Economia all’idrogeno

La prossima grande Rivoluzione
Jeremy Rifkin

Di questi tempi si discute molto, a volte con una certa animosità, del problema, sempre più incombente, di alternative al nostro vivere quotidiano: si cercano alternative all’automobile, al trasporto inquinante, alla presenza capillare delle antenne, all’uso delle materie pericolose. Così, gettando uno sguardo superficiale alla querelle in corso, mi ero convinto che il problema maggiore fosse legato ad interessi economici forti in grado, almeno nel breve periodo, di piegare la volontà popolare (o, se preferite, l’opinione pubblica) al proprio interesse.

Con una certa sorpresa, invece, più dettata da una certa malizia che da inaspettato cambio di rotta, ho trovato, pubblicato sul National Geographic, un articolo sulla possibilità di produzione delle energie alternative e di come queste suscitino vivaci proteste nelle zone in cui vengono proposte. Proteste? Per la produzione della cosiddetta energia pulita? Si, proteste per motivi piuttosto intuitivi. Soffermiamoci sulla produzione di energia eolica. Non possiamo pensare ai poetici mulini a vento dell’Olanda, semplici pompe per sollevare l’acqua o macinare la farina. Dobbiamo invece immaginare una ampia e ventosa valle con una dozzina di torri di acciaio, bianche, alte una decina di piani o più, con gigantesche pale che ruotano al ritmo del vento. Ecco l’obiezione: il paesaggio ne viene massacrato.

Uso delle biomasse? Non le vuole nessuno. Sono assimilate ai rifiuti e nessuno vuole fare l’immondezzaio degli altri, anche se questo permetterebbe non solo un risparmio (non paghiamo nessuno perché porti via la nostra immondizia) ma, addirittura, un guadagno (si produce energia e materiali utili per l’industria che ora vengono acquistati all’esterno ed a caro prezzo).

Il solare? È senz’altro la fonte più pulita ma bisogna tappezzare pezzi di pianeta perché si riesca a convertire sufficiente energia per sostenere il nostro modo di vivere.

Queste fonti hanno poi un problema, molto serio: non sono costanti. Il solare, banalmente, non funziona di notte e con il cielo coperto; l’eolico non produce in assenza di vento. Servono allora batterie ed accumulatori che possano supplire nel frattempo. Ma questo “frattempo” quanto dura? La capacità di immagazzinamento a disposizione sarà sufficiente? E se le batterie terminano?

La proposta che, sempre più spesso, viene portata avanti, prevede l’uso massiccio ed intensivo dell’idrogeno come fonte di energia pulita e rinnovabile, essendo la materia più diffusa nell’Universo. La domanda che mi sono posto è: come può l’idrogeno essere una fonte di energia, visto che non esiste libero (come idrogeno puro, intendo) in natura, ma deve essere prodotto tramite processi chimici? In particolare, processi che consumano energia?

Questo è stato motivo sufficiente per affrontare un testo oramai più che noto. Parlo di “Economia all’idrogeno” di Jeremy Rifkin. Una lettura che, se affrontata con il giusto senso critico, ritengo consigliabile a chiunque voglia cercare di fare chiarezza sul problema.

Il libro credo si possa idealmente suddividere in due parti. La prima parte disegna un quadro piuttosto preciso dell’uso del petrolio nella nostra società, partendo dall’evoluzione industriale che ha visto in primo luogo l’uso della legna, quindi del carbone ed infine del petrolio stesso. La seconda parte, invece, prende in considerazione l’idrogeno e le forme con cui questo potrebbe essere proficuamente impiegato per il nostro futuro.

Il quadro che emerge dalla lettura del libro non è certo dei più rassicuranti. La tastiera che utilizzo per scrivere questo articolo è di materiale plastico, così come buona parte del computer e del monitor. Di materiale plastico è il cellulare che ho nel taschino della giacca ed il palmare nella tasca destra. Ah, la fodera della giacca, leggo l’etichetta, è 100% viscosa. Per muovermi uso l’automobile e consumo benzina, ma se avessi preso l’autobus avrei consumato gasolio, così come i camion che portano le merci nei negozi e nei supermercati. Certo che se il costo del petrolio dovesse davvero raggiungere i 144 dollari al barile, come Osama desidererebbe, allora si che sarebbero guai. Non tanto per i settanta chilometri al giorno che dovrei fare in calesse od in bicicletta, ma dovrei usare di nuovo le candele: chi la paga la corrente elettrica? Ops, io lavoro con i computer: senza corrente e senza gasolio… temo che sarei anche senza lavoro. E l’agricoltura? Senza i pesticidi di origine chimica, quasi tutti derivati dal petrolio, si riuscirebbe ad avere ancora cibo per tutti?

La legge del mercato vuole che al calare dell’offerta, stabile la domanda, i prezzi salgano. Ahi, ahi, si mette male.

Per colpa di chi? Dell’uragano Katrina che ha spazzato via 20 piattaforme nel Golfo del Messico? O dei produttori di petrolio Arabi che non vogliono aumentare la produzione?

Sapevate che in Arabia il problema maggiore è l’educazione delle persone? O lavorano nell’estrazione del petrolio o lavorano per lo Stato. Ovviamente tutto questo ha un costo, notevole. E la riduzione della produzione, o del costo al barile, quindi degli introiti, crea malumore e disoccupazione. Disoccupazione di persone che non hanno abilità per fare altro (inventate voi un mestiere in pieno deserto). Così si diffonde una frase emblematica del sentire anche di coloro che i soldi li hanno fatti: “mio nonno usava il cammello, io l’automobile, mio figlio il jet, mio nipote il cammello”.

Qual è il problema? Basta aumentare la produzione. Non è così semplice. Perché il petrolio non è una risorsa illimitata. E i geologi dicono una cosa molto importante: il grafico che mostra la produzione (estrazione) del petrolio ha la forma di una campana. In orizzontale il tempo, in verticale la quantità. Bene, siamo già nella fase discendente.

I geologi stimano che si sia già estratto più del 50% del petrolio disponibile sul pianeta e che quindi, in futuro, sarà sempre meno e costerà sempre di più. Inquietante vero?

A questo, aggiungiamo anche “il carico”.

Un sistema, un qualcosa di funzionante, in senso generico, tende spontaneamente all’equilibrio. L’esempio classico è il lago con i pesci. Se i pesci sono troppo pochi, non ne nascono abbastanza e si estinguono. Pazienza. Se i pesci sono troppi, non ci sono sufficienti risorse (cibo) per tutti ed il loro numero si riduce spontaneamente. In qualche maniera si torna all’equilibrio.

L’uomo no, non lo accetta. All’aumentare della popolazione (in maniera incontrollata) corrisponde un incremento nello sfruttamento delle risorse che, se insufficienti, devono essere aumentate.

Adesso è il turno della Cina salire alla ribalta ma è evidente che non vi siano risorse sufficienti perché un miliardo di cinesi vivano con lo stesso stile di noi occidentali. Ergo, poiché non sarebbe giusto condannarli ad una vita di stenti, sarebbe equo che anche il nostro stile di vita si ridimensionasse. In attesa che lo stesso balzo lo vogliano compiere le nazioni africane.

Rapida sintesi di quanto detto fin qui: sfruttamento delle risorse in netto aumento, disponibilità delle risorse in netto calo, altri pianeti da utilizzare, nessuno.

Quindi?

Quindi lo stile di vita sin qui seguito deve essere ripensato e modificato. Rifkin propone una sua via, in cui ogni famiglia si dota di un macchinario, una cella ad idrogeno, che ora si ricarica dalla rete elettrica quando il consumo è basso, ora genera energia e distribuisce il surplus alla rete elettrica così che vi sia acquisto e vendita di energia da parte di tutti, una sorta di enorme sistema a matrice.

Percorre inoltre soluzioni cooperative per la creazione e la gestione di centrali, soluzioni già adottate in altri settori, con un certo successo.

Sarà questa la soluzione definitiva al problema energia? Nessuno di noi lo sa, nemmeno l’autore il quale ben dice che trattasi di ipotesi, di proposte. Ciò che è certo è che è necessario mettersi una mano sulla fronte e fare, sin nelle piccole cose, scelte responsabili.

ECONOMIA ALL’IDROGENO
La prossima grande rivoluzione
di Jeremy Rifkin
Editore Saggi Mondadori
Pagg. 344
Data Pubblicazione Gennaio 2002
Genere Saggistica – Economia – Finanza Etica
Cpertina Cartonata

Fabio Spinozzi
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Articolo precedentemente uscito su L’Avocetta e qui pubblicato di nuovo per gentile concessione.