LAZZARETTO VECCHIO DI VENEZIA

Le isolette che circondano Venezia, quasi ancelle la regina loro, offrono asilo di pace, di solitudine e di meditazione. E però gli Eremiti della regola di sant’Agostino fermarono in una di esse la propria sede, e vi eressero nel 1249 una chiesa col titolo di S. Maria di Nazaret, forse perchè accoglievano ed assistevano i peregrini infermi, i quali in quella età, sciogliendo per Terra-Santa, o di là ritornando, concorrevano a Venezia, come a sito opportunissimo per la copia delle navi e per la sicurezza. E così operando que’ Monaci degnamente onoravano il Signore; ma indi tralignati, e poco commendevole vita traendo, venne a scemarsi tanto il numero loro, che nel 1423 non vi restava più che un Fra Gabriele de Garofolis spoletano con quattro novizi di stirpe patrizia.
Erano questi Andrea Bondomiero, che fu il terzo Patriarca di Venezia, Michele Morosini, Filippo Paruta, poi arcivescovo di Candia, e Francesco Contarini, i quali vestiti di fresco l’abito clericale, ed aspirando a maggior perfezione, vivevano sotto la disciplina spirituale di quell’unico frate, uomo peraltro pio ed addottrinato. Il perchè la Signoria, con più sano consiglio, pensò convertire l’isola, come remota e capace, a ricetto delle persone e delle merci infette di pestilenza; atterrita anche e fatta accorta da iterate esperienze, perciocchè nel secolo XIII la città era stata per più che sedici fiate orrendamente contaminata e deserta dal crudele morbo, che colle ben mercate e trionfate ricchezze i navili addotto avevano dalle regioni orientali.
Fra Gabriele adunque con quei quattro adolescenti si condusse in prima all’ Abbazia di s. Daniele in Monte nella diocesi padovana, e poscia ritornato alle lagune, e fondata nell’isoletta di Santo Spirito la Congregazione di Canonici Regolari, benedicendo i già discepoli ed allora compagni suoi, se ne partì per ascendere sulla cattedra episcopale di Nocera.

Tolta l’isola agli Eremitani, la Repubblica, riserbandosene il juspatronato, instituì un ospitale a cui assegnò la chiesa, gli edificii, gli orti, le possessioni, i proventi e i diritti del monastero soppresso. Ivi in due parti divisi si ammisero i poveri d’ ambo i sessi travagliati dalla peste, e fu prescritto che l’ufficio del Sale pagasse ad essi vitto e medicina. Quattro servienti si destinarono per gli uomini, quattro per le femmine, un cappellano, ed un priore, il quale, amministrando ogni temporale e spirituale negozio, teneva l’obbligo di visitare almeno una volta il giorno gl’infermi. Oltre a ciò la denominazione di Nazaret si volle spenta, e fu sostituita quella di S. Maria Stella del Cielo, onde il priore e i dipendenti suoi portarono affisso al petto un segno bianco in forma di stella.
Tutti questi ordinamenti ed altri intorno al reggimento del luogo furono sanciti nel primo giugno 1436 da papa Eugenio IV a petizione del doge Francesco Foscari e del Senato. Non pertanto l’antica consuetudine prevalse, e in tre decreti, uno del 1448 e due del 1456, l’isola è appellata Nazaretum. E di tale corruzione, non dissimile da altre, perchè il volgo ode il suono, ma l’origine e il significato di molti vocaboli non intende, ne venne il nome di Lazzaretto; l’etimologia è tanto chiara, tanto istorica, che inutile torna il derivarla dall’ospitale El hazar presso la Moschea de’ fiori ammirata nel Cairo, o sivvero da S. Lazzaro, ancorchè sotto la protezione di lui si ponessero in Palestina ed altrove gli ospitali, e quelli specialmente dei lebbrosi, forse perchè i buoni fedeli confusero il mendico della parabola pieno di ulceri, col fratello di Marta e di Maria risuscitato dal Redentore.
Nè assentire dobbiamo a tale opinione se anche il caso la colorisce di certa verisimiglianza. Ed io parimente reputava che il nome di Lazzaretto venisse da un Jacopo de’ Lanzeroti, perchè costui con pie, prudenti e gratuite opere ben meritando dell’ ospitale, ne fu, vita sua durante, preposto al governo dal principe e dal pontefice, i quali, eleggendolo primo a priore nel 1436 assai il celebrano come persona idonea ed utile secondo il cor loro.

In questo modo si sovvenne allora ai poveri ed agli ammalati sì per la guarigione, sì per ogni altra necessità. Nè qui si ristarono le cautele. Imperciocchè, dubitandosi che quelli che dal Lazzaretto uscivano come liberati o non tocchi dal malore, lo spargessero poi improvvisamente per la città, s’interdisse loro nel 1456 il conversare tosto cogli altri, e decretossi che in uno o due luoghi lontani fuori di Venezia abitassero alquanto tempo. Al qual fine si eresse all’opposito dell’altra parte della città presso il lido Sant’ Erasmo, nell’ isola erroneamente dal Filiasi chiamata S. Maria Stella del Cielo, un nuovo Lazzaretto, e così quel primo ottenne il distintivo di Vecchio.
E perchè fino dal 1348 nominavansi dal Maggior Consiglio tre nobili col titolo di Savi ad ogni apparire di peste, fu invece nel 1485 creata una Magistratura perpetua, con grandissima autorità, per istatuire le leggi opportune e per farle osservare. A questa medesima Magistratura si commise la direzione del Lazzaretto, e regole particolari, minute, piene di finissima previdenza furono poste pel ricovero degli infetti che si scoprivano nella città, e de’viandanti o mercatanti che d’altrove giungevano, tenendoli ivi separati colle merci loro tanto tempo quanto maggiore o minore era il timore che ispiravano le terre dond’erano partiti, e per le quali erano passati. Guardiani e facchini e fanti e servi si stabilirono a tant’uopo, e a tutti fu preposto un Priore, incarico anche questo di non piccol momento, e quindi dotato di molti privilegi, e conceduto ad uomo della classe intermedia de’cittadini, e tale, che integro essendo, circospetto e diligente, con ogni studio vietasse che leggi poste a salvezza di mille e mille vite, fossero infrante insidiosamente per cupidigia od incuria.

Adunque il vocabolo Lazzaretto colla imitazione di quei presidi passò alle altre italiane e straniere genti. E queste pur dovrebbono perenni grazie rendere alla veneta provvidenza, che prima offerendo all’ Europa l’esempio di simili istituti di medica polizia, preservolle, ed insegnò loro a preservarsi dal più micidiale de’ morbi, come mercè di lunghe ed aspre guerre vietò ch’elleno non piegassero al giogo degl’infedeli.
Giace quest’ isola del Lazzaretto Vecchio in uno dei maggiori canali che dal Porto di S. Nicolò conduce a quello di Malamocco. A mezzo giorno della città, è lontana da essa circa due miglia, e non più che un trarre di pietra dal Lido. A levante ha vicina l’isola di S. Lazzaro, a ponente Poveglia, che le sarebbe discosta un miglio e mezzo, se la tortuosità del canale non duplicasse la via. La figura sua è un quadrilungo di circa dugento passi ne’maggiori lati e cento ne’minori. Un ponte la congiunge ad altra più piccola isoletta seminata d’ ortaggi, nella quale sorge una conserva di polvere rivestita di pietre di taglio, con presso un alloggio pei soldati posti a custodia. Sotto il ponte scorre un canale da cui si scende nell’isola. E scendendo s’ incontra prima una piazzetta, nella quale stanno le abitazioni del Priore e del suo assistente, i magazzini degli attrezzi, con una iscrizione che accenna i ristauri fattivi l’anno 1754, ed il serbatoio d’acqua per espurgarvi le cere e le spugne.
S’ apre ivi l’ingresso alle due più antiche gallerie, nelle quali gli uomini sospetti esaurivano la quarantina, e sulla porta vedesi un basso rilievo marmoreo che rappresenta l’ Evangelista protettore della Repubblica, e i santi Rocco e Sebastiano protettori contro la pestilenza. Sovrasta il leone alato, e vi hanno sotto le armi dei tre Procuratori al di qua del Canale, coll’epigrafe: Hospitale vetustate collapsum Divi Marci Procuratores de Citra, veri, pii, ac soli Gubernatores, ut qui a Languoribus cruciantur, comodius liberentur summa cura instaurari jusserunt. Salutis nostrae A. MDLXV mense Maii.
Dalla piazzetta si passa in un cortile, che fu già l’antico chiostro. I due lati si formano dalle abitazioni riserbate ai Baili di Costantinopoli, a’ Provveditori generali, ed a’ Rettori che ripatriavano dal levante. Il terzo lato si forma dalla Chiesetta.
È questa Chiesetta, in cui pur tante meste preghiere ed accesi affetti si sono alzati a Dio, ufficiata ne’ giorni festivi da un monaco armeno. Ell’è piuttosto umile che semplice, nè dipintura di pregio l’adorna. Chiusi sedili ad uso de’serventi la circondano, e la divide un’altra serie di recinti ne’quali sono separati i passeggeri provenienti da paesi diversi.
Sino ai principj del secolo scorso un solo altare di legno, e per vetustà guasto, eravi consecrato. Le iscrizioni pari di rozzezza al lavoro dicevano: Anno 1449, 18 Avosto. Mistro Gasparin Moro intagiador da Venisia ha lavorà questo. Questa pala fece far Missier Zorzi Corner Prior della Madona Santa Maria del Lazareto. Ma nel 1716 col denaro somministrato dai devoti vi fu in sua vece edificato, ad imitazione di quello del Tempio di Nostra Donna della Salute, un altar maggiore colla statua della Vergine, avente ai lati le due figure di Venezia orante e della Peste fuggitiva.
Due minori altari furono eziandio aggiunti, e l’uno l’ immagine ha di s. Rocco, l’altro quelle de’ santi Sebastiano e Bernardino. E rettamente anche quest’ultimo qui si onora, non solo per la caritatevole sollecitudine verso gli appestati, ma perchè efficacemente esortò la Signoria a provvedere colla erezione dell’ospitale alla miseria degl’ infermi e alla salvezza degl’immuni.
E di tale tradizione è argomento il nome di Gesù, che in diverse parti dell’isola e specialmente nell’esterna facciata della Chiesa vedesi in antichi caratteri scolpito, perocchè s. Bernardino fu della famiglia de’ Minori Osservanti, e Guardiano nel convento di s. Francesco del Deserto.
Otto iscrizioni necrologiche, non più antiche del 1721, nè più recenti del 1792, che è quanto a dire poste fra l’epoca in cui si rifece il pavimento, e quella in cui non si assenti più il seppellire entro le chiese, pregano pace a donne ed uomini veneti od italiani, che procedendo da Soria, da Costantinopoli, da Corfù morirono in viaggio o nella contumacia, ma senza sorpetto di contagio. Finalmente dietro l’altare maggiore è incastrato un basso rilievo. Mostra esso Maria assisa in trono, adorata da un Doge genuflesso, da Senatori, e da altri personaggi. Lo stile, che sembra della metà del secolo XV, ne induce a credere che il Doge ivi effigiato sia Francesco Foscari, sotto il principato del quale fu istituito il Lazzaretto. E qui almeno la solitudine e la lontananza serbarono alla gratitudine de’ posteri questa benchè inosservata memoria.
Ma pari sorte non ebbe la statua del Foscari medesimo, che pur ginocchioni vedevasi sulla porta della Carta da esso eretta fra la Basilica ed il maggior Palazzo. Non le gloriose sue gesta, e l’ampliato dominio per terra e per mare, e gli edifizii coi quali magnificamente ornò la città, non la dimessa e pregante attitudine nella quale era raffigurato, non il lavoro egregio di Bortolammeo Bono, valsero a rattenere le sacrileghe mani d’uomini sediziosi. Fu ella nel 1797 atterrata e spezzata, e i simulacri delle Virtù ivi rimasti, sembrano desiderare il compagno del quale furono indegnamente vedovati.

Oltre il chiostro già descritto, trovasi un secondo cortile, intorno al quale si edificarono gli appartamenti pe’ passeggieri. E possono senza disagio e senza timore di contatto abitarvi sino a cento, ma inermi, e chiusi dal tramonto al levare del sole in camerette del tutto simili, le quali mettono sopra una loggia di moltiplici accessi, e con parecchie divisioni, per impedire agevolmente le reciproche comunicazioni. Oh quanti ingiustamente qui accusano come lento ad apparire il giorno, nel quale la legge restituire gli debbe all’ umano consorzio! Pervenuti al termine del loro viaggio, e quasi arrestati da importuna calma veggonsi ancora in mezzo all’onde; e questi, nuovo e peregrino, nel contemplare le moli della città – che sul mar s’erge, e fu del mar reina sente pungersi più vivamente dal desiderio d’ammirarla dappresso; quegli, cittadino, rivede il fumo del domestico tetto, nè gli è lecito correre agli impazienti amplessi dei congiunti e degli amici.

Al secondo cortile siegue una via che attraversa tutta la lunghezza dell’isola, e fa capo a sette praticelli, lungo i quali si stendono sette ampie tettoie, sbarrate da cancelli di legno, e divise e distinte secondo le varie contumacie. In queste si difendono le merci dalle ingiurie delle pioggie e dall’ardore del sole, e si espurgano, mentre l’aria vi penetra libera. In quel si rimuovono, si battono, si sciorinano, si asciugano le stesse merci, od altre, giusta i prescritti regolamenti. Arbusto od albero non vi si lascia crescere, animale domestico non può vagarvi, la spontanea erba spesso si falcia, affinchè non si rapprendano o non si occultino fiocchi di lana o cotone, peli o piume, o tal altra materia che in sè chiude pestifero germe. Alle estremità stanno le abitazioni del guardiano e de’ facchini, ai quali non è lecito uscire, finchè compiuto non sia il termine prescritto all’ espurgo degli oggetti ad essi affidati.
Una muraglia cinge certo spazio di que’ praticelli. S’erge nel mezzo una piramide. Fu forse destinata anch’ ella a conservare la polvere; ma appelliamola monumento funebre. L’immaginazione conceda almeno un qualche onore ai miseri, che lungi dalle fraterne case, senza lagrime, e con orrore furono anzi trascinati ed arsi che sepolti nel circostante terreno.
Genti di longinque parti, di abiti e di lingua e di religioni diverse, si succedevano a popolare questo Lazzareto. Ma Venezia prostrata dal tempo che tutto doma, non è più la dominatrice di non ignobile parte dell’Oriente, nè l’arbitra del commercio.
E’ tant e non più ho io saputo dire intorno al Lazzareto, a richiesta altrui non è vero, ma non senza esser pago di consacrare questa qual siasi memoria alla prima terra italiana da me calcata.

Andrea Mustoxidi

Tratto da: Il Gondoliere; Giornale di amena conversazione; Redattore: Paolo Lampato


Andreas Moustoxydis 6 gennaio 1785 a Corfù (era veneziana) – 29 luglio 1860, a volte latinizzato come Mustoxydes o nella forma italiana Andrea Mustoxidi, era uno storico e filologo.

Nel 1816 Mustoxidi, facendo un’incursione nel campo dell’archeologia, pubblicò, a Padova, una Dissertazione volta a stabilire che i quattro cavalli di bronzo posti davanti alla Basilica di San Marco, a Venezia, furono eseguiti a Chios e successivamente trasportato al Circo di Costantinopoli, per ordine dell’imperatore Teodosio. Questa opinione, sostenuta da autorevoli autorità, offre più credibilità rispetto a quella adottata da vari antiquari, che attribuiscono a questi corrieri il ruolo di aver decorato l’arco trionfale di Nerone a Roma. (Wiki)