IL SEPOLCRO DI DANTE

Il divino cantore dei tre regni, come ognun sa, chiuse gli occhi alla luce in Ravenna nel 1321. E nell’antica città presso il Signor di Ravenna, nipote a quella Francesca da Rimini di cui ha cantato, egli scriveva gli ultimi canti del paradiso e i versi rituali che corrono sotto il suo nome.
Prima di morire lasciò un testamento ed un’ epigrafe; in questa lanciava l’ultimo suo dolce rimprovero alla sua città nativa:

Hic jaceo Dantes, patruis extorzis ab oris, Quem genuit parvi Florentia mater amoris.

Qui per crudel sentenza
Esule giaccio ancor,
Dante, cui fu Fiorenza
Madre di poco amor.

Nel testamento raccomandava che alle sue ceneri, se non a lui, fosse un giorno permesso di riposare in Firenze.
È da credere che l’ospite suo, Guido di Polenta, non abbia mancato di adoperarsi a tal dopo: ma i nemici di Dante vivevano ancora, nè gli odi si arrestavano, dinanzi al sepolcro. Quindi, non potendo ricondurre le venerate spoglie nella terra desiderata, il Signor di Ravenna le volle onorare di un monumento egli stesso.
Ma la fortuna non avea cessato di perseguitare quelle povere ossa. Non è ben chiaro quali ostacoli s’opponessero all’ onorato disegno: il fatto sta che Guido morì senza aver potuto incarnarlo, e i suoi successori indugiarono tanto che perdettero la signoria di Ravenna, caduta in potere dei Veneziani. Il podestà mandato a governare quella provincia, avuto notizia del pio legato, si reputò fortunato di raccomandare il suo nome alla riconoscenza de’posteri innalzando una cappella funebre ceneri del grand’esule fiorentino, disegno e lavoro di Pietro Lombardi. Codesto podestà era nobil uomo davvero, di nome e di fatti, e forse fu rimeritato della nobile idea dalla fama letteraria in cui venne il figliuolo, che fu Pietro Bembo, cardinale e filologo assai distinto, come voi tutti sapete.
Ciò avvenne nel 1483, cento o sessantadue anni dopo morto il poeta.
Oltre a due secoli dopo, nel 1692, due altri cardinali, un Corsi e un Valenti di Mantova, quasi veneto anch’esso, curarono che quel monumento fosse ristaurato ed ampliato, come si vede al presente, onde nel 1780 sorse il bel tempietto, disegno del Morigia, ove si trasportarono le ceneri e la scoltura del Lombardi.
È di forma quadrata tanto interna che esterna, coperta di una cupola emisferica, molto elegante, nei cui pennacchi quattro medaglioni o grandi cunei portano l’effigie di Virgilio, Brunetto Latini, Candella Scala, e Guido da Polenta.

L’interno ha la dimensione di metri 8,83 per lato, sopra la porta d’ingresso sta scritto: Sepulcrum Dantis Poetae.
Se la tomba di Galla Placidia, a Ravenna, ci fa presenti gli ultimi periodi della potenza che l’impero degli Augusti ha esercitato nell’Occidente, e quella di Teodorico ci espone la dolorosa ma importante epoca della fusione dei popoli, quella di Dante ci rappresenta una risplendente colonna, innanzi alla quale camminar poterono le società liberate dalle fascie della penosa loro infanzia entrando nella carriera aperta ai loro destini.
Prima di por fino a questo cenno, vogliamo ricordare come due volte si credette veder sorgere un monumento degno del Sommo Poeta, la prima fu quando Michelangelo si profferiva di fargli una sepoltura di sua mano a sue spese, oltre che corre voce che visitando egli le case di Carrara vedesse un gran masso sporgente sul mare e accarezzando di nuovo la sua idea, concepisse l’ardito pensiero di innalzare colà un monumento al fiero Ghibellino. L’altra volta fu in tempi più vicini a noi: Canova mentre scolpiva Napoleone, parlò all’Imperatore del progetto di un monumento a Dante in Santa Croce; Napoleone approvò il pensiero dell’artista ma gli avvenimenti gli tolsero il potere di mandarlo ad effetto.

A. F.

Tratto da L’illustrazione popolare

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