I detective selvaggi

INTELLETTUALI ALL’AVVENTURA

Ho già avuto modo su questa rivista di elogiare Roberto Bolaño a proposito dell’ottimo 2666 (Adelphi), non voglio aggiungere ulteriori lodi, ma trovo doveroso accennare al libro che da un punto di vista cronologico e creativo precede 2666, e che per altri riferimenti contribuisce a collocarlo: si tratta de I detective selvaggi (Sellerio, a proposito, un pensiero a Elvira Sellerio, scomparsa ai primi di agosto) un altro testo complesso e vitale.

Anche in questo caso si tratta di un’opera composita, fatta di tre parti, la prima e la terza, più brevi, scritte in prima persona da uno dei personaggi, la seconda, centrale, molto più lunga, che consta di una serie di dichiarazioni dei protagonisti o di comprimari vari che hanno comunque avuto rapporti con i personaggi principali. Fra l’altro queste dichiarazioni, che appaiono come delle lunghe risposte ad un’ipotetica intervista, o come delle testimonianze, si collocano, come è logico, in luoghi ed in tempi diversi, come se l’autore fosse andato a cercarle per realizzare una documentazione.
Al lettore spetta il compito di avventurarsi tra queste tracce, apparentemente frammentarie e discontinue, e di ricostruire la vicenda. Che è poi, per riassumere allo stremo, la storia di due poeti, uno messicano e uno cileno, del movimento di avanguardia che hanno fondato, dei loro amici e delle relative avventure, alla ricerca di una poetessa misteriosa e alle prese con altri guai, anche seri.
Avventure di intellettuali, questo è lo strano: i personaggi sono colti e disperati; sono in grado di sfidare e di confondere il nostro immaginario collettivo che vuole il romanzo di azione fatto di pistoleri, di avventurieri, di poliziotti privati. Loro sono in definitiva degli uomini d’azione, pur provenendo da un’estrazione culturale che dovrebbe avere a che fare solo con la riflessione e la creatività.

Qualcosa, questa particolarità dei personaggi, che, con le opportune varianti, troviamo anche in 2666 e che a questo punto appare come una delle caratteristiche di fondo della scrittura di Bolaño, una cifra stilistica: la capacità di far scaturire l’avventura da protagonisti improbabili e apparentemente poco adatti alla parte.

I detective selvaggi è un testo che ha, fra gli altri pregi, quello di essere dialogico (per usare una efficace categoria critica di Bachtin), di moltiplicare i punti di vista, di far vedere che la verità è molto più complessa ed articolata di come appare ad un primo sguardo. E che ha il merito di mettere in primo piano e di valorizzare una generazione centro e sudamericana, animata dalle sue suggestioni e dai suoi sogni, collocata in un contesto crudele e violento dentro il quale è comunque costretta a muoversi e difendersi.
Per certi versi una condizione estrema che diventa paradigma delle problematiche dell’oggi

Antonio Socal
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Articolo precedentemente uscito su L’Avocetta e qui pubblicato di nuovo per gentile concessione.