LA SIMPATICA STORIA DI REYNARD LA VOLPE


The Most Delectable History of Reynard the Fox

CAPITOLO I.
COME IL LEONE PROCLAMÒ UNA FESTA SOLENNE PRESSO LA SUA CORTE,
E COME ISEGRIM IL LUPO, E SUA MOGLIE, E CURTISE IL SEGUGIO,
SI LAMENTARONO CONTRO REYNARD LA VOLPE.

RIGUARDO alla Festa di Pentecoste, che è comunemente chiamata Whitsuntide, quando i boschi sono pieni di lussuria e canti di galanteria, e ogni albero vestito nel suo fresco abito primaverile di foglie gloriose e fiori profumati; quando la terra si ricopre del suo bellissimo manto di fiori, e tutti gli uccelli la intrattengono con le delizie dei loro canti melodiosi; anche in questo gioioso periodo della rigogliosa primavera, il leone, quel reale re degli animali, il monarca delle antiche foreste, pensò di celebrare questa sacra festa e di tenere la corte aperta del suo grande palazzo di Sanden, con ogni cerimonia trionfante e magnificenza. A questo scopo fece solenne proclamazione su tutto il suo regno, davanti a tutti i tipi di animali, che tutti, sotto pena di essere disprezzati, ricorressero all’imminente celebrazione della grande festa. Nel giro di pochi giorni, all’ora prefissata, tutte le bestie, grandi e piccole, arrivarono in numero infinito affollando la corte, ad eccezione di Reynard la volpe, che non apparve. Conscio com’era di così tante trasgressioni e trasgressioni contro la vita e il patrimonio di altre bestie, sapeva che la sua presenza avrebbe potuto mettere la sua vita in grave pericolo, e si astenne.

Ora, quando il monarca reale ebbe riunita tutta la sua corte, erano poche le bestie che non avessero qualche lamentela da fare contro la volpe; ma soprattutto Isegrim il lupo, che essendo il primo e principale denunciante, venne con tutta la sua stirpe e parentela.
In piedi a viso scoperto davanti al re, disse: “Temutissimo e carissimo signore sovrano, il re! Umilmente vi supplico, affinché, dall’altezza e dalla forza del vostro grande potere e dalla moltitudine delle vostre misericordie, abbiate benignamente compassione delle insopportabili trasgressioni e offese che quell’indegna creatura, Reynard la volpe, ha recentemente commesso contro di me, di mia moglie e di tutta la mia famiglia.
Per dare a vostra maestà un’idea di questi torti, sappiate che questo Reynard ha fatto irruzione in casa mia in mia assenza, contro la mia volontà di me e di mia moglie, dove, trovando i miei figliuoli adagiati nel loro quieto giaciglio, li maltrattava in modo così vile, soprattutto intorno agli occhi, che per l’acutezza del delitto caddero subito ciechi.* Ora, per questo reato era stato riservato un giorno in cui Reynard avrebbe dovuto presentarsi per giustificarsi e fare solenne giuramento di essere innocente di quella turpe ingiuria; ma non appena gli fu presentato il libro sacro, egli, ben conoscendo la propria enormità, rifiutò di giurare, o meglio lo evitò, correndo subito nella sua tana, in spregio sia della maestà vostra che delle vostre leggi. Questo, forse, mio temibile signore, alcune delle bestie più nobili residenti alla tua corte non lo sapevano; tuttavia ciò non bastò a saziare la sua malizia, e continuò a peccare contro di me in molte altre cose, che però né il tempo né la pazienza di Vostra Maestà basterebbero a sentire. Abbastanza perchè le mie ferite siano così grandi che nulla può superarle, e la vergogna e la scelleratezza che ha mostrato a mia moglie sono tali che non posso più sopportare che rimanga senza vendetta. Da lui sono venuto a chiedere riparazione, e da vostra maestà compassione.”

* La morale mostra come un uomo vizioso inganna se stesso credendo di sfuggire alla punizione assentandosi dalla presenza del magistrato. Con tale disprezzo non fa altro che animare i suoi nemici nella loro decisione di procedere e renderli più audaci nelle loro lamentele contro di lui. Ciò è più particolarmente applicabile alle accuse in tribunale, come appare sopra, che se non vengono soddisfatte rapidamente, possono mettere in pericolo la vita dell’accusato. – Old English Comment.

Dopo che il lupo ebbe pronunciato queste parole, accanto a lui si fermò un piccolo cane, il cui nome era Curtise, che ora facendo un passo avanti presentò anche lui una grave lamentela al re, dicendo che nella fredda stagione invernale, quando il gelo era più violento, ed era mezzo affamato per mancanza di preda, non avendo altro per mantenersi in vita che un povero pezzo di pudding, quel vile Reynard gli corse addosso in un’imboscata e se ne impossessò ingiustamente.

Queste parole erano appena sfuggite dalle labbra del segugio, che Tibert il gatto balzò fuori, con un’espressione feroce e arrabbiata, e cadendo ai piedi di sua maestà, esclamò: “O mio signore il re, anche se devo confessare che la volpe è qui gravemente accusata, tuttavia se fossero esaminate le azioni delle altre bestie, ciascuna troverebbe abbastanza da fare per scagionarsi. Per quanto riguarda la lamentela di Curtise il segugio, si trattava di un’offesa commessa molti anni fa; e sebbene io stesso non lamenti alcun danno, tuttavia il pudding era mio e non suo, perché l’avevo preso una notte da un mulino, mentre il mugnaio giaceva addormentato. Se Curtise può contestare una qualsiasi parte di esso, deve derivare esclusivamente da me.”

Quando Pantera udì le parole di Tibert, si fece avanti e disse: “Pensi forse, o Tibert, che sarebbe giusto o buono che Reynard non dovesse essere accusato? Ebbene, tutto il mondo sa che è un assassino, un violentatore e un ladro, che non ama nessuna creatura, no, nemmeno Sua Maestà stessa, e che farebbe perdere a Sua Altezza onore e fama, se pensasse di poter ottenere anche solo la zampa di un grassa pollastra. Lasciate che vi racconti cosa gli ho visto fare solo ieri a Kayward, la lepre, che ora si trova qui alla presenza del re. Con la scusa di insegnare al povero Kayward il suo credo e di fare di lui un buon cappellano, lo convinse a venire a sedersi tra le sue gambe e a cantare ad alta voce: ‘Credo, credo!’. Mi è capitato di passare di là e sentire la canzone; avvicinandomi, scoprii che il signor Reynard aveva lasciato la sua prima nota, e aveva cominciato a suonare nella sua vecchia tonalità, perché aveva preso Kayward per la gola e se non fossi arrivato in quel momento, gli avrebbe certamente tolto la vita, come potete vedere dalla ferita fresca di Kayward sotto la gola. Se il re mio signore dovesse lasciare impunita una simile condotta, la pace infranta, la dignità reale profanata e le giuste leggi violate, i vostri figli principeschi porteranno per molti anni a venire la calunnia di questo male”. “Senza dubbio, Pantera”, esclamò Isegrim, “dici bene e in verità: è giusto che ricevano il beneficio della giustizia coloro che desiderano vivere in pace”.

CAPITOLO II.
COME GRIMBARD LA CAPRA PARLÒ A FAVORE DI REYNARD DAVANTI AL RE.

ALLORA parlò Grimbard, che era il figlio della sorella di Reynard, molto mosso dalla rabbia: Isegrim, tu sei malizioso, ed è un proverbio comune che ‘la malizia non ha mai parlato bene;’ e cosa puoi avanzare contro il mio parente Reynard? Vorrei che tu dovessi solo affrontare il rischio che chiunque di voi abbia ferito un altro, venga impiccato e muoia da criminale; perché ti dico che se fosse qui in tribunale, e per quanto tu possa essere a nostro favore, non ti darebbe che poca soddisfazione implorare pietà.
Molte volte hai morso e lacerato il mio parente con i tuoi denti velenosi, e molto più spesso di quanto possa stimare; anche se ricorderò alcuni casi per la tua vergogna.*

* La morale dice che il vizio non è mai senza avvocato. Se un uomo viene abbandonato, troverà sicuramente qualcuno che lo difenderà, soprattutto quando ci sono ricchezze o grandezza da vantare da parte del colpevole, o alleanze di sangue con coloro che sono a suo favore, come appare nel caso della capra che difende la volpe. In primo luogo, perché era un parente; in secondo luogo, perché era ricco e in grado di assisterlo nei suoi progetti; infine, si può osservare l’insinuazione dell’avvocato, che giustifica le colpe della volpe con una nuova forma di penitenza, nascondendo i mali, che non porta più rapidamente un uomo buono a credere e a perdonare. – Old Eng. Com.

Hai forse dimenticato come lo hai ingannato riguardo alla passera di mare che egli aveva gettato giù dal carro, mentre tu lo seguivi in disparte per paura? Eppure hai divorato tu solo la buona passera di mare e non gli hai lasciato altro che le ossa, che tu stesso non potevi mangiare. Hai fatto lo stesso scherzo con la grossa fetta di pancetta, che era così buona, che hai avuto cura di divorarla tutta tu stesso.
Quando mio zio ti ha chiesto la sua parte, hai ribattuto con disprezzo: Bel giovane, avrai sicuramente la tua parte; eppure non gli hai dato nulla, anche se l’ha ottenuta con grande rischio, in quanto il proprietario è riuscito a catturare il mio parente in un sacco, dal quale è riuscito a scappare con difficoltà.
Tali ferite ha fatto questo Isegrim a Reynard; e prego le Vostre Signorie a giudicare se sono sopportabili. Ancora una volta si lamenta che il mio parente gli ha fatto torto in sua moglie; ed è vero che Reynard poteva vantarsi del suo favore sette anni prima che l’amico Isegrim la sposasse. Ma se mio zio, per cortesia, “Le ha prestato attenzioni, che importa a lui? L’ha presa nel bene e nel male; né dovrebbe lamentarsi di qualsiasi atto precedente che non lo concernano. Con la saggezza, anzi, avrebbe dovuto tenerlo nascosto; poiché quale credito può ottenere da una calunnia contro la propria moglie, soprattutto quando lei non è lesa?

Poi viene Kayward la lepre, con il suo malessere in gola, il che mi sembra una semplice sciocchezza. Se imparerà a leggere e a cantare, e non leggerà bene la lezione, chi biasimerà il maestro per averle dato una piccola sana correzione? poiché se gli studiosi non vengono talvolta picchiati e castigati, fidatevi di questo, non impareranno mai.
Infine, Curtise si lamenta di aver rubato un pudding con infinita fatica da una finestra, in una stagione in cui le vettovaglie scarseggiavano. Non sarebbe stato meglio che il silenzio diventasse una operazione del genere? poiché lo rubò: “Male quæsisti, et male perdidisti”; era il male vinto e il male perduto; e chi oserà incolpare Reynard per il sequestro dei beni rubati a un ladro?
È ragionevole che chi comprende la legge sa discernere l’equità, essendo anch’egli di alto lignaggio, come il mio parente, avrebbe dovuto rendere giustizia alla legge. Anzi, se avesse impiccato il cane quando lo colse sul fatto, non avrebbe potuto offendere nessuno tranne il re facendo giustizia senza permesso. Eppure, per rispetto a sua maestà, non lo ha fatto, anche se raccoglie pochi ringraziamenti per il suo lavoro; sottoposto così alle più vili calunnie, che lo colpiscono non poco. Perché mio zio è un vero e leale gentiluomo, né può sopportare la menzogna: non fa nulla senza il consiglio del prete, e io affermo che da quando il re nostro signore ha proclamato la pace, non si è mai sognato di ferire nessuno.
Vive come un recluso; mangia un solo pasto al giorno, ed è ormai un anno che non assaggia carne, come mi hanno riferito veramente alcuni suoi amici che lo hanno visto solo ieri. Ha inoltre lasciato il suo castello Malepardus, e ha abbandonato la sua residenza principesca, confinando tutti i suoi desideri in un povero eremo. Ha rinunciato alla caccia e ha disperso le sue ricchezze, vivendo solo grazie all’elemosina e alla carità degli uomini buoni; facendo infinita penitenza dei suoi peccati, tanto da divenire pallido e magro nella preghiera e nel digiuno, perché vorrebbe stare con Dio.*
Così, mentre Grimbard predicava, videro scendere dalla collina verso di loro il robusto gallo Chanticleer, che portava su una bara una gallina morta, la cui testa era stata staccata con un morso da Reynard, e fu portata davanti al re perché ne prendesse atto.

* Quando gli uomini malvagi non riescono a realizzare i loro piani con altri mezzi, studiano gli inganni e si muovono per intrappolare i loro nemici. Tra questi non trovano nessuno più potente del mantello della religione, con il quale impongono la facile fede dei semplici e li conducono in pericoli dai quali non c’è scampo se non il naufragio. Così il gallo stolto presta nuovamente orecchio alla volpe astuta, e le pecore sciocche vanno continuamente alla tosatura. Possiamo anche dedurre che, sebbene un uomo malvagio possa essere di tanto in tanto scusato per alcune delle suoi colpe, tuttavia non è probabile che alla fine sfugga alla scoperta. – Old Eng. Comm.

CAPITOLO III.
COME CHANTICLEER IL GALLO SI LAMENTA DI REYNARD LA VOLPE.

CHANTICLEER, che marciava in testa, tese le ali e si scosse pietosamente le piume, mentre dall’altra parte del feretro si muovevano due delle sue galline più belle, le più belle d’Olanda e di Arden. Ognuna di loro portava un cero dritto e acceso, perché erano sorelle di Coppel, che giaceva morta sulla bara; e mentre marciavano, gridavano: “Ahimè, ahimè, per la morte di Coppel, la nostra cara sorella”. Due giovani polli portavano la bara, gracchiavano e piangevano così forte per la morte di Coppel, la loro madre, che le colline stesse risuonavano del loro clamore.
Giunto al cospetto del re, Chanticleer, inginocchiandosi, parlò come segue: “Misericordioso, temibile signore, il re!, vi prego di ascoltare e di rimediare alle ferite che la volpe Reynard ha fatto a me e ai miei figli, che qui vedete piangere, come è giusto che sia. Era l’inizio di aprile, quando il tempo era bello, e io ero nel pieno del mio orgoglio e del mio piumaggio, nato da un grande stirpe e da una grande lignaggio, con otto valorosi figli e sette belle figlie al mio fianco, tutti quelli che mia mia moglie mi ha portato in una sola covata, erano tutti forti e grassi, belli impettiti in un cortile ben recintato tutt’intorno.

Qui avevano diverse baracche, oltre a sei robusti cani mastini per la guardia, che avevano strappato le pelli di molte bestie selvatiche; così i miei figli si sentivano al sicuro da qualsiasi male che potesse capitare a chi è più esposto alle insidie del mondo; ma Reynard, quel traditore falso e dissimulatore, invidiando la loro felice fortuna, molte volte assalì le mura in modo così estrema, che i cani furono costretti a essere sciolti, e lo cacciarono via.
Una volta, addirittura, lo sorpresero e lo azzannarono, facendogli pagare il prezzo del furto, come testimoniava la sua pelle lacerata. Ciononostante riuscì a fuggire, tanto più che dopo vivemmo più tranquillamente, finché alla fine si presentò sotto le sembianze di un eremita e mi portò una lettera da leggere. Era sigillata con il sigillo reale di Vostra Maestà e vi trovai scritto che avevate proclamato la pace in tutto il vostro regno e che nessuna bestia o uccello doveva più ferirsi a vicenda. Reynard affermò che, da parte sua, era diventato un monaco, un recluso di clausura, e aveva fatto voto di fare penitenza quotidiana per i suoi peccati.

Poi mi mostrò e contò i suoi grani; aveva i suoi libri e indossava un cilicio a contatto con la pelle, mentre in tono molto umile diceva: “Vedete, Sir Chanticleer, non dovete più avere paura di me d’ora in poi, perché ho giurato di non mangiare più carne. Ora sono invecchiato e vorrei ricordarmi solo della mia anima: Devo ancora recitare le preghiere di mezzogiorno e della sera; devo quindi congedarmi”. Se ne andò, cantando il suo credo, e lo vidi sdraiarsi sotto un biancospino. Queste notizie mi rallegrarono moltissimo: non ci feci più caso, ma ridacchiando con la mia famiglia andai a scorrazzare fuori dalle mura, un passo che rimpiangerò per sempre. Perché quello stesso devoto Reynard, sdraiato sotto il cespuglio, si è insinuato tra noi e il cancello; Poi, all’improvviso, sorprese uno dei miei figli, che infilò nelle sue fauci e, con mio grande dolore, portò via. Poiché ha assaggiato la dolcezza della nostra carne, né cacciatore né cane possono proteggerci da lui. Notte e giorno continua a sorvegliarci con tale assiduità che, su quindici figli, me ne ha lasciati solo quattro illesi. Ieri, mia figlia Coppel – che qui giace morta sulla sua bara, il cui corpo è stato salvato dall’arrivo di un branco di segugi, ahimè troppo tardi – è caduta, dopo sua madre, vittima delle sue arti. Questa è la mia giusta lamentela, che rimando alla misericordia di Vostra Altezza affinché abbia compassione dei miei numerosi figli massacrati”.

Allora il re parlò: “Messer Grimbard, avete sentito questo di vostro zio, il monaco? Sembra che abbia digiunato e pregato con una certa insistenza; ma se vivrò un altro anno, la pagherà a caro prezzo. Per quanto riguarda te, Chanticleer, il tuo reclamo è stato ascoltato e sarà riparato. Daremo un bel funerale a tua figlia morta, deponendola nella terra con una solenne nenia e il dovuto culto. Fatto questo, ci consulteremo con i nostri lords su come fare la cosa giusta e consegnare l’assassino alla giustizia”.

Poi iniziò il Placedo Domine, con tutti i versi che lo compongono, tanti da recitare; terminato il canto funebre, il corpo fu inumato e sopra di esso fu posta una bella pietra di marmo, levigata come il vetro, sulla quale era inciso a grandi lettere il seguente epitaffio: “Coppel, figlia di Chanticleer, che la volpe Reynard ha ucciso, giace qui sepolta! Piangete, lettori, piangete, perché la sua morte è stata violenta e deplorevole”.

Il monarca mandò poi a chiamare i suoi signori e i più saggi consiglieri, per consultare il modo migliore per punire questo disgustoso omicidio commesso da Reynard. Alla fine si concluse che sarebbe stato necessario mandarlo a chiamare e farlo comparire davanti al re senza alcuna scusa per rispondere a queste accuse, e il messaggio sarebbe stato consegnato dall’orso Bruin. Il re diede il consenso e, chiamatolo davanti a sé, disse: “Sir Bruin, è per noi un piacere che voi consegniate questo messaggio; tuttavia, nel farlo, abbiate buon occhio; perché Reynard è pieno di astuzie, e sa bene come dissimulare, adulare e tradire. Ha un mondo di insidie con cui intrappolarvi e, senza grande esercizio di giudizio, si farà beffe e disprezzerà la saggezza più consumata”.

“Mio signore”, rispose Sir Bruin, “lasciatemi solo con Reynard; Non sono così avaro alla discrezione da diventare un ridicolo per la sua furfanteria.” E così, pieno di allegria, l’orso partì per andare a prendere Reynard: se il suo ritorno sarà altrettanto gioviale, non c’è timore che si sbrighi bene. *

* La risposta del re a Sir Brock mostra il pericolo di giustificare le cattive azioni, perché la loro divulgazione contribuisce alla vergogna del difensore. Nel monarca possiamo vedere gli effetti di una buona disposizione d’animo, come espresso dagli onori e dai riti di sepoltura concessi a Coppel, che sono un po’ di sollievo per il dolore dei suoi parenti. L’impazienza dell’orso nel portare con sé la volpe mostra il piacere di un uomo malvagio che sta per essere impiegato contro il suo nemico, e quanto spesso queste cattive speranze falliscano.- Estratto da Old Eng. Comm.

CAPITOLO IV.
COME L’ORSO BRUIN SI MOSSE CON LA VOLPE REYNARD.

Il mattino dopo Sir Bruin, l’orso, partì alla ricerca della volpe, armato contro ogni tipo di complotto e inganno di sorta; e mentre attraversava una foresta oscura in cui Reynard aveva un sentiero secondario che usava quando era fuori a caccia o veniva cacciato, vide l’alta montagna che doveva superare per raggiungere Malepardus. Infatti, sebbene Reynard avesse molte case, Malepardus era il suo castello principale e più antico, e lì si rifugiava sia per difendersi che per le cose amene. Quando Bruin giunse sul posto, trovò i cancelli chiusi; dopo aver bussato, seduto sulla coda, chiamò ad alta voce: “Sir Reynard, siete in casa? Sono Bruin, vostro parente, inviato dal re per convocarvi a corte, per rispondere alle numerose e turpi accuse che vi sono state rivolte. Sua Maestà ha fatto voto che se non vi presenterete alla convocazione, la vostra vita risponderà del vostro disprezzo e tutti i vostri beni e onori saranno confiscati alla corona. Perciò, gentile parente, fatevi consigliare dal vostro amico e venite con me a corte, per evitare la sorte che altrimenti vi colpirà”, disse l’orso.
Reynard, che se ne stava vicino al cancello, come era sua abitudine, a crogiolarsi al sole, sentendo queste parole, si ritirò in una delle sue tane, essendo Malepardus pieno di molti cunicoli intricati e curiosi, attraverso i quali poteva passare in caso di pericolo o per cercare oggetti da predare, decise di discutere tra sé e sé sul modo migliore per contrapporre un complotto e portare l’orso in disgrazia, mentre avrebbe accresciuta la propria reputazione, dato che detestava l’orso; e alla fine, uscendo, disse:
“Siete voi, caro zio Bruin? Siete il benvenuto, e scusate il mio ritardo nel dirlo; ma la verità è che quando avete iniziato a parlare stavo recitando i vespri, e la devozione non deve essere trascurata per nessuna preoccupazione mondana. Tuttavia credo che non vi abbia reso alcun buon servizio, né ringrazio colui che vi ha mandato fin qui, un viaggio lungo e faticoso, in cui il vostro sudore e la vostra fatica superano di gran lunga il valore del lavoro svolto. È certo che se non foste venuto, domani sarei andato a corte di mia spontanea volontà. Allo stato attuale, tuttavia, il mio rammarico è molto diminuito, perché il vostro consiglio, proprio in questo momento, potrebbe essere doppiamente vantaggioso per me.
Ahimè, zio, Sua Maestà non poteva trovare un messaggero più meschino del vostro nobile personaggio da impiegare in questi banali affari? In verità mi sembra strano, tanto più che, accanto a Sua Maestà Reale, voi siete di grande fama, sia in termini di sangue che di ricchezza. Da parte mia, vorrei che fossimo entrambi a corte, perché temo che il nostro viaggio sarà molto fastidioso.
A dire il vero, da quando mi sono astenuto del tutto dalla carne, ho vissuto di strani cibi nuovi, che mi hanno dato molto fastidio e hanno gonfiato il mio corpo come se stesse per scoppiare”.
“Ahimè, caro cugino”, disse l’orso, “che tipo di carne può essere quella che ti fa stare così male?”. “Zio”, rispose lui, “cosa vi serve sapere? Il cibo era semplice e meschino: noi poveri nobili non siamo signori, lo sapete, ma siamo contenti di mangiare per necessità ciò che gli altri assaggiano per mera sfrenatezza. Ma per non ritardarvi, quello che ho mangiato erano favi d’ape, grandi, pieni e molto gradevoli. Ma, spinto dalla fame, ne mangiai così smisuratamente che in seguito ebbi un malore infinitamente grande.”
“Sì!”, disse Bruin, (NdR. – passando al tu) “nidi d’ape, dici? Li tieni in così poco conto, nipote? Ma, è cibo per i più grandi imperatori del mondo. Aiutami, caro nipote, a prendere un po’ di questi favi, e comandami finché avrò vita; per una piccola quota sarò il tuo servitore per sempre”.*
“Stai sicuramente scherzando con me, zio;” rispose la volpe, ” – “Scherzare con te!” esclamò Bruin; “allora mi si spezzeresti il cuore, perché sono così serio e sincero che, per una sola leccata, mi annoverai tra i più fedeli dei tuoi parenti”.
“No, se è così”, riprese Reynard, “ti porterò dove dieci di voi non riuscirebbero a mangiare tutto in un sol pasto. Lo faccio per amicizia, perché desidero avere in cambio la tua, cosa che desidero più di ogni altra cosa”.
“Non dieci di noi!”, gridò l’orso, “non dieci di noi! È impossibile; perché se avessi tutto il miele tra Hybla e il Portogallo, potrei mangiarlo tutto in breve tempo anch’io”.
“Allora sappi, zio, che vicino a noi abita un contadino di nome Lanfert, che ne possiede così tanto che non potresti consumarlo in sette anni; e questo, per il tuo amore e la tua amicizia, lo metterò in tuo possesso”. Bruin, ormai pazzo per il miele, giurò che per un buon pasto avrebbe tappato la bocca a tutti i nemici di Reynard. Sorridendo della sua facile credulità, quest’ultimo disse:-

* In questo incontro è espressa la dissimulazione di due malvagi che tramano la reciproca rovina; in questo caso, anche se i più scaltri ottengono il vantaggio all’inizio, alla fine prevale la causa giusta. Nella voracità dell’orso per il miele vediamo i cattivi effetti di un appetito sregolato, che tralascia, per un momento di piacere, affari più importanti. Le esche della volpe mostrano il trionfo della politica, che offre le tentazioni più adatte al personaggio e all’occasione. Così il povero orso non solo è ferito e in pericolo di vita, ma diventa lo zimbello dei suoi nemici; mentre la crudeltà praticata su di lui dalla gente mostra il destino di un uomo cattivo preso nelle sue stesse trappole, quando tutti coloro che ha ferito sono ansiosi di farsi avanti e di colpirlo, per vendicarsi delle sue vecchie reati. – Extract from English Comm.

“Se ne vuoi sette tonnellate, zio, le avrai”; e queste parole piacquero così tanto all’orso e resero il tutto così piacevole che non riuscì a trattenersi dal ridere. “Bene”, pensò la volpe, “questa è una buona fortuna, anche se sicuramente lo condurrò dove riderà di più a ragion veduta”. Poi disse: “Zio, non dobbiamo perdere tempo, e non risparmierò fatiche, come non farei per nessuno dei miei parenti”.
L’orso lo ringraziò e partirono insieme, con la volpe che prometteva tutto il miele che poteva portare, ma significava quante botte poteva sopportare. Giunsero infine alla casa di Lanfert, la cui vista fece saltare di gioia l’orso. Questo Lanfert era un falegname robusto e robusto, che il giorno prima aveva portato nel suo cortile una grande quercia, che aveva iniziato a spaccare, e vi aveva conficcato due cunei, in modo che la fenditura fosse molto aperta, cosa di cui la volpe si rallegrò, perché era proprio quello che desiderava.
Poi, con un volto sorridente, rivolgendosi all’orso, disse: “Guarda ora”, “caro zio, e stai attento a te stesso, perché all’interno di quest’albero è contenuto così tanto miele che, se riesci a raggiungerlo, lo troverai incommensurabile; tuttavia sii cauto, buon zio, e mangia con moderazione. I favi sono dolci e buoni, ma una sovrabbondanza è sempre pericolosa e potrebbe rivelarsi fastidiosa durante il viaggio, cosa che non vorrei per nulla al mondo, visto che non vi può accadere nulla di male che non vada a mio disonore”. “Non preoccuparti per me, sii sicuro, nipote di Reynard; Non sono così sciocco, ma riesco a moderare il mio appetito se solo riesco a prendere il miele”.
“È vero, forse sono stato troppo sfacciato a dire quello che ho detto mio caro zio; ti prego quindi di entrare in fondo, e lì troverai quello che desideri”.
In tutta fretta l’orso entrò nell’albero con le zampe anteriori in avanti e infilò la testa nel buco fin sopra le orecchie. Quando la volpe se ne accorse, corse subito a togliere i cunei dall’albero, in modo che l’orso rimanesse bloccato.
Né le lusinghe né la rabbia servirono all’orso, perché il nipote lo aveva imprigionato così strettamente che era impossibile liberarsi con qualsiasi manovra.

A cosa gli servivano ora la sua grande forza e il suo valore? Servivano solo a irritarlo e a infastidirlo; e privato di ogni sollievo, cominciò a urlare e a ragliare, a grattare e a ruzzolare, e a fare un tale rumore che Lanfert uscì di corsa dalla casa per vedere cosa stesse succedendo.
Teneva in mano un uncino affilato e, mentre l’orso giaceva lacrimando e ruggendo nell’albero, la volpe gridò con disprezzo: “Sta arrivando, zio! Temo che il miele non ti piacerà; è buono? Non mangiarne troppo; le cose piacevoli tendono a saziare e ritarderai il viaggio di ritorno a corte. Se la tua pancia è troppo piena, Lanfert ti darà da bere per digerire”.
Detto questo, si rimise in cammino verso il suo castello. Lanfert, vedendo che l’orso era ben immobilizzato, corse dai suoi vicini e li invitò a venire. La notizia si diffuse per tutta il paese e non c’era uomo, donna o bambino che non corresse a vedere, chi con un’arma e chi con un’altra, con pungoli, rastrelli, scope e tutto ciò su cui potevano mettere le mani.
Il prete portava il manico di una grande croce, il sagrestano aveva l’acqua benedetta e la moglie del sacerdote, Dama Jullock, portava la sua conocchia, poiché le capitava di filare; vennero anche le vecchie signore che non avevano mai avuto un dente in bocca. Sentendo l’avvicinarsi di questo esercito, Bruin fu preso da grande paura, non essendoci nessuno tranne lui a opporsi; e mentre gli piombavano addosso tuonando, si dibattè così accanitamente che riuscì a mettere in salvo la testa lasciandosi dietro la parte migliore della pelle, insieme alle sue orecchie, tanto che mai età vide una bestia più ripugnante e brutta; poiché il sangue gli copriva il viso e le mani, lasciando dietro di sé gli artigli e la pelle, tanto che quasi non poteva muoversi né vedere.
Fu in una brutta situazione quella in cui si trovò, perché nonostante questo tormento Lanfert e la sua ciurma si avventarono contro, e lo colpirono così con bastoni, uncini e rastrelli, tanto da potesse essere un avvertimento per chiunque sia preso nella miseria, mostrando come i più deboli debbano sempre finire in rovina.

Questo Bruin lo sperimentò crudelmente, tutti sfogarono la loro furia sulla sua pelle, persino Houghlin con la sua gamba storta e Ludolf con il suo lungo e largo naso; l’uno armato di una mazza di piombo, l’altro di un flagello di ferro. Nessuno sferzava così forte come Sir Bertolf con lunghi bastoni, e nessuno lo infastidiva più di Lanfert e Ortam, il primo armato di un uncino gallese affilato e il secondo di un bastone storto pesantemente piombato all’estremità, con il quale era solito giocare a pallapugno.

C’erano Burkin e Armes Ablequack, Bane il prete con il suo manico della croce e Jullock sua moglie. Tutti costoro si accanirono a tal punto sul povero orso che la sua vita fu in estremo pericolo; egli rimase seduto e sospirò tristemente durante il massacro, ma il peso fragoroso dei feroci colpi di Lanfert fu il più crudele da sopportare; poiché la signora Podge, a Casport, era sua madre, e suo padre era Marob, un commerciante in ferro, un uomo corpulento che passava lì da solo. Da lui Bruin ricevette una tale pioggia di pietre, nello stesso momento in cui il fratello di Lanfert gli sferrava un feroce colpo in testa, che non riuscì più a vedere né a sentire, ma si tuffò disperatamente nel fiume adiacente, attraverso un gruppo di vecchie comari che si trovavano lì vicino, molte delle quali gettò in acqua, che era ampia e profonda, e tra queste c’era anche la moglie del parroco.

Vedendola galleggiare lì come un gabbiano il sant’uomo smise di colpire l’orso, gridando: “Aiuto, oh, aiuto! La signora Jullock è in acqua! Assolvo l’uomo, la donna o il bambino che la salva da tutti i suoi peccati e trasgressioni, passati e futuri, e rimetterò ogni penitenza”. Sentendo ciò, tutti abbandonarono l’inseguimento dell’orso per soccorrere Dama Jullock, al che Bruin tagliò la corrente con nuova forza e si allontanò a nuoto.

Il prete si limitò ad inseguirlo, gridando con grande rabbia: “Voltati, canaglia, voltati, affinché io possa vendicarmi di te!”. Ma l’orso, avendo il vantaggio del torrente, non badò al suo richiamo, perché era orgoglioso del trionfo di essere sfuggito a loro. Maledì amaramente l’albero del miele e ancor più amaramente la volpe, che non solo lo aveva tradito, ma gli aveva fatto perdere il cappuccio di pelo dalla testa e la pelle dalle dita. In queste condizioni nuotò per circa tre miglia lungo il torrente, quando si stancò a tal punto da essere costretto a cercare un approdo. Il sangue gli colava sul viso, sospirava e tirava il fiato così corto che sembrava che fosse giunta la sua ultima ora.

Nel frattempo la volpe, tornando a casa, aveva rubato un grassa pollastra e, percorrendo un sentiero secondario per sfuggire agli inseguitori, si diresse verso il fiume con infinita gioia. Poiché non aveva mai dubitato che l’orso non fosse stato ucciso, disse: “La mia fortuna è fatta, perché il mio più grande nemico a corte è morto e nessuno può sospettare di me”. Ma mentre parlava, guardando verso la riva del fiume, vide l’orso che si sdraiava per lenire le sue gravi ferite. A questa vista il cuore di Reynard si rattristò, e inveì aspramente contro Lanfert il falegname, maledicendolo come uno sciocco che non sapeva come uccidere un orso in una trappola.
“Quale pazzo”, esclamò, “avrebbe perso una carne di cervo così buona? così grassa e sana, e che gli era a portata di mano. Un uomo saggio sarebbe stato orgoglioso della fortuna che tu, come uno stolto, hai trascurato.”
Così agitandosi e rimproverandosi, giunse al fiume, dove trovò l’orso coperto di ferite, che al fine il solo Reynard aveva provocato. Eppure, mentre passava, disse con disprezzo: “Monsieur, Dieu vous garde!”.
“O turpe villano rosso!” disse l’orso tra sé e sé, “quale impudenza può eguagliare la tua?”. Ma la volpe continuò il suo discorso.
“Che c’è, zio, hai dimenticato tutto a Lanfert o hai pagato i favi che hai rubato? Preferivo pagarli io stesso piuttosto che tu incorressi in una disgrazia.
Se il miele era buono, potresti averne molto di più allo stesso prezzo. Buon zio, dimmi prima che me ne vada, in quale ordine intendi entrare, visto che indossi questo cappuccio all’ultima moda? Sarai un monaco, un abate o un frate? Chi ti ha rasato la corona sembra averti tagliato anche le orecchie; il ciuffo è perso e pure i guanti di pelle sono spariti.
Accidenti, sciattone! Non andare a capo scoperto! Dicono che se sai cantare e pecchi raramente”. Questi scherni fecero impazzire Bruin di rabbia; ma poiché non poteva vendicarsi, fu costretto a lasciarlo parlare.

Alla fine, per evitarlo, si tuffò di nuovo nel fiume e approdò sull’altra sponda, dove iniziò a meditare sul modo migliore per raggiungere la corte, poiché aveva perso sia le orecchie che gli artigli e riusciva a malapena a camminare. Tuttavia, per forza di cose doveva avanzare, cosa che poteva fare solo appoggiando le natiche a terra e facendo rotolare il corpo ripetutamente.
In questo modo, prima rotolò per circa mezzo miglio, poi si riposò e rotolò per un altro mezzo miglio, finché, a forza di perseverare, ruzzolò fino al tribunale. Assistendo a questo strano metodo di avvicinamento, alcuni cortigiani lo guardarono come una sorta di portento, poco convinti che si trattasse del famoso Sir Bruin l’orso.

Il re stesso fu il primo a riconoscerlo e disse: “È Sir Bruin, il mio servitore: quali malvagi lo hanno ferito in questo modo? Dove può essere stato, chi ha potuto escogitare, così tanto per portarlo così vicino alla sua morte? Sentiamo che notizie ha”.
“O mio temibile sovrano, il re”, esclamò l’orso, “devo lamentarmi gravemente. Guardate come sono stato massacrato; un massacro che vi prego umilmente di vendicare su quel falso e maligno di Reynard, che mi ha procurato questa brutta disgrazia e questo massacro, solo perché ho fatto il vostro reale piacere nel trasmettergli la convocazione a corte”. Sua Maestà allora disse: “Come ha osato fare questo? Ora, sulla mia corona, giuro che mi vendicherò in modo tale da far tremare il traditore e da fargli ricordare il misfatto”. Così il re convocò subito tutto il suo consiglio e si consultò su come e in che modo procedere nel modo più efficace contro l’astuta volpe.
Alla fine, dopo molte discussioni, fu deciso all’unanimità di convocarla nuovamente per rispondere personalmente delle sue trasgressioni. La persona ora incaricata di eseguire la convocazione era Tibert il gatto, essendo ugualmente raccomandato per la sua solennità e la sua saggezza; una nomina altrettanto gradita al re.

CAPITOLO V.
COME IL RE MANDÒ TIBERT IL GATTO A CHIAMARE REYNARD LA VOLPE.

Allora il re chiamò Sir Tibert, il gatto, e gli disse: “Sir Tibert, andrai da Reynard e lo convocherai per la seconda volta, ordinandogli di presentarsi e di rispondere delle sue offese; perché, sebbene sia crudele con le altre bestie, con te è cortese. Assicurategli che, se non si presenterà alla prima convocazione, prenderò un provvedimento così severo contro di lui e la sua posterità, che il suo esempio terrorizzerà tutti i trasgressori”.
Allora Tibert il gatto disse: “Mio temibile signore, sono stati i miei nemici a consigliarvi così, perché non c’è nulla che io possa fare per costringerlo a venire o a rimanere. Prego Vostra Maestà di mandare qualcuno di più potente: io sono piccolo e debole, perché se il nobile Sir Bruin, che era così forte e potente, non è riuscito a costringerlo, a cosa servirà la mia debolezza?”. Il re rispose: “È della vostra saggezza, Sir Tibert, che mi avvalgo, e non della vostra forza: molti prevalgono con l’arte, quando usando la violenza si torna a casa con il lavoro perduto”. “Ebbene”, disse Tibert, “visto che è il vostro piacere, esso deve essere compiuto, e il cielo faccia in modo che la mia fortuna sia migliore di quanto il mio cuore presagisce!”.
Tiberto allora preparò le cose e partì per Malepardus.*

Nel suo viaggio vide volare verso di lui uno degli uccelli di San Martino, al quale il gatto gridò ad alta voce: “Salve, gentile uccello! Ti prego, gira le tue ali e vola alla mia destra”. Ma l’uccello, ahimè, volò sul lato sinistro, e a quella vista il gatto si rabbuiò molto, perché era ben esperto negli auspici e sapeva che il segno era infausto.
Tuttavia, come molti fanno, si armò di migliori speranze e si recò a Malepardus, dove trovò la volpe davanti alle porte del castello, alla quale Tibert disse: “Salute al mio bel cugino Reynard. Il re, da parte mia, ti convoca a corte, dove, se mancherai o ritarderai, nulla potrà impedire la tua morte improvvisa e crudele”.
La volpe rispose: “Benvenuto, caro cugino Tibert. Obbedisco al tuo ordine e auguro al re mio signore infiniti giorni di felicità. Permettimi solo di pregarti di riposare con me questa notte e di accettare l’allegria che la mia semplice casa ti offre. Domani, appena vorrai, andremo a corte, perché non ho parenti di cui mi fidi tanto quanto te. L’altro giorno è venuto qui quell’infido cavaliere, Sir Bruin, che mi ha guardato con una crudeltà così tirannica che non avrei rischiato la mia persona con lui per le ricchezze di un impero; ma con te, caro cugino, andrò, anche se mille malattie mi divorassero le viscere”. Tibert rispose: “Parli come un nobile gentiluomo, e forse ora è meglio andare avanti, perché la luna splende luminosa come il giorno”.

“No, caro cugino”, disse la volpe, “prendiamo il giorno davanti a noi, in modo da conoscere i nostri amici quando li incontreremo; la notte è piena di pericoli e di sospetti”. “Ebbene”, disse l’altro, “se questo è il tuo piacere, sono contento. Cosa mangeremo?”. Reynard disse: “In verità, la mia scorta è esigua: il meglio che ho è un favo di miele troppo gradevole e dolce: cosa ne pensi tu stesso?”. Tibert rispose: “È una carne che mi interessa poco e che mangio raramente: preferirei avere un solo topo che tutto il miele d’Europa”. “Un topo, caro cugino?”, disse Reynard; “perché qui abita un prete che ha un granaio così pieno di topi che credo che metà dei carri della parrocchia non li porterebbero via”.
Allora, caro Reynard”, esclamò il gatto, “non fai altro che condurmi lì e farmi diventare il tuo servo per sempre”.
“Ma”, disse la volpe, “ami i topi così tanto da arrivare a questo?”. “Oltre ogni misura, sì”, disse l’altro: “Un topo è meglio di qualsiasi carne di cervo o dei migliori cibi sulla tavola di un principe. Conducimi dunque là, e comandami in seguito in tutti i tuoi affari. Se tu avessi ucciso mio padre, mia madre e tutti i miei parenti, ora ti perdonerei liberamente”.

* Il fatto di mandare il gatto a prendere la volpe esprime l’attenzione dei ministri, che quando sono stati ingannati dall’orgoglio e dall’ostentazione di coloro che avevano assunto e che ritenevano discreti, diventano più attenti nello scegliere uomini veramente saggi, capaci di aggirare la saggezza dei loro nemici con un’abilità ancora superiore. La riluttanza del gatto a partire dimostra quanto un uomo saggio sia restio a immischiarsi in questioni pericolose, soprattutto quando ha il buon senso di capire che la parte con cui sta per trattare è più che alla sua altezza. Tuttavia, quando l’autorità li impiega, è loro dovere obbedire e fare ciò che sono in grado di fare. – Extract from Old Eng. Comm

CAPITOLO VI.
COME TIBERT IL GATTO È STATO INGANNATO DA REYNARD LA VOLPE.

SICURAMENTE, disse Reynard, “non fai altro che scherzare!”. “No, per la mia vita”, rispose il gatto. “Bene, allora, se sei serio, farò in modo che questa notte stessa tu sia sazio”.
“E’ possibile?” disse il gatto.
“Seguimi”, disse Reynard, “ti porterò subito sul posto”. Così si avviarono a passo spedito verso il granaio del prete, ben recintato da un muro di fango, dove la notte precedente la volpe si era introdotta e aveva rubato una pollastra molto grassa al dannato prete. Il prete era così arrabbiato che aveva preparato una trappola davanti al buco per catturare il ladro al suo prossimo arrivo, cosa che la volpe sapeva bene, e perciò disse al gatto: “Sir Tibert, ecco il buco che si insinua. Non ci vorrà un minuto prima che trovi più topi di quanti tu ne possa divorare, senti come squittiscono? Ma torna quando sarai sazio e io ti aspetterò qui, così potremo procedere insieme verso corte”.

“Non fermarti a lungo, perché so che mia moglie ci sta aspettando”. “Ma pensi che possa entrare tranquillamente in questo buco?”, chiese il gatto: “Questi preti sono molto astuti e ingegnosi e spesso nascondono le loro trappole molto vicino, facendo sì che lo sciocco avventato se ne penta amaramente”.
“Perché, cugino Tibert”, disse Reynard, “stai diventando un codardo? Che c’è, amico, hai paura di un’ombra?”. Piuttosto imbarazzato, il gatto saltò subito dentro e fu impigliato per il collo dalla trappola. Cercò di fare un balzo all’indietro, ma questo non fece altro che stringere il laccio, cosicché rimase mezzo strangolato, e si dibattè e gridò disperatamente. Reynard, che si trovava davanti alla buca, sentì tutto e si rallegrò molto, gridando con disprezzo: “Cugino Tibert, ami i topi? Spero che siano grassi per il tuo bene. Se il prete o Martinet avessero saputo del tuo banchetto, – li conosco così bene – ti avrebbero portato la salsa alla carne molto rapidamente. Che cosa? Canti alla tua cena: è questa la moda di corte ora? Se è così, vorrei solo che il lupo Isegrim ti facesse compagnia, in modo che tutti i miei amici possano banchettare insieme”.

Nel frattempo il povero gatto era costretto e miagolava così tristemente che Martinet balzò fuori dal letto e gridò alla sua gente: “Su, su! Perché è stato preso il ladro che ha catturato le nostre galline”. A queste parole il prete purtroppo si alzò, svegliando tutta la sua famiglia e gridando: “La volpe è stata presa! La volpe è stata presa!”. Non ancora vestito, porse alla moglie il cero sacro e, correndo per primo, sferrò un colpo a Tibert con un enorme bastone, mentre molti altri seguirono il suo esempio. Il gatto ricevette molti colpi mortali; poiché l’ira di Martinet fu tale che gli cavò un occhio, cosa che fece per compiacere il sacerdote, con l’intenzione di spaccare le cervella del povero Tibert con un colpo. Vedendo la morte così vicina, Sir Tibert fece uno sforzo disperato e, saltando tra le gambe del prete, vi si attaccò in un modo che gli causò il dolore più atroce. Quando Dama Jullock, sua moglie, vide ciò, gridò e imprecò con tutta l’asprezza che aveva nel cuore, maledicendo la trappola insieme al suo inventore, al diavolo.

Per tutto questo tempo Reynard rimase in piedi davanti al buco e, vedendo ciò che accadeva, rise così tanto che era sul punto di scoppiare; ma il povero prete cadde a terra svenuto e tutti abbandonarono il gatto per rianimarlo. Durante quest’ultima scena, la volpe si rimise in cammino verso Malepardus, perché credeva che fosse ormai tutto finito con Sir Tibert.
Ma egli, vedendo i suoi nemici così indaffarati intorno al sacerdote, cominciò a rosicchiare il laccio, fino a spezzarlo del tutto. Poi balzò fuori dal buco e tornò ruggendo e a ruzzolando come il suo predecessore, l’orso, verso la corte.
Prima che vi giungesse, era ormai giorno e, essendo il sole sorto, entrò nella corte del re in condizioni pietose. Il suo corpo, infatti, a causa dell’astuzia della volpe, era stato picchiato e ridotto in pappa; le sue ossa erano state scosse e spezzate, uno dei suoi occhi era andato perduto e la sua pelle era stata lacerata e maciullata. Quando il re lo vide, si arrabbiò mille volte più di prima.

Il re convocò il suo consiglio e discusse sul modo più sicuro per vendicare tali ingiurie sulla testa della volpe. Dopo una lunga consultazione, Grimbard il caprone, figlio della sorella di Reynard, disse al resto del consiglio del re: “Bene, signori miei, anche se mio zio fosse due volte più cattivo di come viene rappresentato, c’è comunque un rimedio sufficiente contro le sue malefatte, ed è opportuno che gli rendiate la giustizia dovuta a un uomo del suo rango, convocandolo una terza volta, e allora sarà il momento di dichiararlo colpevole di tutto ciò che gli viene imputato”. “Ma,” disse Sua Maestà, “chi si farà trovare così disperato da rischiare le mani, le orecchie, anzi, la vita stessa, con qualcuno così tirannico e irreligioso?”. “In verità”, rispose la capra, “se piace a Vostra Maestà, io sono quel disperato che si arrischierà a portare il messaggio al mio astutissimo parente, se Vostra Altezza me lo comanda”.

CAPITOLO VII.
COME IL CAPRONE GRIMBARD FU MANDATO A FARE LA TERZA CONVOCAZIONE ALLA VOLPE DI PRESENTARSI ALLA CORTE DEL RE.*

ALLORA il re disse: “Va’, Grimbard, perché te lo ordino; ma fai attenzione a Reynard, perché è subdolo e maligno”.
Grimbard ringraziò sua maestà e così prendendo il suo umile-

* Nella missione della capra viene mostrata la politica di impiegare le armi dell’uomo malvagio contro se stesso. Quando non si riesce a convincerlo in nessun altro modo, è più politico inviare uno dei suoi stessi parenti, astuto quanto lui, che, con dimostrazione di affetto e argomenti, possa conquistarlo, poiché l’affetto è noto per essere un retore prevalente.- Extract from Old Eng. Comm.

-congedo, andò a Malepardus, dove trovò Reynard e sua moglie Ermelin, intenti a divertirsi con i loro figli. Dopo aver prima salutato la zia e lo zio, disse: “Stai attento, caro zio, che la tua assenza da corte non causi più danni di quanti ne meriti. In effetti, è giunto il momento di comparire, perché il ritardo comporta solo maggiori pericoli e punizioni.
Le denunce contro di te sono infinite e questa è la tua terza convocazione. La tua saggezza potrebbe quindi dirti che non c’è più speranza di misericordia per te e per i tuoi: entro tre giorni il tuo castello sarà assediato e demolito, i tuoi parenti fatti schiavi e tu stesso riservato a un pubblico esempio. Allora, mio caro zio, ti prego quindi di richiamare la tua migliore saggezza e di tornare subito con me a corte.
Non dubito che la tua discrezione troverà le parole per giustificarti, perché hai superato molti pericoli formidabili e hai fatto vergognare i tuoi nemici, mentre l’innocenza della tua causa ti ha spesso portato immacolato fuori dal tribunale”.
Reynard rispose: “Nipote, dici il vero. Mi farò consigliare e verrò con te, non per rispondere di offese, ma perché so che la corte ha bisogno della mia consultazione.
Non dubito nemmeno della misericordia del re, se riuscirò ad ottenere il suo ascolto, anche se i miei reati fossero doppi e i miei peccati rossi come lo scarlatto, perché so che la corte non può stare in piedi senza di me e che Sua Maestà capirà davvero. Anche se so di avere molti nemici, questo non mi preoccupa, perché la mia innocenza confonderà le loro indagini e impareranno a loro spese che, nelle alte questioni di stato e di politica, non si può fare a meno di Reynard.
Possono accanirsi sulle ingiurie finché vogliono, ma il nocciolo della questione deve poggiare sulla mia relazione. La loro invidia mi fece lasciare la corte; infatti, poiché sebbene il loro ingegno superficiale non può disonorarmi, la loro moltitudine potrebbe alla fine opprimermi. Tuttavia, nipote, verrò con te a corte e affronterò faccia a faccia i miei nemici, perché non voglio mettere a repentaglio il benessere di mia moglie e dei miei figli opponendomi al re, che è due volte potente; e anche se mi farà un gran danno, lo sopporterò sempre con pazienza”.

Detto questo, si rivolse alla moglie e disse: “Dama Ermelin, prenditi cura dei miei figli, soprattutto di Reynikin, il più giovane, perché ha molto del mio amore e spero che seguirà i miei passi. Anche Rossel promette bene, e io li amo davvero entrambi. Quindi tieneli d’occhio e, se dovessi fuggire, non dubitare che il mio amore ti ripagherà”. A queste parole Ermelin pianse e non riuscì a dirgli addio, mentre i suoi figli ululavano nel vedere il dolore della madre, perché il loro signore e fornitore se n’era andato e Malepardus rimase senza approvvigionatore.

CAPITOLO VIII.
COME REYNARD FU ASSOLTO DA GRIMBARD IL CAPRONE.*

Quando Reynard e Grimbard ebbero cominciato il loro viaggio, il primo si fermò e disse: “Caro nipote, non biasimarmi se ti dico che il mio cuore è molto pesante, perché la mia vita è in grande pericolo. Vorrei cancellare i miei molteplici peccati e liberarmi di un così grande peso.

* Quando gli uomini malvagi cadono nei pericoli, sono sempre molto religiosi. Con un’esibizione di penitenza, cercano di muovere pietà in tutti coloro che non riescono a penetrare le pieghe della loro astuzia e del loro inganno.

Potrei qui pentirmi ed essere assolto da te. So che sei santo; e ricevendo penitenza per il mio peccato, la mia anima sarà più tranquilla dentro di me”. Grimbard lo invitò a procedere.
“Allora”, disse la volpe, “Confitebor tibi, pater”. “No”, lo interruppe Brock, “se vuoi confessarti, fallo in inglese, in modo che io possa capirti”.
“Allora”, riprese Reynard, “ho offeso gravemente tutte le bestie viventi, e in particolare mio zio Bruin, l’orso, che ultimamente ho quasi massacrato, e Tibert, il gatto, che ho intrappolato non meno crudelmente in una trappola.

Ho tradito Chanticleer e i suoi figli e ne ho divorati molti. Anzi, il re non è stato al riparo dalla mia cattiveria, perché l’ho calunniato e non ho rispettato il nome della regina. Ho tradito Isegrim il lupo, mentre lo chiamavo zio, anche se nessuna parte del suo sangue scorreva nelle mie vene. L’ho fatto monaco di Esinane, dove sono diventato anch’io uno dell’ordine, solo per fargli apertamente del male. Gli feci legare il piede alla corda della campana per insegnargli a suonare; ma lo scampanio avrebbe dovuto costargli la vita, visto che i parrocchiani lo picchiarono e lo ferirono così molto gravemente.
Poi gli insegnai a pescare, ma per questo fu picchiato duramente e ancora oggi ne porta i segni. Lo condussi nella casa di un ricco sacerdote per rubare del bacon, dove mangiò così tanto che, non potendo uscire da dove era entrato, gli ho sollevato addosso tutta la città; e mentre il sacerdote correva via dalla tavola, io afferrai un grasso pollo, mentre il sacerdote e la sua gente erano impegnati a picchiare i fianchi di Isegrim. Alla fine il lupo cadde a terra come se fosse morto, ed essi trascinarono il suo corpo su rocce e pietre finché non giunsero a un vecchio fossato, dove lo gettarono. Lì rimase a gemere per tutta la notte e non so come riuscì ad arrivare da là.

Un’altra volta lo condussi in un luogo dove gli dissi che c’erano sette galli e galline appollaiati insieme, tutti in ottime condizioni, e proprio lì vicino c’era una falsa porta sulla quale ci innerpicammo. Gli dissi che se fosse riuscito a intrufolarsi, avrebbe potuto avere i polli. Isegrim, con grande gioia, si avvicinò ridendo alla porta e, spingendosi avanti, disse: ‘Reynard, mi inganni, perché qui non c’è nulla’. Allora”, risposi, ‘zio, devono essere più dentro; e se vuoi averli, devi avventurarti a prenderli’. A questo punto il lupo si spinse un po’ più in là e io gli diedi una spinta in avanti, così che cadde in casa con un rumore e uno sferragliamento così infernali che tutti quelli che dormivano in casa si svegliarono e gridarono: ‘Che rumore spaventoso è stato? Cosa è caduto dalla botola?’.

Così si alzarono, tutti quanti, accesero una candela e, vedendolo, presero misure tali da ferirlo quasi a morte. In questo modo ho fatto correre al lupo molti pericoli per la sua vita, più di quanti io possa ben ricordare; ma ve li ripeterò in seguito, man mano che mi verranno in mente. Ho anche offeso gravemente la signora Ersewinde, sua moglie, e di questo mi pento molto, perché è stato un grave discredito per lei”. – “Zio,” disse Grimbard, “tu rendi imperfetta la tua confessione; faccio fatica a capirti”. – “Perdonami, dolce nipote; ma sai che non mi piace denigrare le donne; è semplicemente che le piacevo e preferiva la mia compagnia a quella di Isegrim. –

Così, per quanto cattivi, essi riescono a mantenere un buon nome e ad imporre la buona opinione del pubblico. Dall’assoluzione data alla volpe si vede quanto presto un uomo onesto e semplice possa essere portato a credere alla penitenza di un furfante, e quanto sia pronto a perdonare in presenza di qualsiasi segno di pentimento. La volpe che porta la capra in giro presso il monastero e si impadronisce del cappone, dimostra che dove il vizio è diventato abituale, continuerà a scoppiare, nonostante tutta l’ipocrisia impiegata per nasconderlo. Un furfante sarà un furfante nonostante ogni persuasione e ogni buon consiglio contrario. – Extract from Old Eng. Comm

Così ti ho raccontato tutte le mie malefatte; ora ordina la mia penitenza come ti sembrera meglio”. Grimbard, che era dotto e saggio, staccò una verga da un albero e disse: “Zio, colpisci tre volte il tuo corpo con questa verga, poi posala a terra e saltaci sopra tre volte senza inciampare o piegare le gambe. Fatto questo, la prenderai in mano e la bacerai dolcemente, in segno della tua mitezza e di obbedienza alla tua penitenza, allora sarai assolto dai peccati commessi fino ad oggi; perché io dichiaro una chiara remissione”. A questo la volpe fu estremamente contenta, e allora Grimbard disse: “D’ora in poi, zio, fa’ in modo di compiere opere buone; leggi il salterio, vai in chiesa, digiuna e veglia tutti i giorni festivi; fai l’elemosina e abbandona la tua vita peccaminosa; evita il furto e il tradimento; così, facendo queste cose, senza dubbio otterrai la misericordia del re”.
La volpe promise tutto questo e così si incamminarono insieme verso la corte. Non lontano dal ciglio della strada sorgeva un’abitazione di sante monache, dove si vedevano vagare fuori delle mura molte oche e capponi. Mentre conversavano, la volpe trascinò gradualmente Grimbard dalla retta via e, vedendo le pollastre che beccavano vicino alla stalla, tra le quali c’era un bel cappone grasso che si era allontanato un po’ dagli altri, fece un salto improvviso e lo afferrò per le penne che le svolazzavano attorno alle orecchie; ma il cappone scappò. A questa vista Grimbard gridò: “Infausta disgraziata! cosa faresti? ricadresti di nuovo in tutti i tuoi peccati per un stupido pollastro?”
Al che Reynard rispose, “Perdonami, caro nipote; ma mi ero dimenticato di me stesso: chiedo il tuo perdono, e il mio occhio non vagherà.” Poi passarono sopra un ponticello, mentre la volpe continuava a guardare le pollastrelle come se gli fosse impossibile trattenersi; poiché il male era stato educato nelle sue ossa e si era attaccato alla sua carne; il suo cuore portò i suoi occhi in quel modo finché riuscì a vederli. La capra, accortasi di ciò, disse di nuovo: “Vergogna, dissimulatrice! perché vagare con gli occhi dietro ai polli?” La volpe rispose: “No, nipote, mi fai torto; fraintendi il mio aspetto, perché stavo semplicemente dicendo un paternoster per le anime di tutte le pollastre e le oche che ho ucciso prima che la mia pietà interferisse.” “Ebbene”, disse Grimbard, “può darsi, ma i tuoi sguardi sono molto sospettosi”. Ora, ormai avevano riguadagnato la strada maestra, e si erano spinti più velocemente verso il tribunale, che la volpe non appena lo vide, il suo cuore cominciò a tremare di paura. Conosceva troppo bene i crimini di cui doveva rispondere; erano davvero infiniti e atroci.

CAPITOLO IX.
COME LA VOLPE ARRIVÒ A CORTE E COME SE LA CAVÒ.

Non appena si diffuse la notizia che la volpe Reynard e il suo parente Grimbard erano arrivati a corte, tutti i ranghi, dal più alto al più basso, prepararono accuse contro la volpe. Il cuore gli tremava dentro, ma il suo volto era, come sempre, calmo e fiducioso e si comportò con lo stesso orgoglio di prima. Suo nipote lo accompagnò per le strade, ed egli entrò a corte con la stessa galanteria come se fosse stato il figlio del re, libero da ogni imputazione di sorta. Giunto di fronte al trono su cui sedeva il re, si fermò e disse:
“Il cielo conceda a vostra maestà gloria e fama sopra tutti i principi della terra. Assicuro a Vostra Maestà che nessun monarca ha mai avuto un servitore più fedele di quanto lo sia stato io, e che quindi, a dispetto dei miei nemici, morirò. Poichè, mio temibile signore, so che molti stanno tramando la mia distruzione in questa corte, se riuscissero a prevalere su Vostra Maestà; ma voi disprezzate le calunnie della malizia; e anche se in questi giorni gli adulatori hanno successo nelle corti dei principi, non è così per voi, e non raccoglieranno altro che vergogna come ricompensa.
Ma il re lo interruppe a queste parole,* e gridò: “Tranquillo, infido Reynard! Conosco la tua dissimulazione e so interpretare le tue lusinghe, ma ora entrambe le cose ti verranno meno nel momento del bisogno. Credi che mi lascerò sedurre dalla musica delle belle parole? No, mi ha ingannato troppo spesso.

La pace che ho proclamato e su cui ho giurato, l’hai infranta!”. “E mentre il re procedeva, Chanticleer gridò: “Oh, come ho perso il beneficio di quella nobile pace!”. “Stai quieto, Chanticleer”, gridò il re, “lasciami procedere. Tu, diavolo tra gli innocenti, con quale faccia puoi dire di amarmi, e vedi tutte queste misere creature pronte a smentire le tue parole? Sì, le cui ferite ancora ti sputano addosso una sfida sanguinosa, e per il quale la tua vita più cara risponderà presto”.
“In nomine Patris”, gridò la volpe; “che cosa, mio temibile signore, se la corona di Bruin è insanguinata, che cosa centra con me? Se Vostra Maestà lo ha impiegato in un’ambasciata, che ha trascurato, per rubare del miele a casa del falegname, dove si è procurato le ferite, sono io da biasimare? Se cercava vendetta, perché non se l’è presa lui stesso? È forte e potente; non si deve considerare una mia colpa.

Quanto al gatto Tibert, che ho accolto con tutta l’amicizia, se si è introdotto nella stalla del prete contro il mio parere, e lì ha perso gli occhi, anzi, la vita, in che cosa l’avrei offeso? Ero forse il custode di Tibert o il guardiano del grande orso? O mio temibile signore, potete fare il vostro reale piacere: nonostante la mia perfetta innocenza, potete giudicarmi destinato a morire; perché io sono il vostro povero vassallo e attendo solo la vostra misericordia. Conosco la vostra forza e la mia debolezza; la mia morte vi darebbe poca soddisfazione, ma qualunque sia la vostra buona volontà e il vostro piacere, ciò mi risulterà più accettabile”.

Mentre parlava, Bellin l’ariete si fece avanti, insieme alla sua pecora Oleway, e pregò il re di ascoltare le loro lamentele; poi Bruin l’orso con tutta la sua stirpe, seguito da Tibert il gatto, Isegrim il lupo, Kayward la lepre, Paulter il cinghiale e quasi tutte le altre bestie della corte, che si alzarono di comune accordo gridando vendetta contro la volpe, con un tale clamore che il re fu indotto a ordinare che la volpe fosse messa al sicuro e arrestata.

* Nel leone è qui espressa la legalità della giustizia e quanto essa sia terribile per ogni trasgressore, in particolare per coloro che hanno in sé la coscienza di una colpa segreta. Il contegno ardito della volpe mostra l’impudenza dei vecchi malfattori, che cercano di inveire contro gli altri; ma la verità e la giustizia non possono essere ingannate. -Ex. from Old English Comm.

CAPITOLO X.
COME LA VOLPE FU ARRESTATA E GIUDICATA A MORTE.

DOPO questo arresto fu convocato un consiglio di gabinetto e tutte le voci si pronunciarono a favore dell’esecuzione di Reynard; sebbene rispondesse ad ogni accusa in modo serio, con un meraviglioso grado di arte, suscitando l’ammirazione di tutta la corte. Tuttavia furono esaminati i testimoni e stabilite le prove; la volpe fu condannata e il giudizio fu registrato. Doveva essere appeso per il collo fino alla morte; a quella frase la volpe abbassò la testa, tutta la sua allegria svanì, e nessuna lusinga o parola gentile valse più.

A questo punto, Grimbard, suo nipote, e molti altri suoi amici vicini di sangue, non potendo sopportare la vista della sua morte, presero congedo dal re e lasciarono la corte. Quando il monarca vide partire tanti valorosi gentiluomini, tutti tristi e piangenti, vicini nel sangue e nell’alleanza al prigioniero, disse a se stesso: “Mi conviene prendere bene in considerazione ciò che sto per fare, perché Reynard, pur avendo dei difetti, ha molti amici e molte virtù”.

Mentre il re stava così riflettendo, Tibert disse a Sir Bruin: “Perché siete così lento nell’eseguire la vostra sentenza, e tu, Sir Isegrim? Non vedete che ci sono molti cespugli e siepi? È quasi sera e se il prigioniero scappa, la sua astuzia è così grande che tutta l’arte del mondo non potrà mai più inprigionarlo. Se intendete giustiziarlo, procedete in fretta. Passerà la notte prima che la forca possa essere costruita.

A queste parole Isegrim esclamò, riprendendosi all’improvviso: “C’è un paio di patiboli qui vicino”; allo stesso tempo tirò un profondo sospiro. “Che c’è, avete paura, Sir Isegrim? o questa esecuzione è contro la vostra mente?” disse Tibert: “ricordate che l’impiccagione di entrambi i vostri parenti è stata opera sua. Se ora aveste il giusto senso della giustizia, lo impicchereste per lo stesso motivo, e non stareste qui a fare sciocchezze”.

Isegrim, mezzo arrabbiato, rispose: “La tua rabbia spegne l’occhio della tua ragione migliore; se avessimo una cavezza adatta al suo collo, lo faremmo subito fuori”. Reynard, che era rimasto a lungo in silenzio, disse: “Sì, vi prego di abbreviare il mio dolore. Sir Tibert ha una corda abbastanza robusta, con la quale è stato impiccato lui stesso a casa del prete, quando si è infilato tra le gambe del santo uomo e lo ha morso in modo così terribile.
Inoltre, sa arrampicarsi bene: che salga e sia il mio boia, perché sarebbe un discredito sia per Sir Bruin che per Sir Isegrim trattare così il loro nipote.* Mi dispiace di vivere abbastanza per vederlo; ma visto che siete decisi a essere i miei boia, fate la vostra parte e non indugiate. Vai avanti, zio Bruin, e fai strada; seguimi, Isegrim, mio cugino, e bada che non scappi”. “Dici bene”, disse Bruin, “è il miglior consiglio che ti abbia mai sentito dare”.

Così si avviarono, e Isegrim e tutti i suoi amici fecero la guardia a Reynard, e lo conducevano per il collo e per altre parti del corpo, al che la volpe si sentì piuttosto sgomenta. Eppure disse, docilmente: –

* La violenza dell’orso, del lupo e del gatto, che portavano avanti Reynard fino all’esecuzione, dimostra la cattiveria dei grandi personaggi contro i loro nemici. La pazienza e il temperamento mite della volpe dimostrano anche che, quando gli uomini sono in difficoltà, devono fare uso di tutte le loro virtù, soprattutto della mitezza, che si insinua maggiormente nella buona opinione degli uomini ed eccita la compassione; mentre la maleducazione e la violenza non fanno che aumentare i guai.- Extract from Old Eng. Comment.

“Perché ti sottoponi a tutti questi problemi, mio miglior parente? Credimi, potrei benissimo implorare il tuo perdono, anche se ti rallegri delle mie sofferenze. So anche che se mia zia, tua moglie, vedesse quello che sta succedendo, non vorrebbe vedermi così crudelmente tormentato, se non fosse solo per amore di un vecchio affetto. Ma fa di me quello che vuoi; Devo sopportare il peggio; per quanto riguarda Bruin e Tibert, lascio alla giustizia la mia vendetta e a voi la ricompensa dei traditori. So che il peggio, la fortuna e la morte possono arrivare solo una volta. Vorrei che fosse già passato, perché per me non è un terrore. Ho visto morire il mio coraggioso padre, e quanto rapidamente è scomparso! La peggiore delle morti mi è quindi familiare”.
“Allora”, disse Sir Isegrim, “affrettiamoci, poiché la sua maledizione non si abbatterà su di me se tarda.” . Così, lui da una parte e Sir Bruin dall’altra, condussero la volpe al patibolo, mentre Tibert saltellava davanti a loro con la cavezza.

Giunti sul luogo dell’esecuzione, il re, la regina e tutta la nobiltà presero posto per vedere la volpe morire. Reynard, sebbene pieno di dolore e di sgomento, era ancora impegnato a pensare a come fuggire e trionfare di nuovo sui suoi fieri nemici, attirando il re dalla sua parte. “Anche se il re”, disse a se stesso, “si offendesse con me, come ha ragione di fare, lo sa il cielo, forse potrei vivere fino a diventare il suo amico del cuore”. Mentre così rifletteva, il lupo disse: “Ora, Sir Bruin, ricordati delle tue ferite; vendicati bene, perché è arrivato il giorno che abbiamo tanto atteso”.

“Vai, Tibert, e monta sull’albero della forca con la corda, e fai un cappio, perché avrai la meglio sul tuo nemico. Fai attenzione, buon Sir Bruin, che non ci sfugga, e ora posizionerò la scala, quando tutto sarà completo”. Fatto questo, la volpe parlò: “Ora, può darsi che il mio cuore sia pesante, perché la morte si presenta in tutti i suoi orrori nudi davanti ai miei occhi e non posso sfuggire. O mio temibile signore, il re, e voi, mia sovrana signora, la regina, e tutti voi, miei signori e gentiluomini, qui riuniti per vedermi morire, vi prego di concedermi questa caritatevole grazia. Permettetemi di alleggerire il mio cuore davanti a voi e di purificare la mia anima dai suoi molteplici peccati, in modo che in futuro nessuno possa essere ingiustamente accusato o giustiziato per i miei misfatti segreti. Fatto questo, la morte mi sarà più facile e l’aiuto delle vostre preghiere innalzerà la mia anima, non dubito, verso i cieli”.

CAPITOLO XI.
COME REYNARD FECE LA SUA CONFESSIONE AL RE

Tutti allora ebbero compassione della volpe e supplicarono il re di esaudire la sua richiesta; cosa che fu fatta. E allora la volpe parlò: Aiutami, Cielo! poiché non vedo nessuno qui che non abbia offeso. Eppure questo non era dovuto a un’inclinazione malvagia; poiché nella mia giovinezza ero considerata virtuosa come nessun altro. Ho giocato con gli agnelli tutto il giorno e mi dilettavo dei loro belati. Ma una volta, giocando, ne morsi uno e il sapore del suo sangue fu così dolce che da allora non potei più farne a meno. Questo umore cattivo mi trascinò nel bosco tra le capre; dove, udendo i belati dei capretti, ne uccisi uno, e dopo altri due, il che mi rese così resistente, che cominciai ad uccidere oche e pollastre. Così, mentre il mio crimine cresceva per abitudine, la fantasia si impossessò di me a tal punto che ‘tutto ciò che rimaneva catturato nella mia rete era pesce’. Nella stagione invernale incontrai Isegrim, mentre giaceva sotto un albero cavo, e lui mi svelò come fosse mio zio e mi illustrò la genealogia in modo così chiaro che da quel giorno diventammo compagni.
Un’amicizia che ho motivo di maledire, perché allora iniziò la storia dei nostri furti e delle nostre stragi. Lui rubava i grandi premi e io i piccoli; lui uccideva i nobili e io i sudditi più meschini; e in tutte queste azioni la sua parte era sempre la più grande. Quando catturava un vitello, un ariete o un montone, la sua voracità mi permetteva a malapena di raccogliere le ossa. Quando raccolse un bue o una mucca, serviva prima di tutto se stesso, sua moglie e tutta la sua famiglia, e a me non rimaneva altro che le nude ossa.

Non lo dico come se fossi nel bisogno, poiché è risaputo che ho più piatti, gioielli e monete di quanto ne porterebbero venti carri; ma solo per mostrare la sua vile ingratitudine. Quando il re lo sentì parlare di questa infinita ricchezza, il suo cuore si infiammò di avarizia; e, interrompendo il prigioniero, disse: “Reynard, dov’è quel tesoro di cui parli?” La volpe rispose: “Mio signore, ve lo saprò dire volentieri; anche se è vero che la ricchezza è stata rubata, e se non fosse stata così rubata sarebbe costata la vita a Vostra Maestà, che il Cielo conservi a lungo.” La regina qui sussultò e disse con grande sgomento: “Quali sono questi pericoli di cui parlate, Reynard? Ti ordino di sciogliere questi discorsi dubbi e di non tenere nascosto nulla che possa influenzare la vita del mio temibile signore; vai avanti.”

La volpe, con un’espressione addolorata, rispose: “O mia temibile sovrana, vorrei poter morire ora, se i vostri ordini e la salute della mia anima non mi convincessero a tal punto da dover scaricare la mia coscienza e non dire altro che quello che farò a rischio della dannazione”. È vero che il re sarebbe stato crudelmente eliminato dal suo stesso popolo; sì, devo confessarlo, da alcuni dei miei parenti più prossimi, che non avrei voluto accusare, se la salute della mia anima e la mia fedeltà al re non me lo imponessero”. Il re, molto perplesso per questa scoperta, disse: “Può essere vero, Reynard, quello che dici?”.

La volpe rispose: “Ahimè, mio temibile signore, vedete in che situazione mi trovo: quanta poca sabbia è rimasta nel mio povero bicchiere per scorrere. Non voglio dissimulare: a cosa può servire dissimulare, se la mia anima muore?” e dicendo questo tremava e aveva uno sguardo così pietoso che la regina ne ebbe compassione. Per la sicurezza della sua persona reale, pregò umilmente il re di avere compassione della volpe e di ordinare a tutti i suoi sudditi di tacere finché non avesse rivelato tutto ciò che sapeva.

Ciò fu fatto e la volpe procedette come segue: “Dal momento che il mio temibile signore, il re, lo desidera e che la sua vita regale è in bilico con il mio attuale respiro, svelerò liberamente questo turpe e capitale tradimento, non risparmiando nessun colpevole di sorta, per quanto elevato in grandezza, sangue o autorità. Sappiate dunque, mio temibile signore, che mio padre, rivoltando per caso la terra, trovò il tesoro di re Ermetick, una massa infinita e incalcolabile di ricchezze, con le quali divenne così vanitoso e altezzoso da guardare con disprezzo tutte le bestie della foresta, persino i suoi parenti e compagni.

Alla fine fece in modo che Tibert il gatto andasse nella foresta di Arden da Bruin l’orso e gli rendesse i suoi omaggi e la sua fedeltà, dicendo che se gli fosse piaciuto essere re, doveva venire nelle Fiandre, dove mio padre lo accolse nobilmente. Poi mandò a chiamare sua moglie, Grimbard, mio nipote, e Isegrim, il lupo, con Tibert, il gatto. Questi cinque, giunti tra Gaunt e il villaggio chiamato Elfe, tennero un solenne consiglio per lo spazio di una notte, durante la quale, istigati dal diavolo e confidando nelle ricchezze di mio padre, giunsero alla conclusione che vostra maestà dovesse essere assassinata.

A tal fine prestarono un giuramento solenne nel modo seguente: Sir Bruin, mio padre, Grimbard e Tibert misero le mani sulla corona di Isegrim e giurarono di fare di Bruin il loro re, di metterlo sul trono ad Acon e di mettergli sul capo il diadema imperiale. Se qualcuno si fosse opposto al progetto, mio padre avrebbe assoldato degli assassini che li avrebbero cacciati e sradicati dalle foreste. Dopo di ciò accadde che mio nipote Grimbard, un giorno, riscaldato dal vino, fece scoprire questo maledetto complotto a Dama Slopard, sua moglie, ordinandole di mantenere il segreto. Ma anche lei, come fanno le donne, lo tenne nascosto solo fino all’incontro con me, incaricandomi di non rivelarlo a nessuno!

Inoltre mi diede tali prove della sua verità da far drizzare i capelli della mia testa, mentre il mio cuore sprofondava freddo e pesante dentro di me, come un pezzo di piombo. In effetti, mi ha fatto venire in mente la storia delle rane, che si lamentarono con Giove di non avere un re che le governasse, ed egli mandò loro una cicogna, che le mangiò e le divorò, e per la cui tirannia divennero le più miserabili di tutte le creature. Allora invocarono Giove per ottenere riparazione, ma era troppo tardi, poiché chi non si accontenta della propria libertà, di conseguenza deve essere sottomesso alla schiavitù.* Anche io temevo che potesse accadere a noi, e mi sono addolorato per la sorte della vostra maestà, anche se voi non rispettate la mia sventura.

L’ambizione dell’orso è tale che se il governo finisse nelle sue mani, il Commonwealth cadrebbe in sacrificio alla sua tirannia. Inoltre, so che Vostra Maestà appartiene di quel lignaggio reale e nobile, così potente, benevolo e misericordioso, che sarebbe stato un maledetto scambio vedere un orso famelico sedere sul trono del leone reale; perché in Sir Bruin e in tutta la sua intera generazione c’è più dissolutezza e incostanza che in qualsiasi altra bestia.

Cominciai quindi a meditare su come sventare i falsi e perfidi disegni di mio padre, che mirava a elevare un traditore e uno schiavo all’altezza del vostro trono imperiale. Ero consapevole del fatto che, fintanto che il tesoro fosse stato in suo possesso, Vostra Maestà sarebbe stata in pericolo, e mi sentivo estremamente turbato e perplesso. Decisi allora di scoprire, se possibile, dove fosse nascosto il tesoro e lo osservai notte e giorno, nei boschi, nelle siepi e nei campi aperti. In qualsiasi punto mio padre volgesse lo sguardo, io ero lì sicuro di scorgerlo una volta o l’altra nel fatto.

* La confessione della volpe mostra una triplice sottigliezza: in primo luogo, il suo racconto pietoso risveglia la compassione della regina; in secondo luogo, accusando i suoi amici e parenti più stretti, ottiene credito per ciò che portava avanti; in terzo luogo, coinvolgendo la vita del monarca nella cospirazione, allarmò i timori della regina e portò i suoi nemici in disgrazia. L’intero espediente dimostra che chi vuole ottenere credito per la sua storia deve prima appellarsi alla pietà e avendo ottenuto la fede, inizia a perpetrare le sue malefatte, alle quali un uomo saggio, come il leone, non presterà ascolto. Ma le persuasioni della regina e la sua stessa avarizia accecarono il suo miglior giudizio, ed egli si abbandonò al tranello che la volpe gli aveva teso. – Extract from old Eng. Comm.

“Un giorno, mentre ero sdraiato a terra, lo vidi uscire da una buca con un’aria da ladro; guardò intorno a sé per vedere se era osservato e, credendo che la via fosse libera, tappò la buca con sabbia così uniforme e liscia che l’occhio più curioso non poteva distinguere alcuna differenza tra quella e l’altra terra. Poi, dove rimaneva l’impronta del suo piede, la accarezzò con la coda e la lisciò con la bocca in modo che nessuno potesse percepirla. In effetti, questa e molte altre sottigliezze ho imparato da lui in quell’occasione. Quando ebbe finito, si allontanò verso il villaggio per i suoi affari privati, mentre io mi diressi verso la buca e, nonostante tutta la sua astuzia, trovai subito l’ingresso.

Poi entrai nella caverna, dove trovai un’innumerevole quantità di tesori; e prendendo con me Ermelin, mia moglie, lavorammo giorno e notte per trasportarli in un altro luogo, dove li depositammo al sicuro da ogni occhio. Durante il tempo in cui eravamo impegnati, mio padre era in profonda consultazione con gli altri traditori per preparare la morte di Sua Maestà. Fu deciso che Isegrim il lupo avrebbe dovuto attraversare tutto il regno e promettere a tutte le bestie che avrebbero accettato il salario, e riconosciuto Bruin come loro sovrano e difeso il suo titolo, un anno intero di paga in anticipo.

In questo viaggio mio padre lo accompagnò, portando delle ordinanze firmate in tal senso, non sospettava di essere stato privato di tutte le ricchezze con cui promuovere il suo progetto. Una volta conclusa la trattativa tra Elge e Soam, e radunato un vasto corpo di soldati per l’azione per la primavera successiva, tornarono da Bruin e dal suo gruppo, ai quali dichiararono i molti pericoli ai quali erano sfuggiti nel ducato di Sassonia, dove erano inseguiti da segugi e cacciatori. Successivamente mostrarono a Bruin i registri degli arruolamenti, cosa che gli fece molto piacere, perché vi trovò circa milleduecento uomini della stirpe di Isegrim, tutti giurati per l’azione, oltre ai parenti dell’orso, ai gatti e ai dassens, che sarebbero stati pronti con un’ora di preavviso. Tutto questo lo scoprii da una fonte attendibile; e quando il complotto fu pronto per l’esecuzione, mio padre si recò alla grotta per prendere il suo tesoro. Quale fu la sua infinita agonia e i suoi problemi nel trovare il luogo aperto e saccheggiato! Divenne disperato e poco dopo andò all’albero vicino e si impiccò”.

“Così, grazie alla mia abilità, il tradimento di Bruin fu sconfitto, e per questo ora soffro, mentre quei due falsi traditori, Bruin e Isegrim, siedono nel Consiglio privato del re, con grande autorità, per procurarmi il disonore e calpestarmi. Ho perso mio padre per la causa di Vostra Maestà, e quale prova più forte può essere offerta della mia lealtà? Ho perso la mia vita per difendere la vostra”.

Il re e la regina, nutrendo la speranza di possedere questi tesori inestimabili, ordinarono a Reynard di scendere dalla forca e lo invitarono a svelare il luogo del nascondiglio. “Cosa?”, rispose la volpe, “dovrei fare dei miei peggiori nemici i miei eredi? Questi traditori, che mi hanno tolto la vita e hanno attentato a quella di Vostra Maestà, dovranno forse entrare in possesso della fortuna di cui godo?”. “Allora”, disse la regina, “non temere, Reynard, il re ti salverà la vita e tu d’ora in poi giurerai fede e vera fedeltà a sua maestà”. La volpe rispose: “Sovrana signora, se il re, per la sua natura regale, darà credito alla mia verità e perdonerà le mie colpe, non c’è mai stato un re così ricco come sarà.” Allora il re, interrompendo la regina, disse: “Bella consorte, vuoi credere alla volpe? Sappi che la sua principale eccellenza è mentire, rubare e imporsi sugli altri”. Ma la regina disse: “Eppure ora, mio caro signore, potete credergli liberamente, perché per quanto possa essere stato pieno di inganni nella sua prosperità, vedete che ora è cambiato.

Accusa il proprio padre e Grimbard, il suo più caro nipote e parente! Se avesse mentito, avrebbe potuto scaricare la sua imputazione su altre bestie e non su quelle che ama di più”. “Ebbene, signora”, rispose il re, “per questa volta sarete voi a governarmi. Concederò il perdono gratuito alla volpe, ma a questa condizione: che se sarà trovata a inciampare di nuovo, anche se per la più piccola colpa, sia lei che i suoi saranno completamente estirpati dai miei domini”. La volpe guardò con tristezza quando il re parlò così; tuttavia si rallegrò dentro di sé e disse: “Temutissimo signore, sarebbe una vergogna enorme per me, se dovessi osa dire il falso in questa augusta presenza.” .

Allora il re, prendendo una pagliuzza da terra, perdonò alla volpe tutte le trasgressioni che lui o suo padre prima di lui avevano commesso. Non c’è da stupirsi che la volpe cominciasse a sorridere, perché la vita era molto dolce per lei; e si prostrò davanti al re e alla regina, ringraziandoli umilmente per tutta la loro misericordia e dichiarando che li avrebbe resi i principi più ricchi del mondo. A queste parole, la volpe prese una pagliuzza e, porgendola al re, gli disse: “Mio temibile signore, prego Vostra Maestà di accettare questo pegno di consegna totale a Vostra Maestà del tesoro del grande Re Ermetick, con il quale vi presento liberamente per mia libera volontà e piacere”. Il re ricevette la pagliuzza e, sorridendo, ringraziò la volpe; quest’ultima rise di cuore pensando alla grossolanità dell’impostura.

Da quel giorno in poi, nessuno ebbe tanta influenza sul re quanto quella della volpe; e confidando in essa disse: “Mio grazioso signore, dovete sapere che sul versante occidentale delle Fiandre c’è un bosco chiamato Husterloe, vicino al quale scorre un fiume chiamato Crekenpit: si tratta di una regione selvaggia così vasta e impraticabile che quasi tutto l’anno non passa un uomo o una donna da quelle parti. Vi ho nascosto questo tesoro e vorrei che Vostra Maestà e la Regina vi si recassero, perché non conosco altri, oltre alle Vostre Altezze, di cui mi possa fidare per un progetto così grande. Quando Vostra Maestà lo raggiungerà, vedrà due alberi di betulla che crescono accanto al pozzo e lì troverà il tesoro, che consiste in monete, gioielli preziosi e la corona che re Ermetick indossava. Con questa corona Bruin l’orso sarebbe stato incoronato, se il suo tradimento fosse riuscito secondo le aspettative. Lì troverai anche molte pietre costose, delle quali quando sarai in possesso, ricorderai l’amore del tuo povero servitore Reynard”.

Il re rispose: “Sir Reynard, dovete aiutare voi stesso a dissotterrare questo tesoro, altrimenti penso che non lo troverò mai. Ho sentito parlare di luoghi come Parigi, Londra, Acon e Cullen, ma di Crekenpit non ho mai sentito parlare; perciò temo che tu dissimuli”. La volpe arrossì a queste parole; tuttavia, con un a espressione audace, disse: “Vostra Maestà dubita ancora della mia fede? No, allora approverò le mie parole con una testimonianza pubblica”. E con ciò chiamò la lepre Kayward, ordinandole di presentarsi al cospetto del re e della regina e di rispondere sinceramente alle domande che gli sarebbero state poste.

La lepre rispose: “Io risponderò sinceramente in ogni cosa, anche se dovessi morire per questo”. Allora Reynard disse: “Non sai dove si trova Crekenpit?”. “Sì”, rispose Kayward, “lo conosco da una dozzina d’anni, si trova in un bosco chiamato Husterloe, a dire il vero, in mezzo a un vasto e selvaggio deserto, dove ho sopportato molti tormenti sia per la fame che per il freddo. Inoltre, è lì che padre Simony, il frate, coniava moneta falsa a beneficio suo e dei suoi confratelli; ma questo è avvenuto prima che io e e Ring il segugio diventassimo compagni”. “Ebbene”, disse alla volpe, “hai parlato a sufficienza; torna al tuo posto”. Così la lepre se ne andò.

Allora la volpe disse: “Mio sovrano, il re, qual è la tua opinione? Sono degno della tua fiducia o no?”. Il re disse: “Sì, Reynard, ti prego di scusare il mio sospetto; è stata la mia ignoranza a farti torto. Preparati dunque ad accompagnarci al più presto al pozzo dove si trova questo tesoro”. La volpe rispose: “Ahimè, mio signore, credete che non vorrei venire con voi, se potessi avventurarmi senza il vostro disonore, cosa che non posso fare? Dovete infatti capire, anche se per mia disgrazia, che quando Isegrim il lupo, in nome del diavolo, voleva farsi religioso e fare il monaco, la porzione di carne che spettava per sei monaci era troppo poca per lui solo, si lamentò così tanto che, essendo mio parente, lo compatii e gli consigliai di scappare, cosa che fece.

Per questo motivo sono attualmente maledetto e scomunicato dalla sentenza del papa, e sono deciso domani all’alba a mettermi in viaggio verso Roma, e da Roma intendo attraversare i mari per la Terra Santa, e non tornerò mai più nella mia patria natale finché non avrò fatto così tanto bene e non avrò espiato così tanto i miei peccati, da poter frequentare la persona di Vostra Maestà con onore e reputazione”;

Il re, udendo questo pio disegno, disse: “Poiché sei maledetto dalle censure della Chiesa, Non devo averti con me; e quindi porterò Kayward la lepre e alcuni altri con me a Crekenpit; solo ti ordino, Reynard, visto che tieni al nostro favore, di liberarti dalla maledizione di Sua Santità”. “Questo è il motivo, mio signore, per cui andrò a Roma; non riposerò né notte né giorno finché non avrò ottenuto l’assoluzione”. “La strada che hai intrapreso è buona”, disse il re; “vai avanti e prospera nel tuo giusto intento, e torna a casa meglio di come sei andato”.

CAPITOLO XII.
COME LA VOLPE REYNARD FU ONORATA AL DI SOPRA DI TUTTE LE BESTIE
PER ESPRESSO ORDINE DEL RE.

Appena terminata il convegno, il re reale salì sul suo alto trono, innalzato a forma di impalcatura, fatto di bella pietra squadrata, e da lì ordinò un silenzio generale a tutti i suoi sudditi. Ognuno doveva prendere posto secondo la sua nascita o la sua dignità di ufficio, tranne la volpe, che sedeva tra il re e la regina. Il re allora parlò: “Ascoltate tutti voi, nobili, cavalieri, gentiluomini e altri di ranghi inferiori! Sir Reynard, uno degli ufficiali supremi della mia casa, le cui malefatte lo avevano portato alla resa dei conti, tra quelle due amanti litigiose, la legge e la giustizia, ha recuperato oggi la nostra migliore grazia e il nostro favore.
Ha reso un servizio così nobile e degno allo Stato, per cui sia io che la mia regina siamo legati a lui per sempre. D’ora innanzi comando a tutti voi, a pena di mettere a repentaglio le vostre vite più care, di non mancare d’ora in poi, da oggi, a mostrare tutta la riverenza e l’onore, non solo a Reynard stesso, ma a tutta la sua famiglia, ovunque vi capiti di incontrarli di notte o di giorno. Né alcuno d’ora in poi abbia l’audacia di disturbare le mie orecchie con lamentele contro di lui, perché non sarà più colpevole di aver fatto del male.* Domani, molto presto, partirà per un pellegrinaggio a Roma, dove intende ottenere un perdono gratuito e un’indulgenza dal papa, e poi recarsi in Terra Santa.” Ora, quando Tisellen il corvo udì questo discorso, volò da Sir Bruin, Isegrim e Tibert, e disse: “Miserabili creature! come sono cambiate le vostre fortune! come potete sopportare di sentire queste notizie? Ebbene, Reynard è ora un cortigiano, un cancelliere, anzi un primo ministro e un favorito, le sue colpe sono state perdonate; e voi siete tutti traditi e venduti come schiavi.” Isegrim rispose: “No, non è possibile, Tissellen, e non si può sopportare un simile abuso”.

“Vi dico che è possibile! Non illudetevi, è vero come lo dico ora”. Allora il lupo e l’orso si recarono dal re, ma il gatto rifiutò e era così spaventato da ciò che sentì che, per ottenere ancora una volta il favore della volpe, avrebbe perdonato non solo le ferite ricevute, ma avrebbe anche corso un secondo rischio. Ma Isegrim, con molta sicurezza e orgoglio, si presentò al cospetto del re e della regina e con le parole più aspre inveì contro la volpe; e in modo così appassionato e impudente che il re si infuriò e ordinò che sia il lupo che l’orso fossero arrestati per alto tradimento. Ciò fu immediatamente fatto con un marchio di violenza e umiliazione; i prigionieri furono legati mani e piedi, in modo che non potessero muovere un arto, né fare un passo dal luogo in cui giacevano. Infatti la volpe, dopo averli intrappolati in questo modo, riuscì a convincere la regina a procurarsi tanta pelle dell’orso quanto gli sarebbe bastata una grossa bisaccia per il suo viaggio. Una volta messo in atto questo, non volle altro che un paio di scarpe robuste per difendere i suoi piedi dalle pietre mentre viaggiava.

Di nuovo, quindi, disse alla regina:
“Signora, sono il vostro povero pellegrino; e se Vostra Maestà vorrà prenderlo in considerazione, noterete che Sir Isegrim indossa un paio di scarpe eccellenti e durevoli, che se vorrete concedermi, pregherò per l’anima di vostra maestà durante i miei viaggi per la mia missione caritatevole.
Anche mia zia, Dame Ersewind, ha altre due scarpe, che Vostra Maestà vorrebbe concedermi, le fareste solo un piccolo danno , dato che raramente si avventura all’estero.”
La regina rispose: “Sì, Reynard, credo che vorrai scarpe simili per il tuo viaggio; è pieno di fatica e difficoltà, sia per quanto riguarda le colline pietrose che le strade ghiaiose.

*Sembra quindi che quando la politica e la saggezza trionfano sui loro nemici, non si fermano mai finché non ci convincono della grandezza della loro ambizione, attenuando i loro crimini e tenendo in soggezione i loro nemici con una dimostrazione di grazia e di favore. Dalla denuncia del corvo si manifesta la gelosia e la paura dei più deboli, come essi in tempo di difficoltà si rivolgono verso i capi delle fazioni; e l’arresto del lupo e dell’orso ci insegna che quando gli uomini si lamentano dei loro torti in modo intempestivo, non fanno altro che aggravare il problema invece di ripararlo. – Ex. Old Eng. Comm.

Pertanto, assicurati di avere, anche se non ha mai toccato la loro vita così da vicino, un paio di scarpe da ciascuno di loro, per accelerare e portare a termine il tuo viaggio.”
Così Isegrim fu preso e gli furono tolte le scarpe nel modo più crudele.
Dopo essere stato così tormentato, Dame Ersewind, sua moglie, fu trattata allo stesso modo di suo marito; e se il gatto fosse stato lì, avrebbe senza dubbio subito la stessa sorte, oltre alla crudele derisione della volpe. La mattina dopo, di buon’ora, Reynard si fece ben oliare le scarpe, in modo che calzassero bene, e poi andò davanti al re e alla regina, e disse: “Miei temibili lord e lady, il vostro povero suddito si inchina davanti a voi, supplicando umilmente le vostre maestà di permettermi di prendere la mia bisaccia e il mio bastone secondo l’uso dei pellegrini.”*

Il re allora mandò a chiamare Bellin l’ariete e gli ordinò di celebrare la messa solenne davanti alla volpe e di consegnargli il bastone e la posta; ma Bellin rifiutò, dicendo: “Mio signore, non oso, perché è sotto la maledizione del papa”. Ma il re disse: “Che dici? Non ci hanno detto i nostri dottori che se un uomo commette tutti i peccati del mondo, tuttavia se si pente, si confessa, fa penitenza e cammina come i sacerdoti lo istruiscono, tutto gli viene chiaramente perdonato? E Reynard non ha forse fatto tutto questo?”.
Bellin rispose: “Sire, sono restio a intromettermi in tali questioni; tuttavia, se vostra maestà mi proteggerà dal vescovo di Preudelor e dall’arcidiacono di Loofwind, eseguirò il vostro comandamento”. A questo punto il re si adirò e disse: “Signore, disprezzo essere in debito con voi”.
E quando Bellin vide sua maestà così offesa, tremò di paura, corse subito all’altare e cantò la messa, usando molte cerimonie alla volpe, che non aveva molto rispetto per loro oltre al suo desiderio di godersi l’onore. Quando Bellin l’ariete ebbe finito, appese al collo di Reynard la sua cotta di maglia, fatta di pelle d’orso, e gli presentò il bastone.

Così equipaggiato, Sir Reynard guardò tristemente verso il re, come se fosse stato riluttante ad andare; finse di piangere, anche se tutto il suo dolore era che l’intera corte non si trovasse in una situazione così brutta come quella del lupo e dell’orso. Si congedò chiedendo a tutti di pregare per la sua anima, come lui avrebbe fatto per loro; perché in effetti era così consapevole della propria furfanteria che era ansioso di andarsene.

Il re disse: “In verità, Sir Reynard, mi dispiace che dobbiamo separarci così all’improvviso;” ma la volpe rispose: “Non c’è rimedio, mio signore. Non dobbiamo essere lenti nell’adempiere i santi voti”. Quindi il re ordinò a tutti i signori presenti, tranne l’orso e il lupo, di accompagnare Reynard per una parte del suo viaggio. Sebbene avesse una figura molto galante, dentro di sé sorrideva della propria malvagità, mentre ostentava la massima modestia. Infatti i suoi nemici erano ormai diventati i suoi attendenti,† e anche il re, che egli aveva grossolanamente ingannato con menzogne perfide, ora lo accompagnava anche come un amico di famiglia.

Dopo aver proceduto per un certo tratto di strada, la volpe disse: “Vi prego vostra maestà, non disturbatevi oltre; pensate al vostro agio e alla sicurezza della vostra persona reale; perché avete arrestato due traditori capitali, i quali, se dovessero recuperare la libertà, il pericolo sarebbe essere grande”.
Detto questo, si alzò sulle zampe posteriori e pregò le nobili bestie che erano in sua compagnia ancora una volta di pregare per lui; dopo di che si congedò dal re con un’espressione estremamente triste e pesante.

Poi, rivolgendosi alla lepre Kayward e all’ariete Bellin, con un volto sorridente, disse: “Miei migliori amici, dobbiamo separarci così presto? Sicuramente non mi lascerete ancora. Con voi non mi sono mai offeso: la vostra conversazione è gradevole; perché siete miti, affettuosi e cortesi, ma anche religiosi e pieni di saggi consigli, proprio come lo ero io quando conducevo una vita da recluso. Se avete qualche foglia verde e qualche erba, vi accontentate come di tutto il pane e il pesce del mondo, perché siete temperanti e modesti”. Così, con profusione di parole lusinghiere, allettò questi due ad accompagnarlo.

* Nel trattamento crudele del lupo e dell’orso viene mostrata la malizia di un nemico malvagio e trionfante, che persegue il suo vantaggio fino alla totale rovina e distruzione. – Old Eng. Com.

Nell’ipocrisia della volpe si vede la dissimulazione degli uomini mondani, che assumono il mantello della religione mentre perpetrano le peggiori azioni. La sua grande scorta mostra l’adulazione e la bassezza di persone che pongono i loro servigi ai piedi di un nuovo favorito che prima avevano contrastato e disprezzato. – Old Eng. Com.

CAPITOLO XIII.
COME IL LEPROTTO KAYWARD FU UCCISO DALLA VOLPE, CHE LO AVEVA

INVIATO DALL’ARIETE COME REGALO AL RE

I tre amici proseguirono insieme il viaggio finché non giunsero alle porte della casa di Reynard. Allora disse all’ariete: “Ti prego, cugino, fai la guardia qui fuori, mentre io e Kayward entriamo: voglio che sia testimone del mio piacere di incontrare la mia famiglia”. Bellin disse che lo avrebbe fatto e la volpe e la lepre entrarono a Malepardus, dove trovarono Lady Ermelin molto addolorata per l’assenza del marito. Ma quando lo vide, la sua gioia non conobbe limiti e manifestò il suo stupore nel vedere la cotta di maglia, il bastone e le scarpe. “Carissimo marito”, gridò, “come è andata?”. Reynard raccontò quindi le sue avventure a corte, aggiungendo che stava andando in pellegrinaggio e che aveva lasciato Bruin e Isegrim in pegno per lui fino al suo ritorno. Quanto a Kayward, aggiunse, voltandosi verso di lui, che il re glielo aveva affidato perché ne facesse ciò che voleva, dato che Kayward era stato il primo a lamentarsi di lui, per il quale aveva giurato vendetta mortale.

Udendo queste parole, Kayward rimase piuttosto sconvolto e cercò di volare via; ma la volpe si era messa tra lui e la porta e subito lo afferrò per il collo. Kayward gridò aiuto a Bellin, ma la volpe gli tagliò la gola con i denti aguzzi prima che potesse essere sentito. Fatto ciò, il traditore e la sua famiglia iniziarono a banchettare allegramente con lui e bevvero il suo sangue alla salute del re. Ermelin poi disse: “Temo, Reynard, che mi prendi in giro; poiché mi ami, raccontami come sei partito alla corte del re”. Quando egli le raccontò la piacevole storia di come aveva imposto al re e alla regina una falsa promessa di tesori che non esistevano. “Ma quando il re scoprirà la verità, prenderà ogni mezzo per distruggerci; quindi, cara moglie”, disse, “non c’è rimedio: dobbiamo fuggire da qui in qualche altra foresta, dove potremo vivere in sicurezza, e trovare cibi più delicati, sorgenti limpide, fiumi freschi, ombre fresche e aria salubre. Qui non c’è stabilità; e ora che ho ‘tolto il pollice dalla bocca del re’, non entrerò più a portata dei suoi artigli.” “Eppure qui”, disse sua moglie, “abbiamo tutto ciò che desideriamo, e tu sei signore su tutto ciò che controlli; ed è pericoloso scambiare un certo bene con speranze migliori.

Se il re ci assediasse qui così da vicino, abbiamo mille passaggi e aperture laterali, cosicchè non può né prenderci né privarci della nostra libertà. Perché allora fuggire oltre i mari? Ma lo avete giurato, e questo mi irrita.” “No, signora”, esclamò Reynard, “non affliggetevi per questo, quanto più sei spergiuro, tanto meno sei disperato, lo sapete; perciò sarò spergiuro e rimarrò, nonostante sua maestà, dove sono. Contro il suo potere schiererò la mia politica. Mi difenderò bene, in modo tale che, sarò costretto ad aprire la mia borsa, che non dia la colpa a me se si ferirà con la sua stessa furia.”

Nel frattempo Bellin stava aspettando al cancello, estremamente irritato e impaziente; e imprecando sia contro la volpe che contro la lepre, chiamava a gran voce Sir Reynard. Così alla fine Reynard andò e disse sottovoce: “Buon Bellin, non ti offendere! Kayward sta parlando con sua zia e mi ha detto che, se tu andrai avanti, lui ti raggiungerà, perché ha il passo leggero e più veloce di te”. “È vero; ma mi sembrava”, disse Bellin, “di aver sentito Kayward gridare aiuto”. “Cosa, gridare aiuto, perbacco? Pensi che possa subire qualche danno in casa mia?”.
“No.”
“Ma ti dirò come sei stato ingannato. Avendo informato mia moglie del mio pellegrinaggio, lei svenne e Kayward, molto allarmato, gridò: ‘Bellin, vieni ad aiutare mia zia; lei muore! muore!’” “Allora ho frainteso il grido”, disse Bellin.
“L’hai fatto”, disse Reynard; “e ora parliamo d’affari, buon Bellin. Forse ricorderai che il re e il consiglio mi hanno pregato di scrivere, prima che partissi per il pellegrinaggio, su alcune questioni importanti per lo stato.”
“In che cosa potrò portare queste carte nel modo più sicuro?” – chiese Bellin.
“Questo è già previsto per te”, rispose Reynard, “perché avrai la mia bisaccia, che potrai appendere al collo; e prenditene cura, perché si tratta di questioni di grande importanza”. Quindi Reynard rientrò in casa e, presa la testa di Kayward, la infilò nella busta e raccomandò all’ariete di non guardarvi dentro, visto che teneva al favore del re, fino a quando non fosse arrivato a corte; aggiunse che poteva stare certo che la presentazione delle lettere al re gli avrebbe spianato la strada verso un grande promozione.

Bellin ringraziò la volpe e, informato che lui aveva altre faccende da sbrigare con Kayward, si mise in viaggio da solo. Quando arrivò a corte, trovò il re nel suo palazzo, seduto in mezzo alla sua nobiltà. Il re si meravigliò quando vide Bellin entrare con la bisaccia fatta con la pelle di Bruin e disse: “Ma come, Bellin! Dov’è Sir Reynard, che hai con voi la sua bisaccia?”. “Mio temibile signore”, disse Bellin, “Ho scortato la nobile volpe al suo castello, quando, dopo un breve riposo, mi ha chiesto di portare a Vostra Maestà alcune lettere, di grande importanza, che ha racchiuso nella sua bisaccia.” Il re ordinò che le lettere fossero consegnate al suo segretario, Bocart, un eccellente linguista, che comprendeva tutte le lingue, affinché le leggesse pubblicamente. Così lui e Sir Tibert il gatto presero la bisaccia dal collo di Bellin, e aprendo la stessa, invece delle lettere, tirarono fuori la testa insanguinata di Kayward! a quella vista gridarono con enorme sgomento: “Guai e ahimè! quali lettere chiami tu queste? O temibile signore, ecco, qui non c’è altro che la testa del povero Kayward assassinato!”.
Vedendo ciò, il monarca gridò: “Infelice re che sono, per aver mai dato credito alla volpe traditrice!”. E sopraffatto dalla rabbia, dal dolore e dalla vergogna, tenne la testa bassa per un bel po’, così come la regina. Infine, scuotendo i suoi riccioli regali, fece un rumore così forte che tutti i signori della foresta tremarono di paura. Allora Sir Firapel, il leopardo, il parente più prossimo del re, disse: “Perché vostra maestà è così turbata? Un tale dolore potrebbe diventare il funerale della regina. Vi prego di placare la vostra angoscia. Non siete voi il re e il padrone? Non sono tutti soggetti al vostro potere?”.

Il re rispose: “Sì, cugino, ma una simile malizia è oltre la sopportazione. Sono stato tradito da un criminale, che mi ha costretto a opprimere i miei migliori amici e sudditi, persino quelli del mio consiglio e del mio sangue: il robusto Sir Bruin e Sir Isegrim il lupo. Eppure, non mi sarei macchiato di questo ignobile disonore, se non fosse per la tenerezza della regina, che mi ha colpito e per il quale mi addolorerò sempre più”.

“E che importa?” rispose il leopardo; “tu sei al di sopra di ogni ferita, e un sorriso può sanare la più grande ferita al tuo onore. Avete il potere di ricompensare e punire, e potete distruggere o ripristinare la reputazione a vostro piacimento. E se l’orso perdesse la pelle, il lupo e la dama Ersewind le scarpe? In cambio, dal momento che Bellin, che si è dichiarato una parte di questo disgustoso omicidio, potete conferire lui e le sue sostanze alla parte lesa. Quanto a Reynard, possiamo andare ad assediare il suo castello e, dopo averlo arrestato, impiccarlo con la legge delle armi senza ulteriore processo, e la cosa finisce lì”.

CAPITOLO XIV.
COME L’ARIETE BELLIN E LA SUA STIRPE VENGONO CONSEGNATI ALL’ORSO E AL LUPO.

Il re acconsentì a questa mozione e inviò Firapel alla prigione dove si trovavano l’orso e il lupo. “Miei signori”, disse, “vi porto un’amnistia generale da parte di Sua Maestà, così come i suoi migliori auguri e il riconoscimento delle vostre ferite. Come ricompensa è lieto di concedervi per la sua principesca generosità sia Bellin l’ariete e tutta la sua generazione con tutto ciò che possiedono e voi li avrete con il pieno incarico di ucciderli, ucciderli e divorarli dovunque l’incontriate, nei boschi, nei campi o sui monti, fino al giorno del giudizio. Lo stesso potere vi è concesso su Reynard e tutta la sua stirpe. Le “Letters patent” vi saranno spedite tra breve, e Bellin ora attende il vostro piacere.”
Ristabilita così la pace tra il re e i suoi nobili, Bellin fu immediatamente ucciso (il lupo seguì la sua inimicizia nei confronti della sua razza per sempre); e poi il re indisse una grande festa, che si tenne con tutta la dovuta solennità per dodici giorni.

Quando questi festeggiamenti principeschi, a cui parteciparono i signori sia della terra che dell’aria, giunsero all’ottavo giorno, verso mezzogiorno arrivò Laprel, il coniglio, davanti al re e alla regina mentre sedevano a banchetto, e con voce lamentosa disse: “Grande re, abbi pietà della mia miseria, e ascolta la mia lamentela della forza e dell’omicidio che Reynard la volpe aveva quasi commesso mentre passavo davanti al castello di Malepardus. Stavo fuori dalle sue porte vestito come un pellegrino, e credendo che potessi passare tranquillamente, mi attraversò la strada, recitando il suo rosario con tanta devozione che lo salutai. Egli, senza rispondere, allungò il piede destro e mi diede un tale colpo sul collo che mi sembrò di avere la testa staccata dal corpo; tuttavia conservai i sensi a sufficienza per sottrarmi ai suoi artigli, anche se molto gravemente ferito e dolorante. Una delle mie orecchie è rimasta nella sua presa; e confido che non permetterete più a questo sanguinario assassino di affliggere i vostri poveri sudditi”.

Mentre il coniglio stava ancora parlando, entrò in volo il corvo Corbant che, presentandosi al re, disse: “Grande re, ti prego di darmi ascolto. Stamattina sono andato con Becco Tagliente, mia moglie, a svagarci nella brughiera e lì abbiamo trovato la volpe Reynard stesa a terra come una carcassa morta, con gli occhi fissi e la lingua che gli usciva dalla bocca come un cane da caccia morto. Incuriositi dalla sua strana condizione, cominciammo a toccarlo, ma sembrava morto. Allora mia moglie (povera anima attenta!) gli accostò la testa alla bocca per vedere se respirava; ma l’immondo furfante, visto il momento, le cacciò in bocca la testa e la staccò con un morso. A quel punto gridai ‘Povero me!’ il turpe assassino si precipitò improvvisamente su di me con l’intento più mortale, tanto che fui felice di fuggire salendo in aria, da dove lo vidi divorare mia moglie in uno stile così terribile, che il solo pensiero mi fa morire mentre lo ripeto”.

CAPITOLO XV.
COME IL RE SI CONSIGLIA PER LA VENDETTA E COME REYNARD
VIENE AVVISATO DA GRIMBARD IL BRACCO.

Quando udì queste lamentele del coniglio e del corvo, gli occhi del re si accesero di fuoco nella persona di sua maestà, tanto che il suo volto era terribile e crudele da vedere. Alla fine parlò: “Per la mia corona e per la verità che devo sempre alla regina mia moglie, vendicherò questi oltraggi commessi contro la mia dignità, finché la virtù non mi adorerà di nuovo e i malvagi moriranno con il ricordo: la sua falsità e le sue lusinghe non mi inganneranno più”.

“È questo il suo viaggio a Roma e in Terra Santa? Sono questi i frutti della sua bisaccia del suo bastone e degli altri ornamenti di un devoto pellegrino? Ebbene, troverà la ricompensa dei suoi tradimenti, anche se tutto ciò è dovuto alla persuasione della regina; e non sono nemmeno il primo a essere stato ingannato da quel genere tenero, dato che molti grandi spiriti sono caduti per i loro allettamenti”.
Detto questo, ordinò a tutti i nobili e ai dignitari della sua corte di assisterlo con i loro consigli sul modo migliore per vendicare gli insulti offerti alla dignità reale, affinché ogni colpevole conoscesse e sentisse il pesante prezzo delle sue azioni ingiuste.

Isegrim e Bruin, sentendo le parole del re, si rallegrarono molto e speravano di saziare la loro vendetta nei confronti di Reynard; tuttavia continuarono a tacere. Il re, osservandoli muti, come se tutti avessero paura di dire la loro opinione, cominciò a chinare il capo. Ma la regina, dopo una solenne riverenza, disse: “Signore, non fa parte di un’eccellente saggezza credere o protestare nulla finché la questione non sia stata chiarita; né i saggi dovrebbero porgere l’orecchio a qualsiasi lamentela, ma riceverne una per intrattenere la difesa di chiunque sia accusato. Infatti, molte volte l’accusatore supera l’accusato nel danno; e quindi audi alteram partem, perché è solo un atto di giustizia. Per quanto io abbia errato, avevo un buon motivo per convincermi, perché sia nel bene che nel male, non avete il diritto di procedere contro Reynard, se non secondo le leggi”.

Quando la regina ebbe parlato, Firapel il leopardo disse: “La regina ha parlato bene e quindi lasciamo che Reynard si avvalga del beneficio delle leggi e che venga prima convocato. Se non si presenterà prima della fine della festa per sottomettersi alla vostra misericordia, allora Vostra Maestà potrà procedere contro di lui come meglio crede”.

Isegrim il lupo replicò: “Sir Firapel, per quanto mi riguarda, penso che nessuno di questa assemblea, affinché venga approvata solo dal mio signore il re, possa osare opporsi al vostro consiglio. Tuttavia oso affermare che, per quanto Sir Reynard possa fingere di scagionarsi da queste e da mille altre accuse, tuttavia ho in seno ciò che confermerà che ha perso la vita. Ma in sua assenza mi asterrò dal parlare, se non per quanto riguarda il tesoro che, secondo quanto ha riferito, Sua Maestà si trova a Crekenpit, a Husterloe; non sono mai uscite parole più false dalla bocca di nessuna creatura, poiché il tutto era una maliziosa menzogna per ferire me e l’orso e ottenere la licenza di devastare e distruggere tutto ciò che si avvicina al suo castello. Tuttavia, che tutto sia fatto nel nome di Dio, nel modo più gradito a Sua Maestà e a te, Sir Firapel; dirò solo che se avesse voluto presentarsi sarebbe stato qui molto prima, su convocazione dell’ultimo messaggero del re”.

Il re rispose: “Non avrò altra convocazione se non quella della fedeltà del mio popolo. Tutti coloro che rispettano il mio onore si attrezzino per la guerra e alla fine di sei giorni si presentino davanti a me con archi, fucili, bombe, picche e alabarde, chi a cavallo, chi a piedi, perché assedierò subito Malepardus e distruggerò per sempre Reynard e tutta la sua generazione. Se qualcuno non è d’accordo, si volti, perché io lo riconosca come mio nemico”.
E tutti gridarono con una sola voce: “Siamo pronti a servire Vostra Maestà”.

Grimbard il tasso, sentendo questa decisione, si dispiacque moltissimo e, uscendo dall’assemblea, corse con tutta la velocità possibile da Malepardus, senza risparmiarsi, né cespugli né rovi, né recinti né barriere; e mentre andava, disse a se stesso: “Ahimè, mio caro zio Reynard, in quali pericoli sei caduto! Un solo passo ti separa dalla perdizione! Mi dispiace per te, perché sei il vertice e l’onore della nostra casa, sei saggio e politico, e sei un amico dei tuoi amici quando hanno bisogno di consigli; perché il tuo dolce linguaggio può incantare tutte le creature, anche se non ti servirà più”.

Con tali lamenti, Grimbard arrivò a Malepardus e trovò suo zio Reynard in piedi davanti alla porta del castello, che stava mangiando due giovani piccioni che aveva catturato mentre cercavano di volare per la prima volta. Vedendo suo nipote, disse: “Benvenuto, mio amato Grimbard, il più stimato di tutti i miei parenti; sicuramente devi aver corso molto duramente, perché sudi molto. Quali notizie, amico? Come vanno le piazze a corte?”. “Come?”, rispose Grimbard, “molto male per te: hai perso la vita, l’onore e il patrimonio. Il re è in armi, con innumerevoli cavalli e piedi, e Isegrim e Bruin godono di maggior favore presso Sua Maestà di quanto non ne goda io presso di te. È giunto il momento di guardare alla tua sicurezza; la loro invidia si accanisce contro di te; sei stato affisso come ladro e assassino; inoltre, Laprel il coniglio e Corbant il corvo hanno fatto delle denunce atroci contro di te; non c’è scampo dalla morte”.

“Zitto!”, disse la volpe, “mio caro nipote, se questo è il peggio, non ti allarmare. Vieni, cerchiamo di essere allegri e piacevoli insieme. E se il re e tutta la corte giurano sulla mia morte? Vivrai abbastanza per vedermi esaltato al di sopra di tutti. Lasciate che si mettano a chiacchierare e a discutere fino a stancarsi: che sarà mai? Senza l’aiuto del mio ingegno e della mia politica, né la corte né il regno potranno reggersi a lungo. Non temere nulla, nipote, ma vieni con me; ho un paio di piccioni grassi, che sono carne di pura e leggera digestione. Non c’è niente di meglio, quando sono giovani e teneri, perché possono essere quasi ingoiati interi, le loro ossa sono poco più che sangue: vieni, ti dico, e mia moglie ti accoglierà con gentilezza. Quando avremo banchettato, verrò con te a corte, perché, se solo riuscirò a parlare davanti a Sua Maestà, farò morire di fame qualcuno dei miei nemici. Devo solo chiederti di sostenermi come un parente dovrebbe stare accanto all’altro”.

“Non ne dubito”, rispose Grimbard, “sia la mia vita che le mie proprietà saranno al tuo servizio”. “Ti ringrazio, nipote, e non mi troverai ingrato”.
“Sir”, disse il tasso, “fidati fermamente di questo, quando sarai chiamato a rispondere davanti ai lords, nessuna mano oserà arrestarti, perché è vero che godi del favore della regina”. “Allora non mi importa un capello della loro peggiore cattiveria”, disse la volpe; “vieni, andiamo a cena!”. Entrarono nel castello, dove trovarono la dama Ermelin e la famiglia. “Nipote”, disse la volpe, “cosa ne pensi dei miei figli, Reynardine e Rossel? Spero che facciano onore alla nostra famiglia. Promettono bene, te lo assicuro, perché di recente uno ha catturato una gallina e l’altro ha ucciso un pollo: sono entrambi bravi ruffatori e sanno ingannare la pavoncella e il germano reale. Ora posso fidarmi di loro a distanza da me, e presto finirò le mie istruzioni su come sfuggire alle trappole e su come sventare tutti i loro nemici in modo da lasciare in difetto sia i segugi che i cacciatori. In effetti, sono di buona pasta, nipote, e mi assomigliano sia nell’aspetto che nelle qualità: giocano sorridendo, inbrogliano in modo rilassante e uccidono sorridendo. Questa è la vera natura del nostro sangue, e in questo sono perfetti, il che è per me motivo di grande orgoglio e consolazione”.

CAPITOLO XVI.
COME LA VOLPE, PENTENDOSI DEI SUOI PECCATI, FA LA SUA CONFESSIONE
E VIENE ASSOLTA DALLA CAPRA.

Zio”, disse la capra, “puoi essere orgoglioso di avere dei figli così, e io mi rallegro perché sono del mio sangue”. Dopo aver concluso la cena, la volpe, volendo avere il tempo di riflettere sui suoi nuovi piani, disse: “So che il viaggio ti ha reso stanco, nipote; è meglio che ti ritiri a riposare”. E tutti dormirono profondamente, tranne l’astuta volpe cogitabonda.

Alle prime luci del giorno si alzò e si diresse con Grimbard verso la corte, dopo essersi congedato con affetto dalla moglie e dalla famiglia. Mentre percorrevano la brughiera, Reynard disse: “Nipote, gli incidenti di questo mondo sono vari e inevitabili: siamo sempre soggetti, nonostante i piani concordati, ai colpi della fortuna. Da quando sono stato scacciato l’ultima volta, ho commesso molti peccati; perciò ti supplico, lascia che mi confessi davanti a te, in modo che possa passare con meno problemi attraverso i miei peggiori pericoli”.

“Poi lo confesso, è vero che ho procurato all’orso una gravissima ferita facendogli perdere parte della pelle. Ho spogliato il lupo e sua moglie delle loro scarpe. Ho placato il re solo con la menzogna; poiché ho finto una cospirazione contro la vita di Sua Maestà da parte di Sir Isegrim e Sir Bruin, quando un concetto del genere non esisteva; mentre il grande tesoro che ho segnalato a Husterloe era una favola come il resto. Ho ucciso Kayward e ho tradito Bellin a morte; Ho ferito e ucciso Dama Beccoforte, la moglie del corvo”.

“Infine, ho dimenticato di menzionare, durante il mio ultimo viaggio, un grande inganno che ho commesso; ma lo rivelerò ora. Una volta, mentre parlavo con Sir Isegrim il lupo, tra Houthlust ed Elverding, vedemmo una bella cavalla grigia che pascolava con un puledro nero al suo fianco, che era piuttosto grasso e giocoso. Sir Isegrim, quasi morto di fame, mi pregò di chiedere se la cavalla volesse vendere il puledro; al che la cavalla rispose che lo avrebbe fatto volentieri per denaro. Quando le chiesi il prezzo, mi rispose che era scritto sulla zampa posteriore e che, se avessi voluto, poteva andare a leggerlo. Ma io capii il suo intento e dissi: ‘In verità non so leggere, né desidero comprare il vostro puledro; sono solo un messaggero’. ‘Allora lascia che l’acquirente venga’, disse la giumenta, ‘e io lo accontenterò’. Così andai dal lupo e gli riferii ciò che aveva detto la giumenta, assicurandogli che avrebbe potuto fare un affare, a patto che sapesse leggere; infatti il prezzo era scritto sul piede della giumenta”.

“Cugino”, disse il lupo, “so leggere il latino e il greco, l’inglese, il francese e l’olandese. Ho studiato a Oxford e discusso con molti dottori. Ho sentito recitare molte opere maestose e mi sono seduto al posto del giudice. Mi sono laureato in giurisprudenza e so decifrare qualsiasi tipo di scrittura”. Così dicendo, lo sbruffone si recò sul posto e pregò la giumenta di fargli leggere il prezzo. La cavalla alzò molto gentilmente il piede posteriore, appena ferrato con ferro robusto, e mentre il lupo ispezionava, gli diede un colpo così preciso sulla fronte che lo fece cadere a testa in giù e rimase a terra morto per un tempo che un uomo avrebbe potuto cavalcare per un miglio e meglio. Fatto questo, la cavalla si allontanò al trotto con il suo puledro, lasciando il povero lupo tutto insanguinato e ferito. Quando si riprese, ululò come un cane; allora andai da lui e gli dissi: “Signor Isegrim, caro zio, come stai? Hai mangiato troppo del puledro? Ti prego di darmi una piccola parte, perché ho seguito onestamente il tuo messaggio. Sicuramente avete mangiato troppo tardi, buon zio! Era prosa o rima quella che avete trovato scritta sul piede della giumenta? Penso che dovesse essere una canzone, perché ti ho sentito cantare: anzi, dimostri di essere esperto in tutte le arti”.

“Ahimè!“ gridò il lupo, “Sto estremamente male. Non disprezzarmi, Reynard, perché quella dannata cavalla ha uno zoccolo di ferro sulla sua gamba lunga, e ho scambiato i chiodi per le lettere; in verità, penso che il mio cranio sia spaccato, mi ha colpito con un calcio così maledetto proprio mentre stavo leggendo”. “Sì, sì, zio,” gridai, “gli impiegati più istruiti non sono gli uomini più saggi, lo sai. I poveri a volte li superano in giudizio, e la ragione è che voi grandi studiosi studiate così tanto, che diventate noiosi per il troppo lavoro”.

“E ora, gentile nipote, ho scaricato la mia coscienza e mi sono liberato di tutti i miei peccati che posso ricordare. Ti supplico quindi, permettimi di ricevere l’assoluzione e la penitenza, e poi, comunque vada, sarò tre volte armato contro tutti i pericoli e le disavventure di corte”. Grimbard rispose: “Le tue colpe, Reynard, sono grandi ed esecrabili; ma quel che è fatto è fatto; i morti devono restare morti, quindi ti assolvo liberamente, dietro garanzia di pentimento; solo il disprezzo che hai mostrato al re, inviandogli la testa di Kayward, temo che graverà sulla tua anima”. “Perché!”, disse la volpe, “chi vive nel mondo, vedendo una cosa, sentendone un’altra e imparandone un’altra ancora, è sicuro di andare incontro alla sofferenza. Nessuno può toccare il miele, ma poi dovrà leccarsi le dita. Spesso provo tocchi di pentimento, ma la ragione e la nostra volontà sono sempre in disaccordo; tanto che spesso mi fermo, come se fossi allo stremo delle forze, e grido contro i miei peccati, sentendo di detestarli. Ma presto il mondo e le sue vanità mi catturano di nuovo; e quando trovo tanti ostacoli e inciampi sulla mia strada, insieme all’esempio di prelati ricchi e astuti, sono subito preso, velocemente come in una trappola. Il mondo prima mi incanta e poi mi riempie di cupidigia; sicché, con la mia disposizione naturale, con la carne e con il diavolo, ho già abbastanza da fare. Se un giorno guadagno terreno, il giorno dopo perdo il mio buon proposito; quindi ti assicuro, nipote, a volte sono un santo, altre volte sono solo per l’inferno e la malvagità. Perché odo i preti cantare, strimpellare, ridere, suonare e fare ogni sorta di allegria; e trovo le loro parole e azioni totalmente in disaccordo.
Da loro imparo la menzogna, e dai signori di corte le lusinghe; perché in verità i signori, le dame, i preti e gli impiegati, tra tutte le creature, usano maggiormente la dissimulazione. È un’offesa dire la verità ai grandi uomini; e chi non sa dissimulare, non può vivere. Spesso ho sentito gli uomini dire la verità; eppure l’adornano sempre con le loro falsità”.

“Perché la menzogna si insinuerà, per così dire, nel nostro discorso, che lo vogliamo o no; anzi ci viene del tutto naturale. La menzogna ha un bell’abito, che rimane sempre di moda, una moda per adulare, consolare, minacciare, pregare e maledire; in realtà, nel fare tutto ciò che può tenere in soggezione i deboli; e chi fa diversamente è considerato un semplice. Colui che ha imparato a mentire e a imporci senza balbettare, può fare miracoli: può vestirsi di scarlatto, grigio o viola, come vuole: guadagnerà sia dalle leggi spirituali che temporali, e uscirà vittorioso in ogni schema. Ci sono molti che immaginano di poterlo fare in modo perfetto, ma la loro astuzia viene a mancare; così che quando pensano di essersi assicurati i bocconi grassi, passano alla trincea successiva.
Altri sono ottusi e sciocchi, e per mancanza di metodo rovinano tutti i loro discorsi; ma colui che sa dare alla sua menzogna una conclusione adeguata e appropriata, può pronunciarla senza sbavature e renderla simile alla verità, giusta e amabile, questo è degno della nostra ammirazione. Ma non c’è arte nel dire la verità; non fa mai ridere il diavolo: mentire bene e con grazia, innalzare il torto al di sopra del diritto, fare montagne di topi e costruire castelli in aria; farli destreggiare e guardare attraverso le loro dita; questa, nipote, è un’arte preziosa oltre ogni espressione.
Tuttavia, sempre più spesso, arrivano miseria e afflizioni; anche se chi dice sempre la verità troverà molti ostacoli sulla sua strada. Ce ne sono così tanti, che è bene, nipote, che ogni trasgressione abbia la sua misericordia, così come non c’è saggezza se non quella che a volte diventa ottusa.”

“Zio”, disse la capra, “in verità sei così saggio che non puoi fallire in nessun intento. Mi diletto con i tuoi precetti, anche se superano la mia comprensione. Non è più necessario che tu sia istruito, perché tu stesso puoi fare sia il prete che il confessore; tale è la tua esperienza del mondo, che è impossibile per chiunque opporsi a te.”

Con queste ed altre simili conversazioni proseguirono il loro viaggio verso la corte. Eppure il cuore della volpe, nonostante tutta la sua bella mostra, era triste e pesante, mentre sul suo viso c’erano sorrisi di speranza e fiducia. Passò senza alcuna apparente agitazione attraverso la calca della corte, fino a quando giunse alla presenza del re, mentre suo nipote gli sussurrava al suo fianco: “Comportati coraggiosamente, caro zio, perché la fortuna è sempre innamorata dei coraggiosi”. “Dici il vero,” esclamò la volpe, continuando, lanciando sguardi sdegnosi a coloro che non gli piacevano, quasi a dire: “Eccomi: cosa osano obiettare contro di me il più orgoglioso di voi?” Vide molti dei suoi parenti che non amava, e anche molti che lo amavano. Non appena fu davanti agli occhi del re, cadde in ginocchio e parlò come segue.

CAPITOLO XVII.
COME REYNARD LA VOLPE SI DIFESE DAVANTI AL RE E LA RISPOSTA DEL RE.

“POSSA quel potere divino al quale nulla può essere nascosto, tranne il mio re e la mia sovrana, la regina, dia loro la grazia di sapere chi ha ragione e chi ha torto, perché ci sono molte false apparenze nel mondo, e il volto non tradisce il cuore.
Eppure vorrei che fosse apertamente rivelato, e che le colpe di ogni creatura fossero scritte sulla sua fronte, anche se mi è costassero l’ultimo dei niei beni; o che Vostra Maestà mi conoscesse bene come mi conosco io stesso, e come mi dedico presto e tardi al servizio di Vostra Maestà.
A questo devo la malizia dei miei nemici, che mi invidiano la grazia e il favore di Vostra Maestà. Ho davvero motivo di vergognarmi di coloro che mi hanno così mortalmente smentito, ma so che il mio sovrano e la mia signora non si lasceranno intimidire dalle loro maliziose falsità.
Le vostre maestà valuteranno ogni cosa secondo il diritto delle vostre leggi: è solo la giustizia che cerco, e desidero che il colpevole senta tutto il peso della sua punizione. Credetemi, caro Lord, prima che io lasci la vostra corte, si vedrà chi sono; uno che, anche se non può adulare, mostrerà il suo volto con gli occhi irremovibili e la fronte senza macchia”.

Tutti coloro che stavano alla presenza reale rimasero stupiti e si guardarono l’un l’altro quando la volpe parlò con tanta audacia. Ma il re, con un’espressione maestosa, rispose: “Sir Reynard, so che siete esperto di falsità, ma le parole non vi serviranno più. Credo che questo giorno sarà l’ultimo della vostra gloria e della vostra disgrazia; perciò non vi rimprovererò molto, perché intendo che vivrete così poco. L’amore che mi portate è stato dimostrato al coniglio e alla cornacchia; la vostra ricompensa sarà una breve vita sulla terra. C’è un antico detto: ‘Una pentola può andare a lungo all’acqua, ma alla fine torna a casa rotta’; e i vostri crimini, anche se così a lungo riusciti, ora pagheranno il prezzo con la morte”.

A queste parole Reynard fu preso dalla paura e desiderò di essere lontano; tuttavia ritenne di dover affrontare la cosa nel migliore dei modi, qualunque fosse la sorte. Disse quindi: “Mio sovrano, è giusto che mi ascoltiate, in risposta ai miei accusatori, perché se le mie colpe fossero più gravi di quanto chiunque possa renderli, l’equità richiede un’udienza da parte dell’accusato. Ho reso qualche servizio allo Stato con i miei consigli e potrei farlo ancora. Non ho mai abbandonato Vostra Maestà nelle emergenze, quando altri si allontanavano da Voi.
Se poi i miei nemici pronunciano calunnie, non ho forse il diritto di lamentarmi? Un tempo era così, e il tempo potrebbe riportare il vecchio corso, perché le azioni dei buoni servitori non dovrebbero essere dimenticate. Vedo qui molti miei parenti e amici, che ora non tengono più conto di me, ma possono azzardarsi a privarvi del miglior servitore che avete. Se fossi stato colpevole, avrei osato comparire così volontariamente, in mezzo alla folla dei miei nemici? Sarebbe stata davvero una follia, soprattutto quando ero in piena libertà; ma, grazie al cielo, conosco i miei nemici e oso affrontarli, innocente come sono. Se non fossi stato sotto la censura della Chiesa, sarei apparso prima; ma quando mio zio mi portò la notizia, stavo vagando tristemente nella brughiera, dove incontrai mio zio Martin la scimmia, che superava di gran lunga qualsiasi altro prete nei suoi doveri pastorali, essendo stato cappellano del vescovo di Cambrick in questi nove anni. Vedendomi in una tale agonia del cuore, mi disse: ‘Perché sei così depresso nello spirito, caro cugino, e perché il tuo volto è così triste? Pensa che il dolore è facile da portare quando il fardello è diviso tra molti amici’”.

Risposi: “Dici il vero, caro zio: è proprio questa la mia sorte; non che io sia colpevole, ma il dolore mi viene addossato senza motivo. Quelli che ho annoverato tra i miei migliori amici mi accusano, come sentirete. Ultimamente, durante la festa di Pentecoste, mentre ero a digiuno: un momento in cui dobbiamo preparare i nostri cuori, Et vos estote parati, sapete, è arrivato Laprel, il coniglio, e si è rifocillato insieme ai bambini. Il mio figlio più giovane, Rossel, si avvicinò per portare via quello che aveva lasciato, perché la natura dei bambini è sempre quella di mangiare e di desiderare, quando il coniglio lo colpì sulla bocca fino a fargli sanguinare i denti. Il piccolo sciocco cadde a terra in preda svenuto, al che Reynardine, il mio figlio maggiore, si avventò sul coniglio, lo afferrò per le orecchie e senza dubbio l’avrebbe ucciso se io non fossi intervenuto in suo soccorso. A quel punto, ho dato a mio figlio una correzione per la sua colpa; ma Laprel si è affrettato a recarsi dal re e mi ha accusato di aver cercato di distruggerlo.
Così sono accusato ingiustamente e messo in pericolo, io che ho più occasione di accusare gli altri. Poco tempo dopo arrivò la cornacchia Corbant, che volò a casa mia con un triste rumore e, chiedendo cosa lo affliggesse, disse: ‘Ahimè, mia moglie è morta. C’era una lepre morta, piena di tarme e di parassiti, che giaceva nella brughiera e di cui ha mangiato così tanto che i vermi le hanno lacerato la gola’ e, dopo aver detto questo, se ne andò e riferì che io avevo ucciso sua moglie, anche se lei vola in aria e io cammino a piedi”.

“Così, caro zio, vedi come sono calunniato; ma forse è per i miei vecchi peccati e quindi li sopporto con più pazienza”. Allora mio nipote, la scimmia, disse: “Andrai a corte e confuterai le loro falsità”. “Ahimè, zio”, risposi, “l’arcidiacono mi ha messo sotto la maledizione del papa, perché ho consigliato al lupo di rinunciare agli ordini sacri, quando si è lamentato di non poter sopportare quella vita severa e tanti digiuni. Di questo consiglio ora mi pento, poiché egli ha ripagato il mio amore con nient’altro che malizia, aizzando Sua Maestà contro di me con tutte le peggiori calunnie che può inventare. In effetti, caro zio, sono portato allo stremo delle forze; poiché devo affrettarmi a Roma per l’assoluzione, quali danni potrebbero accadere a mia moglie e ai miei figli durante la mia assenza, a causa della malizia di un disgraziato dalla mente sanguinaria come il lupo? Se fossi libero dalla maledizione del papa, potrei andare a corte e, perorando la mia causa, potrei rivolgere la loro malizia contro loro stessi”.

“Allora, ti prego, cugino”, rispose la scimmia, “lascia da parte il tuo dolore, perché sono esperto in queste cose e conosco bene la strada per Roma, visto che sono chiamato cancelliere del vescovo; e mi affretterò ad andare lì e a presentare un’istanza contro l’arcidiacono, confidando, suo malgrado, di portarti un’assoluzione ben sigillata da parte del papa. Perché ho molti grandi amici, come mio zio Simon e altri, Pen-stout, Wait-catch e altri, che saranno tutti al mio fianco. E non me ne andrò senza denaro, perché la legge non ha piedi per camminare senza denaro. Un vero amico si conosce nel momento del bisogno, e tu troverai uno in me senza difficoltà; quindi metti da parte il tuo dolore, e vai in tribunale, come io farò ora a nome tuo a Roma”.

“Nel frattempo ti assolvo da tutti i tuoi peccati e offese; e quando arriverai a corte incontrerai Dama Rukenard, mia moglie, le sue due sorelle e i nostri tre figli, oltre ad altri membri della famiglia. Salutatali da parte mia e spiega loro cosa è successo. Mia moglie è prudente; so che è fedele e, come me, non lascerà mai i suoi amici in pericolo. Tuttavia, se i tuoi affari lo richiedessero, non mancare di mandarmi notizie, e non c’è un nemico, dal re e dalla regina fino all’ultimo dei loro sudditi, non un tuo nemico che non sia immediatamente posto sotto la maledizione del papa. Tale interdizione sarà emessa contro l’intero regno, che nessun dovere santo o reale sarà eseguito finché non sarai restituito al diritto e alla giustizia”.

“Questo”, continuò, “stai certo che potrò eseguirlo facilmente, perché Sua Santità è molto anziano e poco stimato, mentre il cardinale Pare-gold ha tutto il potere del paese, essendo giovane e ricco di molti amici. Inoltre, ha un’amante di cui è così innamorato che non le nega nulla di ciò che chiede. Questa signora è mia nipote e farà tutto ciò che le chiederò; quindi puoi andare con coraggio dal re e incaricarlo di renderti giustizia, cugino, e so che lo farà, poiché sa che le leggi sono fatte per l’uso di tutti gli uomini”.

“Quando l’ho sentito parlare così, vi prego, Vostra Maestà, ho sorriso, e con grande gioia sono venuto qui per raccontare la verità. Pertanto, se vostra Maestà, o qualsiasi signore all’interno di questa corte, può accusarmi di qualsiasi trasgressione, e provare il fatto stesso con una testimonianza, come richiede la legge; o altrimenti si opporrà a me personalmente; concedetemi solo un giorno e liste uguali, in cui difenderò la mia innocenza in combattimento, a condizione che sia mio pari per nascita e grado. Questa è una legge che non è mai stata messa da parte, e confido che in me, per me, o da me, non sarà ora infranta.”

Tutta l’assemblea rimase muta e stupita nel sentire queste parole, non aspettandosi tanta audacia. Quanto al coniglio e alla cornacchia, erano così spaventati che non osavano parlare, ma se ne andarono di nascosto fuori dalla corte. Dopo aver fatto un po’ di strada, dissero: “Questo diabolico assassino ha un’arte tale nella sua falsità che nessuna verità ha la possibilità di contrastarlo; è molto meglio per noi salvarci finché siamo in tempo”.

Il lupo Sir Isegrim e l’orso Bruin si rattristarono molto quando videro i due disertare la corte, mentre il re disse: “Se c’è qualcuno che vuole mettere sotto accusa la volpe, che si faccia avanti e sarà ascoltato. Ieri eravamo pieni di lamentele; dove sono oggi? Ecco la volpe pronta a rispondere per sé”. “Mio sovrano signore”, disse la volpe, “l’assenza rende audaci gli accusatori impudenti, quando la presenza dell’accusato li scoragggia, come vede Vostra Maestà. Oh, cosa vuol dire affidarsi alla malizia di questi vigliacchi! E quanto presto potrebbero confondere il bene! Per quanto mi riguarda non ha importanza, solo che se mi avessero chiesto perdono, mi sarei subito gettato alle spalle tutte le loro offese, perché non mi lamenterò mai più dei miei nemici: la mia vendetta la affiderò tranquillamente al cielo e la giustizia alle vostre maestà”.

Allora il re disse: “Reynard, tu parli bene, se il cuore interiore assomiglia all’aspetto esteriore; ma temo che il tuo dolore non sia così grande come lo esprimi”.
“Lo supera di gran lunga, sire”, rispose la volpe addolorata.
“No!”, disse il re, “perché devo accusarti di un falso tradimento. Quando avevo perdonato tutti i tuoi peccati e le tue offese e tu avevi promesso di andare in pellegrinaggio in Terra Santa; dopo averti fornito bisaccia, bastone e tutte le cose necessarie al sacro ordine, tu hai mostrato il tuo totale disprezzo rimandando indietro con Bellin l’ariete la testa di Kayward, una cosa che si rifletteva così tanto sul mio onore, che nessun tradimento poteva essere più turpe. Questo non puoi negarlo, perché Bellin, il mio cappellano, alla sua morte ha reso nota l’intera operazione, e la stessa pena che ha pagato allora ricadrà ora a te”.

All’udire questa frase, Reynard si spaventò moltissimo e non sapeva cosa dire. Guardò con aria triste tutti i suoi parenti che gli stavano intorno; il suo colore andava e veniva, ma nessuno gli prestò mano o piede per aiutarlo. Il re allora disse: “O falso traditore dissimulatore, perché sei così muto?”. La volpe, piena di angoscia, emise un profondo sospiro, come se il suo cuore si stesse spezzando, tanto che tutte le bestie presenti, tranne il lupo e l’orso, ebbero veramente pietà di lui. La signora Rukenard, in particolare, pianse ed essendo una grande favorita della regina, prese le difese della volpe in modo così eloquente e patetico da sciogliere i cuori di tutti i presenti, senza escludere il re. La regina seguì poi la sua amica preferita, la moglie della scimmia, finché, osservando l’umore rilassato del suo sovrano, la volpe, che si era lusingata di questo risultato, procedette a stringere il chiodo e battere il ferro mentre era caldo.

CAPITOLO XVIII.
COME REYNARD SI SCUSO’ PER LA MORTE DI KAYWARD E RISPOSE A TUTTE LE ALTRE ACCUSE, OLTRE A RECUPERARE IL FAVORE DEL RE CON IL RACCONTO DI ALCUNI GIOIELLI.

QUANDO REINARD rialzò di nuovo la testa, disse: “Ahimè! Mio sovrano signore, cos’è che hai detto? Il buon Kayward, la lepre, è morto? E dov’è Bellin, l’ariete? Queste sono strane notizie che ho sentito. Cosa ha portato Bellin a Vostra Maestà al suo ritorno? Da parte mia, gli ho consegnato tre gioielli di inestimabile valore, che non avrei trattenuto a Vostra Maestà nemmeno per tutta la ricchezza dell’India. Uno di essi era destinato al mio signore il re, gli altri due alla mia sovrana signora la regina”. “Eppure non ho ricevuto nulla”, disse il re, “se non la testa del povero Kayward assassinato, per la quale ho giustiziato all’istante il mio cappellano l’ariete, poiché ha confessato che il crimine era stato compiuto dietro suo consiglio e la sua consulenza”.

“Può essere vero?”, gridò la volpe, “allora guai a me, che mai fossi nato! I gioielli più belli che siano mai stati posseduti da un principe terreno sono perduti e scomparsi. Avrei preferito morire prima che Vostra Maestà venisse defraudata in questo modo, e so che sarà la morte di mia moglie: non si fiderà più di me”.”Caro nipote”, gridò la moglie della scimmia, “lasciali andare; perché affliggersi così per una ricchezza transitoria? Se ci darai una descrizione di loro sarà altrettanto bella, e forse riusciremo a trovarli. Altrimenti, possiamo ordinare al mago Alkarin di consultare i suoi libri e di cercare in tutti gli angoli della terra. Inoltre, chiunque li trattenga sarà maledetto in tutte le parrocchie finché non li restituirà alla maestà del re”.

“Ma di chi”, disse la volpe, “potremo fidarci in quest’epoca corrotta, quando anche la stessa santità cammina mascherata e sotto mentite spoglie?” Quindi emettendo un altro profondo sospiro per indorare la sua dissimulazione, proseguì: “Ora ascoltate, voi tutti appartenenti alla mia stirpe e al mio lignaggio, poiché descriverò quali erano questi gioielli, di cui sia il re che io siamo stati defraudati. Il primo di su di essi, destinato a Sua Maestà, c’era un anello d’oro fino e puro, e dentro di esso, accanto al dito, c’erano lettere incise smaltate d’azzurro, ed etichette contenenti tre nomi ebraici. Per quanto mi riguarda, non sapevo né leggerli né scriverli; ma Abron di Trete, l’eccellente linguista, che conosce la natura di ogni sorta di erbe, animali e minerali, mi ha assicurato che erano quei tre nomi che Seth portò fuori dal Paradiso quando presentò a suo padre Adamo l’olio della misericordia.
hiunque porti addosso questi tre nomi non sarà mai ferito da tuoni o fulmini, né alcun tipo di stregoneria avrà il potere di incantarlo; non sarà tentato da alcun peccato (se ognuno dei miei nemici ne avesse uno da indossare!), né il caldo o il freddo lo infastidiranno mai. Su di esso era incisa una pietra preziosissima di tre diversi colori. La prima, simile a un cristallo rosso scintillante di fuoco, e con una tale luminosità che, se uno aveva occasione di viaggiare di notte, la sua luce era grande come quella del mezzogiorno.
Il loro colore era un bianco chiaro e brunito, la cui virtù guariva qualsiasi macchia o dolore agli occhi; inoltre, accarezzando la parte colpita, ogni tipo di gonfiore, mal di testa o qualsiasi malattia, sia essa di origine velenosa, debolezza di stomaco, coliche, calcoli, stranguria, fistola o cancro, sia che si applicata all’esterno, come mostrato in precedenza, sia che si applichi all’interno, immergendo la pietra nell’acqua e inghiottendola.
Inoltre, se la si portava digiunando, in qualsiasi compagnia andasse chi la indossava, essa lo rendeva infinitamente amato, e se fosse stato esposto nudo in un vasto campo, contro cento nemici armati, avrebbe dovuto resistere e uscirne con onore e vittoria. Tuttavia, deve essere nobilmente allevato e non deve avere un’indole scortese, poiché l’anello non conferisce alcuna virtù a chi non è un vero gentiluomo.
Ora, considerate tutte queste virtù, mi ritenevo del tutto indegno di tenerlo; perciò l’ho inviato a voi, mio signore il re, sapendo che siete il più eccellente di tutti gli esseri viventi, e colui dal quale dipende la vita di tutti i suoi sudditi, il più adatto a essere custodito allora da un gioiello così ricco”.

“Questo anello l’ho trovato nel tesoro di mio padre, così come un pettine e uno specchio di vetro, che mia moglie ha pregato di avere. Erano entrambi gioielli di grande valore, destinati alla regina per la grazia e la misericordia che aveva avuto nei miei confronti. Il pettine era fatto con l’osso di una nobile bestia chiamata Panthera, che vive tra l’India maggiore e il Paradiso terrestre: è così bello che condivide tutti i colori più belli sotto il cielo, e il suo odore è così dolce e salutare che il suo stesso sapore cura tutte le infermità. È il medico di tutti gli animali che lo seguono. Ha un bell’osso, largo e sottile, nel quale, quando viene ucciso, sono racchiuse tutte le virtù dell’animale: non può essere spezzato né consumato da nessuno degli elementi, eppure è così leggero che basta una piuma per metterlo in equilibrio e ricevere una bella lucidatura. Il pettine poi assomiglia all’argento fino, i denti sono piccoli e dritti, e tra i denti grandi e quelli piccoli sono incise molte immagini, molto abilmente lavorate e smaltate con oro fino. Il campo è a scacchiera con sciabole e argento e contiene la storia di come Venere, Giunone e Pallade si contesero la palla d’oro sul Monte Ida e di come Paride dovesse consegnarla alla più bella di loro”.

“Paride, a quel tempo, era un pastore e pasceva le sue greggi insieme a Enone su quella collina; per prima cosa Giunone gli promise che se gliela avesse donata, lo avrebbe reso l’uomo più ricco del mondo. Pallade disse che, se l’avesse avuta, sarebbe diventato il più saggio tra tutti i mortali e il più fortunato contro i suoi nemici. Ma Venere disse: ‘che c’entrano la ricchezza, la saggezza o il valore? Non sei forse figlio di Priamo e fratello di Ettore, che domina tutta l’Asia, non sei forse uno degli eredi della potente Troia? Dammi la palla e ti darò la creatura più dolce che il mondo possa vantare, la dama più bella di tutto il mondo, la cui somiglianza non si vedrà mai più al sole. Così sarai più ricco di ricchezze e sovrasterai tutti in orgoglio. La tua sarà una ricchezza che nessuno potrà lodare abbastanza, poiché tale bellezza è quell’elisir celeste che trasforma tutte le cose in delizia’”.

“Poi, di lì a poco, Paride le diede la palla, confermandola la più bella tra le dee; e fu raffigurato un altro luogo, di come egli conquistò Elena e la portò a Troia, con la solennità del matrimonio, l’onore dei trionfi e tutto ciò che riguardava quella grande storia”.

“Ora lo specchio: non era inferiore a nessuno dei precedenti, perché il vetro era di una virtù così rara che l’uomo poteva vedere e conoscere tutto ciò che veniva fatto nel raggio di un miglio, sia le azioni degli animali che qualsiasi altra cosa si desiderasse sapere. Chiunque lo guardasse guariva da ogni malattia; e in effetti le sue virtù erano così molteplici che non mi stupisco di versare lacrime per la sua perdita. Il valore del legno superava di gran lunga quello dell’oro, assomigliando molto al legno di Hebenus, di cui il re Crampart fece un cavallo, per amore della più bella figlia del re Morcadiges. Questo cavallo era costruito così bene che chi lo cavalcava poteva sfrecciare a più di cento miglia in meno di un’ora; cosa che Clamades, figlio del re, dimostrò a sue spese, non credendoci, ed essendo forte e vigoroso, saltò in groppa al cavallo, quando Crampart, girando uno spillo che era fissato nel petto del legno, attraversò le finestre del palazzo come un colpo, e lo portò per almeno dieci miglia nel primo minuto. A questo miracolo Clamades si spaventò moltissimo e immaginò, come si racconta, che non sarebbe mai più tornato; ma quale fu alla fine la sua gioia infinita, quando imparò a guidare e gestire la meravigliosa bestia! “.

“Strane storie d’oro e d’argento erano decifrate sul legno con zibellini, gialli, azzurri e cinorrodi, tutti colori curiosamente intrecciati tra loro, e le parole sotto ogni storia erano così finemente incise e smaltate che chiunque avrebbe potuto leggere l’intera storia. In verità, il mondo non ha mai prodotto una cosa di maggior valore, lucentezza e piacere. Nella parte superiore si trovava un cavallo nella sua gloria naturale, grasso, bello e focoso, che gareggiava con un imponente cervo che lo precedeva. Vedendo che non riusciva a superare il cervo, cosa che lo riempiva di sdegno, andò da un mandriano vicino e gli disse che se lo avesse aiutato a prendere un cervo, ne avrebbe avuto il profitto: corna, pelle e carne”.

“Allora il mandriano gli chiese quale mezzo avrebbe dovuto usare per prenderlo. Il cavallo rispose: ‘Montami in groppa e ti porterò dietro finché non l’avremo stancato’. Il mandriano accettò l’offerta e, in groppa al cavallo, inseguì il cervo. Ma il cervo fuggiva così velocemente e guadagnava così tanto terreno, che il cavallo si stancò e chiese al mandriano di scendere, perché lo avrebbe fatto riposare un po’. ‘No’, rispose il mandriano, ‘ho le briglie sulla tua testa e gli speroni sui talloni; quindi ora sei il mio servo e non mi separerò da te, ma ti governerò come meglio mi aggrada’. Così il cavallo si portò in trappola e fu preso nella sua stessa rete; perché nessuna creatura ha un avversario più grande della sua stessa invidia e molti, mentre mirano alla rovina degli altri, cadono nella propria rovina”.

“In un’altra parte era rappresentata la storia di mio padre e del gatto Tibert, di come viaggiavano insieme e avevano giurato in fede che né per amore né per odio si sarebbero abbandonati a vicenda. Mentre viaggiavano, incontrarono dei cacciatori che stavano attraversando i campi con un branco di segugi alle calcagna, da cui entrambi fuggirono a gambe levate. Allora la volpe, vedendo le loro vite in pericolo, disse: ‘Tibert, dove andremo, visto che i cacciatori ci hanno avvistati? Da parte mia, ho mille astuzie pronte, e finché staremo insieme non dovremo temerli’. Ma il gatto cominciò a sospirare e ad avere paura. ‘Ahimè!’, disse, ‘ne ho una sola, che deve aiutarmi nel momento del bisogno’; e così dicendo si arrampicò su un albero, lasciando il mio nobile padre nei guai; poi fuggì con un intero branco alle calcagna e i cacciatori che gridavano: ‘Uccidete la volpe! Uccidete la volpe!’”.

“Tibert si prese gioco anche di mio padre, dicendo: ‘Ora, cugino, è giunto il momento di mettere alla prova le tue cento astuzie, perché se il tuo ingegno viene meno, temo che tutto il tuo corpo perirà’. Mio padre si sentì molto ferito da questi rimproveri di un amico in cui confidava, ma non ebbe il tempo di ascoltarli; Perché cani erano così vicini a lui che, se non avesse trovato fortunatamente una buca a portata di mano, sarebbe andata diversamente per lui. Così si può vedere la falsa fede del gatto, come ce ne sono molti che vivono in questo momento; e anche se questo potrebbe scusarmi dall’amare il gatto, la salute dell’anima e la carità mi obbligano a fare il contrario, e non gli auguro alcun male, anche se confesso che le sue disgrazie non mi addolorerebbero”.

“Sullo stesso specchio era scritta la storia del lupo; come trovò un cavallo morto nella brughiera, la cui carne era stata divorata, e di cui era costretto a rosicchiarne le ossa. Inghiottendole troppo in fretta, una gli si infilò in gola, e quasi lo soffocò e in questo frangente, correndo e gridando ovunque perché un chirurgo gli alleviasse i tormenti, alla fine incontrò la gru e lo pregò con il suo lungo collo e il suo becco di aiutarlo, e gli avrebbe dato grandi ricompense. Lei, la gru gli infilò il lungo collo fino in gola e sollevò il lungo osso. A questo strattone il lupo sussultò e urlò: ‘Come hai fatto male! ma ti perdono, se non lo farai più’. Allora la gru disse: ‘Messer Isegrim, siate gioioso e allegro, siete integro. Aspetto solo la ricompensa promessa’. ‘Ma come!’ esclamò il lupo, ‘che impudenza è questa? Io soffro e ho motivo di lamentarmi, eppure tu vuoi essere ricompensato, Dimentichi che la tua testa era nella mia bocca, eppure ti ho risparmiato la vita? Sì, anche se mi hai fatto soffrire molto, ti ho permesso di tirare fuori la testa. Sei un ingrato; sono io che dovrei chiedere una ricompensa’”.

“Queste tre rarità avevo giurato di inviarle alle vostre Maestà, e non potevo pensare a messaggeri migliori di Kayward la lepre e Bellin l’ariete. Non immaginavo allora che il buon Kayward fosse così vicino alla sua fine. Eppure cercherò in tutto il mondo, ma troverò l’assassino, perché l’omicidio non può essere nascosto.
Può darsi che sia presente chi sa che fine ha fatto Kayward, anche se lo nasconde, perché molti diavoli camminano come santi. Ma la meraviglia più grande di tutte, e che mi turba di più, è che il re mio signore dica che mio padre, e non io stesso, abbia mai fatto del bene. Ma gli affari gravi possono anche produrre dimenticanze nei re, oppure Vostra Maestà potrebbe ricordare che quando il re vostro padre viveva, e voi eravate un principe di non più di due anni, mio padre veniva dalla scuola di Montpelier, dove aveva studiato l’arte della fisica per cinque anni, ed era diventato così esperto in tutti i suoi principi, e così famoso a quei tempi, che indossava abiti di seta e una cintura d’oro.

Quando arrivò a corte, trovò il re in gravi condizioni, cosa che lo addolorò, perché amava il vecchio re tuo padre; e il re si rallegrò della sua presenza e non permise che si allontanasse. Disse: ‘Reynard, sto molto male e sento che la mia malattia aumenta’. Mio padre rispose: ‘Mio signore, ecco un orinatoio; appena vedrò il colore dei vostri reni, vi dirò la mia opinione sullo stato in cui vi trovate’.

Il re fece come gli era stato consigliato, perché non si fidava di nessuno pari a lui. Allora mio padre disse: ‘Mio miglior signore, se vuoi guarire dal tuo disturbo, devi necessariamente prendere il liquor di un lupo di sette anni, altrimenti la tua malattia sarà incurabile’”.

“Il lupo in quel momento si trovava accanto a tuo padre, ma non disse nulla, dopodiché il re osservò: ‘Sir Isegrim, hai sentito che non c’è nulla che possa curarmi oltre al tuo liquor.’ Il lupo rispose: ‘Non è così, mio signore, perché non ho ancora compiuto cinque anni’. ‘Non importa’, rispose mio padre, ‘lasciati aprire e quando vedrò il liquore vi dirò se è medicinale’. Il lupo quindi fu portato ululando in cucina, e gli fu estratto il liquor, che il re prese, e presto guarì dal suo male. Allora il re ringraziò mio padre, e comandò a tutti i suoi sudditi, sotto pena di morte, di attribuirgli da quel mometo il titolo di Sir Reynard, regalandogli il castello di Malepardus e i territori vicini, oltre a una serie di ordini e titoli per giunta. Eppure dimorava ancora presso il re, ed era consultato in ogni cosa; gli fu presentato un titolo ghirlanda di rose da portare sul capo come una corona. Ma il ricordo dei suoi servigi è tutto passato, e i suoi nemici sono avanzati, la virtù è calpestata, e l’innocenza giace nel dolore. Perché quando la bassezza e l’avarizia prevalgono, essi ‘Non conoscono se stessi, né considerano l’umiltà da cui sono nati. Non hanno cuore per la pietà, né orecchie per la causa del povero. L’oro è la meta a cui corrono e i doni al dio che adorano. Quale porta di un grande uomo non guarda alla bramosia? Dove non si intrattiene l’adulazione di rango? E quale principe odia le proprie lodi?’”.

“Questo, mio signore, è stato un incidente accaduto nella vostra giovinezza, e potete facilmente dimenticarlo; tuttavia, senza vantarmi, penso di poter dire, io e mio padre abbiamo coinvolto il vostro onore e il vostro servizio. Lungi da ciò di ripetere queste cose; non vorrei rimproverare vostra maestà, che è sempre degna di più di quanto io possa rendere: il mio massimo non è altro che l’affitto di un suddito leale, che sono sempre tenuto a pagare dalle leggi di Dio e della natura. Ma devo dire che così avvenne, quando io e il lupo prendemmo insieme un maiale sotto di noi, e a causa del suo grido fortissimo fummo costretti a morderlo a morte; in quel momento il tuo personaggio reale uscì da un boschetto, e ci salutò, dicendo che tu e la regina tua consorte eravate entrambi estremamente affamati, e ci supplicammo di darvi parte. Isegrim mormorò qualcosa, ma io risposi ad alta voce: ‘Con tutto il cuore, mio signore, e se anche fosse migliore di quello che è, sarebbe troppo meschino per i vostri meriti’. Ma Isegrim, presa la metà del maiale, se ne andò brontolando”.

“Questo, e molte altre azioni simili, le ho compiute per il bene di Vostra Maestà: troppo doloroso ripeterle. Sono tutti cancellati dalla memoria; ma il tempo e la mia lealtà un giorno, confido, li ricorderanno. Ho visto il giorno in cui nessun affare importante veniva trattato a corte senza il mio consenso; e sebbene la stessa politica e lo stesso giudizio non siano ora così apprezzati, le circostanze possono portarli in azione con la stessa reputazione di prima; purché io miri solo alla giustizia. Perché se qualcuno può affermare o dimostrare il contrario, sono qui pronto a sopportare il peggio che la legge può infliggere.
Ma se la malizia si limita a calunniarmi, senza testimoni, bramo il combattimento secondo la legge e gli usi della corte.”
“Allora”, disse il re, “Reynard, dici bene; e non so nulla della morte di Kayward, tranne che la sua testa è stata portata qui da Bellin, l’ariete; e così vi assolvo da questo atto crudele.”
“Mio caro signore,” disse la volpe, “vi ringrazio umilmente, ma non posso ignorare così facilmente la sua morte. Ricordo quanto mi fosse pesante il cuore alla sua partenza, cosa che suppongo fosse un certo presagio della perdita che avvenne in seguito.”
Queste parole e gli sguardi tristi della volpe stupirono tutti gli spettatori, tanto che difficilmente potevano rifiutarsi di credere a ciò aveva detto, e infatti tutti piangevano la sua perdita e compativano il suo dolore.

Il re e la regina furono i più commossi di tutti e lo supplicarono di fare una diligente ricerca per la scoperta di quei preziosi gioielli, poiché le sue lodi avevano eccitato oltre misura la curiosità e l’avarizia reale. E poiché affermava di aver destinato loro quei rari oggetti, sebbene non li avessero mai visti, tuttavia lo ringraziarono tanto come se fossero stati in loro sicuro possesso (tanto era gratificata la loro vanità), e desiderarono che avrebbe usato tutti i mezzi per recuperarli.

CAPITOLO XIX.
COME REYNARD SI RIAPPACIFICÒ CON IL RE E COME ISEGRIM IL LUPO LO ACCUSÒ DI NUOVO

Sir Reynard capì molto bene il loro significato e, anche se non aveva intenzione di eseguire ciò che gli chiedevano, ringraziò il re e la regina, giurando di non riposare né notte né giorno finché non avesse scoperto cosa ne era stato di quei preziosi gioielli. Pregò Sua Maestà che se fossero stati nascosti in luoghi in cui l’ingresso era vietato con la forza, Sua Maestà lo avrebbe aiutato, dato che la loro scoperta lo riguardava così da vicino.
Il re rispose che “non appena si fosse saputo dove si trovavano, non sarebbe mancato alcun aiuto o assistenza”. Avendo così ottenuto tutto il successo che si prefiggeva con le sue false storie e le sue lusinghe, pensava di poter andare dove voleva e che nessuno avrebbe osato opporsi a lui. Ma Sir Isegrim era rimasto in disparte per tutto questo tempo infinitamente scontento e, non riuscendo più a trattenere la rabbia, gridò: “O mio temibile signore, è possibile che Vostra Maestà sia così debole e credulone da credere alle falsità di questo malizioso impostore? Non sono che ombre e chimere che egli propone per trarvi in inganno; ma non fatevi ingannare da lui: è un miserabile coperto di sangue e di tradimento, e burla e si fa beffe di Vostra Maestà in faccia. Ma sono felice che siamo qui insieme alla vostra presenza reale, e intendo far risuonare un tale squillo di giustizia sulla sua testa, che tutte le menzogne che riesce inventare non riusciranno a portarlo via con sicurezza”.

“Non molto tempo fa, questo traditore sorridente ma dal cuore amaro persuase mia moglie che le avrebbe insegnato a pescare quanti pesci avesse voluto. Era una fredda mattina d’inverno e, dopo aver fatto prima un buco nel ghiaccio, le disse che se avesse lasciato penzolare la coda nell’acqua per un bel po’, moltissimi pesci sarebbero venuti e l’avrebbero afferrata, e lei avrebbe potuto facilmente tirarli a terra. La semplice sciocca lo fece, e rimase lì così a lungo che la sua coda rimase congelata al ghiaccio, tanto che tutta la forza che aveva non riusciva a tirarla fuori. Avrebbe potuto gridare, piangere e cibarsi dell’acqua salata delle sue stesse lacrime, ma tutto inutilmente, se io non fossi stato provvidenzialmente lì vicino.
Così andai da lei con molto tristezza e pesantezza, dovendo faticare un mondo prima di poter rompere il ghiaccio attorno a lei, e nonostante tutta la mia astuzia, tuttavia, fu costretta a lasciare un pezzo della sua coda dietro di sé; e in effetti ci salvammo a malapena tutti e due, perché a causa della sua grande angoscia abbaiò così forte che la gente del villaggio vicino si sollevò e ci assalì così ferocemente che non mi trovai mai in una situazione così disperata. Così, mio grazioso signore, avete sentito come questo traditore ci ha usati, e contro lo stesso noi chiediamo il diritto alla vostra legge e alla vostra giustizia.”

A questa grave accusa Sir Reynard rispose e disse: “Se questo fosse vero, confesso che mi toccherebbe da vicino nell’onore e nella reputazione, ma Dio non voglia che una simile calunnia venga provata contro di me. Confesso di averle insegnato a pescare”, ma la sua ingordigia la trasportò a tal punto quando mi sentì nominare il pesce, che corse lungo i pezzi di ghiaccio senza alcuna direzione, e fermandosi troppo a lungo rimase congelata, sebbene avesse mangiato quanto avrebbe saziato venti esseri ragionevoli. Ma è un detto generale ‘chi ha tutto perderà tutto;’ e così la signora rimase intrappolata nel ghiaccio. Ero impegnato a prestarle caritatevolmente il mio aiuto, quando arrivò il furioso Isegrim e mi calunniò in modo meschino. Nello stesso tempo imprecò amaramente, invece di ringraziarmi per la mia bontà, e più per evitare la sua bestemmia che le sue minacce andai per la mia strada. La verità è il mio distintivo, ed è sempre stata lo stemma di tutti i miei antenati, e se qualcuno ha dubbi sulle mie affermazioni, chiedo solo otto giorni di libertà, per poter conferire con i miei dotti consiglieri, quando, con giuramento e testimonianza, renderò ragione delle mie parole. Quanto a Sir Isegrim, cosa ho a che fare con lui? Si sa già che è un noto furfante abbandonato, falso sia al Cielo che a Vostra Maestà, e ora le sue stesse parole testimoniano che è un vile calunniatore. Che la questione sia sottoposta alla moglie, e se lei mi accuserà sarò ritenuto colpevole, sempre che non si lasci sopraffare dalla tirannia del marito”.

“Scellerato!”, gridò Sir Isegrim, “ricorda quando sei caduto sul fondo del pozzo e sei rimasto in pericolo, e mia moglie, sentendo i tuoi gemiti, è corsa ad aiutarti. Allora la convincesti a calarsi con il secchio nel pozzo, saltando contemporaneamente in quello appeso all’altra carrucola in basso, quando tu, più leggero di lei, raggiungesti la cima e lei cadde pesantemente sul fondo. Quando lei si lamentò, hai detto solo: ‘No, è solo la moda del mondo: come uno sale, un altro deve scendere;’ e così dicendo sei saltato fuori dal secchio e sei scappato.” A ciò la volpe rispose: “Avrei preferito che tu fossi lì piuttosto che io, perché sei più forte e più capace di sopportare la fame. In quell’ora di necessità non potevamo scappare entrambi; e io ho insegnato a tua moglie la saggezza e l’esperienza, che non dovrebbe fidarsi né dell’amico né del nemico, quando è in gioco il nostro pericolo; perché la natura ci insegna ad amare il nostro benessere, e chi non lo fa è coronato solo con il titolo di follia”.

CAPITOLO XX.
COME ISEGRIM OFFRI’ IL SUO GUANTO DI SFIDA A REYNARD PER COMBATTERE CONTRO DI LUI, CHE REYNARD ACCETTO’; E COME RUKENARD CONSIGLIA LA VOLPE
DI COME SOPPORTARSI NELLA LOTTA.

SIR ISEGRIM, molto adirato, rispose alla volpe: “Malvagio come sei, disprezzo le tue beffe e i tuoi disprezzi li disprezzo, ma le tue offese non sopporterò. Dici di avermi aiutato nel momento del bisogno, quando ero quasi morto di fame, ma tu menti nella tua gola. Non mi hai mai dato di meglio di un osso nudo, dopo averlo rosicchiato per bene. Questo lo dici per danneggiare la mia reputazione; e ancora, mi accusi di tradimento contro il re, per i tuoi falsi tesori a Husterloe, oltre ad aver ferito e calunniato mia moglie, cosa che continuerà a macchiare il nostro nome finché non saremo vendicati. Perciò non cercate più scampo; qui, davanti al mio signore il re e a voi, miei nobili amici e parenti, affermo e approverò fino all’ultima goccia del mio sangue che tu, Reynard la volpe, sei un falso traditore e un assassino, come farò sul tuo corpo entro le liste del campo, finché la nostra lotta non avrà una fine fatale, corpo a corpo e vita a vita. Testimone per me qui, getto il mio guanto, che ti sfido a raccogliere, affinché io possa avere ragione per le mie ferite, o muoia come un codardo e un recidivo”.

Reynard era un po’ perplesso a questo proposito; sapeva di essere troppo debole per il lupo e temeva di avere la peggio. Ma all’improvviso, ricordandosi del vantaggio che aveva nel fatto che gli artigli anteriori del lupo erano stati strappati e che non erano ancora guariti, trovò il coraggio di rispondere: “Chi dice che io sono un falso traditore e assassino, mente alla gola, soprattutto Isegrim. Povero sciocco! Stai concludendo la faccenda come avrei voluto io; a riprova di ciò prendo la tua malleveria e getto giù la mia, per dimostrare che sei un bugiardo e un traditore, come un tempo.”

Detto questo, il re ricevette le loro promesse e ammise la battaglia, ordinando a ciascuno di dare la propria garanzia che il combattimento si sarebbe svolto l’indomani. Allora si presentarono l’orso e il gatto, che divennero garanti per il lupo, e per la volpe comparvero Grimbard il brocco e Betelas. Quando tutte le cerimonie furono terminate, la moglie della scimmia, prendendo da parte Reynard, disse: “Nipote, ti prego, guarda a te stesso in questa battaglia, sii audace e saggio. Tuo zio mi ha insegnato una volta una preghiera di singolare virtù per ogni combattente, che ha appreso da quell’eccellente studioso e impiegato che è l’abate di Budelo. Se pronuncerai questa preghiera con grande devozione, digiunando, non sarai mai completamente sconfitto, per quanto duramente messo a prova sul campo. Perciò, buon nipote, non temere, perché domani te la leggerò digiunando e il lupo non avrà mai la meglio”. Reynard, grato, come disse, per i suoi favori, giurò che la sua disputa era buona e onesta e che non dubitava del suo successo. Per tutta la notte si trattenne con i suoi parenti, che cercarono di divertirlo con piacevoli discorsi.

Dama Rukenard stava ancora suggerendo qualcosa di vantaggioso nella battaglia imminente; e lei lo persuase a farsi radere tutti i peli, dalla testa alla coda, e poi gli unse il corpo con olio d’oliva. Questo lo rese così liscio e scivoloso che il lupo difficilmente poteva sperare di mantenere la presa. Inoltre era rotondo e grassoccio, il che gli tornava a suo vantaggio. Quella sera, poi, gli consigliò di bere molto, per poter accecare meglio il nemico al mattino, ma di non sprecare in alcun modo le sue munizioni finché non fosse arrivato a corpo a corpo nel campo. “Allora, quando vedrai il momento, prendi la tua folta coda e colpisci bene gli occhi del cattivo, finché non lo avrai del tutto confuso e accecato. Ma negli intervalli tieni la coda tra le gambe il più vicino possibile, per evitare che ti afferri e ti faccia cadere a terra. All’inizio fai attenzione a evitare i suoi colpi; sfuggi loro, nipote, e fallo faticare e sudare dietro di te invano. Conducetelo dove c’è molta polvere e, dopo averlo innaffiato, sollevategli la polvere negli occhi con i tuoi calcagni. Poi, quando non ci vede più, approfittatene per colpirlo e morderlo maliziosamente, continuando a ingannare la sua vista e la sua comprensione spazzolandolo in faccia di tanto in tanto.
Mettilo così alla tortura finché non lo avrai completamente stancato; e non temere, perché sebbene sia forte e robusto, il suo cuore è piccolo e debole. Questo, nipote, è il mio consiglio; l’arte prevale tanto quanto il coraggio, quindi guarda a essa e pensa quanta ricchezza, onore e reputazione potresti raccogliere, sia per te stesso che per la famiglia, realizzando questa grande impresa.
Ora parliamo dell’incantesimo che ho imparato da tuo zio Martin e che ti aiuterà a renderti invincibile. È il seguente: poi, posandogli la mano sulla testa, gridò: ‘Blaerd, Ihay, Alphenio, Rasbue, Gorsons, Arsbuntro!’ Ecco, nipote, ora sei libero da ogni potere di malizia e pericolo di sorta. Va’ dunque a riposarti, perché è vicino il giorno, e un po’ di sonno renderà il tuo corpo più disposto all’azione nel grande giorno ricco di eventi di domani.”

La volpe le ringraziò infinitamente, dicendole che lo aveva legato a sé come servitore per sempre, e che aveva piena fiducia nelle eccellenti regole che lei gli aveva dato. Poi si sdraiò a riposare sotto un albero verde sull’erba fino all’alba, quando la lontra venne a svegliarlo, dicendo che gli aveva portato da mangiare una giovane e grassa anatra. “Ho faticato tutta questa notte benedetta,” disse, “per procurarti questo regalo, caro cugino, che ho preso da una mangiatoia. Ecco, prendilo e mangialo, perché ti darà vigore e coraggio.”
La volpe lo ringraziò gentilmente e disse che era stato fortunato Hansel, assicurando al suo amico che se fosse sopravvissuto quel giorno, lo avrebbe ricambiato. Reynard poi mangiò l’anatra senza pane né salsa, tranne che con la sua fame, e bevve quattro grandi sorsate d’acqua. Quindi si affrettò al luogo dell’azione stabilito, dove si trovavano le liste, accompagnato da tutti i suoi parenti.

Quando il re vide Reynard così tosato e unto, gli disse: “Bene, Sir Reynard, vedo che sei molto attento alla tua sicurezza: hai poco rispetto per il bottino, così scampi al pericolo”. La volpe non rispose una parola, ma si inchinò umilmente a terra davanti alle loro maestà, il re e la regina, e si avviò verso il campo. Nello stesso momento anche il lupo era pronto e stava vantandosi con molti discorsi orgogliosi e vanagloriosi. I marescialli e i capi delle liste erano il Libbard e i Loss. Questi ultimi tirarono fuori un libro sul quale il lupo giurò e sostenne la sua affermazione che la volpe era un traditore e un assassino, cosa che avrebbe dimostrato sul suo corpo, o sarebbe stato considerato come un recidivo.

Quando queste cerimonie furono terminate, i marescialli di campo li trattennero al loro ‘devoir’; e poi tutti abbandonarono la lista, tranne Dama Rukenard, che rimase accanto alla volpe, ricordandole le regole di battaglia che lei gli aveva dato.
Gli fece ricordare come, quando aveva appena sette anni, avesse avuto abbastanza saggezza di trovare la strada per il castello di suo padre nella notte più buia senza alcuna lanterna, e nemmeno la luce della luna. Che la sua esperienza era molto più grande, e la sua reputazione di saggezza più frequente tra i suoi compagni rispetto a chiunque altro; e che quindi avrebbe dovuto fare doppi sforzi per vincere la giornata, che sarebbe stata un monumento eterno per lui e la sua famiglia per sempre. A ciò la volpe rispose: “Mia cara zia, stai certa che farò del mio meglio e non dimenticherò un briciolo del tuo consiglio. Non dubito che i miei amici raccoglieranno onore e i miei nemici vergogna, dalle mie azioni”. A questo la scimmia disse amen e così se ne andò.

CAPITOLO XXI.
IL FIERO INCONTRO TRA LA VOLPE E IL LUPO, L’EVENTO, I PASSAGGI E LA VITTORIA

QUANDO nella lista non rimasero che i combattenti e il segnale fu dato, il lupo avanzò verso Sir Reynard con infinita rabbia e furia, pensando di afferrare il suo nemico con le zampe anteriori; ma la volpe balzò agilmente di lato. Il lupo allora lo inseguì e iniziò un noioso inseguimento, al quale gli amici di entrambe le parti assistettero con attenzione. Con grandi balzi e passi, Sir Isegrim lo raggiunse presto e, alzò i piedi per colpire, Reynard evitò il colpo e colpì l’avversario sul viso con la coda.
Il colpo fu così forte che Sir Isegrim rimase quasi cieco, anzi, fu un vero e proprio colpo di grazia e fece un gran male. Fu costretto a riposare mentre si schiariva gli occhi, un vantaggio che Reynard non perse; infatti, grattò la polvere con le zampe e la gettò audacemente negli occhi del nemico, sotto il suo naso, come era così impegnato, un’impresa che suscitò un forte applauso.

Questa polvere tormentava Sir Isegrim più della spazzolata della coda ed egli non si azzardò più a seguirlo. Gli occhi gli bruciavano così tanto che cercò di lavare via la polvere, al che Reynard gli corse incontro e gli procurò tre gravi ferite sulla testa con i denti, dicendo: “Vi ho forse morso, Sir Isegrim? Presto ti morderò meglio. Hai ucciso molti agnelli e molte bestie innocenti, e me ne attribuiresti il merito, ma troverai il prezzo per la tua furfanteria. Ora sono stato mandato a punire i tuoi peccati e ti darò la tua assoluzione coraggiosamente. È bene che tu usi la tua pazienza. Farò del tuo purgatorio un inferno, perché la tua vita sarà alla mia mercé. Tuttavia, se ti inginocchierai e chiederai perdono, confessandoti sconfitto, anche se sei la più vile creatura vivente, ti risparmierò la vita, perché la mia pietà è tale che sono riluttante a ucciderti”. Queste parole resero Sir Isegrim folle e disperato, tanto che non riuscì a trovare sfogo alla sua furia; le ferite gli sanguinavano, gli occhi gli bruciavano e tutto il suo corpo era oppresso.

Nel pieno della sua furia, alzò il piede e colpì la volpe con un colpo così forte da farla cadere a terra; ma Sir Reynard, essendo agile, si rialzò subito e, scontrandosi ferocemente con il lupo, iniziò un combattimento duro e incerto. Per dieci volte il lupo balzò su Sir Reynard, nella speranza di afferrarlo o ucciderlo, ma la sua pelle era così scivolosa e oleosa che non riuscì a trattenerlo. Anzi, era così attivo nella lotta che, quando il lupo pensava di averlo in pugno, si spostava tra le sue gambe e sotto la sua pancia, infliggendo ogni volta al lupo un morso o una spazzolata sul viso con la coda, che il povero Sir Isegrim era quasi ridotto alla disperazione.

Varie ferite e morsi passarono da una parte e dall’altra, l’uno con l’astuzia, l’altro con la violenza; l’uno esprimendo furore, l’altro temperanza. Alla fine Sir Isegrim, infuriato per il fatto che il combattimento si fosse protratto così a lungo, perché se i suoi piedi fossero stati sani sarebbe stato molto più breve, disse a se stesso: “Metterò fine a questo combattimento; è troppo lungo e so che il mio peso è sufficiente a ridurlo in pezzi. Ormai sto perdendo la mia reputazione a combattere con lui”. Detto questo, sferrò a Reynard un altro duro colpo alla testa e lo fece cadere di nuovo a terra. Prima che potesse riprendersi e rialzarsi, afferrò la volpe ai piedi e, spingendola sotto di sé, si stese su di lei con tutto il suo peso, pensando di soffocarla.

A questo punto Reynard cominciò ad allarmarsi seriamente, mentre gli amici di Sir Isegrim gridavano di gioia; ma la volpe, pur smettendo di scherzare, si difendeva strenuamente con gli artigli, stesa com’era a terra. Quando il lupo, premendo e mordendo, cercò di porre fine alla sua esistenza, la volpe lo morse di nuovo al ventre e respinse i suoi tentativi di tormentarlo con gli artigli anteriori, tanto da strappare la pelle tra le sopracciglia del lupo. Le sue orecchie sanguinavano e uno degli occhi pendeva dalla testa; ululò in modo estremo e, mentre si asciugava il viso, Reynard colse l’occasione per riprendere le gambe; ma il lupo, lo inseguì furiosamente, lo afferrò di nuovo tra le braccia e lo tenne fermo.

Reynard non si era mai trovato così in difficoltà prima, e la lotta tra i due era ormai feroce. La passione fece dimenticare al lupo la sua intelligenza e, afferrando la volpe sotto di sé, si mise la mano in bocca e quasi la morse. Allora Sir Isegrim si rivolse a Reynard: “Rassegnati a essere sconfitto, altrimenti ti ucciderò di certo; né la polvere, né la coda, né le beffe, né altre sottili invenzioni potranno salvarti: sei completamente disperato”.
Quando la volpe sentì questo, pensò che non gli rimaneva molta scelta, perché l’una o l’altra sarebbe stata la sua rovina; ma non essendoci tempo da perdere, disse: “Caro zio, visto che la fortuna vuole così, mi arrendo ai tuoi ordini. Viaggerò per te in Terra Santa, o in qualsiasi altro tipo di pellegrinaggio, sì, o compirò qualsiasi servizio utile alla tua anima e a quella dei tuoi antenati; ti obbedirò come obbedirei al re, o al nostro santo padre il papa; Terrò le mie terre e i miei possedimenti per te, così come il resto dei miei parenti; sarai il signore di molti signori e nessuno oserà muoversi contro di te. Qualsiasi cosa io prenda, che si tratti di pollastre, oche, pernici o pivieri, carne o pesce, tu, tua moglie e i tuoi figli avrete sempre la prima scelta. Inoltre, siamo così vicini di sangue che la natura proibisce che ci sia una lunga inimicizia tra noi, e non avrei combattuto contro di te se fossi stato sicuro della vittoria.
Tu hai fatto appello per primo, e allora, per forza di cose, devo fare del mio meglio; tuttavia, anche in questa battaglia sono stato cortese con voi, e non mi sono comportato come avrei dovuto con un estraneo, perché so bene che è dovere di un nipote risparmiare lo zio, come si può facilmente intuire dalla mia fuga da voi.

Avrei potuto ferirti spesso quando mi sono rifiutato, e non siete peggiorato se non per il danno che avete nell’occhio, per la quale sono dispiaciuto e vorrei che non fosse accaduto. Vi prego quindi umilmente di permettere al povero Reynard di vivere: So che potreste uccidermi, ma a cosa vi servirà, se non potrete mai vivere al sicuro per paura della vendetta dei miei parenti? La temperanza nell’ira è una cosa eccellente, mentre l’imprudenza è ancora la madre del pentimento. Voi, zio, so che siete valoroso, saggio e discreto; preferite l’onore, la pace e la buona fama al sangue e alla vendetta”.
A questo Sir Isegrim rispose: “Tu, infinito dissimulatore, vorresti liberarti del distintivo della tua servitù. Ti comprendo bene e so che, se fossi al sicuro sui tuoi piedi, rinunceresti subito a questa sottomissione; ma tutte le ricchezze del mondo non basteranno a comprare il tuo riscatto. Per quanto riguarda te e i tuoi amici, non li stimo, né credo a una parola di ciò che hai detto; non sono un uccello per il tuo tiglio, la pula non può ingannarmi. Trionferesti coraggiosamente se ti dessi credito; ma sappi che ho l’intelligenza di guardare sia al di qua che al di là di te. I tuoi innumerevoli inganni mi hanno armato contro di te; guarda me e le mie ferite e poi dirai se mi hai risparmiato. Non mi hai dato il tempo di respirare, né io ti darò ora il tempo di pentirti, perché mi hai disonorato in tutti i modi che la tua villania poteva escogitare”.

Mentre Sir Isegrim stava blaterando, Reynard pensava al modo migliore per liberarsi; così, infilando l’altra mano libera sotto il ventre, afferrò Sir Isegrim tra le gambe e lo strinse così forte da farlo strillare e urlare di angoscia. Poi la volpe tolse l’altra mano dalla bocca, perché Sir Isegrim era in preda a un tormento così meraviglioso che era a pochi gradi dallo svenimento, e completò la tortura che gli stava infliggendo. La natura non poteva sopportare oltre: Sir Isegrim cadde in preda a una crisi mortale e Reynard lo trascinò per le gambe intorno alle liste. Poi lo colpì, lo ferì e lo morse in diversi punti, in modo che tutto il campo potesse vedere la punizione che gli infliggeva. Gli amici di Sir Isegrim, nel frattempo, furono presi dal dolore e dalla disperazione e andarono a piangere e a lamentarsi dal re, pregandolo di placare il combattimento e di prendere in mano la situazione.

La loro richiesta fu accolta, e i marescialli Libbard e Loss entrarono in lizza, e dissero alla volpe che il re avrebbe parlato con lui, che la lotta sarebbe cessata e che avrebbe preso nelle sue mani reali la decisione, aggiungendo che sua maestà non voleva perdere nessuno dei due, anche se tutto il campo aveva dato la vittoria alla volpe.

“Ringrazio umilmente sua maestà,” disse la volpe, “e obbedirò ai suoi comandi, la mia ambizione non va oltre quella di essere proclamato vincitore. Vi prego, dunque, di far venire i miei amici ad assistermi; farò come mi consigliano.” Risposero che era ragionevole, e allora si presentarono Lady Slopard e Sir Grimbard, suo lord; Lady Rukenard, con le sue due sorelle; poi Bitelas e Fullrump, i suoi due figli, e Malicia sua figlia.
Altre centinaia di persone che non si sarebbero arrischiate, se la volpe avesse perso la battaglia, ora avanzano per salutarlo, cercando di diventare suoi servitori, perché a chi si è guadagnato l’onore affluiscono nuovi onori e grazie, mentre i perdenti incontrano solo il disprezzo. Ahimè, povero Isegrim! Al seguito di Reynard seguivano ora il castoro, la lontra e entrambe le loro mogli, Pauntecrote e Ordigale, oltre all’ostrolo, alla martora e ai moscardino, al furetto, allo scoiattolo e molti più di quanti possiamo nominare, tutto perché era il vincitore. Molti di coloro che si erano lamentati aspramente di lui giuravano di essere parenti prossimi e gli offrivano i loro servigi con tutta umiltà. Perché così va il mondo: chi è ricco e favorito non mancherà mai di avere molti amici; tutti fingeranno di piacergli, imitando la sua follia e raccontando le sue menzogne.

Di conseguenza, gli amici di Reynard proclamarono una festa solenne, durante la quale gli furono tributati tutti i tipi di onori: le trombe suonarono, le cornette, suonarono i corni e alla musica seguirono i ringraziamenti per la sua gloriosa vittoria. Sir Reynard ricevette tutti i suoi amici con cortesia e ricambiò i ringraziamenti con evidente gratificazione e piacere; concluse chiedendo il loro parere se dovesse o meno cedere la vittoria nelle mani del re, invece di togliere la vita di Sir Isegrim, al che la sua fedele parente, Lady Slopard, rispose: “Sì, assolutamente, cugino; è una questione d’onore e non vedo come tu possa rifiutare”.Gli altri furono d’accordo e gli sceriffi fecero strada al cospetto del re, scortando Reynard da ogni lato, con trombe, pifferi e timpani che suonavano mentre il corteo procedeva.

Quando Sir Reynard giunse al cospetto del re, cadde in ginocchio; ma Sua Maestà lo invitò ad alzarsi e disse: “Sir Reynard, potete benissimo rallegrarvi, perché oggi avete ottenuto un grande onore. Per questo motivo vi congedo e vi lascio libero di andare dove più vi porta il piacere; mi faccio carico di tutte le vecchie liti, e le farò discutere bene dalle teste più sagge del regno, non appena la ferita di Isegrim, sarà guarita, se mai lo sarà. A quel punto avrò cura di informarvi, e poi procederò al giudizio su queste questioni”.

“Eccellentissimo e temutissimo signore il re”, rispose la volpe, “sono ben soddisfatto di tutto ciò che vi farà piacere; tuttavia, quando giunsi per la prima volta alla corte di Vostra Maestà, c’erano molte persone malvagie, che non avevo mai ferito, che cercavano la mia vita. Credevano di potermi sopraffare unendosi ai miei peggiori nemici, perché immaginavano che il lupo fosse più gradito a Vostra Maestà di me stesso. Questo fu il motivo della loro indignazione, in cui dimostrarono solo la loro semplicità, che non riuscì a scongiurare la catastrofe che seguì”.

“Tali uomini, mio signore, sono come un grande branco di segugi, che una volta vidi su un letamaio vicino alla casa di un grande signore, dove aspettavano ciò che potevano catturare, aspettandosi che le loro mangiatoie non fossero lontane. Di lì a poco videro un cane uscire di corsa dalla cucina del signore con una bella costola di manzo in bocca. Ma il cuoco lo inseguiva e gli si avvicinò tanto da gettargli addosso un secchio di acqua calda e scottante, ma come un cane robusto continuò a trattenere la preda. I suoi compagni, vedendolo, dissero: “Oh, quanto sei in debito con il buon cuoco, che senza dubbio ti ha dato quel bell’osso così ben rivestito di carne”. Ma il cane rispose: “Voi parlate, amici, secondo quello che vedete, non secondo quello che sento. Voi mi vedete con questo bell’osso in bocca, ma non sentite il bruciore sulle mie natiche. Vi prego solo di guardarmi dietro e troverete il prezzo che ho pagato per questo”.

“I suoi amici si accorsero allora di quanto fosse gravemente scottato, sia il pelo che la pelle erano scorticati di netto, e guardarono sbigottiti e addolorati il tormento che soffriva nei lombi. Vedendo poi che era un cane così sfortunato, rinunciarono a ogni ulteriore conoscenza con lui e scapparono via. Allo stesso modo, mio signore, queste bestie false e indegne, quando si fanno signori e ottengono il loro desiderio, pensano di diventare potenti e famose. Allora cominciano a sminuzzare i volti dei poveri e dei bisognosi, divorandoli come segugi affamati e selvaggi; perché questi sono i cani che hanno le ossa in bocca, anche se meritano di avere le natiche ben scottate.
Eppure nessuno deve osare immischiarsi con loro o offenderli, ma piuttosto lodare tutte le loro azioni, mentre molti li assistono nelle loro azioni illegali per potersi leccare le dita per una parte delle loro estorsioni. Oh, mio caro signore! Come possono questi camminare con sicurezza mentre sono bendati? Come possono aspettarsi altro che una caduta vergognosa, quando fanno passi così incerti? Né possiamo compatirli quando le loro opere vengono alla luce; maledizioni e rimproveri perpetui devono seguirli nella tomba dopo che la loro rovina è stata compiuta. Molti di loro hanno perso la loro giacca, cioè i loro amici, come il segugio ladro, e non hanno più nulla per coprire le loro malefatte; mentre i loro vecchi compagni li abbandonano come i segugi dalla pelle intera hanno fatto con il cane scottato”.

“Mio grazioso signore, vi prego di ricordare questo esempio morale, che non comprometterà in alcun modo la grandezza delle vostre virtù, poiché senza dubbio molte di queste creature fameliche e rapaci sono sotto la vostra sottomissione, sia nei paesi, nelle città che nelle case dei grandi signori. Sono loro che si fanno beffe dei poveri, barattano la loro libertà e i loro privilegi e li accusano di azioni che non si sarebbero mai sognati, tutto per comporre la somma dei loro progetti privati.
Ma il cielo ha ancora un giudizio in serbo per loro, quando raggiungeranno la loro ignominiosa fine; perché sono colpevoli di errori di cui nessuno può giustamente accusare me o qualcuno dei miei parenti; possiamo sempre comportarci nobilmente nello stesso modo.
Non temo le accuse di nessuna creatura, non io; perché la volpe resterà sempre la volpe, anche se una schiera di nemici cercherà di superarmi. Per voi, mio temibile signore, vi adoro al di sopra di tutti gli esseri mortali, né alcuna arte o espediente mi distoglierà da voi; vi resterò fedele fino all’ultimo respiro. La malizia, ne sono consapevole, mi ha smentito e ha detto a Vostra Maestà il contrario; tuttavia ho sempre smentito le sue accuse e lo farò fino all’ultimo istante della mia esistenza “*.

*Allo stesso modo siamo informati da Sir Reynard che suo padre, che godeva dell’alto incarico di lord cancelliere sotto il regno del defunto re leone, era riuscito altrettanto bene e aveva persino estratto il liquor dal fegato di Sir Isegrim per le sue proprietà medicinali. Senza dubbio la carica di cancelliere era ereditaria nella famiglia di Sir Reynard e posseduta dall’eroe della storia, poiché egli stesso dichiara che il tesoro di suo padre era nascosto a Crekenpit, vicino a Husterloe. – Ed.

CAPITOLO XXII.
COME IL RE HA PERDONATO TUTTO A SIR REYNARD; LO HA RESO IL PIÙ GRANDE SIGNORE DEL PAESE;
E COME TORNO’ A CASA IN TRIONFO, ACCOMPAGNATO DA TUTTI I SUOI PARENTI

Sua Maestà rispose allora come segue: “Sir Reynard, voi siete uno, credo, che mi deve omaggio e fedeltà, se mai un suddito lo ha fatto, e confido che vivrò a lungo per goderne. Ecco, per i vostri servigi passati, vi eleggo a membro del mio consiglio privato. Fate attenzione a non mostrare alcun passo indietro, o alcun desiderio indegno di vecchi trucchi perché sto per darti pieno potere e autorità come eri in precedenza. Spero che amministrerai la giustizia in modo equo e corretto.* Finché applicherai la tua politica alle giuste opinioni e azioni, la corte ti avrà a cuore, perché sei una stella il cui splendore supera tutti gli altri, soprattutto per quanto riguarda la capacità di indagare sui mali e di prevenirli. Ricorda, dunque, la morale che tu stesso mi hai riferito, e attieniti alla verità e all’equità.
D’ora in poi sarò governato dalla vostra saggezza, e nessun suddito in tutto il mio regno potrà offrirvi il minimo insulto o danno, ma io me ne risentirò fortemente. Questo lo proclamerai in tutta la nazione, di cui diventerai primo ministro; la carica di gran cancelliere te la conferisco liberamente e so che ne trarrai grande onore e profitto”.

Tutti gli amici e i parenti di Reynard ringraziarono umilmente il re, quando questi li informò che era molto poco rispetto a ciò che intendeva fare per loro, consigliando al contempo a tutti loro di ammonire Reynard di stare attento alla sua fede e alla sua lealtà. Lady Rukenard osservò allora: “Credetemi, mio signore, non falliremo su questo punto; perché se dovesse fallire, cosa di cui c’è pericolo, tutti noi dovremmo rinunciare a lui”. Anche la volpe ringraziò il re con parole giuste e cortesi, dicendo: “No, mio grazioso signore e padrone, non sono degno – anzi, lungi dall’esser degno – di questi alti onori, ma mi impegnerò sempre con il mio miglior servizio per meritarli, né mancheranno mai i miei migliori consigli”. Detto questo, si congedò umilmente dal re e partì con il resto dei suoi amici e parenti.

Nel frattempo Bruin l’orso, Tibert il gatto e la moglie di Sir Isegrim, con i suoi figli, erano stati alacremente impegnati nel portare via dal campo il loro parente vinto. Lo adagiarono su una soffice lettiera e sul fieno, lo coprirono al caldo e medicarono le sue ferite, in numero di ventitré, assistiti da alcuni dei chirurghi più abili. Era molto malato e la sua debolezza era tale da fargli perdere ogni sensibilità. Così lo strofinarono e lo sfregarono sulle tempie e sotto gli occhi, finché non si riprese dallo svenimento, e ululò così forte, che tutti rimasero ugualmente scioccati e stupiti nel sentirlo. I suoi medici gli diedero subito dei cordiali, insieme a un sonnifero per alleviare il senso dei suoi tormenti; nello stesso tempo consolarono la moglie, assicurandola che non c’era alcun pericolo per le sue ferite, anche se avrebbero potuto rivelarsi fastidiose a lungo. Quindi la corte si sciolse e ogni animale tornò a casa sua.

Ma tra le partenze spicca quella di Sir Reynard la volpe, che si congedò dal re e dalla regina; entrambe le loro maestà chiesero che non si assentasse a lungo da loro. A ciò egli rispose che avrebbe fatto in modo di essere pronto al loro servizio, come era suo dovere, e non solo lui, ma anche tutti i suoi amici e parenti. Poi, chiedendo il permesso di Sua Maestà, con la dovuta solennità e con un discorso soave, si allontanò dalla corte.

* Da ciò sembrerebbe che Sir Reynard avesse presieduto in passato la corte di giustizia, carica dalla quale doveva essere stato sospeso pro tempore, a causa delle pesanti accuse mosse contro di lui, sulle quali alla fine aveva trionfato. – Ed.

E c’è mai cortigiano che abbia adulato con maggior coraggio e successo? Colui che poteva vantarsi di tanto, poteva benissimo essere maestro delle otto scienze liberali; e nessun signore, sia spirituale che temporale, avrebbe avuto un orecchio aperto per il suo piacevole linguaggio. Né Sir Reynard è morto senza lasciare figli, visto che ha lasciato successori in quasi tutte le parti del mondo. In effetti, chi non gli è in qualche misura alleato nell’arte della simulazione e della dissimulazione difficilmente potrà prosperare nel mondo; infatti, anche se gli manca il pelo della volpe, se ha il cuore sarà generalmente accettato.

L’onestà è ormai in esilio, mentre l’avarizia e la frode occupano le sue sedi vacanti; né il palazzo del papa né la corte del principe sono esenti dalle loro visite.

Il denaro è diventato il grande favorito dell’epoca, l’idolo della Chiesa e il culto del Paese, perché può comprare tutto, difendere tutto e confondere tutto. Così i pazzi viaggiano in tutto il mondo per inseguire questa follia e questa moda; e chi non è una vera volpe, non è che una bestia di bassa considerazione, che va dove vuole.

Questa è l’usanza del mondo; e su cosa finirà alla fine il saggio non può né giudicare né immaginare; sa solo che peccati così odiosi come la falsità, il furto, l’omicidio e l’ambizione non possono mai camminare se non di pari passo con il giudizio. Per questo prego di cuore che la mano dell’Altissimo ci difenda e ci conduca a camminare per quelle vie che sono consone alla pietà e alla virtù. Con questo concludo, poiché questi non sono temi adatti per me da trattare, dato che all’ultimo giorno ognuno è sicuro di dover rendere conto sotto la propria responsabilità. – Old Eng. Comm.

CAPITOLO XXIII.

Insieme a Reynard, tutti i suoi amici e parenti, per un totale di quaranta, presero congedo dal re e lo accompagnarono; orgoglioso di aver fatto così bene e di essersi guadagnato il favore del re. Perché ora aveva abbastanza potere per far avanzare chi gli piaceva di più e abbattere chiunque invidiasse la sua fortuna.

Dopo un piacevole giro, Sir Reynard e i suoi amici si avvicinarono al castello di Malepardus, dove ognuno in aspetto nobile e cortese si congedò dall’altro, mentre Sir Reynard stesso si mostrò particolarmente gentile con tutti. Li ringraziò per il singolare amore e l’onore che aveva ricevuto da loro e dichiarò che avrebbero potuto sempre contare su di lui come loro fedele e umile servitore, tenuto a servirli in ogni cosa, per quanto la sua vita e le sue proprietà potessero essere utili.

Con queste parole strinse le mani e si affrettò a raggiungere Lady Ermelin, che lo accolse a casa con grande tenerezza. A lei e ai suoi figli raccontò ampiamente tutte le meraviglie vissute a corte, senza omettere la più piccola circostanza. Erano tutti orgogliosi della sua grande fortuna e del fatto che erano così strettamente imparentati con lui.
Da allora in poi la volpe trascorse il più possibile le sue giornate con la moglie e i figli, con infinita gioia e contentezza. Ora, chiunque dica più o meno della volpe di quanto avete sentito qui, non vorrei che faceste molto affidamento sulla sua relazione; solo a questa, che avete già sentito o letto, potete credere quanto volete. Tuttavia, se qualcuno si rifiuta, non sarà considerato eretico o contumace, poiché solo colui che l’ha detto può dargli pieno credito, anche se è certo che molti in questo mondo credono a cose che non hanno visto.*

Questa è l’usanza del mondo; e ciò che alla fine andrà a finire nel saggio né può giudicarlo né immaginarlo; solo lui sa che peccati atroci come la menzogna, il furto, l’omicidio e l’ambizione non possono mai camminare di pari passo con il giudizio. Per questo prego di cuore che la mano dell’Altissimo ci difenda e ci conduca a camminare per quei sentieri graditi alla pietà e alla virtù. Con questo concludo, non essendo questi argomenti adatti a me da trattare, poiché all’ultimo giorno ognuno è sicuro di rendere conto sotto la propria responsabilità. – Old Eng. Comm.

* Così ci sono molte opere teatrali sia di tipo comico che morale che rappresentano questioni che non sono mai esistite, semplicemente a beneficio dell’esempio, mostrando come gli uomini possano meglio evitare il vizio e perseguire la virtù. Allo stesso modo questo libro, che contiene argomenti scherzosi, può tuttavia, se considerato seriamente, fornire molte istruzioni morali e saggezza, che meritano la vostra considerazione. Né la bontà né gli uomini buoni saranno trovati screditati; di tutte le cose si parla in generale, e ciascuno può prenderne la propria parte secondo quanto meglio gli istruisce la coscienza. Se qualcuno qui si trova troppo simile a se stesso, si corregga e rimuova la somiglianza; e se qualcun altro è chiaro, mantenga la sua strada ed eviti di inciampare. Quindi, se qualcuno si offende o si disgusta, allo stesso modo non incolpi me, ma la volpe, in quanto sia il linguaggio che la morale sono suoi. – Old Eng. Comm.

Articolo tratto da: The German novelists: tales selected from ancient and modern authors…
a cura di Thomas Roscoe

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