MISERIA E POVERTÀ

I.

Gesù Cristo e San Pietro passeggiavano un giorno nei dintorni di Winoi, una delle più graziose cittadine della Fiandra. Erano vestiti semplicemente, come si conviene a persone serie a cui non piace gettar della polvere negli occhi alla gente.
Strada facendo, l’asinello cavalcato da Gesù, perdè uno dei suoi ferri; fu quindi necessario fare una breve sosta e fermarsi davanti la bottega del fabbro Paolo Lambrect che tutti in paese designavano col nomignolo di Miseria, tant’era tribolato.
Il nostro fabbro lavorava dalla mattina alla sera, senz’altra compagnia all’infuori di quella del suo cane, una bestia ossuta e spelacchiata, a cui il padrone aveva posto il nome di Povertà.
Povertà leccava di tanto in tanto le mani scarne del fabbro e gli diceva con i suoi grandi occhi melanconici.:
– Fatti coraggio, amico. Fai una gran brutta vitaccia, ma pensa che io ti voglio bene e non ti lascerò mai.
Gesù Cristo chiese al fabbro se egli voleva ferrargli il suo asino.
– Entrate ed accomodatevi rispose l’operaio colpito dallo splendore di quegli occhi divini. – Vi servo subito.
Nostro Signore e San Pietro si misero a sedere, mentre Miseria stava ferrando l’asino. Povertà, in quel mentre, si era accoccolato ai piedi dei nuovi ospiti e li guardava mugolando dolcemente.
– Quanto vi devo? – chiese Nostro Signore, allorchè — il lavoro fu compiuto.
– Nulla – rispose Miseria, abituato ad aver sempre che fare con dei disgraziati più poveri di lui.
Nostro Signore, che scruta nel profondo dei cuori, lesse in quello di Miseria.
– Poichè siete cosi liberale coi viaggiatori – disse – vi accorderò tre grazie.
– Benissimo — rispose Miseria, senza manifestare la più lieve commozione. E si mise a riflettere su ciò che starebbe per chiedere.
– Dicerto – pensò San Pietro – dicerto egli sceglierà il paradiso.
– Prima di tutto — riprese il fabbro – io desidero che tutti coloro i quali si metteranno a sedere su questa mia bella poltrona, non possano più alzarsi senza il mio permesso.
– Accordato – disse Nostro Signore.
– In secondo luogo…
– Scegli il paradiso – disse San Pietro a voce alta, tirandolo per una manica.
– Lasciatemi in pace – proseguì Miseria, a cui non piaceva di venire interrotto nelle sue riflessioni. – In secondo luogo – continuò dopo un istante di silenzio – vorrei che tutti coloro i quali s’arrampicassero sul noce che ho nell’orto, non potessero più discendere senza il mio consenso.
– Accordato – disse Nostro Signore.
– In terzo luogo…
– Chiedi il paradiso! – urlò San Pietro che non stava più alle mosse.
– In terzo luogo – rispose Miseria senza dargli retta – io ho una borsetta di cuoio: vorrei che tutto ciò che vi entra non possa più uscirne senza il mio permesso.
– Tutto andrà a seconda dei vostri desiderii – disse con dolcezza il Salvatore.
Ed augurando il buon giorno a Miseria, si rimise in cammino col suo fido Pietro, il quale non riusciva a dissimulare il suo cattivo umore.

II.

Qualche mese dopo la visita di Gesù, i tempi volsero duri e difficili e il fabbro cadde in una tale indigenza da far piangere anche i sassi. Aveva speso il suo ultimo picciolo e buttato a Povertà l’ultimo seccherello di pane, quando si vide apparir davanti un vecchino dalla fisonomia fredda e sinistra.
– Miseria – gli disse dopo averlo salutato garbatamente. – Miseria, voi non siete tranquillo.
– Ci vuol poco a capirlo – rispose Miseria con amarezza. – E la ragione c’è: prima, avevo al mio comando qualche soldo, e ora non ho di che comprarmi un po’di pane.
– È questa sola la cagione della vostra malinconia? – chiese il vecchino sorridendo.
– Mi pare abbastanza importante…
– Eh, via! lo piglio l’impegno di farvi ricco come un Creso…
– Davvero? Non mi lusingate, veh!
– Davvero. Ma ad un patto.
– Sentiamo.
– Firmate questo foglio, nel quale v’impegnate a seguirmi in capo a dieci anni.
– Firmo senza neanche pensarci.
E il vecchino, dopo essersi messa in seno quella curiosa cambiale a lunga scadenza, parti canterellando.

III.

Miseria nuotava nell’abbondanza. Mangiava, beveva e si trattava da gran signore. Tutti gli sorridevano, tutti avevano per lui una parola gentile ed ossequiosa: ed egli non stava nei panni dalla contentezza. Ma la felicità non è di lunga durata, specialmente quella dovuta agli agi e alle ricchezze. I dieci anni volarono come dieci giorni e una bella mattina il nostro fabbro riceve la visita del vecchino dalla fisonomia fredda e sinistra.
– Il termine è spirato – disse questi presentando il foglio.
– Dove mi condurrete! – chiese Miseria.
– In un luogo di pianto e di dolore, dove non si mangia e non si beve, dove il sole non risplende mai…
– Sta bene. Sistemo alcune cosette e son con voi. Intanto favorite d’accomodarvi su questa poltrona. Vi porterò del vino e del prosciutto.
Il diavolo… volevo dire il vecchino, si leccò i baffi in segno di compiacenza e si mise a sedere, tutto lieto di quello spuntino imprevisto.

IV.

Mentre allungava le gambe polverose e con la cocca della pezzuola ripuliva gli occhiali nero-funio, Miseria era andato in bottega e s’era ‘armato d’una grossa e lunga verga di ferro, pesa non so più quanti chilogrammi.
– Prima di merendare – disse al vecchino – lasciate ch’io v’ accarezzi un tantino le spalle. – E giù una grandine di colpi senza requie.
Il vecchino tentava di scappare, ma era come incollato alla poltrona.

– Basta, per carità! – urlava come un ossesso. – Basta! Se mi lasciate andare, vi accordo altri dieci anni.
– Ecco una proposta che non mi dispiace. Smetterò di percuotervi, ma prima di lasciarvi andare, esigo che mi confermiate lealmente la vostra parola e che mi promettiate di darmi tanti denari quanti ne ho avuti fin qui.
– Confermo, prometto, darò tutto! – gemeva il vecchio.
– Ebbene, andatevene, birbante! – disse Miseria.
E il povero diavolo se n’andò via come un razzo, stropicciandosi le costole che gli frizzavano dolorosamente.

V.

La vita di Miseria ridivenne un nuovo sorriso: le feste succesero alle feste, le bottiglie alle bottiglie, le liete canzoni alle liete canzoni: ma come passano presto gli anni trascorsi in mezzo alla felicità !
Un giorno, mentre il fabbro stava stappando una bottiglia di sciampagna, si vide invader la casa da una trentina di diavoli, i quali gl’ingiunsero con modi assai urbani, di andar con loro.
– Se me lo permettono – disse Miseria – vado a ravviarmi un poco la persona. Intanto loro si divertano pure nell’orto. Ho un noce che dà frutti squisiti. Loro giovinotti vanno pazzi per le frutte. Io, oramai, non ho più denti… – E s’allontanò sorridendo.
I diavoli, adocchiato il bel noce, vi si arrampicarono come scoiattoli e cominciarono a sgranocchiare che era un gusto a vederli…

VI.

Miseria entrò in bottega, prese quella medesima verga che gli era servita dieci anni prima ad accarezzar le spalle dell’infernale vecchino, la fece scaldar bene al fuoco, e quando là vide rossa, la prese e corse al noce. Non vi so dire i salti, gli scontorcimenti di quei disgraziati che sentendosi straziar le gambe con quell’arnese, cacciavano urli da far tremar la terra. Ma Miseria non se ne dava per intesa e seguito a martirizzarli a quel modo, finchè non ottenne una nuova proroga di dieci anni e la promessa di molti denari.
Appena il patto fu concluso, i diavoli fuggirono zoppicando e dicendone di tutti i colori.

VII.

Miseria trascorse gaiamente i suoi nuovi dieci anni, che volarono via come un bel sogno. Ma allo spirare del termine fatale, l’inferno tutto, costituito in massa, entrò nella casa del fabbro.
Lucifero in persona si fece avanti e con un terribile aggrottar di ciglia, mostrò a Miseria la cambiale.
– Mi arrendo alla vostra formidabile potenza, sire – disse il vecchio fabbro inchinandosi profondamente. – E se foste venuto voi fin da principio, non avrei opposto alcuna resistenza.
Tutti sanno che l’orgoglio è il vizio capitale di Lucifero, il bellissimo angiolo decaduto: nessuna maraviglia, quindi, s’ei sorrise con una gran compiacenza.
– Ho sentito – riprese Miseria ossequiosamente – ho sentito raccontar di Vostra Maestà cose addirittura maravigliose. M’hanno detto che sapete trasformarvi in mille guise…
– È vero – rispose Lucifero lisciandosi la folta barba nerissima.
– Mi han detto – prosegui il fabbro – che avete il segreto, voi ed i vostri, d’impiccolirvi fino ad entrare in uno spazio angusto, dove ci capirebbe appena una lodoletta. Io però questa cosa — con tutto il rispetto dovuto alla Maestà Vostra – non so buttarla giù…
– Perchè? – domandò severamente Lucifero – perchè? lo posso tutto ciò che voglio…
– Perdonate – riprese Miseria con umiltà – perdonate; come volete che un pover’ uomo del mio stampo possa credere a tali prodigi? Vedete? Ho qui al fianco una borsetta assai piccola; ebbene: m’hanno assicurato che se ve ne prendesse vaghezza, potreste capirvi dentro insieme con i rispettabili vostri seguaci… Chiedo io: è possibile una tal cosa?
Lucifero sorrise, fece un segno ai suoi sudditi e in men che non si dice furono tutti nella borsetta. Figuratevi la contentezza di Miseria.
– Pezzi di birbanti! – disse saltellando. – Ora siete in mio potere e ci rimarrete finchè piacerà a Dio di tenermi in vita.
Mise la borsa sull’incudine e cominciò a battere col martello come se invece di carne, schiacciasse un ferro del mestiere.
I diavoli, ridotti lisci e piatti come tanti pezzi da cinque lire, urlavano come matti.
– Gridate, urlate, disperatevi – disse il fabbro – per me è lo stesso come se cantaste. Intanto, le cose di questo mondo anderanno un po’ meglio. — E si mise la borsa in tasca.
Subito dopo l’imprigionamento dei diavoli, successero sulla terra le cose più strane.
I bambini non dissero più bugie, preferirono i libri ai balocchi, e guardarono con indifferenza le cioccolatine e le paste con la crema.
I giornalisti non inventarono più corrispondenze dall’Africa, spedirono e riceverono delle vere notizie telegrafiche, annunziarono la morte dei grandi uomini, quando proprio erano sicuri della loro morte, e cosi vennero alla luce dei giornali meno variati nella forma, ma più onesti nella sostanza.
I debitori correvano affannati dietro ai loro creditori, gli usurai gettarono i denari dalle finestre, i giocatori buttarono in mare le carte, le stecche e le scacchiere.
Ed ecco le conseguenze d’un simile cambiamento: siccome gli uomini tenevano una condotta esemplare, non si ammalarono più, e i medici caddero in grande miseria.
Siccome non si trovava più un ladro o un assassino neanche a pagarlo a peso d’oro, gli avvocati e i giudici furono rovinati.
Siccome non c’erano più guerre, i generali, gli aiutanti di campo e gli ufficiali superiori, furono costretti a mettersi a un mestiere.
Siccome le cose tutte del paese andavano a vele gonfie, e si regolavano da sè che era un gusto, cosi non ci fu più bisogno di ministri, i quali, non sapendo più come occupare il loro tempo, si misero a vender le caramelle e le nocciuole tostate.
A Miseria pareva d’aver fatto una gran bella cosa. Figuratevi come rimase quando un giorno riceve la visita d’un angelo che lo rimproverò acerbamente del suo operato – Iddio – gli disse il celeste messaggero – ha creato l’uomo pel cielo; ma Egli vuole che questo luogo di beatitudine venga da lui guadagnato con l’esercizio del bene, col vincer le tentazioni, col resistere alle lusinghe del peccato. Se tu sopprimi, com’hai fatto, il male e tutto quanto conduce al male, qual merito avrà l’ uomo nel condursi bene? Libera i diavoli e lascia che il mondo vada com’è sempre andato.
– Sono pronto ad obbedirvi – balbettò Miseria – ma desidererei morire prima che i prigionieri mi avessero in loro balia.
– Sarà così – disse l’angelo: e mentre il fabbro apriva la cerniera della borsetta, l’anima sua, liberata dal suo terreno involucro, si trovò spaziante nell’abisso azzurro, che separa il cielo dall’inferno.
Primo pensiero di Miseria fu quello di bussare alle porte del paradiso. Ma San Pietro, che lo riconobbe, gli serrò tanto d’uscio sul viso, dicendogli:
– Vecchio testardo, dovevate scegliere il cielo, quando ve lo consigliavo. Ora non è più tempo. I vostri trent’anni di tripudi e di gozzoviglie ve ne chiudono eternamente l’accesso. Andate.
Scoraggiato e piangente, il pover’ uomo andò a battere alle porte del purgatorio: ma un angelo dalla fisonomia triste e pensosa gli disse:
– Mio caro: voi non avete punti peccatucci veniali da rimproverarvi. Non vi posso ricevere.
E lo mise molto cortesemente alla porta.
Disperato, non sapendo a qual partito appigliarsi, Miseria bussò al palazzo del diavolo ed aspettò molto pazientemente che gli venissero ad aprire.
Infatti, poco dopo, un vecchino tutto risecchito, schiuse la porta. Ma appena ebbe riconosciuto nel pellegrino il terribile fabbro che gli aveva rotto le costole, cadde in terra fulminato dalla paura e dette l’allarme all’inferno.
I catenacci stridettero nei cardini arrugginiti e Miseria rimase fuori.
Ma Gesù si ricordo del ferro posto all’asinello, e sceso dal paradiso, circondò con le braccia divine il povero reietto.
– Figliuolo mio – gli disse – capisco che nessuno ti voglia, nè io, quantunque Re dei Cieli, posso disgustare il mio fido apostolo, che t’ ha rigettato. Ritorna dunque sulla terra, dove troverai Povertà che t’aspetta. Ma ti prometto fin d’ora che accoglierò nel mio regno tutti coloro che avranno pianto. Fin qui mi sono chiamato figliuolo d’Iddio; da qui avanti sarò chiamato l’Amico dei poveri e dei miseri.
– Ma io… – gemè Miseria.
– Tu non potrai lasciare mai la terra: e come lo scortese Giudeo che mi negó un sorso d’acqua, camminerai, camminerai e camminerai. Ma quando la terrà morrà e andrà a sperdersi nell’abisso dei mondi spenti, tu sarai accolto nel mio regno, ove ti verrà cinta la testa d’una corona di stelle. Addio.
Ed ecco perchè Miseria e Povertà sono sempre di questa terra.

Ida Baccini

Da: Giornale per i bambini
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Ida Baccini (1850-1911) è stata una scrittrice italiana per bambini. Baccini fu redattore capo di Cordelia, rivista per ragazze pubblicata dal 1884 al 1911.