FANTASMI

Sulle nostre Alpi trovansi molte leggende che dicono delle cose strane intorno a certe processioni di morti. Vollero forse gli alpigiani che le immaginarono in parte trasformando pure antiche credenze, significare ch’essi non sanno abbandonare le montagne neppure dopo la morte?

Ho trovato la più antica leggenda su questo proposito nella vecchia Cronaca della Novalesa, ove dicesi degli spiriti benefici, che apparivano ai frati, e si aggiravano di notte intorno al monastero, in tal quantità, secondo il cronista, che non potrebbero essere in maggior numero gli abitanti di una città che uscissero tutti dalle sue porte, per la processione delle Rogazioni.

Questi morti sono in certe regioni creduti spiriti benefici. Nella Valle di Susa, andavano, in aspetto di bianchi fantasmi intorno alle rovine della storica ed antichissima chiesa di San Lorenzo in Oulx. Erano monaci santi stati uccisi dai Longobardi, e che pregavano ancora mentre andavano in processione (2).

Nelle Valli di Lanzo i morti passano silenziosamente da montagna a montagna o da valle a valle. Qualche volta soccorrono i pastori smarriti. Essi hanno il mignolo acceso col quale rischiarano la via, perchè non sono risplendenti come il popolo notturno di spiriti, secondo le leggende germaniche, e se perdono quella triste fiammella, soffrono un vero martirio, dovendo continuare senza luce il notturno viaggio.

Nell’estrema parte della Valle di Andorno, nel Biellese, sonovi le processioni ascendenti e le discendenti che vanno sempre per la medesima via; forse anche verso i fianchi scoscesi delle Mologne. I morti portano pure un lumicino il quale però risplende all’estremità di un osso umano, ed una leggenda, che udii verso l’imponente Santuario di Oropa, dice che le buone massaie, usavano di sera, prima che divenissero comuni i fiammiferi, di accendere il lume quando passava la processione dei fantasmi.

Un’altra leggenda del Biellese dice che i morti escano a mezzanotte dalle tombe che vengono toccate dalla magica bacchetta di un cavaliere vivente, il quale deve accompagnarli nel loro viaggio, (3) e se apronsi i sepolcri, ed i bianchi fantasmi si alzano in mezzo alle rose ed alle croci, nel camposanto di Rosazza, così poetico fra le montagne, al chiaror della luna, la scena deve essere di un effetto tale, che solo una penna pari a quella di Goethe potrebbe ritrarla dal vero.

Nella cappella degli Olmetti, che vidi in parte selvaggia e triste della Valle di Viù, a mezzanotte, secondo una credenza popolare, i morti si raccolgono per sentire la messa detta da un misterioso sacerdote, mentre un sagrestano invisibile suona la campana a terrore di una misera borgata vicina, ove trovansi degli alpigiani che sarebbero pronti sempre ad affrontare la morte, fra

(1) Da un libro sulle Leggende delle Alpi, di prossima pubblicazione.
(2) Des Ambrois, Noticé sur Bardonnèche.
(3) Maffei, Antichità Biellesi.

la luce del sole, sui varchi alpini, innanzi ai nemici d’Italia, ma non passerebbero mai di notte, vicino alla bianca cappella ascosa fra gli olmi.

Sui monti del Trentino è anche generale la credenza nelle processioni dei morti. Dicesi che levansi alla mezzanotte del primo novembre dopo che i lenti rintocchi delle campane, che hanno cominciato a suonare nei villaggi fin dalla sera, li hanno destati. Essi vanno a visitare le proprie case, ove trovano sopra ogni desco delle scodelle piene di una minestra, preparata specialmente dalla famiglia per quell’occasione, con orzo, fagiuoli, rape e patate. (1)

I morti escono di nuovo nella notte del due novembre per andare in processione nelle valli e sui monti del Trentino. Come i loro fratelli delle Valli di Lanzo e del Biellese, hanno un lumicino in mano, ma non sono affatto innocui. Narrasi di una donna che di notte, imprudentemente, tolse ad uno dei morti la fiammella che egli portava, ella voleva accendere un lume che il vento aveva spento, e si avvide con sommo suo sgomento che al lume era attaccato il braccio stecchito di un morto. Nella sera seguente, quando volle restituire all’ombra vagante, che tornava nella propria tomba, il lume ed il braccio, tenne allato un bambino per evitare la vendetta del fantasma, il quale nel riprendere quanto gli apparteneva, le disse di non più disturbare i morti nel loro triste viaggio.

Si può notare la relazione che tante leggende hanno le une colle altre mentre par che quasi tutte le anime vaganti abbiano molto desiderio, che non vadano perdute le ossa dei corpi, ove furono albergate nel tempo della vita mortale, ed a questo proposito ricorderò una pietosa leggenda della Valle di Varaita, in cui dicesi di un cimitero abbandonato che trovasi sul pendio di una montagna. Alcune volte il terreno frana alquanto in quel sito verso la valle, e, se avviene ad un alpigiano di trovare fra la terra caduta un osso umano, egli va a deporlo in Chiesa, ma, se le ossa sono cadute in una certa quantità, le raccoglie tutte pietosamente e va a portarle di nuovo in alto nel camposanto, mentre s’allieta in cuor suo perchè sa che da quel momento le anime dei poveri morti ai quali appartennero sapranno beneficarlo per la compassione mostrata, e manderanno infinite benedizioni sulla sua famiglia, ad anche sopra i suoi beni se ne possiede. (2)

Nella sua Storia della Monarchia Piemontese, Nicomede Bianchi narra pure di queste processioni dei morti, ricordando altra leggenda Biellese, presso la Valle Mosso, ma non trattasi più di Santi come nella Valle di Susa; invece la credenza popolare si avvicina a quella delle nazioni germaniche, che ritiene qualche volta gli spiriti notturni come nemici della Chiesa, ed infatti queste processioni sarebbero formate dalle anime dei seguaci di Fra Dolcino e della sua bellissima compagna, vaganti sulle montagne.

Nelle leggende di certe regioni tedesche delle Alpi, ricorre anche Todtenvolk o popolo dei morti. Costoro vanno specialmente nelle valli verso la mezzanotte, e formano una specie di corteo funebre, il quale partesi non già da un camposanto, ove i morti dovrebbero avere le loro scure dimore, ma dalla casa di una per-

(1) Annuario degli Alpinisti Tridentini 1885 – 86. Nescio, Usi e costumi del Trentino.
(2) Debbo alla cortesia della signora Maria Bobba questa leggenda, ed alcune altre che essa raccolse nella valle di Varaita.

-sona che dovrà morire fra breve tempo. Si vuole che fra quei fantasmi si possano vedere le figure dei montanari che nel corso dell’anno dovranno morire.

La processione del Todtenvolk, va innanzi seria e pacifica. Qualche volta al suo passaggio odesi, come il ronzio di molte api; altre volte ancora, come anche avviene per il Nachvolk, o popolo notturno, odesi al passaggio dei morti una musica assai flebile.

La credenza in questi cortei funebri, che in certo modo vanno profetizzando intorno alla sorte degli alpigiani, ritrovasi con qualche variante anche nel Tirolo; colla sola differenza che la figura somigliante, a quella dell’alpigiano condannato a prossima morte, vedesi subito dopo il feretro che vien portato da altri fantasmi.

Forse negli innumerevoli racconti che trattano delle processioni dei morti, trovansi fra gli alpigiani, le remiscenze più vive di certe leggende divenute popolari in lontanissimi tempi, e che furono notate da antichi storici e poeti, i quali mostrano le anime dei morti erranti sulla terra, ora predicendo l’avvenire, ora cagionando ai vivi inenarrabile spavento.

Noi possiamo dire che sono assai bizzarre queste credenze. Ma immaginiamo le montagne, le valli alpine nella notte, mentre spesso la nebbia toglie che si vedano scintillare le stelle, ed in quella solitudine odesi solo la voce cupa dei torrenti, o sale nell’alto con una minaccia, l’assordante rumore delle cascate, ed il vento ulula senza posa in mezzo ai larici ed ai faggi. Immaginiamo pure nell’oscurità, fra quei pericoli di morte, o in mezzo ai turbinii di neve, sui colli e sulle creste, la bianca processione che va per la sua via, e spesso colla debole luce, delle fiammelle rischiara appena spaventevoli ammassi di rupi e nere pareti, e troveremo che solo Dante o Shakespeare avrebbero potuto, colla fervida fantasia, ideare il quadro così grandioso e triste che gli alpigiani vedono fra i terrori della notte.

In certe Alpi della Svizzera gli spettri notturni assumono però forma grottesca. Sono fantasmi di vacche i quali vanno in giro sulle montagne, e con ogni cura gli alpigiani evitano di trovarsi sul passaggio di quelle processioni diaboliche!

Da una leggenda il Goethe trasse argomento pel suo capolavoro, e, se non si sapesse ch’egli fu appassionato alpinista (1), basterebbe la lettura del Faust a chi ha studiato lungamente fra le Alpi, per intendere quanta parte era rimasta nella sua fervida mente, delle leggende che vengono narrate dai montanari.

Nell’ultima parte del Fausto appariscono gli anacoreti, che sono dispersi sui monti, schiere di fanciulli, e nel vederli uno di quei santi uomini esclama:

Qual nebbia porporina
Di mezzo ai rami degli abeti ondeggia!
Ah! il cor ben indovina
Son queste le beate
Schiere dei fanciulletti,
Nel vivo lume dal desio portate,
Il giovin coro degli spirti eletti.

Di certo nel descrivere la scena fantastica, il Goethe ricordò in qualche parte una delle tante varianti che trovansi nelle leggende che riguardano la dea Bercht,

(1) Nel libro del Rambert: Les Alpes Suisses trovasi un capitolo importante in cui dicesi della passione di Goethe per le Alpi e dei diversi viaggi ch’egli fece nelle valli e nelle montagne, forse in cerca di nuove e potenti ispirazioni.

ed in cui dicesi ch’ella è seguita sulle montagne dagli spiriti d’innumerevoli fanciulli. (1)

Ho già accennato agli spiriti che in certe regioni alpine vengono detti Nachtvolk e mi sembra che formino un gruppo il quale vada messo pure fra il seguito della dea Bercht ed il popolo dei morti. Essi si aggirano anche nelle case abitate, senza recar danno ad alcuno.

In altra parte del Fausto troviamo Mefistofele il quale chiama i Lemuri, specie di spettri anche famigliari, che nell’antichità ebbero, seconda la credenza popolare, aspetto di scheletri e si mutarono nel Medioevo negli spiriti dell’aria. (2)

Goethe però ci mostra ancora costoro come scheletri, i quali scavano una fossa, ricordando i tempi lieti della giovanezza, ma ritroviamo questi spettri nella loro medioevale trasformazione sulle Alpi, ove altre leggende narrano degli aerei spiriti che, nel loro viaggio notturno, suonano una musica di una dolcezza tale da ammaliare coloro che l’odono.

Per un’altra strana confusione avvenuta nella coscienza popolare, fra tante credenze e reminiscenze diverse, gli aerei suonatori diventano con frequenza maligni e terribili come i cacciatori selvaggi, ed uccidono spietatamente i coraggiosi alpigiani che osano qualche volta chiedere di essere ammaestrati nella soave arte del suono ch’essi conoscono profondamente; o altre volte ancora se gli aerei spiriti trovano qualche ostacolo sul loro passaggio, avendo gli alpigiani della regione ove si aggirano, dimenticato di lasciare aperte le porte e le finestre al primo piano delle loro abitazioni, essi fanno un chiasso infernale. (3)

Forse in quell’ora il vento della tormenta flagella le roccie e dei gemiti passano nelle foreste di abeti da ramo a ramo!

Oltre questi spiriti innumerevoli che vanno di notte mettendo una vita misteriosa fra le montagne, in mezzo ai mille pericoli delle valanghe, delle repenti inondazioni, e delle terribili tormente, la fantasia popolare crede in altri spiriti che possono dirsi famigliari, ed ora sono benefici, se vengono usati loro infiniti riguardi, ora si ribellano a cagione delle minime offese e ne fanno acerba vendetta.

Questi spiriti o folletti sono detti servitori nelle Alpi Valdesi; ma pare che alla stessa famiglia diabolica appartengano altri gruppi detti in alcuni villaggi alpini Schrättlige, e, che specialmente verso le regioni bavaresi, chiamansi anche Trude.

Questi folletti, secondo la credenza degli alpigiani, entrano nelle camere da letto e si posano sul petto delle persone addormentate, che sentono un peso enorme del quale non riescono a liberarsi, mentre sognano cose spaventevoli e sono affannate in modo inenarrabile.

Uno Schrattlige può a suo talento volare di giorno in forma di farfalla e mutarsi in gatto, ed anche quest’ultima forma può essere presa dalle streghe malefiche, poichè l’Heine scrive nei Reisebilder:

E la gatta l’è una strega
Che furtiva a notte scura
Va sul monte degli spiriti
Del castel fra l’atre mura. (4)

(1) Le leggende che riguardano questa dea trovansi nel capitolo delle fate.
(2) Nota di Giuseppe Gazzino, nella sua traduzione del Fausto.

(3) Berlepsch.
(4) Traduzione del Suardo.

Anche a questo proposito accennerò che la stessa credenza in una simile trasformazione io trovai nelle vicinanze di Lemie in Val di Viú, ove credesi che se avviene ad una persona di vedere un gatto di notte nella valle, così selvaggia e paurosa in quel sito, essa non ha incontrato altro che una strega maledetta.

Questa credenza è ancora estesa in altre regioni, anche nella pianura a piè’ delle Alpi, ma fu assai nota generalmente nel Medioevo. Si scrissero dei volumi per provare che i fattucchieri, le streghe, i maghi, si compiacciono di mutarsi in gatti, ed anzi nella metà del secolo scorso, mentre anche fra i dotti si conservavano infinite superstizioni, avvenne che nella città di Metz, quando facevansi le fiammate in onore di San Giovanni, si bruciavano gatti chiusi in gabbie di legno, e forse credevasi di aver vinta ogni malefica arte di magia. (1) Ma, ritornando ai folletti dei sogni cattivi, si può pensare che lo Schrättlige sia compagno del Calcarot della valle di Genova, (2) ed è il caso di domandare per quale strana e misteriosa diffusione di assurde leggende si può ritrovare codesta bizzarra creazione della fantasia popolare non solo in molti paesi della Germania ma anche nelle terre dell’Italia meridionale, perchè ricordo come in un sogno, di aver sentito parlare laggiù, del monaciello che tormenta al pari dello Schrättlige le persone addormentate.

Forse, mentre le scienze occulte trovavano appassionati cultori in tanta parte di Europa, e le tenebrose arti della magia si diffondevano fra le genti ignoranti e gli scienziati creduli e superstiziosi, vi dovettero essere fra i tanti gruppi di spiriti diversamente classificati, certi tipi conosciuti in maniera più generale, e dei quali è rimasta memoria nelle leggende e nelle tradizioni popolari di molte regioni.

Vicino allo Schrästlige, il quale è invisibile se non prende forma di insetto o di gatto, si può anche collocare un altro spirito alpino detto il Doggi, il quale ha però aspetto di mostro con figura umana e corpo di animale. Costui è una specie di vampiro che tormenta di notte gli abitanti di certe regioni alpine, ai quali non basta di vivere a stento nei miseri borghi, fra la tristezza degli inverni rigidi ed eterni, fra le minaccie delle valanghe, delle frane o i pericoli dei nevati e dei ghiacciai, ma si vedono ancora intorno, colla fantasia accesa, tristissime processioni di morti, o spiriti malefici intenti a tormentarli spietatamente!

MARIA SAVI LOPEZ.

(1) Dal volume Curiosità e ricerche di storia subalpina, in cui trovasi uno studio bellissimo e dotto assai del cav. Vaira dal titolo: Le Streghe nel Canavese.
(2) Parlasi di questo Calcarot nel capitolo che tratta dei demoni alpini.

Maria Savi-Lopez (1846 – 1940), musicista, poetessa, insegnante e studiosa di folklore italiana.

Articolo tratto da: Cronaca minima: rassegna settimanale di letteratura e d’arte.
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