Le formiche e i loro schiavi

Titolo originario – I TRIBUTARI

La guerra condotta con sapienza strategica non una particolarità intellettuale e morale dell’uomo, il servaggio non è più un appannaggio dei soli vinti umani! Ricognizioni e traccie scoperte del nemico o della preda, attacchi, sorprese, ritirate prudenti, battaglie furiose, sconfitte e fughe, cattura di prigionieri, giogo imposto, ed altre fasi belligere ed episodi gloriosi e dolorosi, non escluse le fiere morti, tutto questo si riscontra nella vita degli animali, che hanno essi pure una storia! Tutto questo io mi accingo a raccontare delle formiche.

Lungo una strada che si staccava da un prato, c’erano delle formiche sanguigne, raccolte in tribù, presso una siepe esposta a mezzogiorno. Io vi distinguevo le operaie, che oltre a non avere le ali, presentavano le antenne e la testa di colore sanguigno, il torace e le zampe fulve, e l’addome di color cenere scuro.
Il nido mostrava una miscela di materiali come terra, frammenti di foglie, fili d’erba, fusticini di muschi e pietruzze. Ma ciò che non cessava dall’eccitare la mia sorpresa era il vedere, fra le formiche sanguigne, formiche d’una specie scura, che vivevano presso le sanguigne, in soggezione, come schiave, ed eseguivano i più aspri lavori della colonia.
Insomma era quello un formicaio misto, come suol dirsi, ossia un formicaio con popolazione di due specie, l’una padrona e prepotente, l’altra serva e sottomessa dalla legge del più forte. Le schiave, condannate a trascinare la vita fra durezze e fatiche, appartenevano alla specie delle formiche fosche.
La più grande curiosità s’impadroniva di me osservando quel formicaio misto. Per quali vie le formiche sanguigne giungevano a dominare, con che forze e prepotenze toglievano ad esseri loro simili il bene più prezioso, la libertà, e li costringevano a prestare servizi ignobili? Io mi rivolgevo queste domande, quando vidi una schiera di formiche sanguigne allontanarsi dal formicaio, in atto di andare alla caccia, e percorrere bravamente la strada maestra, con le mandibole divaricate e in atto di minaccia, con gli occhi scintillanti che giravano attorno.
Dopo aver percorso alquanto cammino, quei perlustratori scoprirono il nemico di cui andavano in cerca: erano alcune formiche fosche. Io guardai, e scorsi poco lontano un formicaio di forma e costruzione piuttosto rozza e primitiva, composto di una semplice fossa, un po’ suddivisa in scompartimenti, e ricoperta da una volta; il materiale era terra impastata e murata. Era il nido delle formiche fosche.
Le formiche sanguigne, che andavano in perlustrazione, ristettero appena veduto il nemico, e tennero un breve consiglio di guerra, poi, disponendosi nell’ordine più opportuno, posero l’assedio al formicaio. Alcune, che nutrivano in petto ardori bellicosi più esaltati, si spinsero innanzi, fino alle porte della città nemica. Quivi intanto si manifestava una viva emozione; le vedette si precipitavano nelle gallerie per destare l’allarme o si gettavano addosso agli assalitori più avanzati.
Impegnatasi la lotta, non pochi di questi doverono soggiacere al numero, e pagarono il fio della loro audacia con l’esser condotti prigionieri tra le formiche fosche assalite. Le altre formiche sanguigne, calme, nella loro prudenza, erano spettatrici di questi fatti, non si muovevano, limitandosi a difendere da qualche assalto le posizioni occupate. Nemiche d’ogni impresa intempestiva, esse fidavano nel proprio successo, ma aspettavano che giungessero soccorsi per cominciare.
I soccorsi non tardarono; schiere dopo schiere si vedevano giungere per rinforzare le assedianti. Staffette correvano di qua e di là, raccogliendo i membri isolati che incontravano della tribù sanguigna, recandosi a portar messaggi alla popolazione del formicaio. A misura che giungono i rinforzi, gli assedianti operano un movimento in avanti, ma si appressano cauti al campo nemico, pur manifestando un’intenzione sempre più recisa e pronta di venire alle mani. Finalmente un grosso sciame di formiche sanguigne, come un corpo di spedizione, si muove dal formicaio e procede verso il teatro della guerra.
Le formiche fosche dal loro canto si preparavano a sostenere l’attacco che diveniva imminente. Davanti alla cerchia delle assalitrici, che si faceva sempre più stretta, le formiche fosche spiegavano le proprie forze sopra una lunga linea di battaglia, che si stendeva davanti ed ai lati del nido.
Quasi tutta la popolazione del formicaio era uscita fuori per prender parte alla lotta. Già agli avamposti s’impegnavano delle scaramuccie, ed erano sempre le assediate che attaccavano. Il loro numero considerevole, l’aspetto bellicoso, tutto annunziava che avrebbero opposto una valida resistenza.
Esse però non fidavano troppo ciecamente nelle loro forze, e già pensavano a qualche provvedimento per salvare i piccoli della colonia ed impedire che questa andasse per avventura tutta distrutta.
Molto tempo prima che si potesse prevedere l’esito della battaglia, io vidi le formiche fosche portar fuori dai sotterranei uova, larve e crisalidi, e deporle su quel lato del formicaio che non era esposto al nemico. Naturalmente pensavano che sarebbe stato cosi più facile di trarre in salvo quelle rappresentanti delle generazioni future, se, contro ogni aspettativa, la vittoria non avesse sorriso al buon diritto. Le giovani formiche sessuate si accingevano esse pure a darsi alla fuga nella stessa direzione.
Ed era tempo che tutti questi preparativi per la prospera o l’avversa sorte si compiessero, perché l’uragano scoppiava, la folgore cadeva in mezzo alla popolazione assediata.
Le formiche sanguigne, trovandosi finalmente in numero bastante, si gettarono sul nemico, attaccandolo vigorosamente in ogni punto. Benchè contrastate passo per passo, ricacciarono le forze avversarie, e pervennero, facendole piegare, sin sulla cupola del formicaio.
Le formiche fosche, dopo aver lottato con accanimento, rinunziarono a difendere il nido, afferrarono le uova, le larve e le crisalidi accumulate al di fuori, e tenendole strette e sollevate fra le mandibole, cominciarono a fuggire.
Le formiche sanguigne inseguono i fuggiaschi e tentano di strappar loro di bocca il tesoro che portano seco. Prove di coraggio si offrono alla vista; qualche formica fosca, mirabile d’abnegazione e d’ardire, fa fronte ancora una volta, e cerca di penetrare, attraversando il nemico, nei sotterranei, per estrarre e salvare ancora un piccolo figlio della tribù.
Ma ahimè! havvi un momento in cui l’eroismo è una gloriosa ma inutile follia! e l’ardita formica fosca cadde sotto mille colpi senza riuscire menomamente nell’impresa.
Le formiche sanguigne, padrone della città nemica, si danno al saccheggio. Si impadroniscono d’ogni porta, percorrono ogni galleria, invadono tutte le stanze, e dagli angoli più riposti raccolgono uova, o larve, o crisalidi. Allora si formano delle squadre fra quei predoni, e comincia il trasporto del bottino vivo, dal nido conquistato al formicaio dei vincitori.
Tutto il resto di quel giorno fu speso nella bisogna del trasportare e collocare le prede; al cadere della notte, quando le formiche sanguigne dovevano interrompere necessariamente il lavoro, tutto non era tolto da un’abitazione e messo a posto nell’altra. Un corpo di guardia, piuttosto numeroso, fu stabilito nella città vinta, per difenderla dall’accesso di altri predoni.
Intanto che succedeva tutto questo, le formiche fosche superstiti, si rassegnavano alla sorte della propria sconfitta, e raccogliendosi attorno ai piccoli salvati come intorno al palladio, attendevano in una posizione lontana a fondare una nuova colonia.
Le formiche sanguigne, di cui avevo scoperto con sorpresa la società mista, si erano cosi rifornite di schiavi. In generale esse fanno tre o quattro spedizioni annue con tali vicende e tale esito. Nate con gl’istinti e le attitudini del combattere, esse hanno poca o nessuna disposizione pei lavori domestici; sono le schiave che vengono incaricate di costruire le gallerie, educare le larve e le ninfe, attendere a tutte le incombenze minute della vita comune.
Le formiche fosche fatte prigioniere, ed io stesso me ne accertai, non cercano di sottrarsi alle mani dei loro dominatori; li accolgono premurosamente quando tornano dalla caccia, in una parola, si consacrano a servirli con lo zelo più puro.
Le varie scene, alle quali avevo assistito, mi parevano ben strane e stupefacenti. E come! vi sono dunque dei poveri insettucci che possono narrare le proprie imprese, cantarle, numerando le ferite riportate, vantando gli atti di valore compiuti? È proprio così ma noi non abbiamo ragione di offenderci o di soffrirne nell’amor proprio.
Gl’insetti non hanno ancora inventato il fucile ad ago, il cannone Armstrong, le torpedini, insomma essi non hanno applicato i progressi della scienza e dell’industria al perfezionamento dei mezzi coi quali distruggersi. Per di più gl’insetti si battono solo quando è necessario per loro di farlo, ma non conoscono le emozioni del trionfo pel solo gusto di trionfare.
Noi siamo assai più avanti in tutto questo; noi siamo esseri raffinati, e l’influenza della nostra immensa civiltà si risente dappertutto, in pace ed in guerra. Non solo noi guerreggiamo quando ci siamo costretti dalla forza delle circostanze, ma combattiamo per la gloria, per l’onore della bandiera, infine per il piacere di vincere spesso anche, dicono le cronache, noi prendiamo le armi senza sapere, senza domandare il perchè.
Questi fatti ed altri simili bastano e sempre basteranno per assicurare la superiorità dell’uomo nel confronto con qualunque miserabile formica sanguigna!

… cantare le proprie imprese


La presenza degli schiavi produce l’effetto di disabituare i padroni dal lavoro; però le formiche sanguigne conservano un residuo dei loro istinti d’operaie, e sanno, ove occorra, viver sole, senza l’aiuto degli schiavi, Havvi un’altra specie della stessa schiera d’imenotteri, la quale dipende completamente nella sua vita dalla specie schiava, e mostra così elevate al grado più spinto le conseguenze della società mista.
Le operaie della specie in discorso non sono atte che a fare la guerra; hanno perduto quasi ogni altro istinto, non edificano la casa, non si curano dei piccoli della tribù, non vanno alla ricerca del cibo, e persino non sanno più mangiare! Se alcune di esse rimangono separate dalle schiave, muoiono di fame piuttostochè eseguire il piccolo sforzo dell’assumere un po’ di cibo, e quando si trovano con le schiave vengono da queste ripulite ed imboccate.
Qui pure l’uomo non rimane al disotto delle formiche, perchè vediamo tutto il giorno quanta dipendenza si stabilisca fra padroni e servi, e se consultiamo la storia, troviamo fra i popoli antichi gli esempi più eloquenti della fiacchezza e corruzione prodotta dalla presenza, nella società, degli schiavi.
Mentre vedevo da un canto le formiche saltare addosso agli animali che per caso capitavano nei loro nidi, d’altro canto osservavo, e non senza provare meraviglia, che certi animali venivano invece trattati con ogni riguardo, incoraggiati, bene accolti. Egli è che le formiche conoscono e praticano l’allevamento del bestiame, e tanti esseri vivono con le formiche, che davvero queste potrebbero vantarsi di possedere animali domestici più che l’uomo non ne abbia.
Alcuni però restano semplicemente ospiti innocui; cosi, presso certe formiche rosse, io ravvisavo la larva della cetonia dorata, la quale se ne stara in mezzo a loro nutrendosi delle scheggette di legno tarlato che esse recavano al nido. Altri prestano qualche servizio.
Vera un crostaceo che somigliava al porcellino di Sant Antonio, ma era cieco, il quale, per quello che potevo rilevare, serviva alle formiche da spazzaturaio. Ma quanti insetti, dell’ordine dei coleotteri, vedevo stabiliti in buona armonia fra la popolazione delle formiche, abitare, sotterra e negli alberi, riparati dentro lo stesso nido! Più singolare di tutti era al certo quel piccolo coleottero cieco, con le antenne conformate a mazza, mobilissime, al quale le formiche facevano, incontrandolo, ogni sorta di carezze. Le formiche lo toccavano con le antenne, lo leccavano, quasi baciandolo, e sopratutto succhiando alcuni ciuffi di peli, dai quali l’insetto secerneva un umore.
A sua volta il coleottero, povero cieco, che era un clarigero, lambiva un umore che le formiche secernevano per lui dalla bocca. Quali rapporti commoventi erano quelli! Che belle prove d’amicizia!
Veri animali domestici delle formiche, tenuti spesso entro stalle, ed allevati come pecore, erano altri insetti d’altre forme e colori. I greggi, che formavano, non somigliavano punto a quelli dai quali noi tiriamo, per utilizzarli, tegumenti, lane, carni e latte. Oltre a qualche specie bianca, ve n’erano di verdi, bronzee e grigie, ed erano insetti dal corpo rigonfio posteriormente, sostenuti da sei zampe lunghe e sottili.

Essi erano gli afidi


Altri moltissimi erano scuri, tinti come se fossero stati bagnati nel caffè. Vedevo le loro antenne filiformi, lunghe, ripiegate sul dorso, e dirette all’indietro, e i grandi occhi che spiccavano a fior di testa; alcuni estraevano dai tessuti vegetali, altri v’immergevano un tubo lungo e sottile che era la loro bocca. Le foglie ed i picciuoli rilucevano presso di loro, perché bagnati di un certo umore appiccaticcio che lasciavano uscire dal loro corpo, e qua e là si vedevano vecchie e secche pelli, che gli insetti avevano deposto durante le loro mute, e che rimanevano lì attaccate.
Taluni differivano dagli altri per avere quattro ali finissime, trasparenti, iridescenti. Guardando attorno, ne riscontravo della stessa forma ma d’altre tinte, sugli alberi, nelle erbe, sui fusti, sui picciuoli, e nelle foglie che essi anzi accartocciavano per starvi dentro riposti. Quasi tutti erano sparsi di polvere. Come non li avrei riconosciuti, vedendoli?
Essi erano gli afidi, ossia i gorgoglioni, o, come si dice volgarmente, i pidocchi delle piante, ed essi erano gallerie i veri animali domestici delle formiche. Per tutto dove si trovavano, io vedevo le formiche accorrere verso di loro, e andare su e giù pei rami, sui quali essi stavano immobili, stretti gli uni contro gli altri, e palparli e lambirli. Erano le loro vacche da latte, quei gorgoglioni, perchè sul dorso, verso l’estremità posteriore dell’addome, essi avevano impiantati due tubi, i quali, spremuti, mandavano fuori gocciolette di un liquido vischioso e zuccherino, una specie di miele, che ne usciva come il latte dalle mammelle. Le formiche, ghiottissime di quel succo dolce, tastavano con le antenne i tubi dei gorgoglioni e leccavano avidamente l’umore che ne scaturiva.

… là si recano a mungerli.


Come compenso all’utile che ne ricavavano, le formiche proteggevano i gorgoglioni, li difendevano dai tanti nemici che hanno, ma, più ancora, in certi formicai vedevo i gorgoglioni albergati entro stalle, ed in certi altri le loro uova e i loro piccoli ricevevano dalle formiche cure materne. Qua un nido di formiche gialle mi mostrava i gorgoglioni semplicemente sparsi pei sotterranei abitati dalla tribù, là invece nei nidi di altre specie riscontravo costruzioni particolari destinate ad albergare le mandre dei gorgoglioni.
Ora vedevo una camera sferica, che aveva inferiormente una stretta apertura ed era percorsa da un fusticino di pianta come da un asse; nei nidi delle formiche rosse la stalla era conformata a tubo.
Certe formiche, che abitavano nell’interno degli alberi, avevano costituito delle stalle di legno fracido sui rami, entro le quali tenevano il gregge, ed alle quali giungevano per gallerie coperte dall’interno del nido.
Vi racconterò a proposito che i gorgoglioni della piantaggine (un’erba assai comune), quando il peduncolo dell’infiorescenza divien secco, si ritirano sotto le foglie, che, in quella pianta, si trovano solo presso il colletto, ossia presso l’origine della radice.
Le formiche tengon dietro ai gorgoglioni in quell’ultimo riparo, e vi si ficcano e chiudono dentro con essi, riempiendo di terra umida gl’interstizi fra il suolo e il margine delle foglie. Le formiche stesse poi scavano il pavimento di quella specie di prigione per allargarne lo spazio, e praticano a partire di là gallerie più o meno lunghe che finiscono per raggiungere i formicai rispettivi.
Generalmente le formiche, per provvedersi di vacche da latte, rapiscono i gorgoglioni e li portano nei propri nidi. In certi nidi, come ho detto, e precisamente fra le formiche gialle, il bestiame dei gorgoglioni veniva allevato, cresciuto fin dallo stato di uovo.
Queste formiche leccavano continuamente le uova di gorgoglioni raccolti, le attaccavano le une alle altre mercè una specie di colla, insomma provvedevano in ogni modo alla loro conservazione. Tante cure sono poi coronate dal successo, perchè quei germi preziosi si schiudono, ed i piccoli che ne nascono vanno ad arricchire il contingente degli animali domestici posseduti dalla tribù.
Il letargo delle formiche ha luogo quando la temperatura discende a due gradi sotto lo zero; se non fa freddo, esse godono delle loro funzioni e provano gli stimoli della fame. Siccome poi le formiche non fanno provviste per l’inverno, cosi ne verrebbe di conseguenza che esse si troverebbero senza risorse alimentari per saziare l’appetito di qualche mite giorno d’inverno. È allora più che mai che le formiche possono apprezzare i vantaggi del tenere i gorgoglioni nelle stalle dei formicai.
Per una corrispondenza mirabile, quando le formiche cadono in letargo, vi cadono pure i gorgoglioni, e quando esse ne escono, i gorgoglioni si ridestano; sicchè le formiche hanno pronto, nel momento opportuno, un dolce e fresco cibo per appagarsi. Le formiche, che non albergano nel proprio nido i gorgoglioni, conoscono i loro nidi invernali, e là si recano a mungerli, portano poi, da formiche di buon cuore, quel po’ di umore melato che hanno raccolto, alle compagne, e si dividono caritatevolmente quel succo ghiotto che subisce un’evaporazione lentissima, insignificante.

Articolo tratto da: La ricreazione raccolta illustrata di racconti e novelle per la famiglia
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