DESIDERIO E POSSESSO.

(Dal francese di DUMAS).

I.

Una farfalla avea riunito sulle sue ali d’opalo la più soave armonia di colori: il bianco, il rosa e l’azzurro.
Simile ad un raggio di sole, essa volteggiava di fiore in fiore; e come fosse essa stessa un fiore volante, si alzava, s’abbassava, folleggiava sulla verde prateria.
Un fanciullo, che tentava di fare i primi passi sulle zolle variopinte, la vide, e si senti tosto mosso dal desiderio d’acchiappare l’insetto dai vivi colori.
Ma la farfalla era avvezza a quella sorte di desiderî. Essa avea visto delle generazioni intiere stancarsi nell’ inseguirla. Essa volteggiò davanti al fanciullo, posandosi a due passi da lui; e quando il fanciullo, rallentando la corsa, trattenendo il respiro, stendeva la mano per prenderla, la farfalla s’alzava e ricominciava il suo volo ineguale e splendido.
Il fanciullo non si stancava; il fanciullo la seguiva sempre.
Dopo ogni tentativo fallito, in luogo di cessare, il desiderio del possesso aumentava nel suo cuore, e col passo vie più rapido, coll’occhio più ardente, egli inseguiva la bella farfalla.

II.

Il povero fanciullo non avea mai guardato dietro di sè; onde, essendo corso lungo tempo, egli era già ben lontano da sua madre.
Dalla valle fresca e fiorita, la farfalla passò su una pianura arida e sparsa di spine.
Il fanciullo la seguì in quella pianura..
E quantunque la distanza fosse già lunga e la corsa rapida, il fanciullo, non sentendosi stanco, seguiva sempre la farfalla, la quale si posava, di dieci in dieci passi, ora su un cespuglio, ora su un arbusto, ora su un semplice fiore silvestre e senza nome, fuggiva poi sempre nel momento in cui il giovinetto credeva d’averla presa.
Imperocchè, inseguendola, il fanciullo fosse diventato un giovane.
E coll’inestinguibile desiderio della gioventù, coll’indefinibile bisogno del possesso, egli inseguiva sempre il brillante miraggio.
E di tratto in tratto la farfalla si fermava, quasi volesse farsi beffe del giovane; si posava voluttuosamente nel calice dei fiori, e dibatteva amorosamente le ali.
Ma nel momento in cui il giovinetto s’ avvicinava, anelante di speranza, la farfalla si lasciava in balia dell’ auretta, e l’auretta la portava via, leggiera come un profumo.

III.

E così passavano, in quella pazza caccia, i minuti e i minuti, le ore e le ore, i giorni e i giorni, gli anni e gli anni; e l’insetto e l’uomo erano arrivati sulla cima d’una montagna, la quale non era se non il punto culminante della vita.
Inseguendo la farfalla, l’adolescente s’era fatto uomo.
Lassù l’uomo s’arrestò un istante, non sapendo se fosse miglior partito per lui il rifare la via, tanto arido gli appariva quel versante di montagna, pel quale egli doveva discendere. Poi, al piè della montagna, dal lato opposto, ove su belle ajuole, in ricchi recinti, in parchi verdeggianti, crescevano i fiori olezzanti, le piante rare, gli alberi carichi di frutti; al piè della montagna, diciamo, si stendeva un gran terreno quadrato, chiuso da mura, nel quale si entrava per una porta incessantemente aperta, e dove non si scorgevano che pietre, le une stese al suolo, altre ritte.
Ma la farfalla venne ad aleggiare, più splendida che mai, davanti agli occhi dell’uomo, e prese la direzione verso il recinto, seguendo la china della montagna.
E cosa strana! una sì lunga corsa avesse dovuto affaticare il vegliardo (poichè ai capelli incanutiti si poteva riconoscere per tale l’insensato corridore), i suoi passi divenivano più rapidi a misura ch’egli si inoltrava; ciò che non si poteva spiegare che col declinare del pendio.
E la farfalla si teneva sempre a eguale distanza; solamente, siccome i fiori erano scomparsi, l’insetto si posava su pungenti.cardi o su rami d’albero disseccati.
Il vegliardo anelante la inseguiva sempre.

IV.

Finalmente la farfalla passò al di sopra del muro del triste recinto, e il vegliardo la seguì entrando per la porta.
E appena ebbe fatti alcuni passi, guardando la farfalla che sembrava confondersi e sparire nell’atmosfera grigiastra, egli urtò una pietra e cadde.
Tre volte egli tentò di rialzarsi, e ricadde tre volte.
E non potendo più correre dietro alla sua chimera, egli si contentò di stenderle le braccia.
Allora la farfalla sembrò aver pietà di lui, e quantunque essa avesse perso i suoi più vivi colori, venne ad aleggiare sopra il suo capo.
Forse non erano le ali dell’insetto che avessero perduto i loro vivi colori; forse erano gli occhi del vegliardo che si indebolivano.
I circoli descritti dalla farfalla divennero sempre più ristretti, ed essa finì col posarsi sulla pallida fronte del moribondo.
Con un ultimo sforzo questi sollevò il braccio, e la sua mano toccò finalmente l’estremità delle ali di quella farfalla, oggetto di tanti desideri e di tante fatiche; ma, oh disillusione! egli s’accorse allora che avea inseguito non una farfalla, ma un raggio di sole.
E il suo braccio ricadde freddo e senza forza, e l’ultimo suo sospiro fece tremare l’aria che pesava su quel campo di morte….

V.

E tuttavia, segui, o poeta, segui il tuo desiderio sfrenato dell’ideale; procura, attraverso infiniti dolori, di raggiungere e di cogliere quel fantasma dai mille colori, che fugge incessantemente davanti a te, se pur dovesse il tuo cuore spezzarsi, dovesse estinguersi la tua vita, dovesse il tuo ultimo sospiro essere esalato nel momento in cui la tua mano lo toccasse.

Traduzione di A. MARIN.

Articolo tratto da: L’illustrazione popolare – 1873
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