UN DUELLO

AI TEMPI DELLA REGGENZA IN FRANCIA.

Il capitano fece sentire una specie di reclamo che voleva dire: Tutto ciò non è molto grave; ma, malgrado questa mezza disapprovazione della suscettibilità del cavaliere, non rimase meno fermo di sostenere del suo meglio la causa della quale egli era divenuto sì inopinatamente il campione, per quanto una tal causa gli paresse difettosa nel suo principio. D’altronde, avesse avuto egli per avventura l’ intenzione di abbandonarla, era troppo tardi per ritirarsi.

Erano arrivati alla porta Maillot, ed un giovane cavaliere, che pareva li aspettasse, scorgendo da lungi il barone ed il capitano, mise il suo cavallo al galoppo e si appressò loro rapidamente. Egli era il cav. d’Harmental.

Mio caro cavaliere, gli disse il barone, scambiando con lui una stretta di mano, permetti che, nella mancanza di un antico amico, io te ne presenti uno nuovo. Nè Surgis nè Gace erano in casa; ho incontrato il signore al Ponte nuovo e gli ho esposto il nostro imbarazzo, ed egli graziosamente si è offerto di trarci d’impaccio.

— Io devo dunque a te doppia riconoscenza, mio caro Valef, rispose il cavaliere gettando sul capitano uno sguardo, dal quale traspariva una leggiera nube di stupore, ed a voi, signore, continuò egli, delle scuse per avervi gettato così di primo tratto e per fare conoscenza, in un sì cattivo affare; ma voi mi offrirete un giorno o l’altro, io spero, l’occasione di prendere la rivincita, per cui vi prego al caso di disporre di me com’ io dispongo di voi.

Benissimo, cavaliere, rispose il capitano nel discendere a terra d’un salto, voi avete tali modi che mi farebbero andare in capo al mondo. Il proverbio dice bene: Le montagne soltanto non s’incontrano.

— Chi è questo originale? domandò a bassa voce d’ Harmental a Valef, intanto che il capitano faceva dei movimenti per rimettersi in gamba.

In fede mia lo ignoro, disse Valef; ma quello ch’ io so, si è che senza di lui ci troveressimo ancora imbarazzati. Sarà senza dubbio qualche povero ufficiale che la pace ha messo in riposo come tanti altri. D’altronde noi lo giudicheremo nell’azione.

— Ebbene, disse il capitano, animandosi all’esercizio che faceva, dove sono i nostri avversarii?… Mi sento in vena questa mattina.

— Quando sono arrivato io, rispose d’ Harmental, essi non erano ancora giunti; ma ho veduto al finire del viale una specie di carrozza da nolo, che servirà loro di scusa se sono in ritardo. Del resto, aggiunse il cavaliere traendo un bellissimo orologio guarnito di brillanti, non avvi tempo perduto, non essendo altro che le 9 e mezzo.

— Andiamo dunque incontro ad essi, disse Valef, discendendo alla sua volta da cavallo, e gettando le redini al servo d’Harmental; poichè se essi arrivano intanto che noi ci perdiamo in ciarle, può parere nostro il ritardo.

— Tu hai ragione, disse d’Harmental, e, messo il piede a terra, si avanzò verso il bosco, seguito da’ suoi due compagni.

— Posso avere l’onore di servire le loro signorie? chiese il padrone dell’osteria, che stava sulla porta in attesa di avventori.

— Per l’appunto, maestro Durand, rispose d’ Harmental, che, per timore di essere disturbato, voleva mostrare di andare a diporto per quella parte. La colazione per noi tre. Andiamo a fare un giro nei viali e ritorniamo presto.

E lasciò cadere tre luigi nella mano dell’ oste.

Il capitano vide luccicare uno dopo l’ altro i tre pezzi d’oro, e fece il calcolo colla rapidità di un amatore consumato, di ciò che si poteva avere al bosco di Boulogne per quella somma; ma siccome egli conosceva con chi aveva a fare, giudicò non superflua una raccomandazione per parte sua; in conseguenza avvicinandosi alla sua volta all’ oste:

— Ah! Galantuomo, amico mio, gli disse, tu sai bene che io conosco il valore delle cose, e non è a me che si può far credere facilmente al totale d’una lista. Che i vini siano fini e variati ed i cibi copiosi, o io ti romperò le ossa. Intendi?

— State tranquillo, capitano, rispose l’oste, non è certamente un avventore della vostra sorte ch’io vorrei ingannare.

— Sta bene. Sono passate dodici ore dacchè non mangio: ciò ti sia di norma.

L’oste s’inchinò qual uomo che conosceva il senso di quelle parole, e s’avviò alla cucina, persuaso non esser quello un affare sì bello come dapprincipio aveva motivo di sperare.

Quanto al capitano, dopo avergli fatto un ultimo cenno di raccomandazione mezzo amichevole, mezzo minaccioso, raddoppiò il passo e raggiunse il cavaliere ed il barone che si erano fermati per aspettarlo.

Il cavaliere non si era ingannato riguardo alla carrozza da nolo. Alla svolta del primo viale egli vide i suoi tre avversarii che ne discendevano: questi erano, come abbiamo già detto, il march. di Lafare, il conte di Fargy ed il cavaliere di Ravanne.

Lafare, il più conosciuto dei tre, grazie alle poesie ch’egli ha lasciato, era un uomo dai 36 ai 38 anni, di aspetto aperto e franco, d’una gajezza e d’ un buon umore inesauribili, sempre pronto a tener testa al primo venuto a tavola, al giuoco, alle armi senza rancore e senza fiele, molto amante del bel sesso e molto amato dal Reggente, che lo aveva nominato capitano delle sue guardie, e ne’ dieci anni che lo ammetteva nella sua intimità lo aveva trovato qualche volta rivale, ma sempre fedele servitore. Così il Reggente, che aveva l’abitudine di dare dei nomi particolari a’ suoi intimi ed a tutte le sue amanti, non lo designava che con quello di buon ragazzo.

Nondimeno, poco tempo appresso, la popolarità di Lafare, per quanto bene stabilita si fosse per commendevoli antecedenti, illanguidì molto in fra le donne della corte e quelle dell’ opera. Correva voce che avesse la idea ridicola di divenire uomo di rango. Egli è vero d’altronde, che qualche benevolo, al fine di mantenerlo nella meritata riputazione, susurrava a bassa voce che questa apparente conversione altro movente non aveva che la gelosia di madamig. de Conti, figlia della duchessa e nipote del gran Condè, la quale, assicuravasi, onorava il capitano delle guardie del Reggente di un’affezione tutta speciale. Del rimanente, il suo legame col duca di Richelieu, che passava per l’amante di madamig. di Charolais, dava maggiore consistenza a questa diceria.

Il conte di Fargy, che comunemente chiamavasi il bel Fargy, sostituendo l’epiteto ricevuto dalla natura al titolo legatogli dai suoi avi, era citato, come lo accenna il suo nome, per il giovane più bello dell’epoca sua, ciò che in que’ tempi di galanteria imponeva degli obblighi, dinanzi a’ quali egli non aveva mai retroceduto, traendosene anzi sempre con onore.

Egli era una di quelle creature leggiadre e forti ad un tempo, leggiere e vivaci, che riunivano tutte le qualità le più opposte degli eroi da romanzo di que’ tempi. Con di più una testa graziosissima che raccoglieva le bellezze le più disparate, vale a dire, capegli neri ed occhi bleu, lineamenti molto pronunciati ed un colorito da donna,

Aggiungasi inoltre a questo assieme, tanto di spirito, di lealtà, di coraggio quanto può avere un uomo al mondo, ed avrete un’ idea dell’ alta considerazione di cui doveva godere Fargy in fra la società di quella folle epoca tanto buona apprezzatrice di questi differenti generi di merito.

Quanto al cav. di Ravanne, che ci ha lasciato sulla sua gioventù delle memorie sì strane, che, malgrado la loro autenticità, si è sempre tentati di crederle apocrife, egli era allora un ragazzo appena uscito dei paggi; ricco e di alti natali faceva il suo ingresso nella vita per la porta dorata e correva diritto incontro a tutti i piaceri da essa promessi, con tutta la foga, l’imprudenza e l’avidità della giovinezza. Di questa maniera riceveva egli, com’è naturale, a’ 18 anni, la impressione di tutti i vizii e di tutte le qualità dell’ epoca sua.

E’ facile quindi comprendere quant’era orgoglioso di servire da secondo ad uomini come Lafare e Fargy, in uno scontro che doveva avere qualche pubblicità.

Tosto che Lafare, Fargy e Ravanne videro apparire i loro avversarii all’ angolo del viale, s’incamminarono alla lor volta. Arrivati a dieci passi gli uni dagli altri, tutt’ i cappelli alla mano salutaronsi con quella pulitezza elegante che in simile circostanza era una delle caratteristiche del XVIII secolo, e fecero qualche passo così a testa scoperta, col sorriso sulle labbra, e così naturale che agli occhi del passeggiero non informato del motivo che gli aveva colà riuniti, essi avrebbero avuto l’aria di amici gioiosi di essersi incontrati.

Signori, disse il cav. d’ Harmental, al quale la parola si addiceva di diritto, io spero che non saremo stati seguiti; ma essendo un po’ tardi, potressimo essere disturbati in questo luogo; io credo quindi sarebbe ben fatto rintracciare un sito più rimoto, dove, a nostro bell’ agio, definire il piccolo affare che qui ne riunisce.

Signori, disse Ravanne, io ho quello che cercate; appena a cento passi da qui; una vera Certosa, voi vi crederete nella Tebaide.

— Allora seguiamo questo ragazzo, disse il capitano; l’innocenza conduce alla salute.

Ravanne si volse vivamente e squadrò da capo a piedi il nostro amico da’nastri gialli.

— Se voi non avete impegno preventivo, mio grande signore, disse il giovane paggio d’un tuono di beffa, io reclamerò la preferenza.

— Un momento, un momento, Ravanne, interruppe Lafare. Io debbo qualche schiarimento al sig. d’Harmental.

— Signor di Lafare, rispose il cavaliere, il vostro coraggio è sì perfettamente conosciuto, che gli schiarimenti offertimi sono una prova di delicatezza, della quale, credetemelo, io vi sono molto grato; ma ciò non farebbe che ritardarci inutilmente, e noi non abbiamo, io credo, tempo da perdere.

Bravo! disse Ravanne, ecco ciò che si chiama parlare. Cavaliere, una volta che noi ci saremo tagliata la gola, io spero non mi rifiuterete la vostra amicizia. Io ho inteso parlare molto di voi in altro luogo, ed è molto tempo che nutro il desiderio di fare la vostra conoscenza.

Andiamo, andiamo, Ravanne, disse Fargy, tu ti sei incaricato di guidarci, additaci dunque la via.

Ravanne d’un salto fu nel bosco ed i suoi cinque amici lo seguirono. I cavalli da mano e la carrozza restarono sulla strada.

Dopo dieci minuti di cammiņo, durante il quale i sei avversarii avevano serbato il silenzio, sia per timore di essere scoperti, sia per quel sentimento insito nell’uomo, che, all’atto d’incorrere in qualche pericolo, lo fa concentrare un istante in sè stesso, si trovarono nel mezzo d’una prateria d’ogni intorno circondata da una cortina d’alberi.

— Ebbene, signori! Disse Ravanne, gettando uno sguardo soddisfatto attorno di lui; che dite della località?

— Io dico, che se voi vi vantate di averla scoperta, rispose il capitano, avete torto, poiché se mi aveste detto, ch’era in questo luogo che volevate condurci, io lo avrei fatto ad occhi chiusi, io.

— Ebbene, signore, rispose Ravanne, noi cercheremo di farvi uscire come sareste venuto.

— Sapete ch’è con voi ch’ io ho a fare, signor di Lafare, disse d’Harmental gettando il cappello sull’ erba.

— Sì, signore, rispose il capitano delle guardie, seguendo l’esempio del cavaliere, e so d’altronde nessuna cosa potermi fare più onore e pena maggiore di uno scontro con voi, soprattutto per tale motivo.

D’ Harmental sorrise qual uomo per cui questo fiore di gentilezza non era sprecato, ma egli non rispose che col mettere mano alla spada.

—- A quel che si dice, mio caro barone, disse Fargy, indirizzandosi a Valef, voi siete sul punto di partire per la Spagna.

—- Io doveva partire questa stessa notte, mio caro conte, rispose Valef, e non vi volle meno del piacere che mi riprometteva di vedervi questa mattina per decidermi a rimanere fino a quest’ora. Tanto importanti sono i motivi che mi vi chiamano.

—- Diavolo! io ne son desolatissimo, rispose Fargy, snudando la spada, poichè, se avessi la sventura di ritardare il vostro viaggio, voi siete tale da serbarmi mortale rancore.

-—- No, mai. Avrei presente che ciò è seguito per compiacere ad un amico, mio caro conte, rispose Valef. Così fate del vostro meglio, e, senza riguardi, vi prego, poichè sono agli ordini vostri.

—- A noi, signore, a noi, disse Ravanne al capitano, che piegava con diligenza il suo vestito e lo posava vicino al cappello, voi vedete bene che vi aspetto.

—- Non diamo in impazienza, mio bel giovane, disse il vecchio soldato continuando i suoi preparativi con la flemma beffarda che gli era naturale. Una delle qualità più essenziali sotto le armi è il sangue freddo. Alla vostra età sono stato come voi, ma al terzo o quarto colpo di spada che ho ricevuto, conobbi ch’era fuori di strada, per cui mi sono rimesso nella diritta via.

La! aggiunse egli snudando finalmente la spada, che, come l’abbiamo detto, era di una lunghezza non comune.

—- Per bacco! signore, disse Ravanne, gettando un colpo d’occhio sull’arma del suo avversario, voi avete là un’ arma superba. La mi ricorda lo spiedo maggiore della cucina di mia madre, ed io sono dolente di non aver detto al maestro di casa di portarmelo per tenervi testa.

—- Vostra madre è una degna donna, e la di lei cucina una eccellente cucina; io ho inteso fare gli elogi di tutte e due, signor cavaliere, rispose il capitano d’un tuono pressochè paterno. Così io sarei desolato di togliervi e all’ una ed all’altra per una miseria, come quella che mi procaccia l’onore d’incrociare il ferro con voi. Supponete dunque, in buona fede, di ricevere una lezione dal vostro maestro d’armi, e tirate a fondo.

Raccomandazione superflua. Ravanne era esasperato dalla tranquillità del suo avversario, la quale il sangue suo, giovane ed ardente, non gli lasciava speranza di raggiungere. Così egli si scagliò sul capitano con tale veemenza, che le spade si trovarono impegnate fino all’ elsa. Il capitano diede un passo addietro.

—- Ah! voi rompete, mio grande signore, gridò Ravanne.

—- Rompere non è fuggire, mio piccolo cavaliere, rispose il capitano; quest’ è un assioma dell’ arte ed io v’invito a meditarlo. —- D’altronde mi piace studiare il vostro giuoco. —- Ah! voi siete allievo di Berthelot, a quel che pare. —- E un buon maestro, è vero, ma ha un gran difetto: quello di non insegnare a parare. —- A voi, vedete un po’, continuò egli rispondendo d’ un colpo di seconda ad un colpo diritto, per poco ch’io lo avessi voluto vi avrei infilzato come un’allodola.

Ravanne era furioso, poichè effettivamente egli aveva sentito sul petto la punta della spada dell’ avversario, ma sì leggermente spinta che avrebbe potuto credere d’essere stato colpito dal bottone di un fioretto. —- La convinzione di dovergli la vita raddoppiò la sua collera, ed i suoi attacchi si moltiplicarono più furibondi ancora che in sulle prime.

—- Animo, animo, disse il capitano, ecco che adesso perdete la testa e cercate di cavarmi un occhio. Oibo! ragazzo mio, oibo! Al petto per Dio! Ah! voi mirate ancora alla faccia? Mi forzerete a disarmarvi! —- Ancora? —- Ebbene, andate a raccoglier la vostra spada, giovinotto, e tornate senza affrettarvi, così sarete più calmo. E d’un violento colpo egli fece saltare il ferro di Ravanne a venti passi da lui.

Questa volta il cavaliere fece caso dell’avviso, andò lentamente a raccogliere la spada e della stessa maniera fece ritorno al capitano, che lo attendeva con la punta della sua poggiata a terra. Era osservabile la pallidezza del giovane, sulla veste del quale appariva una leggiera goccia di sangue.

—- Voi avete ragione, signore, gli disse, ed io sono ancora un fanciullo; ma io spero che lo scontro che ho avuto con voi coopererà a fare di me un uomo. Ancora pochi colpi, se vi piace, affinchè non sia detto che voi avete ottenuto tutti gli onori.

Il capitano trovò confermata l’opinione che aveva del cavaliere. Non mancava ad esso che la calma per farne sotto le armi un uomo temibile, per cui al primo assalto di questa terza ripresa, s’accorse che aveva d’ uopo di usare di tutta la sua attenzione per ben difendersi. Ma egli stesso, perfetto nell’arte, aveva una superiorità troppo grande, perchè il giovane suo avversario potesse acquistare su di lui qualche vantaggio.

Le cose ebbero il termine ch’era facile prevedere: il capitano fece saltare una seconda volta la spada dalle mani di Ravanne, ma andò egli stesso a raccoglierla, e con tale politezza di cui a primo aspetto non lo si avrebbe creduto capace.

—- Signor cavaliere, gli disse rendendogliela, voi siete un bravo giovane; ma credete ad un vecchio scorridore di accademie e di taverne, che ha fatto prima della vostra nascita le guerre di Fiandra; quando voi eravate in culla quelle d’Italia; ed allorquando foste accolto ne’ paggi, quelle di Spagna; cambiate il vostro maestro; lasciate stare Berthelot, che vi ha mostrato tutto quello che sa; prendete Bois-Robert che v’insegnerà quello che non sapete, ed io voglio che il diavolo mi porti se fra sei mesi voi non siete al caso di dare anche a me molto da fare.

—- Grazie della lezione, signore, disse Ravanne stringendo la mano del capitano, nel mentre che due lagrime, che non aveva potuto dominare, colavano lungo le sue guancie; dessa mi profitterà, lo spero, e ricevendo la spada dalle mani del capitano fece ciò che quegli aveva già fatto della sua, la rimise nel fodero. Tutti e due portarono allora gli occhi sui loro compagni per vedere come stavano le cose. Il combattimento era terminato. Lafare era assiso sull’ erba addossato ad un albero: egli aveva ricevuto un colpo di spada che doveva attraversargli il petto; ma, per fortuna, la punta del ferro aveva incontrato una costa e strisciato lungo l’osso, di maniera che la ferita pareva a primo aspetto più grave che non lo fosse in effetto. Nonostante egli era svenuto, tanto la commozione era stata violenta.

D’Harmental, ginocchioni dinanzi a lui, asciugava col fazzoletto il sangue che sgorgavagli dalle ferite. Fargy e Valef ebbero d’un solo colpo l’ uno la coscia, l’altro il braccio passati da parte a parte. Tutti e due si facevano delle scuse, promettendosi scambievolmente amicizia.

—- Osservate, giovanotto, disse il capitano a Ravanne, mostrandogli i diversi episodii del campo di battaglia, osservate e meditate; ecco là il sangue di tre bravi gentiluomini che probabilmente è stato sparso per una sciocchezza.

—- In fede mia! rispose Ravanne tutt’ affatto calmato, voi avete ragione, capitano, e potrebbe ben essere che foste il solo tra noi che abbia il senso comune.

In questo momento Lafare aprì gli occhi, e riconobbe d’ Harmental nell’ uomo che gli recava soccorso.

—- Cavaliere, gli diss’egli, volete voi seguire il consiglio d’un amico? Inviatemi una specie di chirurgo, che voi troverete nella vettura, e ch’io ho qui condotto ad ogni buon fine, poi guadagnate Parigi al più presto; mostratevi questa sera al ballo dell’ opera, e se vi si domanda notizie di me, dite, che da otto giorni non mi avete veduto. Quanto a me, potete essere perfettamente tranquillo: il vostro nome non uscirà dalla mia bocca. Del resto, se vi arrivasse qualche disgustosa discussione col contestabile, fate ch’ io lo sappia al più presto, e noi ci concerteremo in modo che la cosa non abbia seguito.

—- Grazie, signor marchese, rispose d’Harmental; io vi lascio, perché veggo in migliori mani delle mie; altrimenti, niente avrebbe potuto separarmi da voi avanti di avervi veduto riposare nel vostro letto.

—- Buon viaggio, mio caro Valef, disse Fargy, poiché io non penso che questa graffiatura valga ad impedire la vostra partenza. Al vostro ritorno, non dubitate che avete un amico, piazza Luigi il Grande, N.° 14.

—- E voi, mio caro Fargy, se avete qualche commissione per Madrid, non avete che a dirlo, e potete contare ch’ella sarà fatta con l’esattezza lo zelo di un buon camerata.

E li due amici si diedero una stretta di mano, come niente fosse avvenuto.

—- Addio, giovanotto, addio, disse il capitano a Ravanne, non dimenticate il consiglio che v’ho dato: lasciate Berthelot, e prendete Bois-Robert: soprattutto siate calmo, rompete nell’ occasione, parate a tempo, e voi sarete una delle più fine lame del reame di Francia. Il mio spiedo dice molte cose gentili allo spiedo maggiore di madama vostra madre.

Ravanne, per quanta fosse la sua presenza di spirito, non trovò verbo per rispondere al capitano; si limitò a salutarlo, e si appressò a Lafare, che gli pareva il più malato dei due feriti.

Riguardo a d’ Harmental, a Valef ed al capitano, essi guadagnarono rapidamente il viale, dove ritrovarono la carrozza da nolo, e nella carrozza il chirurgo che faceva un sonno. D’ Harmental lo svegliò, e mostrandogli il cammino che doveva seguire, gli annunziò, che il marchese di Lafare ed il conte di Fargy avevano bisogno de’ suoi servigi. Egli ordinò inoltre al suo cameriere di scendere da cavallo, e di seguire il chirurgo, a fine di servirgli di aiuto; poi, rivolgendosi verso il capitano:

Capitano, gli disse, io credo non sia prudente d’andare a mangiare la colazione che abbiamo ordinato; ricevete adunque tutt’i miei ringraziamenti pel colpo di mano che mi avete dato, e per memoria di me, siccome voi siete a piedi, a quel che pare, vogliate accettare uno de’ miei due cavalli. Voi potete prenderlo all’azzardo: essi sono eccellenti: il più cattivo non vi lascierebbe nell’impaccio, qualora voi non aveste bisogno che di fargli fare da otto a dieci leghe in un’ora.

—- In fede mia, cavaliere, rispose il capitano, gettando uno sguardo furtivo sul cavallo che gli veniva offerto sì generosamente, non occorreva niente per questo: in fra gentiluomini il sangue e la borsa sono cose che si prestano tutt’i giorni. Ma voi fate le cose di sì buona grazia che non saprei rifiutare. Se avete per avventura bisogno di me per qualunque siasi cosa, sovvenitevi in concambio che io sono al vostro servigio.

—- Ed al caso, signore potrò ritrovarsi? Domandò sorridendo d’Harmental.

—- Io non ho domicilio ben certo, cavaliere, ma voi avrete sempre mie notizie di me, recandovi presso la F … e richiedendola del capitano Roquefinette.

E siccome i due giovani rimontavano ciascuno sul proprio cavallo, il capitano fece altrettanto, non senza rimarcare fra sé cge il cavaliere d’Harmental gli aveva lasciato il più bello dei tre.

Allora trovandosi vicino ad una via bipartita ciascuna, prese la strada che gli conveniva, e si allontanarono di gran galoppo. Il barone Valef rientrò per la barriera di Passy, e si rese diffilato all’ arsenale, prese gli ordini della duchessa del Maino, alla casa della quale apparteneva, e partì il giorno stesso per la Spagna.

Il capitano Roquefinette fece 3 o 4 giri al passo, al trotto ed al galoppo nel bosco di Boulogne, al fine di apprezzare le differenti qualità della sua cavalcatura, ed avendo riconosciuto che quest’ era, come lo disse il cavaliere, un animale di bella e buona razza, ritornò molto soddisfatto presso maestro Durand, ove egli mangiò tutto solo la colazione ch’era stata ordinata per tre.

Lo stesso giorno condusse il suo cavallo al mercato, e lo vendè per sessanta luigi. Era la metà del suo valore reale; ma bisogna saper fare dei sagrifizii quando si vuole realizzare prontamente. In quanto al cavaliere d’ Harmental, egli prese il viale della Muette, si recò a Parigi per la via dei Campi Elisi, e trovò, rientrando in casa, strada Richelieu, due lettere che l’attendevano.

L’una di queste due lettere era d’una scrittura sì bene conosciuta ch’egli trasali vedendola, e, dopo avervi portata la mano con la stessa esitazione che se fosse stato per toccare un carbone ardente, l’aprì con un tremore che dimostrava l’importanza che le attribuiva. Essa conteneva ciò che segue:

Mio caro cavaliere!

Nessuno è capace di dominare gli impulsi del proprio cuore; voi lo sapete, ed è una delle miserie della nostra natura di non poter amare lungamente nè la stessa persona nè la stessa cosa. Quanto a me, io voglio almeno avere sulle altre donne il merito di non ingannare quello ch’è stato il mio amante. Non venite dunque alla vostra ora, come di metodo, poichè vi si direbbe che non sono in casa, e tanta è la mia bontà che non vorrei per cosa al mondo arrischiare l’anima di un servo o di una cameriera, facendogli dire una menzogna così grande. Addio, mio caro cavaliere, non serbate di me troppo cattiva memoria, e fate ch’ io pensi ancora di voi da qui a dieci anni, ciò che io ne penso in questo momento, cioè a dire, che voi siete uno dei più galanti gentiluomini di Francia.

« SOFIA D’AVERNE. »

Per Dio! gridò d’Harmental, colpendo del pugno una graziosissima tavoletta ch’egli fece in pezzi, se io avessi ucciso quel povero Lafare, non mi sarei consolato per tutta la vita.

(dal francese, F.)

Articolo tratto da: L’Emporeo artistico-letterario, ossia Raccolta di amene lettere, novità…
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