando nel 1850, dietro dimanda di Mons. Valerga, nominato patriarca titolare di Gerusalemme, il governo francese ordinò al generale Aupick, a quel tempo ministro plenipotenziario della repubblica presso la Sublime Porta, di aprire negoziazioni per la rivendicazione dei luoghi santi, altre volte posseduti dai religiosi Francescani. Il generale, uomo energico, presentò al gran visir una nota diplomatica colla quale dimandava, in virtù dell’ articolo 33 del trattato rinnovatosi nel 1740 tra la Francia e la Porta, la restituzione dei santuari. Dopo molti mesi di aspettativa, l’ambasciatore francese ottenne dalla Porta una dichiarazione colla quale essa riconosceva che il trattato del 1740 era tuttavia in pieno vigore. Non v’era più che ad accertare quali erano i santuarii che i religiosi latini possedevano a quel tempo, e quali erano quelli de’ quali furono spossessati.
Tutto adunque prometteva una felice soluzione, allorchè arrivò la famosa lettera diretta al sultano Abd-ul-Medjid, da Nicola imperatore di Russia, che dimandava il mantenimento dello statu quo a Gerusalemme. I ministri della Porta compresero; la commissione fu sciolta e le negoziazioni furon troncate.
La Francia si presentava col trattato alla mano; la Russia mostrava i suoi battaglioni pronti a passare i confini; la Porta trovandosi nell’imbarazzo, ricorse all’astuzia, l’arme dei deboli, e propose di mettere in comune tutti i santuarii. La proposta era inammissibile e il marchese La Valletta rigettolla. Le pretensioni della Russia si facean sempre più sentire, e questo conflitto potea generare una guerra europea.
Il governo francese protestò e riservossi tutti i diritti dei cattolici sopra i santuari usurpati. Nuove istanze del La Valletta ottennero solamente per i Latini il diritto di uffiziare nella chiesa della tomba della Vergine.
Sventuratamente non si pose mente ai particolari, e tutti i reclami di Mons. Valerga per avere, come i Greci e gli Armeni, una chiave del santuario, furono inutili. La concessione adunque era puramente illusoria. Il patriarca e i RR. PP. Francescani non vi poterono mai celebrare neppure una messa.
Una giusta soluzione della questione dovrà forse aspettarsi lungamente, ma tardi o tosto, aperiamo, i diritti incontestabili dei Latini saranno riconosciuti.

Terra Santa. Tomba di Maria Vergine a Gerusalemme

II. – Descrizione della chiesa presente della tomba di Maria Vergine.

Uscendo da Gerusalemme per la porta orientale detta Bab Setti Mariam (porta della Signora Maria), si arriva per un dolce clivo al ponte inalzato nella valle di Giosafatte, per dar passaggio alle acque del torrente Cédron, durante le pioggie d’inverno. Traversato il ponte una scala di 15 o 20 gradini, a mancina, conduce sopra una piazzetta quadrata che sta davanti alla chiesa della tomba. Le lastre di pietra che compongono il pavimento sono disposte assai irregolarmente; si può tuttavia pensare che siano antiche. La porta del monumento (veggasi l’incisione qui sopra) guarda il mezzogiorno; colpisce lo sguardo un grosso muro alto 70 centimetri, da ambe le parti, su tutta la piazza, e una scalinata con tre gradini; è una specie di diga grossolana, costrutta per trattenere le acque dall’entrare nel santuario.
L’atrio esteriore è semplicissimo; ed ha la forma di un grosso cubo, di 8 metri incirca da tutti i lati. La facciata principale, fiancheggiata da due contrafforti romani, ha nel centro una porta il cui archivolto ogivale è solcato da numerose modanature; un secondo archivolto, esso pure con molteplipici nervature, l’incornicia ad una certa distanza. Un cimazio comune riceve sopra di sè il peduccio di questi differenti archi.
Otto colonnette di marmo, quattro per parte, coi capitelli a fogliami e ben lavorati, son poste negli angoli rientranti dei pilastri.
Un muricciolo, nel quale è praticata una porta bassa, sormontata da un arco ogivale, fu inalzato avanti la porta maggiore. Quest’opera, di tempo incerto ma recente, produce un disaggradevole effetto, e toglie allo sguardo le quattro colonne del primo archivolto, proteggendole tuttavia contro la pietà indiscreta dei pellegrini e il fanatismo dei mossulmani. La cornice di marmo bianco, ornata di fogliami, che corre sopra tutti questi capitelli, più sofferse per mano degli uomini che per le ingiurie del tempo. Gli archeologi si dolgono che questa porta, sì bella nella sua semplicità, sia stata sfigurata con lavori parassiti e colla diga anteriore inalzata contro le acque. Sarebbe certamente facile sgombrarla, senza esporre il monumento ad essere invaso dalle pioggie dell’inverno.
Ma, sperarsi questo può dai monaci greci? ne sutor supra crepidam.
Il timpano che vedesi sopra la cornice superiore è affatto moderno e non è punto in relazione colla serie dei modiglioni posti al disotto, destinati a sostenere la cornice antica. La forma loro fogliosa è ricurva e puramente romana, stando al Signor Vogüé (1). Questo monumento, come le altre costruzioni de’ crociati, appartiene all’architettura francese del secolo XII. La forma della porta, la disposizione degli archivolti, de’ contrafforti, degli archi, tutto è occidentale e mostra la mano dei Latini. Vi si scorge pure l’influenza orientale nella mancanza del tetto acuto, in una certa secchezza nelle sculture e magrezza nel profilo delle modanature.
Entriamo e discendiamo nella chiesa propriamente detta (veggasi la pianta a pagina 380). Tre scalini interni, corrispondenti ai tre esteriori, mostrano il vero livello del limitare della porta antica. Da questa soglia fino alla chiesa sotterranea si contano altri 44 scalini inalzati ciascuno 25 centimetri circa. Notiamo dapprima a dritta, ad oriente oltre il sesto scalino, una grande porta ogivale praticata nella parte superiore del muro, ma tagliata all’aprirsi dell’ ogivo, da un architrave dritto, formato da parecchie pietre incastrate, che si sorreggono così a vicenda.
All’esterno, l’estremità dell’ archivolto è la sola parte visibile. Questa porta, oggidì murata, serviva senza dubbio a mettere in communicazione la chiesa col convento dei monaci benedettini che l’uffiziavano nel tempo delle crociate. Il convento più non esiste; fu distrutto intieramente dai mossulmani nel 1187 e le pietre furono impiegate nella ricostruzione de’ propugnacoli della città.
Da questa parte, la terra accumulata s’eleva fino all’estremità dell’ogivo della porta. Rimpetto, a manca, verso occidente, evvi una finestra ogivale, di stile semplicissimo, attualmente murata. Potrebbe essere aperta, dacchè la terra non s’inalza fino alla sua altezza.

(1) Le chiese della Terra Santa del Signor Vogüé.

La volta dell’edifizio che la copre scalinata è curva e divisa nella sua lunghezza da quattro archi posti da 30 a 40 centimetri l’un sotto l’altro. Giunti quasi alla metà della scalinata, incontransi a dritta e a sinistra due sfondi o cavità, destinati probabilmente nell’ origine ad essere sepolcri. Presentemente sono cappelle. Quella a destra, verso levante, contiene due altari de’ quali uno dedicato a sant’Anna e l’altro a S. Gioachino. È proprietà dei greci. Ha 3 metri e 98 centimetri d’apertura e 3 metri e 28 centimetri solo di altezza. Abbiam scoperta nel lastricato un’ iscrizione greca di dieci righe, in caratteri antichi, ma per mala ventura fu mutilata in tre luoghi, e riescì però impossibile sapere il contenuto.

A manca, facciata occidentale, la cavità è una cappella armena, dedicata a S. Giuseppe, sposo di Maria Vergine. Alla metà del secolo XXII dicesi che esisteva un altro altare dedicato al vecchio Simeone. L’apertura di queste due cappelle è formata da un arco acuto.
L’arco della cappella di S. Giuseppe è meno ornato, ed è sormontato da una cornice con timpano triangolare. Tutti i pellegrini che visitarono questa chiesa durante o dopo le crociate, assicurarono che le cappelle contenevano le tombe di S. Gioachino, di sant’Anna e di S. Giuseppe. Sventuratamente non si poterono appoggiare ad alcuna testimonianza antica ed autentica.
Altrimenti, sarebbe il sepolcreto di famiglia più augusto che si conosca. La chiesa che racchiude la tomba della Vergine è orientata come s’usava anticamente ed è lunga circa 40 metri e larga 8. Cosa singolare, essa forma una croce latina le cui estremità son terminate da un abside circolare, e il transetto è più vicino all’abside occidentale. La scalinata della quale abbiam parlato poc’anzi, dà accesso nella parte sud del transetto. Girando a dritta trovasi nel mezzo la tomba della Vergine; è un cubo di circa 4 metri quadrati, staccato dalla rupe che lo circonda.
Più nulla rimane delle lastre di marmo che lo coprivano al di fuori, e internamente si vede soltanto la base delle colonnette che gli erano d’ornamento. Si assicura che i mossulmani le portaron via per decorarne la moschea d’Omar.
Tutto questo cubo di pietra è oggidì coperto da uno strato di cemento e sopra questo sta un tappeto. La roccia naturale più non si distingue che da una sola parte. Due porte bassissime ed assai strette danno adito all’interno della tomba. Fu scavata nella viva rupe come quella del Salvatore; la cavità sua misura 4 metri in altezza, e 2 di larghezza e di lunghezza. Il sepolcro propriamente detto occupa quasi la metà di questo piccolo spazio, sicchè vi stanno appena tre persone. Più alto di quello del Cristo, è coperto da una tavola di marmo bianco sulla quale si dice la messa. Nel 1698, al tempo del pellegrinaggio di Morison, non era coperto davanti, di modo che i pellegrini avean la consolazione di vedere, toccare e baciare la pietra della tomba di Maria Santissima.
Presentemente una lastra di marmo toglie allo sguardo tutta la parte anteriore. La parte superiore della cavità è arrotondata in forma di volta e annerita dal fumo d’un numero grande di lampade che stanno accese di e notte. Parecchi sono gli altari di questa chiesa; uno nell’abside orientale, il solo che i greci possedessero quando i Francescani aveano la proprietà esclusiva della sacra tomba; un altro nell’ abside occidentale, degli armeni; due altri son collocati a dritta e a sinistra del transetto, a levante.
In fondo alla scalinata avvi una cisterna alimentata dalle pioggie invernali. I pellegrini orientali non visitano mai la chiesa senza bere di quest’acqua per divozione.
Menzioneremo solamente per memoria il mihrab, praticato nel muro di mezzogiorno, a dritta, alla distanza di tre passi dalla sacra tomba. È uno scavo rotondo in forma di nicchia, volto verso la Mecca, ove i maomettani recavansi nei tempi addietro a pregare.
La chiesa è oscurissima. Essendo murate le tre antiche finestre, non riceve la luce che per la porta della scalinata maggiore e per un’apertura circolare e larga un metro, praticata sopra l’altare dei greci, nell’ abside orientale.
Visitando con una fiaccola in mano il circuito dell’edifizio interiormente, trovammo al nord, nel muro, un arco ogivale, largo quattro metri in basso, nel quale non eranvi nè calce nè mattoni; la rupe naturale nella quale fu scavato ne fa le veci.
Ci fu impossibile accertarci se esista ancora qualche avanzo dei dipinti e delle leggende in versi vedute nel 1150 da Giovanni di Wirtzburgo. Il schamas (sagrestano armeno) non ce lo avrebbe permesso, dacchè era già troppo corrucciato dalla minuziosa attenzione colla quale in un’altra visita esaminammo la chiesa, prendemmo alcune misure, copiammo l’iscrizione greca della cappella di san Gioachino e di sant’Anna.
Questa chiesa e la tomba adunque non subirono modificazioni essenziali dopo l’espulsione dei crociati nel 1187. Il solo cambiamento che ebbimo a deplorare è l’usurpazione dei greci, e il nostro spogliamento, la nostra espulsione, nonostante tanti titoli in iscritto e un possesso di più di trecento anni. I ladri s’uniscono sovente ad altri ladroni per conservare con maggior sicurezza il frutto delle loro rapine. Epperò i monaci greci s’associarono gli armeni e loro concessero parecchi altari, una chiave della porta maggiore ed una camera per gli oggetti del culto. Espellendo i latini, cacciarono eziandio gli abissini e i siri.
Suvvia, cattolici, alziamo continuamente la voce contro questa usurpazione, e non desistiamo dal reclamare i nostri diritti a fine di impedire la proscrizione. Scompaiono gli uomini e tardi o tosto apparirà il dì della giustizia.

Articolo da: Le missioni cattoliche rivista quindicinale – 1881
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