IL CAPODANNO IN CINA

(Nota Bene scritto del 1895)

Come si sa, il Capodanno cinese non coincide col nostro, bensi col 26° giorno del gennaio giuliano.
A proposito, un mandarino di 5a classe, segretario-interprete d’una missione europea del Celeste Impero, dà i seguenti ragguagli sulle feste che colà si celebrano in quella ricorrenza.
Anzitutto distinguiamo: l’anno cinese è un anno lunare, non già solare; per conseguenza, ogni tre anni esso ha un mese intercalare,
Durante l’ultimo mese dell’anno, in Cina ci si occupa unicamente delle disposizioni a prendersi pei festeggiamenti in onore del Capodanno.
Gli uffici pubblici governativi per un mese rimangono chiusi; la cerimonia della chiusura viene preceduta dall’esposizione dei sigilli di Stato.
Ci si fa uno scambio di doni, come da noi, quando si può farlo. Soltanto s’ ha da avvertire che gli oggetti mutuamente regalati devono esser sempre di numero pari.
La superstizione cinese considera il numero impari come un numero nefasto; il pari come un numero benaugurale.
Cosí allorquando si fanno dei donativi in occasione del funerale d’un amico, prevale sempre il numero impari.
Si è detto, dunque, che per celebrare degnamente l’anno nascituro, i preparativi, nelle famiglie, durano tutto il mese precedente.
Prima e precipua cura è la manipolazione delle offelle dette dell’anno. É rituale il sacrifizio al Nume della cucina, divinitá rappresentata da una minuscola immagine, grossolanamente disegnata e collocata in una apposita nicchia.
Dapprima essa deve subire una ripulitura completa, dopo la quale secondo la credenza cinese il preteso Iddio se ne va a raggiungere l’assemblea annuale dei suoi simili e a dar conto degli interessi e delle azioni della famiglia da lui tutelata e protetta.
Per tal modo il nume fruisce d’un congedo di dieci giorni, durante i quali egli è esonerato da ogni occupazione in rapporto ai suoi pupilli.
I Cinesi sono persuasi che gli Iddii d’un ordine superiore vengano in persona in carne ed ossa a visitare la terra, in codesta epoca, nel corso d’una settimana. E però mettono in bell’ordine la casa e la mantengono insolitamente pulita e rassettata.
Tale cura, anzi, è spinta anche all’esagerazione: nulla deve insozzare il pavimento delle abitazioni: guai se un chicco di polvere, guai se una ragnatela si mostrano all’occhio indagatore dei Cinesi!
Nè tutto ciò basta: si fanno anche delle offerte ai Lari ed ai Penati, onde sieno propizi ai famigliari. Tali offerte sono accompagnate dalle discutibili armonie del gong e dagli scoppi di petardi sparati a più centinaia nelle strade.
La vigilia dell’anno nuovo la città appare un vero e proprio teatro, meglio caravanserraglio; tanto vi è di movimento e di baraonda.
Verso le sette ore di sera tutti i membri d’ogni famiglia rivestono i più begli abiti; la stanza principale della casa s’illumina sfarzosamente; le suppellettili si strofinano con meticolosa diligenza.
Nel centro è una tavola, che per l’occasione si converte in mobile di cerimonia. Vi si poggia al disopra una sedia altissima, sul cui dorsale sono sciorinate tre immagini religiose. Dinanzi a queste si dispongono tre tazze di tè e tre coppe di vino, poichè, in Cina, sempre usa collocarsi davanti agli idoli l’offerta in triplice dose.
Un po’ più in là dodici altri bicchieri pieni di vino rappresentano simbolicamente i dodici mesi dell’anno.
Inoltre la tavola è guernita con abbondanza di frutta, legumi primaticci, incenso, ceri, vino, chicche e – indispensabilmente di tre piatti, che contengono carni di pesce, di maiale e di volatile.
Giù giù per la tavola, e sull’impiantito, si distende un tappeto vermiglio, sul quale s’assidono i componenti la famiglia per farvi in comune la preghiera prammaticale.
Dopo di che vengono tolte alla vista le sacre immagini, e bruciate con un involtino di carta argentata, annunziandosene la combustione con tre colpetti d’un cannoncino giocattolo.
Indi la famiglia si reca nella cucina e vi compie i sagrifizj d’uso al proprio Dio domestico, che è – si suppone – ritornato dal suo viaggio celestiale.
Un pietoso costume vuole che a questo punto si renda omaggio commemorativo agli antenati della famiglia; ma solo a quelli del ramo maschile, raffigurati in effigie e in tavolette, sulle quali ne è scritto ed inciso il nome.
Si serve ai degni Patriarchi una scodelletta di riso cotto e una di vino, non dimenticando di collocare a portata delle loro mani il solito paio di bacchettine d’osso o di legno, che presso i Cinesi fungono da forchetta.
E allora viene il meglio: pasciuti gli avi, buon’ anime, i nepoti si rimpinzano alla lor volta, uniti a banchetto.
Il preciso momento che segna la fine e il principio delle due annate, viene spiato e segnalato con attenzione scrupolosissima: tutti, uomini, donne, fanciulli, si mantengono ritti in piedi: al primo chiaror dell’alba ciascuno attacca entusiasticamente le offelle dell’anno e lo inzuppa in un vaso di vino inzuccherato.
Sull’orizzonte, intanto, si leva il disco fulgido del nuovo sole: tutti sorgono in piedi e s’incamminano per andar a salutare gli Iddii della famiglia e della città, gli antenati e i parenti ancor vivi.
È il gran momento della scadenza dei reciproci augurj e complimenti.
Momento, passi il vocabolo, che dura non meno di otto o dieci giorni.
Invece, nel Capodanno, nessuna famiglia riceve fuorchè i proprj intimi, senza contare coloro, e non sono pochi, che pagano l’ inevitabile tributo all’immane fatica sostenuta per una decade di visite e convenevoli, mettendosi a letto, mezzo morti.
Nei due o tre primi giorni dell’anno nuovo le botteghe non si aprono, eccettuate quelle dei fruttivendoli, e le baracche delle indovine e degli auguri.
Prudentemente ciascuno ha fatto dapprima le sue provvigioni alimentari per tutta la settimana.
Nelle vie, frattanto, insiste un frastuono assordante di gong, tamburi, violini e pedardi.
Nessun negozio importante si tratta in quei giorni; anzi, prima di ridarsi ai consueti traffici, i commercianti si sentono in dovere d’interrogare gli astrologi…

Tratto da: Le missioni francescane in Palestina ed in altre regioni della terra – 1895
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