DEI GIUDIZJ DI DIO NEL MEDIO EVO

Le nazioni nel loro principio sogliono sempre associare insieme la religione, la politica e la giustizia, poichè apprendendo appena l’arte del governare, mal sanno distinguere i poteri e le giurisdizioni; quindi ad ogni passo ne cade vedere nelle antiche storie re che ad un tempo erano pontefici e confusamente correggevano le cose umane e divine, poichè un governo nascente ha sempre alcun vestigio di teocrazia come quella che concilia maggior rispetto nel popolo, maggior forza nelle leggi.
Non è per tanto a dubitare che sentir dovessero della divinità anche le stesse formole giudiziarie, e per l’indole stessa de’ reggimenti, e perchè non avendosi buone leggi e provídenti, quegli uomini semplici si richiamavano alla divinità de’ torti o dei danni che dovevano sostenere, e ad un tempo ne invocavano la testimonianza nella propria innocenza e ragione.
A questa sovrumana forza riponeano di buon animo le loro ragioni e il reo e l’accusatore, e più presto il primo, poichè se era innocente avea ferma persuasione che quella somma giustizia lo sostenesse, se reo speranza che quella somma bontà gli dimettesse la colpa. Qualunque poi riescisse l’esito del giudizio, vi si accomodavano entrambi, il reo tenendosi punito per castigo o assolto per clemenza, l’innocente se cadeva per la fallacia del giudizio non se ne richiamava, ma bensì apponeva ad altre colpe il castigo che l’incoglieva in quel punto.
Da siffatte ragioni è facile l’ argomentare come questa giustizia per così dire teocratica, ossia i giudizj di Dio, avessero vigore presso i popoli del medio evo, poichè quelle nazioni nella decadenza seguivano in molte cose l’andamento dei popoli nuovi, e coll’incivilirsi mano mano si svolsero da tutte queste costumanze barbare e dai pregiudizj infantili.
Il giudizio di Dio adunque era una formola che riducevasi a giudice, allorchè sorgeva lite fra due o più persone o bisognava punire in alcuno qualche reità di cui volesse apparire innocente; invece di piatire co’ testimonj e co’ giudici, bastava sostenere una prova, seguire la posta formola, e l’esito ne era il giudice.
Però queste formole furono diverse siccome importava all’ordine dello spirito pubblico, e si resero più o meno difficili, e vi si prestò diversa fede siccome era maggiore o minore la religione in quelli che dovevano sostenerle. Perciò pare che debbansi dividere in alcune che più richiedono l’onestà e la buona fede, in altre che vogliono maggiore forza e coraggio, distinzione che fecero gli stessi antichi denominando alcune, Prove volgari, altre, Giudizj di Dio.

Delle Prove volgari.

In tempi che durava negli animi la santità della religione, esser poteva bastante prova all’ innocenza dell’ uomo virtuoso il giuramento, e fu questo in fatti fra le prime, e costumavasi di apprestarlo toccando gli altari, gli evangeli, molte volte innanzi ai sepolcri de’ santi, e fino dai tempi di Carlo Magno, aveansi regolamenti a ben prestare il giuramento.
Ove ad alcuno fosse apposta accusa di qualche delitto ed in ispecie a’ papi ed a’vescovi, essi giuravano la loro innocenza ed erano assolti. Si volle poi rendere più sacrosanta questa prova recando in mezzo l’ostia di ossecrazione o purgazione alla Eucarestia, e appresentavasi l’accusato all’ altare, e protestando la sua innocenza, invocata a purgazione l’ostia sacra, se ne comunicava e tenevasi per iscolpato.
Così nell’ 869 si purgò Lottario re di Lorena, e perchè spergiuro e indi a non molto morto, lo si credette percosso dalla divina giustizia: così si purgò il Pontefice Gregorio VII. Però siffatte purgazioni adoperate così semplicemente, parvero in breve troppo facili ad assolvere i delitti, e le coscienze infatti leggiermente trascorrevano alla menzogna ed allo spergiuro. Allora si provvide con richiedere dei testimonj i quali giurassero insieme all’ accusato, e come si vede da una legge del re Rottari intorno a questi congiuratori o sacramentarj, durò alcun tempo siffatto costume anche in Italia.
Pari a questa può tenersi la prova della croce che se non fu posta fra le volgari, parmi debba stare fra quelle che facilmente accomodavano i rei, e consisteva nel fermarsi i due litiganti innanzi ad una croce in chiesa, ed ivi restare colle braccia allargate per un tempo determinato, e vinceva chi meglio durava nella fatica.
Forse tale prova, che abbiamo trovata posta in uso nell’834 da due chierici in Verona in una loro controversia, non usavasi che in contese di poco conto, giacchè troppo facile era il comprendere come si poteva abituarsi a vincere sempre.

Dei veri giudizj di Dio.

Ma queste prove volgari pur parvero fallaci in breve, sicchè altre se ne posero in mezzo, nelle quali oltre l’uomo, avendo parte una causa esterna, si potesse con maggiore facilità manifestare l’approvazione o disapprovazione della divinità, e furono i veri giudizi di Dio.

Giudizio dell’acqua fredda.

Fra i più antichi e forse più miti fu il giudizio dell’acqua fredda, per la quale allorchè alcuno era imputato di un delitto si conduceva all’ altare, lo si benediva, si celebrava la messa, si santificava dell’acqua e datagliela a bere lo si scongiurava, se era delinquente, a non provocare la giustizia di Dio. S’ ei tenevasi fermo nel suo proponimento, lo si conduceva ove era alcun lago o fiume o corrente, e dopo avere ancora scongiurato e il reo e l’acqua destinata a giudicarlo, denudatolo e legatagli una fune al dorso, lo si precipitava nel fiume; se si affondava era giudicato innocente e venia pescato dalla fune, se galleggiava era tenuto reo e scontava la pena statuita al delitto.
Il cerimoniale di questo giudizio e le orazioni e scongiuri che si facevano si trovano in un antifonario scoperto dal Muratori nella biblioteca de’ canonici di Milano, e nelle grandi opere dal Martinez e dal Pez, dalle quali in ispecie raccogliamo che si avvinghiasse la corda al reo onde pescarlo, altrimenti con molta difficoltà si sarebbe alcun salvato, in ispecie se non sapeva nuotare.
Per vero la fallacia di questo giudizio è tale che pare ordinata a salvare i delinquenti, poichè l’acqua non può al certo respingere un corpo che vi si precipita, e quegli eretici che per testimonianza del Mabillon nel 1021 e 1030, furono rifiutati dal fiume e avuti per rei, convien credere fossero specificamente più leggieri dell’acqua, mistero che allora avrassi tenuto per miracolo ed ora ha sciolto la fisica, se non che que’ miseri avuti per rei furono mandati all’ estremo supplizio.
Nel Malabar fu trovato un giudizio che assai si assomiglia a questo, sebben più crudele; ivi si soleva gittare l’accusato in un fiume in cui abbondassero pesci voraci, e se non era divorato, gli si faceva perdonanza.

Giudizio del pane e del formaggio.

Ma più strano ancora parrà il giudizio del pane e del formaggio per condurre il quale siccome raccogliamo da un altro antifonario milanese, si apparecchiava innanzi al reo una porzione di pane e di formaggio; incominciavasi dallo scongiurare pei sacerdəti in nome di tutto ciò che è santo queste vivande, perché se l’accusato era reo, gustando quel cibo tremasse come un albero tremante né potesse fermarsi nelle fauci di lui; benedivano e scongiuravano indi il reo, perchè se era in peccato, così fosse tocco dalla mano di Dio che non potesse mangiare quel cibo se non con enfiata la bocca, con spuma e gemiti, dolori e lagrime, e se gli costringessero le fauci in nome di colui che deve giudicare i secoli avvenire. Si in hoc furtum mistus es, aut fecisti, aut bajulasti, taliter tibi ordinetur de manu Domini, vel de tanta sua sancta gloria et virtute, ut Panem et Caseum istum non possis manducare nisi inflato ore, cuin spuma et gemitu et dolore et lacrimis, faucibusque tuis sis constrictus per Eum, qui venturus est judicare vivos et mortuos, et Seculum per ignem.
Indi l’accusato cibavasi bellamente il pane ed il formaggio, e se lo inghiottiva avevasi per innocente, se il ributtava, per reo. Forse tutti ricorderanno le galle date a mangiare al povero Calandrino, onde gli convenne pagare il porco involatogli dagli amici, e giudicheranno quanto questa prova fosse fallace ove avere poteva parte tanta frode nella preparazione de’ cibi: pure fu in uso presso molte nazioni e troviamo nei viaggiatori che nella Guinea, i Cuoyas danno a bere all’accusato una preparazione velenosa, e se la rimette si assolve per innocente se è preso da convulsioni e da dolori che manifestino operare il veleno, tiensi qual reo.
Anche in Affrica nel regno di Loango, ove corra voce che in un paese vi siano degli stregoni, il giudice fa spremere da certa radice un liquore che ubbriaca e ferma le orine, lo dà a bere a tutti gli abitanti, indi impone loro di correre, e quelli che ciò facendo cadono per terra sono tenuti per macchiati di stregoneria.

Del giudizio dell’acque bollente.

Ove si ponga mente alle prove accennate sembrerà che quasi si fossero immaginate onde usarle siccome paresse meglio e averne certezza nell’evento, mentre le altre che si praticavano erano più formidabili assai d’incerto fine. Fra queste è il giudizio dell’ acqua bollente, nel quale a comprovare la propria innocenza doveva l’accusato tuffare la mano in una caldaja d’acqua che bollisse, e se la ritraeva illesa giudicavasi innocente; egli sembra appunto che siffatto giudizio si riserbasse a quelli con cui voleasi usare maggior rigore, giacchè lo ordinò Liutprando re de’Longobardi e poi Lodovico il Pio a giudicare i delitti dei servi; usavasi anche in questa prova un lungo cerimoniale che troppo si assomiglia agli altri perche si voglia ripetere.

Giudizio del ferro rovente.

Forse più pericoloso di questo era il giudizio del ferro rovente in mano e dei vomeri roventi, nel quale il querelato, a comprovare la propria innocenza, era obbligato a stringere nelle mani un ferro arroventato, o passare a piedi nudi, sopra nove o dodici vomeri arroventati e disposti in terra, e non patirne alcun detrimento. Benedivasi in prima il fuoco, indi i ferri che poneansi in esso, e caduto il momento della prova, l’accusato invocando il Dio che mitigò la fiamma ai tre fanciulli del Testamento, o stringea nelle mani o passeggiava sopra quei ferri accesi.
A questa prova erano costretti di venire coloro che negavano un commesso omicidio, e le donne accusate d’impudicizia; nè la si risparmiò alle regine, poichè Emma regina d’Inghilterra, nel 1033, e Conegonda poi, passando illese su quel periglioso calle, comprovarono l’una al figlio e l’altra al marito la propria onestà. Nè fu solo de’ tempi più oscuri, ma il Morano ne testifica essersi usato il giudizio del ferro rovente in mano dai Modanesi nel 1329, contro alcuni usurai alemanni che erano colà.
Alcuni fino da’ quei tempi scoprendo come molti si spacciassero illesi da questa prova, ebbero sospetto non vi avesse parte alcuna magia, e in vero il vederla sovente replicata, e in ispecie il trovarla tolta sempre dai monaci a definire le loro controversie anche leggieri, sicchè omai appellavasi prova de’ monaci, ne induce forte sospetto non vi adoprassero qualche artifizio.
Fino a’ tempi di Varone narravasi che taluni fra gli Irpini preparassero un unguento, mercè cui disponevano i piedi a passare illesi sulla bragia, e Alberto Magno, fra le sue cose ammirabili, insegna una specie d’empiastro, mercè cui poteasi tenere nelle mani il fuoco e non esserne offesi.
Noi abbiamo veduto sui nostri teatri l’uomo incombustibile che colavasi in bocca il piombo liquefatto, e teneva fra le mani o sotto i piedi i vomeri arroventati, e non lo abbiamo accusato di magia.
Forse era ad alcuni noto questo segreto, e quindi ne facevano uso valendosi del nome del cielo per ingannare gli uomini.

DEFENDENTE SACCHI.

Tratto da: Cosmorama Pittorico – 1856

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