Il lusso nell’antica Venezia

Il lusso e la magnificenza del vestiario che portavano le antiche dame venete, ebbe origine dai crociati veneziani e dal commercio coll’Oriente. Prima del 1071 i veneziani vestivano con semplicità. In quell’anno, il loro Doge, condusse in moglie una figlia dell’imperatore di Costantinopoli, Costantino Ducas.
Ella portò seco abiti e cose di lusso orientali, le quali fecero molta impressione sulle sue semplici contemporanee venete.
La Principessa era solita lavarsi nell’acqua odorosa, si copriva il corpo di profumi e di preziose pomate e tutte le mattine si bagnava (dicono) il volto colla rugiada raccolta apposta per lei dalle sue schiave. Le cronache del tempo parlano con disprezzo dell’uso che faceva d’acqua d’arancio, de’ suoi guanti profumati, delle sue vesti di seta e della bacchettina d’oro colla quale era solita portarsi il cibo alla bocca; le cronache dicono che il Signore Iddio volle condannare questo lusso sfrenato e da ciò la salute delicata e la morte prematura della Principessa.
Se chi scriveva così avesse veduto, pochi secoli dopo, come si diffuse il lusso a Venezia e come vi si abbandonassero non solo le donne, ma anche gli uomini, avrebbe davvero avuto ragione di temere per la stabilità della repubblica.
Tutti noi conosciamo dalle tele del Tiziano, di Paolo Veronese e d’altri come fossero ricchi gli abiti delle signore venete; ricordiamo le ampie maniche, le pettinature piene di gioielli, le vesti di preziosa stoffa, e inoltre i lunghissimi strascichi dei quali si lagna Cristoforo Moro, dicendo: – Le stravanze delle donne nelle vesti e nei gioielli portò alla rovina molte famiglie e dalle leggi che troviamo possiamo giudicare a che punto fosse giunta quella sfrenatezza.
Come prova della eccentricità delle donne, citeremo gli stivaletti col tacco altissimo (più di adesso!) Che portavano tutte. Quegli stivaletti inventati sul principio per salvare i vestiti dalla mota giunsero ad una altezza cosi eccessiva che tra suolo e tacchi misuravano quasi un piede; per conseguenza, le signore venete camminavano con grandissima difficoltà ed eran costrette a condur sempre seco quando uscivano due cameriere e due camerieri per farsi sorreggere e non cadere in terra. Per impedire questa follia e questa spesa inutile, furono emanati alcuni statuti, ma un decreto del governo dice: “Le signore di Venezia danno poca retta ai nostri ordini.”

Quelle adoratrici della moda gettavano nei loro bagni il muschio, l’ambra, l’aloe, la mirra, le foglie di cedro, e balsami, si tingevano col carminio le pallide guance e, durante la notte, si mettevano sul viso delle fette carne cruda, tenute per parecchie ore nel latte, e che servivano a dileguare (secondo la loro credenza) il pallore prodotto dalla dissipazione. Si conservano ancora a centinaia le ricette strane per preparare gli unguenti destinati a render morbide le mani, rosee le unghie, e lucente la pelle e di queste ricette ne abbiamo già discorso… In:

Corbellerie di una volta.

Ricetta: Se la vostra pelle è oggi un po’ ruvida e volete che gli ammiratori vostri ve la paragonino, domani al velluto? “Eccovi l’unto da viso”. Pigliate lire due di lardo più bello che possi avere et fatelo pestar bene un minuto e poi torrete aceto fortissimo bianco e mettete in una pignata di terra invetriata e fatele un coperchio di piombo e sotterratelo in terra con l’aceto e il lardo et oncia mezza di solimato e, lasciatolo star per quaranta giorni, lo torrete, e bisogna che la stia dove batte il sole, e come gli bisogna, ongetevi le palme delle mani e fregarete il vostro viso e questo si domanda grasso sotto terra.


Avete macchie non sulla coscienza, che è un altro affare, ma sulla faccia? Ecco quel che dovete fare per mandarle via: “Pigliate… (il nome del solito liquido) d’asino e laverete la faccia, che sarà opera bella”…

Nell’interno delle loro stanze sontuose, le donne venete consacravano molto tempo alla musica o al canto dei madrigali; facevano poco moto, all’infuori delle passeggiate in gondola. Il loro giuoco prediletto era quello degli scacchi, ma anche in questo modesto divertimento davano prova di un lusso sfrenato; solo i pezzi riccamente scolpiti in oro ed in argento, ornati di calcedonio, diaspro, pietre preziose o di finissimo cristallo potevano soddisfare il loro gusto. Alle donne venete piacevano anche molto i giuochi d’azzardo e scrittori autorevoli assicurano che a Venezia appunto fossero inventate le carte da giuoco. I tarocchi il gioco prediletto, e per esso si facevano delle carte eleganti disegnate e stampate, come richiedeva la legge col permesso del Senato. Ma i danni del giuoco non tardarono a manifestarsi, e ce lo dice un decreto emanato nel 1506 dal Consiglio dei Dieci, il quale proibiva i giuochi di azzardo, la vendita delle cart e dei dadi, ed obbligava i servi a fare la spia ai padroni se questi giuocavano in casa propria. Questo decreto deve però essere stato annullato poco tempo dopo, perchè, negli ultimi tempi, si giuocava a Venezia in modo spaventoso; il Ridotto ed i Casini di Venezia erano inferni ancora più terribili di quelli d’oggi a Montecarlo ed Amburgo.

Tratto da: L’illustrazione popolare – 1882
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