IL PRESEPE A NAPOLI

Articolo del 1897

Il primo presepe, ideato da San Francesco d’Assisi nel 1220, fu composto di persone vive. Vi erano un bue, un asinello, e poi contadini e frati che sciolsero, per tutta la notte di Natale, inni in gloria del Signore. Vennero poi i presepi di marmo, e non rappresentarono la nascita, ma la morte del Redentore. Ma di questi, di cui restano ancora pregevoli bassorilievi ed altorilievi nelle chiese napoletane, non voglio discorrere.
Io voglio soltanto occuparmi del presepe tradizionale, del presepe coi pastori, che per oltre tre secoli è stato l’ammirazione del popolino e la gioia dei ragazzi. Voglio rifare un po’ la storia delle pie mani che nelle case, nelle chiese e nei conventi composero i primi pezzi di sughero o i grossi ceppi formando burroni e colline, dalle quali fecero discendere contadinelle, animali e pastori.
Voglio ricordare quelle anime buone di canonici, di frati, di suore, di artisti valorosissimi, che nelle tradizioni familiari introdussero il presepe, la più poetica creazione del Natale, il simbolo più ingenuo e più caratteristico della nascita del Signore.
Primo fra tutti fu Giovanni da Nola, il grande e celebre scultore, che nella chiesa di San Giuseppe dei Falegnami costruì il primo presepe napoletano, ponendo la culla del Bambino fra alcuni ruderi d’un vecchio tempio romano.
Questo presepe vide poi il Gaggino, un valente scultore di Palermo, e volle costruirne uno anche lui in Follina, appena fu tornato in Sicilia, dove i presepi non tardarono a diventare celebri e popolari.
Il Gaggino fu artista tutt’altro che comune; e la sua grande abilità nel vestire i pastori e le statue fu riconosciuta perfino da Michelangiolo, il quale consigliò ai frati domenicani della chiesa della Minerva di Roma di dare incarico al Gaggino di vestire un suo Cristo, eseguito per questa chiesa.
Ma oltre al Gaggino furono anche famosi a que’ tempi il Bagnasco ed il Matera, che non solo modellarono pastori con rara abilità, ma li vestirono anche meravigliosamente.
Vennero dopo questi i presepi mobili: cioè, quelli che in occasione del Natale si costruivano ogni anno, e poi si disfacevano, ponendo in serbo i pastori per gli anni successivi. E primo fra questi fu quello che sorse nella chiesa di Santa Maria in Portico per opera della duchessa di Gravina, Felice Orsini.
Furono poi anche molto ammirati gli altri presepi che, a mano a mano, furono costruiti nelle chiese di Sant’Aniello a Caponapoli e di Sant’Eligio, nel convento degli Agostini, a San Giovanni a Carbonara, in Santa Maria la Nuova, in San Domenico Maggiore; quest’ultimo sopratutto, diventato famoso per la dolcissima ninna-nanna composta da frate Carmine Giordano, la quale si esegue ancora durante la novena di Natale. Molto rinomato fu anche il presepe di Donna Romita, intorno al quale lavoravano ogni anno amorosamente e pazientemente le bianche mani delle suore, rinchiuse in quel convento.
Tre costruttori di presepi vennero in gran fama a que’ tempi: Nicola Canale Tagliacozzi, Muzio Nauclerio e Francesco Cappiello; e vivissime ed accanite furon le gelosie che nacquero tra di loro, e da ciò ebbero origine non poche dispute e perfino duelli.
I presepi diventarono di moda, e la moda si mutò poi in mania.
Non solo i frati e le suore vollero i loro presepi, ma anche i signori più eleganti e le dame più in voga, cominciando dalla Viceregina e dalla Regina Amalia di Sassonia. Dalle chiese, dai conventi e dalle famiglie più aristocratiche napoletane i presepi passarono poi nella ricca borghesia: e sono ancora popolari quello dei fratelli Ruggiero, facoltosi negozianti di seta, di velluto e di raso, tagliati e cuciti anche da lui. Lo aiutava in questi varî lavori un fedel servitore, il quale poi, a furia di osservare e di fare, divenne anche lui un artista provetto.
Il buon prete esultava di gioia ad ogni nuova sua creazione, e due mesi prima che la novena di Natale cominciasse era già tutt’affaccendato e sorridente intorno al suo presepe: dipingeva casette e capanne di cartone; costruiva con sugheri, muschi e pezzetti di cristallo colline, burroni e cascatelle; disponeva su per le colline e pei dirupi i suoi pastori e i suoi animali, e quello dei de Giorgio, tutti e due costruiti da un pittore di que’ tempi, certo Nicola di Fazio. Quest’ultimo dei de Giorgio, detto volgarmente ‘u presepie d’a Giorgia, era davvero magnifico, e durò sino al 1826.
Domenico Mainetti, un prete molto dotto e molto ricco, trovò nel presepe lo svago e l’occupazione di tutta la sua vita. Egli stesso modellava i suoi pastori, e ne copiò molti dai quadri di Micco Spadaro e di Salvator Rosa. Per lunghe ore il buon vecchio si rinchiudeva nella sua camera; e tutt’intento, i grossi occhiali a cavalcioni del naso, la grossa tabacchiera ricolma di leccese posata accanto a lui, lavorava pazientemente, or incidendo con grande amore una testina, or imbottendo di stoppa il corpo d’un pastore, or rivestendo le sue creature di abiti.
Le sue ciabatte si trascinavano frettolose di camera in camera; e attraverso i cristalli dei suoi occhiali le pupille, già velate dalla vecchiezza, luccicavano di gioia, mentre le mani scarne tremavano di commozione e di tenerezza. Non era più un prete, ma un operaio. La sua vecchia zimarra era tutta cosparsa di trucioletti di legno e di macchie di colla; e quando finalmente la stanza, dove il presepe s’innalzava maestoso, luccicante fra le candeline infisse in punta ai chiodi, disseminati su per le rocce di sughero e di cartone, era aperta al pubblico, il sant’uomo si nascondeva umilmente in un cantuccio; e li restava a godere della meraviglia che l’opera sua suscitava nei curiosi.
Anche il Mossuto, un ricco negoziante di baccalà, faceva costruire, ogni anno, un presepe bellissimo nella sua casa; e splendidi e ricchi presepi fecero costruire in quel tempo pure il Duca di Collecorvino, i duchi di Diano Calà Ossorio, il principe d’Ischitella.
Nella costruzione e nell’architettura di essi emerse un gentiluomo napoletano, Lorenzo Mosca, il quale modellò e scolpì anche bellissimi pastori, che assieme con quelli del Sammartino, del Gori, del Celebrano, dei Bottiglieri, del Vaccaro, del Franco e del Viva sono poi rimasti famosi, come sono ancora celebri gli animali di Francesco di Nardo e di Nicola e Saverio Vassallo, e le frutta ed i commestibili di Gennaro e Francesco Reale, di Michele Trilocco, di Gennaro Ardia e Giuseppe Picano.
Non solo i sovrani, i principi e le dame più elette della aristocrazia si appassionarono ai presepi, ma anche uomini dotti come Giambattista Vico.
Carlo III non disdegnò di lavorare intorno al suo presepe, che fu il più famoso dell’epoca; e la Regina Amalia passò ore deliziose cucendo e ricamando pei re Magi ricchissimi vestiti di broccato.
Ferdinando IV faceva erigere ogni anno un bellissimo presepe nell’Alcazar di Palermo; e suo nipote ne seguì l’esempio nella Reggia di Caserta.
I pastori di questo presepe, trasportati al Museo di Capodimonte, furono poi raccolti da Ferdinando II, il quale ebbe comune con suo fratello, il Conte di Siracusa, e con suo cognato, Don Sebastiano, la mania dei presepi.
I pastori di Carlo III andarono, invece, quasi tutti dispersi. E fu un vero peccato, perchè erano quasi tutti pregevolissime opere d’arte. Alcuni furono comperati dal buon canonico, Don Domenico Stanchi, che ogni anno componeva un bellissimo presepe nella sua abitazione in via Trinità degli Spagnoli, ed era così innamorato dei suoi pastori, che non volle rivenderne a Ferdinando II la collezione per quarantamila ducati.
Per fortuna, dopo la sua morte, que’ pastori capitarono nelle mani del Varelli, l’appassionato e ricco antiquario, che non badando a spese né a sagrifizii, ha riunito tutti i più belli, formando nel suo negozio della Galleria Umberto I il più maestoso e magnifico dei presepi esistenti.
Ma da alcuni anni la pietosa consuetudine del presepe va lentamente decadendo; ed ora, oltre quello del Varelli e quello donato al Museo di San Martino da Michele Cuciniello, il quale vi spese intorno molte cure e danari, si possono ammirare soltanto tre o quattro presepi privati: quello di Francesco Camerlengo al Mercato, quello del Barone Schipani e quello infine del signor Alessio Papale nel palazzo San Nicandro in Via Stella. Io, almeno, non ne conosco altri.
Tra pochi anni finiranno forse anche questi, ed il presepe resterà niente altro che una dolcissima memoria di tempi lontani.
E non solo i ricchi, gli storici presepi finiscono, ma anche i piccoli, i modestissimi presepi, che ogni anno i babbi costruivano pei loro figliuoli.
L’usanza è in decadenza. Eppure i bimbi napoletani adorano ancora il presepe! Ieri appunto incontrai una vecchietta ed un bambino. La vecchietta indossava una povera veste di lana scura e sulla testa portava uno di quei cappellini gualciti, ammaccati, con la piuma ritinta già parecchie volte; il bimbo, pallido, scarno, tremava di freddo in un giubbettino rattoppato alle maniche e sui ginocchi.
Stretto con una manina gelata alla mano della vecchia, forse sua zia o sua nonna, egli trotterellava tutt’allegro fra la folla che ingombrava Toledo da un capo all’altro, e si fermava, or qui or là, a guardare nelle vetrine e su per le bancarelle cariche di giocattoli d’ogni specie. Di tratto in tratto, i suoi occhietti luccicavano di desiderio; le manine erano impazienti di toccare, di afferrare, di portar via qualche cosa; ma la vecchia lo tirava, se lo strascinava dietro, strappandolo subito alle piccole e vive tentazioni che lo assalivano. Erano giunti cosi davanti alla chiesa della Madonna delle Grazie. Li, sui gradini di marmo, una ventina di presepi erano allineati: presepi piccolissimi, semplicissimi: tre o quattro pezzettini di sughero, un ciuffetto d’erba secca, un bambinello di cera fra due o tre caprettine, di cera anch’esse. Null’altro! Eppure avreste dovuto vedere come il bambino si arrestò li davanti, di botto! La vecchietta ebbe un bel tirarlo.
Questa volta egli non si mosse. Restò li incantato, non trovando la forza di andar via, e quando la vecchia si chinò per sgridarlo, egli le susurrò qualche cosa nell’orecchio.
Ma pare ch’ella fingesse di non udire, o, meglio, di non volere, perchè provò a tirarsi dietro il bimbo, un’ultima volta. Inutile! Allora la vecchia si avvicinò a un ometto basso ch’era seduto a piè della scala, il venditore di presepi. Ma costui dovette chiederle un prezzo scandaloso -sei soldi mi pare – perchè ella fece una smorfia, afferrò rabbiosamente il bambino con tutte e due le mani, e se lo trascinò dietro a viva forza.
Il povero piccino non camminava più, non arrivava a poggiar più i piedini in terra. Aveva rattratte le gambine e si lasciava portar via singhiozzando e contorcendosi; e poichè moriva dalla voglia di avere il suo piccolo presepe, si volgeva ogni tanto indietro, e pareva che non potendoselo portar via con le manine, cercasse di portarselo almeno via con gli occhi.
Che sguardi, che sguardi lanciava verso i gradini della chiesa! Era una scenetta cosi semplice e cosi straziante che se non avessi temuto di offendere la rigida, dignitosa miseria della vecchia, avrei comperato io a quel povero piccino il presepe, ch’egli voleva ad ogni costo. Ma ecco che, ad un tratto, la vecchia, forse più stanca che commossa, torna indietro, si ferma di nuovo a parlottare con l’uomo dei presepi, impiega almeno cinque minuti per sceglierne uno, lo gira, lo rigira, l’osserva da ogni lato, poi cava, ad uno ad uno, fuori da un borsellino gualcito, tre soldi, e pone finalmente con mal garbo il presepe nelle mani del bimbo.
Oh! se aveste allora veduta la gioia che illuminò il pallido viso del bambino, e ne rasciugò in un momento le lacrime come un bel raggio di sole; se aveste veduto il sorriso di que’ due occhietti ancor rossi di pianto, che non si stancavano di guardare que’ tre o quattro sugheri dipinti, e il tremito, la tenera carezza di quella manina tutta illividita dai geloni, che stringeva, stringeva forte forte contro il petto, come in un abbraccio, quel balocco di pochi centesimi, quasi temendo che gli rubasse un tesoro!
Segui fino a San Giacomo il bimbo e la vecchia. Lì svoltarono tutti e due in un portoncino, e scomparvero su per una scaletta viscida e scura.
Ma non dimenticherò mai più quel piccino e quella vecchia. Per tutta la notte quel piccolo presepe mi ha riempito la camera di ricordi, e non mi è stato possibile di chiuder occhio. Qua e là, come in sogno, in un sogno lungo e delizioso, ho rivisto cantucci di paesaggi ben noti, ho riudito voci carissime, e lontano, molto lontano, ho rivisto poi un altro presepe, assai più bello, assai più grande, ma tutto impolverato e rosicchiato dai topi: un presepe, intorno al quale, ogni anno, lavorava amorosamente mio nonno, e sul quale, circa trent’anni addietro, gli occhi di un altro bambino si erano tante volte posati luccicanti di gioia…..

G. MIRANDA

Articolo tratto da: La vita italiana rivista illustrata
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