Venezia Canti e ballate di Jacopo Cabianca

Libro

Abbiamo annunziato nello scorso numero (Ndr – 51 del 22 settembre 1867) la comparsa di questo prezioso volume del poeta vicentino, con promessa di riparlarne. In questi canti, il poeta raccoglie insieme le tradizioni, le leggende, i costumi, le feste, le sventure le glorie di una potente Repubblica, che costituisce uno dei più splendidi ornamenti d’Italia; congiunge con magistrale avvedutezza un passato per magnanimi esempi di politica e civile sapienza maraviglioso ad un presente e a un avvenire che non ha pari nella storia di questa sventurata fra le nazioni: ritrae a larghi colori quali fossero i Veneziani in pubblico e in privato, nel foro e nella famiglia nello sfarzo orientale del patrizio e nella gaia semplicità del gondoliere, sul campo di battaglia e in mezzo alle acque della pacifica laguna, nelle opere del braccio e in quelle del senno, nel sentimento patriottico e nel religioso.
Le vicende ora tristi e ora liete di quella famosa repubblica ripigliano in que’canti vita novella; e le varie epoche storiche traggono rilievo dall’eloquente raffronto, in cui sono collocate. La Guerra di Chioggia e il Grido di guerra dei Veneziani alla battaglia di Agnadello trovano un eco generoso nella Notte di San Giuseppe, nel Volontario, in Cà Labia, nella Madre dei Bandiera; ľInterdetto ha un verace riscontro nella Predica a Venezia; il San Marco e il Fondaco dei Turchi nella Scuola di pittura Veneziana; il Banchetto di Cà-Polo nel Federico IV di Danimarca; la Storia di Re Pipino detta da un canta-favole della Riva degli Schiavoni nella Nina-Nana cantata da una madre veneziana nel 1849. Cosi dell’allegro vivere dei Veneziani danno una pittura perfetta la Veronica Franco, la Regata, la Gondola e le Barcarole, come l’ Ultima Bandiera Veneta a Perasto parla del ben essere dei popoli sotto il reggimento della Repubblica e del Canal Orfano sono ricordati i misteriosi processi del Consiglio dei Dieci. Noi riferiamo qui quest’ultima poesia come saggio:

IL CANAL ORFANO (1). (2).

Quando ancora un’ultim’onda
Misteriosa, gemebonda
Di San Marco fra le cupole
Via prolunga le interrotte
Armonie di mezzanotte.

Se passando a caso miri
Sotto il ponte de’ Sospiri
Distaccarsi oscura gondola,
Che veloce, qual saetta,
Verso il mar discenda in fretta,

Non ti volger, non t’arresta,
Non far cenno della testa;
I tuoi orecchi non udirono,
Gli occhi tuoi non han veduto;
Tu se’ cieco, sordo e muto.

Questo è tutto: – pur se brami
Poco cibo che ti sfami;
Se puoi legger nelle tenebre,
Un’istoria d’altra volta
Vo’ narrarti: – taci e ascolta. –

Una notte, presso a poco
Su quest’ora e in egual loco,
Dar di remi in acqua udivasi
E una gondola partiva
Del palazzo dalla riva.

Della Paglia passa il ponte
Rapidissima e di fronte
A San Giorgio intorno l’isola
Costeggiando piega ad orza
Ed al largo i remi sforza.

La laguna ivi si spande
In canal profondo e grande:
Era il cielo senza nuvoli
E sul tetto ampio d’argento
Non batteva ala di vento.

Ecco a un tratto i remi stanno,
Una man solleva il panno
Della gondola e precipite
Vien lanciato dalle aperte
Sponde un corpo oscuro e inerte.

Bolle l’acqua a tondo a tondo
Gorgogliando su dal fondo,
Poi s’acqueta e, come in specchio,
Sulla placida laguna
Ride il raggio della luna.

Nella notte, in che successe
Tal ventura, s’altri avesse,
Come a’ freschi andar costumasi,
Traversato il Canalazzo
Là, de’ Pesari al palazzo,

Sul poggiuol che sta di fianco,
In vestito bianco bianco,
Visto avria, pari a una statua,
Una donna al rio vicino
Tener fisso il guardo e chino

(1) «Dimane de sera, che sarà li 21 del presente, sia mandato Girolamo Vano da Salò ad annegare et che ciò sia fatto con ogni maggior secretezza.» (Decreto del Consiglio de’ dieci, 20 Settembre 1621).

(2) «Ndr – Dal libro Storia della Repubblica di Venezia dal suo principio sino al suo …, Volume 3. Tale nome perviene per le sanguinose ballaglie degli eracleesi cogli equiliani nell’ anno 737; pressoché sei secoli avanti l’istituzione del Consiglio dei dieci – Altra versione è data dalla battaglia contro il Re Pipino. – Ultima, ma debole versione, il fatto che venivano ivi affogati i condannati a morte, rendendo così orfani i propri figli».

Quante volte su quest’ora
Un barchetto usciane fuora,
E sommesso diffondevasi
Per la cheta aria serena
Una mesta cantilena!

Dal balcone allor anch’ella
Dileguavasi la bella
E il barchetto rivedevasi,
Quando l’alba in ciel s’apria,
Ritornar per la sua via.

Or da un pezzo, sull’attesa
Così stava e ben le pesa
Non udir di remi strepito,
O gradita onda di canto . . .
Pure aspetta, aspetta e intanto

Posar sente sovra un braccio
Una man fredda di ghiaccio,
E, quand’ella indietro volgesi
Allo strano atto commossa,
Un uom vede in veste rossa;

E quell’ uomo ahi! conosciuto,
Come fischio breve e acuto,
Mette rapida una sillaba,
Ella immobile lo ascolta,
Poi, qual era al canal volta,

Tal la testa giù d’un tratto
Rinverso con rapid’atto;
Un balen corse per l’aria
S’udì un tonfo in mezzo all’acque

Come prima tutto tacque.
Al mattin narrò la fama,
Che de’ Pesaro la dama
Al balcon soletta standosi
Non si sa, come dall’alto
Giù cadesse, ed in quel salto

Fosse morta; per che tanto
A Venezia ne fu pianto,
E il marito e il vecchio suocero
N’ebber spasimi ed affanni:
L’infelice avea vent’anni.

D’ascoltare ancor se’ vago?
M’odi dunque. – È sovra un lago
Un gentil paese, florido
Per le valli e pe’ suoi clivi
Tutti aranci e lutti ulivi.

Ivi chiaro e avventurato,
Dí beltà, d’onor, di stato
Visse un tempo eletto giovane,
Bravo all’armi, all’amor destro
E in gentili arti maestro.

A Venezia ei venne un giorno,
Ma di là non fe’ ritorno . . .
Lui domandano, lui cercano
Da dieci anni e dieci ormai
E nessun ne seppe mai. –

Se passando a caso miri
Sotto il ponte de’ sospiri
Distaccarsi oscura gondola
Che veloce, qual saetta,
Verso il mar discenda in fretta,

Non ti volger, non t’arresta,
Non far cenno della testa;
I tuoi orecchi non udirono,
Gli occhi tuoi non han veduto,
Tu se’cieco sordo e muto.

J. CABIANCA


La pena di morte

La pena estrema, che usavasi in Venezia; e non pronunziavasi dal solo tribunale dei dieci, ma da qualunque magistratura, alla cui giurisdizione avesse appartenuto la colpa, che ne veniva punita; era pena di morte.
La quale, secondo i casi, talvolta era pubblica e talvolta privata. La sentenza di morte pubblica eseguivasi o colla forca in fra le due colonne della piazzetta, o col taglio della testa: talvolta si eseguiva sul luogo del delitto: talvolta veniva aggravata, a tenore della gravezza del misfatto, da qualche particolare severità, o prima o dopo l’esecuzione.
Cosi, a cagion d’esempio, accadeva, che al delinquente, prima di torgli la vita, o gli si tagliasse una mano; o lo si mutilasse nei piedi; oppurre che la morte, invece che di forca o di ferro, si eseguisse, strascinandolo per la città a coda di cavallo; oppure, che, dopo morto, lo si strascinasse, o ne fosse lasciato il cadavere appeso per alcuni giorni al patibolo, o fosse fatto a quarti ed attaccato in più luoghi, ed ivi lasciato per qualche tempo, ad esempio e terrore del popolo.
Quando la pena di morte era privata la si eseguiva con tutta secretezza nel carcere, siccome ho detto nel descrivere i pozzi: ma non sempre ne veniva trasferito il cadavere immediatamente al cimitero. Talvolta lo si faceva inoltre appendere alla forca, perchè fosse da tutti veduto; e per maggiore ignominia vi veniva appeso qualche volta per li piedi. Tullociò raccogliesi dalle varie sentenze che trovansi registrale negli atti delle magistrature veneziane, particolarmente del Consiglio dei dieci.
Quando il supplizio di morte si eseguiva in pubblico, ovvero si esponeva al pubblico il cadavere del giustiziato in carcere, se ne stampava la sentenza: sempre poi la si stampava nel caso di bando. Negli altri casi, non la si stampava giammai, né si rendeva conto al pubblico della sorte dell’inquisito.
La quale secretezza di morti diede origine a quella credenza, che tanto più piacque ai fabbricatori di romanzi oltremontani dell’ annegarsi i rei nel Canal Orfano: anzi da queste immaginarie esecuzioni piacque loro di derivare il nome di quel canale. Ignoranti! Che, non conoscendo punto la storia nostra, pon seppero essere derivato un tale nome al canale, che si disse anche dell’ Arco; non già al canale, che oggidì si dice dell’Orfanello, e ch’eglino confusero coll’ Orfano; per le sanguinose ballaglie degli eracleesi cogli equiliani nell’ anno 737; pressoché sei secoli avanti l’istituzione del Consiglio dei dieci.
La favola dell’ affogarsi nel canale Orfano, ossia nell’ Orfanello, o piuttosto nel canale dei Marani, tutti coloro, della cui morte non avevasi indizio veruno, oltrechè resta smentita dalla testimonianza dei registri delle varie magistrature, che sentenziavano a morte, siccome altrove ho già dichiarato; viene smentita altresì dal registro necrologico della chiesa di san Marco, il quale incomincia dai tempi del concilio di Trento, quando in tutte le parrocchie furono ordinati i registri mortuarii…

Tratto da: L’universo illustrato giornale per tutti

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