The art of emotion

Mario A. Rumor

A cura di Adriano Ardit

IL CINEMA D’ANIMAZIONE DI ISAO TAKAHATA

Qualche tempo fa (MOLTO tempo fa), parlando di Miyazaki mi ero ripromesso di trattare un giorno anche di Isao Takahata, l’altra “anima” dello studio Ghibli, senza mai trovare l’occasione.
È già da qualche anno purtroppo che i progetti di Takahata vengono continuamente rimandati (l’ultimo suo film I miei vicini gli Yamada è del 1999), scalzati dalla precedenza accordata ai lavori del più famoso collega, anche se l’interessato non sembra curarsene, impegnato in altre attività. Il minimalismo intimo dell’autore sembra riflettersi anche nella modestia e nell’umiltà che l’autore sfoggia nel considerare il proprio lavoro.
Eppure Takahata è uno dei più importanti registi d’animazione nipponici, tra i fautori della svolta che da metà anni Sessanta ha portato l’animazione giapponese ai livelli odierni, nonché cofondatore dello studio Ghibli assieme all’ex allievo Miyazaki.
L’occasione per colmare la lacuna me la dà l’uscita in Italia di un interessante volume, che si conquista l’invidiabile primato di essere il primo saggio critico, non solo d’Italia ma d’Occidente, ad essere dedicato all’illustre regista.
Perché mai un saggio italiano dedicato a un autore giapponese debba avere un titolo inglese, lo ignoro. Scelte esterofile, anglofile in particolare, del tutto fuori luogo e che per questo, da difensore a oltranza della lingua italiana, non mi stancherò mai di stigmatizzare.
Chiusa la parentesi linguistica, devo ammettere che in alcuni passaggi la lettura del saggio di Rumor non è delle più scorrevoli, forse per l’ansia di dare un tono accademico alla trattazione dell’argomento, o di rifuggire dai facili entusiasmi dell’ammiratore sincero ma poco obiettivo. È comunque un lavoro pregevole e una lettura imprescindibile per chiunque voglia saperne di più riguardo uno dei pilastri dell’animazione giapponese, i cui lavori sono conosciutissimi in Italia, anche se spesso non associati direttamente al loro autore.
Si può dire infatti che Takahata sia stato addirittura il primo autore giapponese a sbarcare in Italia, dato che il suo Heidi fu il primo “cartone” a essere trasmesso dalla Rai. Heidi, al pari di Marco e Anna dai capelli rossi, realizzati fra 1974 e 1979, fa parte di una personale trilogia del regista dedicata al mondo dei bambini, che prende ispirazione da testi per l’infanzia della letteratura occidentale (Marco è tratto dal racconto Dagli Appennini alle Ande del nostro Libro Cuore).
L’impatto di queste serie fu notevole in diversi campi. Anna dai capelli rossi in particolare è unanimemente riconosciuto uno dei migliori adattamenti a cartoni mai realizzato, oltre ad essere stato il primo ad aver raggiunto dei livelli qualitativi insperati per una produzione seriale destinata alla televisione.
La scelta di testi occidentali se da un lato ci conferma l’universalità di certi valori da un lato ci illumina sull’apertura mentale dei registi giapponesi verso la cultura occidentale, da confrontare con la sconfortante chiusura, nutrita di pregiudizi, degli intellettuali “nostrani” verso la cultura del Sol Levante, specie se si parla d’animazione.
Tema comune alle tre opere è la crescita, prendendo coscienza del mondo e imparando a rapportarsi ad esso, partendo spesso da una condizione di solitudine e isolamento. Heidi e Anna sono orfane, Marco lo sarà per tutta la serie da quando parte alla ricerca della mamma dispersa in Argentina, lasciando la famiglia a Genova.
Tema caro al regista quello della maturazione dell’individuo, uno dei capisaldi della sua riflessione, che sarà ripreso e sviluppato con risvolti drammatici nel film Una tomba per le lucciole (1988) e con una vena di malinconia in Omohide Poroporo (Ricordi struggenti, del 1991, ancora inedito in Italia!).
Oltre alle serie televisive la produzione cinematografica è l’altro lato dell’attività di Takahata. Pietra miliare nella sua carriera, e punto di svolta per una generazione di animatori, sarà la realizzazione nel 1968 di La spada del sole: la grande avventura di Hols.
Bisogna pensare che per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta i cartoni giapponesi costituivano un intrattenimento per bambini, modellati sulla falsariga dei cartoon americani della Disney o della Warner Bros, pur se destinati al cinema. Pochezza di mezzi e di risorse, che si rifletteva in pochezza di idee e di contenuti in produzioni destinate essenzialmente a un pubblico infantile.
È in questo contesto che matura la decisione di Takahata di realizzare un film di registro più adulto, capace di innovare il cinema dell’epoca nelle tecniche e nei contenuti. Nella realizzazione di Hols si intrecciano vari conflitti: quello tra la politica conservatrice dei produttori e lo spirito d’innovazione dello staff, quello tra l’azienda e i sindacati che reclamavano maggiori diritti per i lavoratori, ma soprattutto l’urgenza di una generazione di giovani animatori nell’approdare a un’animazione più matura, più ricca di introspezione e di approfondimento psicologico, accompagnati a un deciso innalzamento del livello tecnico.
Il film, osteggiato dai vertici aziendali, interrotto a più riprese e perciò costato molto più del previsto, fu un colossale fallimento. Ne seguirono diversi licenziamenti, e la retrocessione di Takahata a semplice assistente.
Fu comunque la prima tappa di una presa di coscienza collettiva, e molti transfughi dalla Tôei Dôga diventarono negli anni successivi tra i principali protagonisti del mondo dell’animazione nipponico.
Fu per Takahata anche l’inizio dell’amicizia e del sodalizio artistico con Miyazaki, che porterà poi i due, diversi anni più tardi, a fondare lo Studio Ghibli come altro momento di rottura con il tradizionalismo dell’ambiente.
La coabitazione tra i due non è stata delle più semplici. Soprattutto se pensiamo che Miyazaki è riuscito a ritagliarsi uno spazio privilegiato all’interno dello Studio. Se lui ha realizzato ben sette film dal 1986 a oggi, Takahata si è fermato a quota quattro, dei quali solo uno, Una tomba per le lucciole, è riuscito a conquistarsi uno spazio in Italia, vincendo il Gran Premio Cartoombria 1995, “scoperto” nel Belpaese ben sette anni dopo la sua realizzazione.
Il difetto è che le opere di questo regista, considerato l’intellettuale del mondo dell’animazione giapponese, sono sempre state all’insegna del minimalismo, del vissuto quotidiano giapponese, della semplicità dei piccoli gesti, dei sentimenti umani ritratti nella loro essenzialità, con uno sguardo ora poetico ora disincantato, funzionale al messaggio che il regista vuole trasmettere in quel determinato momento, ma che non rinuncia a smuovere le corde più profonde dello spettatore, per il quale la visione rimane un momento di arricchimento spirituale.
Come si vede tutto il contrario dei voli pindarici nati dalla sfrenata fantasia di Miyazaki, e molto lontano dal gusto per la spettacolarizzazione fine a se stessa del cinema moderno, troppo legato ai canoni imposti dalle produzioni hollywoodiane.
È da deplorare soprattutto la mancata distribuzione in Italia di Omohide Poroporo (uscito in Francia al pari di molte altre opere del Maestro, e non sarà un caso che proprio la Francia ami questo regista “intellettuale”) ed Heisei Tanuki Gassen Pompoko (Pompoko, la guerra dei tanuki dell’Era Heisei), delicata favola ecologista dedicata alla distruzione della natura e dell’habitat di uno degli animali più sacri e importanti dell’immaginario giapponese, il tanuki, un cane sovente confuso con il procione, film che nel 1994 ottenne una nomination agli Oscar.
Di Takahata era stato annunciato un film in uscita nel 2008, mentre pare che ad arrivare nelle sale sarà un’altra opera di Miyazaki, a conferma di quanto si diceva sopra.
Nella lista di questo artista ci sono almeno tre progetti:
Un film tratto dalle leggende della cultura popolare degli Aïnu (una minoranza etnica, attaccata alle proprie tradizioni, che vive all’estremo nord di Hokkaido), dal cui patrimonio folklorico il regista ha già tratto il soggetto di Hols sebbene ricollocato, per ordine dei produttori, in un’immaginaria Europa del nord.
Un film ispirato all’Heike Monogatari, una storia di grandi battaglie nel Giappone feudale tra il clan Genij e quello Heike per la supremazia sul Giappone, film la cui ideazione fu interrotta quando Miyazaki cominciò la lavorazione di Principessa Mononoke, altro film in costume ambientato nel Giappone medievale.
Infine un altro film tratto dalle opere di Kenji Miyazawa, già fonte ispiratrice di Goshu il violoncellista (1982), film minore nella produzione di Takahata, racconto sullo sblocco emotivo di un giovane musicista, grazie alle visite benefiche degli animaletti del bosco, per i quali la sua musica ha addirittura un effetto terapeutico.
Per ora il regista si è dedicato ad altri progetti, tra cui uno spettacolo di marionette, la partecipazione con un suo breve lavoro al film internazionale a episodi Giorni d’inverno (2003), la pubblicazione di libri sull’animazione non solo giapponese, la promozione nel suo paese di film animati stranieri, specie francesi, ripagando così indirettamente quel paese dell’interesse speciale che gli dimostra ormai da lunghi anni, unico in Europa.
A noi italiani non resta che attendere fiduciosi, sperando che l’accordo con la Buena Vista per la distribuzione dei film dello Studio Ghibli in Occidente, che ha già dato buoni risultati dappertutto, non continui a concretizzarsi in un incomprensibile nulla di fatto proprio in Italia, paese che prima di altri ha imparato a conoscere ed apprezzare il Maestro Takahata, o Paku-San, come lo chiamano affettuosamente i suoi colleghi.

Adriano Ardit

Articolo precedentemente uscito su L’Avocetta e qui pubblicato di nuovo per gentile concessione.