SII SOTTOMESSO

LA VIRILITÀ PERDUTA CHE CI CONSEGNA ALL’ISLAM
ÉRIC ZEMMOUR

C’è una maledizione femminile che è giusto il rovescio una benedizione
Loro non distruggono, proteggono. Non creano, mantengono
Non inventano, conservano. Non forzano, preservano
Non trasgrediscono, civilizzano. Non regnano, amministrano
Effeminandosi, gli uomini si sterilizzano, si inibiscono
qualunque audacia, qualunque innovazione, qualunque trasgressione.
Éric Zemmour

Zemmour è lo stesso autore de Le suicide français, pamphlet ancora inedito in Italia, ma che ha scatenato un acceso dibattito in patria, qui in una ristampa de Le premier sexe uscito in Italia nel 2007 come L’uomo maschio, titolo più aderente all’originale.
L’autore, citando spesso le opere di sociologi ed etnologi degli ultimi decenni, analizza l’evoluzione della società e dei costumi occidentali nell’ultimo secolo, ai quali due guerre mondiali e il femminismo hanno impresso una violenta accelerazione.

L’analisi riguarda principalmente la società francese e secondariamente quella anglosassone, ma si può estendere al resto d’Europa. Quella di Zemmour, in estrema sintesi, è una condanna senza appello del XX secolo. Non si salva praticamente nulla: suffragio universale, parità uomo-donna, rivoluzione sessuale, Sessantotto, divorzio, aborto, ingresso delle donne nel mondo del lavoro.
La storia degli ultimi cent’anni è una lenta e progressiva “femminizzazione” della società occidentale, che ha introiettato e si è appropriata di valori femminili smantellando la vecchia società patriarcale che, tuttavia, garantiva l’ordine e la pace sociale attraverso l’esercizio del potere maschile. La società patriarcale poteva apparire rude, talvolta ingiusta, sicuramente ingrata verso le donne, ma era un modello sociale che funzionava, che ha garantito per duemila anni la legge e l’ordine. Nel momento in cui si è abbandonata questa strada, all’ordine è subentrato il disordine, alla legge il caos.

Il libro non ha un ordine cronologico, ma si possono ricostruire le tappe di questa femminizzazione. Il primo passo fu la Grande Guerra. Per la prima volta un Paese affrontò il conflitto con la coscrizione di massa della popolazione maschile, che dopo quarant’anni di pace scoprì il volto spietato della guerra moderna, meccanizzata, rispetto al mito dell’eroica “bella morte”, che gli era stato inculcato per decenni.
Il fango, le trincee, i topi e i gas provocano un trauma da cui l’uomo europeo non si è più ripreso. Il “fardello dell’uomo bianco” diventa improvvisamente troppo pesante da sopportare. Dopo il secondo suicidio collettivo d’Europa, la generazione successiva abbandona definitivamente la retorica bellicista e maschilista: l’uomo rappresenta la guerra e la morte mentre i giovani abbracciano la vita e l’amore.
Il femminismo alleato con le associazioni omosessuali ha fatto il resto, demolendo definitivamente i miti e i simboli del maschilismo per conquistarsi i propri spazi e le proprie libertà, a partire dal divorzio per proseguire con l’aborto. Il risultato finale è la fine della famiglia tradizionale e l’eccezionale depressione demografica in cui sono precipitati i principali Paesi europei.

È a questo punto che si inserisce la riflessione sull’Islam, per la verità marginale rispetto al resto del libro. La risposta dell’Europa al calo demografico è stato il ricorso massiccio all’immigrazione. Poi è arrivata la prima di molte crisi, quella del ’73, che ha creato masse di disoccupati, precipitati sul gradino più basso di una realtà sociale a cui non erano abituati.
L’autore non si mostra particolarmente critico o polemico nei confronti dell’immigrazione extracomunitaria. Prende atto che sono popoli che si rifanno a un universo differente di valori che non ritrovano nella società occidentale, alla quale si oppongono con la violenza tipica di un mondo ancora dominato da princìpi virili, per ristabilire l’orgoglio maschile calpestato.
Lo scontro di civiltà evocato da Zemmour è uno scontro maschile/femminile, tra ying e yang, che non ha nulla a che fare con uno scontro tra Islam e Illuminismo, per cui il sottotitolo della nuova edizione italiana, sulla scia dello scontro Oriente/Occidente riproposto dall’attentato a Charlie Hebdo appare una forzatura editoriale, apposta a un testo che parla sostanzialmente d’altro.

Una perplessità che suscita il libro è che il passato precedente alla femminizzazione tratteggiato da Zemmour, che l’autore a tratti sembra rimpiangere, è abbastanza grigio e squallido. Le donne sono votate a un’esistenza infelice che devono accettare con stoica rassegnazione: o mogli, con la rispettabilità sociale ma senza l’amore; o “puttane”, per dirla con l’autore, con il piacere e i soldi, ma senza una posizione sociale rispettabile. Non è che agli uomini vada meglio, condannati senza speranza ad assecondare i loro bassi istinti animaleschi, appena temperati dalle regole del vivere civile.
Ci sono indubbiamente punti di vista interessanti e originali che vale la pena approfondire, come l’evoluzione della moda verso una femminilità androgina e asessuata, imputabile per l’autore alla percentuale maggioritaria di stilisti omosessuali; oppure la riflessione sulla “rieducazione” dell’uomo ai valori femminili, a partire dal nuovo ruolo dell’amore nelle relazioni di coppia, all’origine della crisi dell’istituto del matrimonio, avendo alimentato false speranze e aspettative; oppure l’uso strumentale degli immigrati e del lavoro dipendente femminile, da parte del capitalismo, per abbattere i salari e i diritti dei lavoratori.

Tuttavia l’autore sembra affascinato da una divisione manichea della società, da una certa logica del complotto, che sembra riecheggiare i “padroni dell’universo” evocati da Tom Wolfe. Per Zemmour non esistono persone, ma blocchi sociali che si muovono all’unisono, quasi fossero spinti da una forza oscura che domina i destini dell’umanità, in base a un qualche disegno superiore: le femministe, gli omosessuali ecc., una generalizzazione di cui si rende conto lo stesso autore nelle righe iniziali del suo libro.
E non è che la sua analisi si dimostri infallibile. Il calo demografico in Francia appare un brutto ricordo, cancellato da una serie di misure di sostegno alla famiglia, che hanno riportato in alto gli indici di natalità, senza dover per forza resuscitare la vecchia famiglia patriarcale col marito padre-padrone e la donna ai fornelli. Tuttavia è un libro che esercita un suo fascino, forse perverso, e che stimola a porci degli interrogativi sul cammino futuro della nostra società e a leggere, da un altro punto di vista (il che fa sempre bene), l’evoluzione del costume sociale in Europa negli ultimi cinquant’anni.

Adriano Ardit


Articolo precedentemente uscito su L’Avocetta e qui pubblicato di nuovo per gentile concessione.