La grotta di Sabucina

È Sabucina, o meglio Sabbucina, un feudo poco distante da Caltanissetta, vicino la contrada Terrapelata, dove sono i vulcanetti di fango o Macalube.

Per chi guarda dallo stradale Zibili, vede Sabbucina elevarsi dalla sottostante pianura di Terrapelata, e prendere l’aspetto di maestoso monte, coronato da una cresta di calcare, formante un altipiano un poco inclinato ad est. Nei contorni di detta cresta, tagliati a picco, si aprono varie grotte e spaccature. Ai piedi del monte si estende Terrapelata.

In un epoca, che non saprei precisare, certo barone C…, di cui oggi esistono i discendenti, se ne stava nel suo podere di Terrapelata a sorvegliare i lavori campestri quando a lui si presentarono due sconosciuti che gli fecero una strana proposta.
– Nelle viscere della montagna di Sabucina si nasconde un immenso tesoro, che potenze sovrannaturali custodiscono gelosamente; noi conosciamo il segreto per impadronircene, ma abbiamo bisogno del vostro aiuto. Volete voi servirci di guida?
Se accettate anche voi avrete la vostra porzione del tesoro di cui andiamo in traccia.
Il barone, che doveva essere certamente un uomo coraggioso e avventuroso, accettò la proposta, e stabilì insieme ai due sconosciuti di fare la spedizione la notte stessa.
Dicono le tradizioni popolari che ogni anno, nel mese di maggio, epoca propizia pel rinvenimento dei tesori, girano per il mondo i cosidetti Greci di levante. Costoro conoscono le arti occulte e posseggono le chiavi d tutti i segreti.
Scopo dei loro viaggi è il rinvenimento dei tesori che si nascondono in certe località che essi solo conoscono. Per rinvenire tali tesori, essi non badano a mezzi; immolano vittime umane, e rapiscono bambini per offrire il loro sangue alle potenze misteriose che custodiscono gli antri sotterranei, le cui porte si aprono quando su di loro si sparge il sangue innocente…

Oggi che l’istruzione ha sfatate tante leggende, non si presta più tanta fede a simili fole, ma mi si dice che in un tempo non tanto remoto, nel mese di maggio, le madri custodivano più che potevano i loro bambini per tema che i Greci di levante li rapissero.

I due sconosciuti che si presentarono al barone C… erano dunque due Greci di levante.

Messi d’accordo sul da fare, a notte avanzata, il barone e i due stranieri, muniti di candele, si recarono in una delle grotte di Sabucina. Colà i due Greci fecero alcuni scongiuri, e allora la roccia, come obbedendo ad una forza misteriosa, si aprì, e lasciò vedere uno stretto passaggio.
I due Greci e il barone vi si avventurarono risolutamente. La via era stretta e tortuosa, e pareva che si sprofondasse nelle visceri della terra.
Dopo molti giri, i nostri tre avventurieri finalmente arrivarono in una vasta grotta, dove il barone potè contemplare stupefatto cose da lui mai non viste nè immaginate. Ricchezze incommensurabili, di qualsiasi sorta, stavano ammonticchiate lungo le pareti della grotta.
Senza mettere tempo in mezzo, i due Greci e il barone riempirono le bisacce che appositamente avevano portate, e, caricatesele sulle spalle, rifecero il loro cammino.
Pervenuti nuovamente al di fuori, i due Greci fecero altri scongiuri e la roccia si rinchiuse.
Allora i due stranieri si separarono dal barone dicendogli:
– Addio, – e il barone, carico dal suo prezioso fardello, ritornò alla sua villa.

Ma l’uomo non è mai contento, e il nostro barone, per non essere di eccezione alla regola, pensò: – A qual pro lasciare tante ricchezze sepolte? – e decise di recarsi l’indomani alla grotta e tentare da solo l’impresa.
Infatti l’indomani, appena notte si munì di una candela e di una gran bisaccia, e si portò alla grotta. Ivi ripeté gli scongiuri che apprese dai due Greci.
La roccia si apri! Contento di essere riuscito, il nostro barone entrò senza titubare nello stretto passaggio, e cominciò a scendere, ma a un certo punto una corrente d’aria gli spense la candela.
Il barone era coraggioso, ma il trovarsi al buio in quel luogo gli fece provare un certo timore, e fatto un rapido dietro fronte ritornò sui suoi passi.
Arrivato al punto dove egli credeva di trovare l’apertura, incontrò invece la dura roccia. L’entrata si era rinchiusa, il barone era seppellito vivo! Egli senti rizzarsi sul capo i capelli; ripetè gli scongiuri; ma tutto fu vano! Il barone C… non doveva più ritornare al mondo, ma rinchiuso nelle viscere della montagna di Sabbucina, la sua vita doveva prolungarsi sino al di del giudizio universale.

Dopo molte ricerche, i parenti del barone seppero quale era stata la sua sorte, ed appresero anche, da persone competenti, che c’era un mezzo per poterlo salvare.
Una vergine doveva digiunare per un anno, un mese ed un giorno, non cibandosi d’altro che di pane ed acqua.
Promisero, allora, i parenti del barone, un tumolo colmo di monete d’oro a chi tentasse e portasse a fine l’impresa.
Adescate dalla promessa molte fanciulle si provarono; talune soccombettero, altre smisero prima di arrivare al tempo designato.
Cosi il barone C… restò rinchiuso nelle viscere di Sabucina… e vi è ancora.


V. CASTROGIOVANNI MARTINEZ.

by Rivista delle tradizioni popolari italiane, Volume 2
a cura di Angelo De Gubernatis

Vi è una versione più semplice.

LA GUTTA

A Sabucina (montagna ad oriente di Caltanissetta) vi è una grotta chiamata la Gutta. Quivi è un cadavere sopra una caldaia piena di dubloni d’oro.

Narrasi che un tal di Calafato entrò in questa grotta per spignari il tesoro quivi nascosto. Difatti vi entrò, caricò sette mule (‘na retina di muli) di quell’immenso tesoro, ed era per uscirne quando l’ora assegnata era già trascorsa, ed egli restò chiuso dentro la montagna.

Le mule intanto giunsero a casa della famiglia Calafato, ma senza guida e padrone; allora si capì che il povero Calafato era rimasto sul luogo del tesoro per via della montagna che si chiuse.
Fu cercato ma invano. Bensì il Calafato apparve in visione alla famiglia è rivelò che allora si sarebbe liberato da quel luogo di pena quando uno dei parenti od anco uno estraneo avesse compiuto un digiuno a pane ed acqua per un anno, un mese e un giorno.
Si racconta che i parenti d’allora e i discendenti avessero promesso un tùmminu di pezzi di dùdici a chi fosse stato abile di compiere quel tale digiuno.
Sono state, sin oggi, molte divote a fare quel voto, ma nessuna è riuscita a compierlo: ed il povero Calafato attende sempre la sua redenzione (Caltanissetta).

Tratto da: Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano
raccolti e descritti da Giuseppe Pitrè