Il codice Cinese – Estratto dal Libro di Antonio Caccia – 1858

LETTERA XIV. – LEGISLAZIONE

Il Codice cinese è d’una chiarezza incredibile, e si potrebbe chiamarlo Codice pratico per eccellenza. Pecca però di troppo rigore, massime nei delitti di Stato e d’alto tradimento. Fa orrore il pensare che per causa d’un insano dispotismo esista tutt’ora in Cina l’inumana legge che ne’ casi d’alto tradimento condanna un’ intera famiglia come solidaria delle colpe d’alcuno de’ suoi membri.
Nel, 1830 l’Imperatore regnante fece riunire tutte le diverse leggi in un sol corpo che furono publicate colle stampe in ventidue volumi: notate però che i volumi in Cina non sono così grossi come in Europa: somigliano ai vostri fascicoli.

Il Codice cinese è diviso in sette parti.

La prima comprende gli Atti generali che regolano il complesso delle Leggi.
La seconda racchiude le materie che spettano al Ministero degli affari civili.
La terza tratta delle leggi fiscali, delle proprietà individuali e dello Stato, delle dogane e del commercio.
La quarta abbraccia le leggi sui riti e le cerimonie.
La quinta contiene le leggi militari.
La sesta comprende tutte le leggi penali.
La settima finalmente le leggi sui lavori publici. La persona dell’ imperatore, quella dell’imperatrice regnante e dell’imperatrice madre, ed i loro palazzi, sono sacri. Entrare quindi nei loro appartamenti senza l’immediato e sovrano permesso è delitto di morte, e col supplizio estremo è colpito colui che ha la mala sorte di non allontanarsi a tempo quando il Figlio del Cielo esce all’aria aperta.

Quel Cinese che divulga in uno Stato straniero le invenzioni nazionali, od è convinto d’aver prese le offerte fatte dal Sovrano al cielo ed alla terra, od ha sottratto un editto imperiale, è sottoposto alla pena di morte.
La profanazione de’ sepolcri è punita con cento colpi di bambù; e chi toglie dalla tomba un cadavere e lo lascia scoperto è condannato a morte.
I latrocinj vengono puniti col bastone, e secondo la gravità della colpa i delinquenti ricevono sul viso con ferro rovente un marchio d’ infamia.
Il Codice penale cinese si serve del bastone, cioè, d’un bambù lungo circa due metri, per i castighi ordinarj; i più leggieri variano dai dieci ai cinquanta colpi.
Sessanta e cento colpi di bambù sono i castighi di secondo grado. Massima del Codice cinese è di usare severità nelle leggi, e clemenza nell’esecuzione; quindi, a seconda del cuore di chi comanda è più o meno dura e lunga l’applicazione del bambu.
Dopo le bastonate siegue la Congua, che consiste in una specie di banco mobile composto di due tavole scavate nel centro, più o meno lunghe e pesanti, che si mettono al collo del condannato, sicchè questi, colla testa tutta fuora e col corpo tutto sotto, non può più servirsi delle mani, ed è costretto per vivere a farsi imboccare dai parenti o dalle guardie. Questo strano e penoso castigo può durare mesi e mesi a seconda della gravità del delitto. I condannati colla Congua al collo si movono attorno accompagnati da appositi guardiani, e colla sentenza appesa sul davanti.
Le Leggi cinesi hanno prescritte tre pene di morte differenti. La strangolazione, la decapitazione e la morte lenta e dolorosa. La prima è considerata la più mite e la meno infamante: la terza è il supplizio dei reati di alto tradimento.
Il Codice autorizza i magistrati a far uso della tortura, che consiste per lo più a far tirare le orecchie agli accusati nel mentre che vengono bastonati, o a comprimer loro la noce del piede e i diti contro bastoni legati a forma di triangolo.
Nelle prigioni i condannati giaciono in un vero inferno di patimenti. I custodi, gli aguzzini sono in Cina i più tristi uomini del mondo, perché essi nè sanno ne possono far altro che tiranneggiare le loro vittime.

Le donne in Cina sono raramente imprigionate. Espiano i loro delitti ritirate in casa presso le proprie famiglie, che ne sono responsabili.
Tutti i membri di sangue imperiale, e delle famiglie illustri non vanno soggetti alle leggi comuni. La gente schiava è trattata con indicibile durezza. Il matrimonio fra persone libere e non libere è severamente interdetto. Uno schiavo che insulta o minaccia il suo padrone è condannato a morte.
Quasi tutte le esecuzioni debbono prima avere l’approvazione dell’imperatore, il quale non conferma mai le sentenze capitali se prima non abbia digiunato, pregato e sacrificato.
Nei delitti d’alto tradimento non solamente si condannano i colpevoli a morte lenta e dolorosa, ma tutti i parenti di sesso maschile, padri, nonni, zii, figli e nipoti aventi l’età di 16 anni, sono posti a morte. Le donne, i giovanetti di minor età sono fatti schiavi, i beni confiscati ed i loro complici condannati a morte.
Figuratevi in questi ultimi tempi quale e quanta deve essere stata la carnificina nell’impero del più duro dispotismo.

Il governo Tartaro affine d’inspirare a’ suoi sudditi l’amore per la virtù fa leggere publicamente da appositi magistrati, nel primo e nel quindicesimo giorno d’ogni luna, in tutte le città dell’ Impero le sedici Massime deli Editto Sacro publicato in illo tempore dall’imperatore Kang-hi, che sono:
“La pietà figliale, l’armonia nelle famiglie, la concordia fra’ vicini; il rispetto all’ agricoltura ed ai talenti, vo’ dire ai letterati; l’economia popolare, la fedeltà alle dottrine religiose nazionali; lo studio delle leggi; l’istruzione della gioventù: raccomanda di evitare la calunnia come la parte più desolatrice; di non nascondere i colpevoli; d’adempiere con zelo ai doveri publici; di pagare le imposte puntualmente e di soffocare l’odio”.
Le massime sono belle e buone; ma oggidì in Cina non si saprebbe definire se più vi regni l’odio o l’apatia.

Quanto al diritto di successione le leggi vogliono che i titoli ereditarj passino al figlio primogenito della donna legittima di colui che li ha avuti. Al primogenito tocca parimente la maggior parte dei beni paterni, salvo il caso che il secondogenito abbia, per assenza del fratello maggiore, assistito ai funerali del padre. In questo caso il Codice cinese rimette la decisione ad arbitri da eleggersi a capriccio.
In mancanza di maschi legittimi, cioè di moglie legittima, succede il primogenito di concubina. Non avendo un padre figli maschi, sceglie un erede fra’ suoi prossimi parenti; ma l’atto non può essere legale se non quando la moglie sterile abbia varcato i cinquant’ anni.
Fra le leggi fiscali è notevole quella che regola severamente l’inscrizione ne’ publici registri de’ nomi e delle professioni, e ciò per facilitare il pagamento delle contribuzioni.

La legge sulla fondiaria dice chiaramente che l’imperatore è l’unico ed esclusivo padrone del suolo, epperò tutte le terre occupate e coltivate da’ suoi sudditi sono date in affitto mediante la corrisponzione del decimo de’ loro prodotti. Ogni fittabile o massaio può venire dall’ imperatore privato de’ suoi terreni ogni qualvolta non paghi appuntino, o non li faccia fruttare. Nondimeno, malgrado l’arroganza del padrone assoluto, le terre in Cina si vendono e si affittano fra possidenti, e, tranne quelle de’ soldati; possono essere ipolecate.

Tornando alle pene, vi dirò che il Codice cinese dà al padre il diritto di uccidere il figlio se questi lo percuote: se poi l’ammazza senza provocanenti di sorta, il genitore va soggetto alle bastonate e ad un anno di carcere.

Severissime sono le leggi contro le risse, le ingiurie e gli oltraggi. Chi dà una ceffata o un calcio è punito con venti colpi di bambù. Per una sola bastonata se ne ricevono trenta. Colui che ha la disgrazia di rompere ad un altro un dito, un dente, un osso qualunque, o di fracassargli il naso o di maltrattargli la coda de’ capelli, o di gettargli fuora un occhio, è sicuro, se non ha de’ Mandarini che lo proteggano, di subire cento colpi.

In Cina i mariti possono impunemente battere le loro donne, però senza ucciderle. A rincontro la moglie incorre nella pena di cento bastonate se alza il pugno contro il marito. Se poi ella osasse di percuotere il padre o il nonno, la madre o la nonna del di lei consorte, è condannata a morte.
L’adulterio è punito col bambù per il marito, colla strangolazione per la moglie. Lo stupro e tutti i delitti contro natura subiscono la pena capitale. I figli, i nipoti che ingiuriano od insultano i loro genitori o i loro avi paterni vanno soggetti alla strangolazione.

La pena di morte è pronunziata dal Codice cinese contro l’omicidio volontario o premeditato. L’omicidio per imprudenza o per caso impensato, sebbene punito di morte, può accomodarsi mediante una multa in proporzione delle ricchezze di chi è colpevole, e dello stato sociale dell’ucciso. Tutti i preti Buddisti o Bonzi ed i Dottori celesti, cioè i ministri del culto di Tao-sse, come pure i cittadini, convinti d’aver osato far sacrifizi al Cielo, a cui soltanto può sacrificare l’imperadore, sono flagellati con ottanta colpi di bambù. Insomma nel Codice cinese la morte impera formidabilmente truce e severa, ed il bambù colla Congua ne sono i modificatori.
Ogni individuo che sia stato condannato da un tribunale ha il diritto di presentarsi co’ suoi parenti una seconda volta d’innanzi al suo giudice, per protestare contro la sentenza. Il giudice è per legge obbligato di riassumere o di rifare il processo ogni qualvolta per nuove testimonianze risultino prove in contrario al già fatto giudizio.
Ne’ tribunali cinesi è ben raro che avvenga di dover ricorrere al giuramento. La persona che persiste a negare le accuse ed in fine si sottomette a giurare, vien condotta in un tempio dove non regna che la pura oscurità. Quivi un ministro impone all’accusato d’invocare il cielo e la terra, e mentre questi taglia la testa ad una gallina, giura, fissando il sangue dell’animale immolato, colle terribili parole: “Davanti il cielo e la terra sono innocente”. Ma questo giuramento non lo salva in verun modo dall’esecrazione publica, poichè i Cinesi vanno tant’ oltre ne’ loro pregiudizi religiosi, che preferiscono morire innocenti anzichè conturbare per questa vita l’eterno riposo del cielo e della terra.

Per una macchina governativa come è quella dell’Impero Celeste, non si può negare essere il Codice cinese un capo d’opera: ma pei tempi che corrono, e per la civiltà de’ secoli affatto diversi dagli antichi, bisogna però dire che senza essere Europeo, le leggi del dispotismo celeste sono barbare e crudeli. Quid leges sine moribus? sclanierete voi ed altri con Orazio. I Cinesi hanno le leggi adatte a’ loro costumi, e se così non fosse, nè il Figlio del Cielo potrebbe reggere a talento lo scettro del più vasto ed antico impero del mondo, nè i trecento e cinquanta milioni di Cinesi sarebbero ancora quel che furono i loro antenati uniti e concordi. Ma lo saranno essi davvero in questi tempi agitati rimpetto di un secolo che dall’Europa e dall’America dispiega nel modo più meraviglioso e possente lo spirito delle riforme sociali non per una sola parte, ma per l’intera umanità?

Lo vedranno i posteri!

Articolo a mo’ di compendio per i lettori del racconto Il ‘fiume delle perle’.

Articolo tratto da: L’Impero celeste. Lettere di un Cinese ad un Europeo pubblicate dal dottor Antonio Caccia.
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