LA NOTTE DEI MORTI.

IL DUE NOVEMBRE

A egregie cose il forte animo accendono
L’urne dei forti, o Pindemonte, e bella
E santa fanno al peregrin la terra
Che le ricetta.

(Foscolo I Sepolcri).

Mille fantasmi in funerei lenzuoli avvolti, sorgono dagli avelli e per l’aere bruna in mille parti volgono, passando tra cipressi e salici piangenti!…

È la notte dei morti!…

Gl’invisibili spiriti visitano la vedova che all’incerto lume d’una lampada rattoppa il vestitino dell’orfano fanciullo; la fidanzata del giovane soldato caduto per la patria, che intesse la mesta ghirlanda da deporsi sull’onorato tumulo; le orbate fanciulle che mestamente avvolte nelle nere vesti del duolo pregano per la rapita madre; gli sventurati genitori cui fu rapito il figlio, loro orgoglio e loro speranza! – Le ombre dello sposo, del fidanzato, della madre, del figlio rivedono per un istante quei luoghi ove un dì regnava la gioia e che la loro dipartita immerse nel lutto, e nel dolore… le stelle non brillano.…

È la notte dei morti!… Ma che vedo? Quale immensa coorte di spiriti! Molti di essi io conosco… Chi sono quei due che par siano guida agli altri? Uno fu re e morì nell’esiglio; l’altro uomo di genio e di profondi studi. Carlo Alberto è il primo, l’altro Cavour. E chi sono coloro che li seguono? Veggo Ugo Bassi, veggo dolcemente abbracciati i fratelli Bandiera; con loro sono i Cairoli che fanno corona all’invitta madre, poi vengono Manin, Manara, d’Azeglio e cento altri; poi uno stuolo di giovani guerrieri; essi si dirigono verso Roma, e lungo la via nuove ombre a loro si uniscono…. Quelle anime nobili scorrono per l’eterna città; sul Castel S. Angiolo sventola il vessillo italiano. Allo stuolo l’additano Carlo Alberto e Cavour, e quelle ombre riverenti fanno corona alla sacra bandiera per renderle omaggio.

Ombre generose, cosi parla un prode, vi confortate; ecco il frutto che il Vostro sangue ha fatto germogliare. Il sogno di noi tutti; lo scopo sacrosanto della nostra vita e pel quale questa spendemmo tranquilli e con orgoglio, fu raggiunto; Roma è sciolta dalle catene che l’avvinghiavano da secoli; vi placate, o ombre di coloro che perirono per mano del carnefice perchè amarono la patria e la vollero libera…. Là abiterà il primo Re d’Italia nella Roma degli Italiani, fra italiane genti.. Havvi alfine una Italia grande… forte rispettata!

Un mormorio pari a dolce stormir di fronde accolse quei detti; quindi a due, a tre, a quattro, stretti in fraterno amplesso quelle ombre sparirono a poco a poco nella oscurità della notte….

Altri spiriti si sollevano da disadorne fosse, ciascuno mostra all’altro le mortali ferite dalle quali ancor fresco spilla il sangue. Ove vanno essi!… Verso una grande metropoli. Mille e mille sono quegli spettri, e sempre più cresce il loro numero man mano che si avvicinano alla meta… Sorvolano su rovine di case e villaggi; su campi che portano traccie di accanite pugne, e sempre nuove ombre vengono ad ingrossare la già sterminata schiera.

Una grande città si stende ai loro piedi e vi sorgono macerie ancor fumanti, avanzi orribili di splendidi monumenti; veggono atterrata una colonna che rammentava al mondo imprese d’eroi; veggono riboccare le carceri di gente d’ogni età e d’ogni sesso, e fra questi riconoscono amici, parenti, concittadini. Dovunque scorgono i segni d’aspre ed accanite pugne.

Rapidi si tolgono a quel triste spettacolo e altrove volgono…

Ma che! Non son nostri quei forti, quelle città, quei villaggi? Sì. Io qui caddi; ed io là; e noi su quel greto; perchè dunque altro vessillo s’erge su quei luoghi? E quelle scolte sono straniere; altra favella risuona sul loro labbro. Quegli è il nemico che noi combattemmo e che ci atterrò. Miseri noi che non potemmo, cadendo far baluardo co’ nostri corpi all’invasore!…

Cosi gemono quegli spettri.

No. Felici noi, grida una voce, felici noi che non vedemmo una fratricida guerra; che in questa non cademmo, ma nella santa lotta di chi pugna pel suo paese; felici noi che non vedemmo le splendide glorie dei padri distrutte dalle mani dei figli, macchiando di vergogna la gran madre loro…. la Patria. Noi cademmo gloriosi; essi maledetti; noi donammo la vita per respingere lo straniero
dalle nostre terre; essi per incatenarvelo. Felici noi: mille volte felici.

Lugubramente questi detti risuonan nell’aere. Meste sono tutte quelle ombre; ed il disinganno, il dolore, l’ira fa loro morder le mani!…

Quelle afflitte larve lente…. lente, coperto il volto col drappo funereo, sparvero come nebbia, minacciando col pugno e maledicendo invisibili colpevoli!

È la notte dei morti!…

A. CECOVI

Articolo tratto da: L’Illustrazione popolare, Volumi 5-6
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