La casa di Giulietta in Verona

Famosissima va per le storie l’acerrima inimicizia fra i Capuleti ed i Montecchi di Verona, e come un’eco pietosa, rimase legato a quel tempo il nome di Giulietta, che sì triste soggetto offrì ai versi del tragico inglese ed alle meste armonie del cigno di Catania.
La casa di cui si presenta l’incisione e che appartenne all’infelice fanciulla, è un edifizio stretto ed alto, posto nella via S. Sebastiano, e porta ancora al disopra della porta del cortile le armi della famiglia di lei. Triste ricordo di sventura e delitto, di pietà e rimorso!

Tratto da: L’amico del popolo cronaca scientifica, letteraria, politica – 1891
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… È da osservarsi parlando di edificii dei secoli di mezzo che non rimangono nè meno in Verona avanzi originali di private abitazioni, le quali certamente più assai dei pubblici e sacri edificii soggiacquero a total distruzione.
Non si parla delle fabbriche Scaligere perchè alla fine del medio evo appartengono, ma di quelle del tempo delle Italiane repubbliche, o ad esse anteriori, due appena o tre se ne osservano in Verona, che serbino in parte le mura e le forme di porte e fenestre dalla loro origine.
Una è quella in contrada detta Cappello perchè la casa che diede il nome alla strada appartenne alla famiglia Cappello o Cappelletto, e questa fabbrica, oltre le arcate d’ingresso al cortile ed alcune fenestre con poggiuolo nel secondo piano, conserva lo stemma della famiglia che è un cappello con bindoli, scolpito appunto come si usa anche oggidì sopra la chiave dell’arco verso la pubblica strada se stato non fosse, non sono molti anni, per lisciature e per imbiancamento demolito.
Si congettura con fondamento che questa fosse la casa di Giulietta Cappello, giacchè al di là dell’attual cortile possedeva il giardino; ma il giardino venne dagli Scaligeri, cioè da Can Signorio, molto dopo l’avvenimento di Giulietta occupato, e recinto di mura merlate che ancora si conservano; e il fece per aprirvi una piazza ad uso di giuochi e spettacoli di Corte, la qual piazza tiene anche oggi giorno il nome di piazza Navona o Agonale ad imitazione della romana.

Arti belle dei Veneziani-memoria
Di Giacomo Parma


Partii per Verona non senza un qualche timore che essa avesse a togliermi le mie care fantasie intorno a Romeo e Giulietta; ma non ero ancor giunto sull’antica Piazza del Mercato che il mio timore era già svanito. Giacchè è questa una città così geniale, linda e pittoresca, e sì ricca in ogni parte di svariati e insigni e fantastici edifizi, che anche prima d’arrivare a vedere la sua parte centrale, voi vi trovate già in un luogo al tutto romantico, degno teatro d’una delle più belle e delle più romanzesche storie.
Com’era abbastanza naturale, dalla Piazza del Mercato me n’andai difilato alla casa dei Capuleti, oggidì cangiata in un ben miserabile alberguccio.
Nel cortile, dove il sudiciumo arrivava sino alla caviglia, vetturini e carrettieri vociavano contendendosi lo spazio per le loro infangate vetture; uno stormo d’oche, inzaccherate di melma, andava aggirandosi fra i carretti, e un brutto cagnaccio se ne stava disteso sulla porta di strada, con una tale aria ringhiosa, ch’io pensai subito che se fosse stato vivo e lasciato libero in quel tempo, avrebbe certamente addentato Romeo in una gamba, proprio nel momento che scavalcava il muro.
L’orto era da molti anni passato in mano d’estranei e diviso in diverse proprietà; c’era però sempre da vedere un orto pertinente alla casa (e in un modo o nell’altro ci doveva essere), che figurasse quello antico; e di più, scolpito nella pietra sulla porta di strada, il cappello, antico stemma della famiglia.
Le oche, i carretti, i vetturali ed il cagnaccio, a dire il vero, mi guastavano alquanto l’effetto storico del luogo, e mi sarebbe stato più grato il trovare la casa vuota e potervi passeggiare in lungo e in largo le deserte camere.
Mi riusciva tuttavia di grandissimo conforto quel cappello scolpito, e, non meno del cappello, quel luogo che doveva essere stato l’orto dei Capuleti; oltre di che devo aggiungere che la casa, se non era gran che vasta, aveva però un’aria sospettosa e arcigna quanto era desiderabile.
Dimodochè, al postutto, io ne rimasi contento e soddisfatto, proprio come se fosse la vera e reale dimora del vecchio Capuleto, e cercai anzi di dimostrare questa mia soddisfazione nella mancia che offerii alla padrona dell’alberguccio, volgare donna di mezza età, che stava lì colle mani in mano sull’uscio di casa a custodire le oche…

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