Venezia – Il costume – Principi di corruzione – Gli schiavi.

Di Pompeo Molmenti

In una città popolatissima, emporio e scala dei commerci d’oriente e d’occidente, si capisce che i costumi non potessero conservare l’antica severità.
Ma non erano certo migliori quelli delle altre città italiane. Già fino dal 1300 Dante rimproverava

Alle sfacciate donne fiorentine
L’andar mostrando con le poppe il petto.

L’avarizia dei preti, sempre secondo Dante, attristava il mondo: Giovanni Boccacci fa scandolezzare il giudeo Abraham pei vizi della corte di Roma: il Sacchetti scriveva che nei chierici ogni vizio di cupidità regnava, e santa Caterina da Siena chiamava ribaldi e barattieri i preti del suo tempo, che furavano il sangue di Cristo.
A tali tristi pitture il Petrarca aggiungeva che nelle città il lenocinio liberamente passeggia, e offesa geme in ogni canto la pudicizia, calpestata la verecondia, cacciato in bando il pudore. Però il Sansovino, verso la fine del cinquecento, osservava come Venezia si fosse conservata in generale meno corrotta fra tante, se bene in ogni tempo fosse stata rifugio de i forestieri, i quali sogliono introdurre in casa altrui le usanze « loro.
Tali parole erano certamente in gran parte inspirate dall’ amore per Venezia, ma certo è che non solo qui la corruzione dipendeva da condizioni affatto speciali, ma che, in mezzo all’immoralità universale,(1) in riva alle lagune viveva ancora una fra le popolazioni più sane di mente e di corpo di tutta Europa.(2)
Chi studia la vita privata dei Veneziani, non deve dimenticare che genti d’ogni nazione e di ogni colore s’ incontravano allora sulla piazza e sul molo di San Marco.
Quivi si davano, a così dire, convegno tutti i costumi e le tradizioni, tutti gli splendori e le miserie del mondo. L’oriente, per tacer d’altro, portava a Venezia le sue turpi abitudini, che il Governo non ometteva però di punire con severi castighi.
Mentre dai Diari del Priuli apparisce che sugli esordi del 1500 il numero delle prostitute non era minore di 11000,(3) leggiamo in –

(1) La più gran corruzione si trovava fra i preti. Per esempio nel 1532 il Cardinale de’ Medici, venuto fra le lagune, ospite dell’ambasciatore Cesareo, andò alla sera a dormire con una cortigiana di nome Zaffetta. SANUDO, t. LVII, c. 36.
(2) In un opuscolo rarissimo di DANIEL Ritio detto il Piasentino, stampato il MDLXXXV, un esemplare del quale si conserv nel Museo Britannico di Londra, fra gli altri motti e detti e proverbi popolari si legge:

Gentil huomini e ricchi sono
Venetiani populo bono.


(3) Il 25 ottobre 1514 s’impose una tassa a tutte le meretrici per fare i grandi lavori di escavo all’Arsenale. SanUDO, t. XIX, c. 94 tergo.

– quelli del Malipiero che la sodomia era punita persino colla morte, segno non dubbio della gravità del male.
Nel 1482 il patrizio Bernardino Correr e nel 1545 il prete Francesco Fabrizio, per così laido delitto, furono condannati alla decapitazione fra le due colonne della Piazzetta, e i loro cadaveri furono poscia bruciati.(1)
Le pene più severe, i più accorti provvedimenti erano stati stabiliti per estirpare l’abbominevole vizio. Ai sodomiti s’inflisse varie volte il supplizio della cheba:(2) una legge del 16 maggio 1455 concedeva l’uso delle armi ai due nobili eletti per ogni contrada a fine di distruggere vitium sodomie; un’altra del 22 marzo 1458 ordinava che il collegio, deputato ad inquisire contro i sodomiti, si dovesse –

(1) Arch. Stato Misti, xx, 169. Criminali, vi, 74.
(2) La cheba era una gabbia di legno, che si sospendeva a metà del campanile di San Marco. Ivi si rinchiudevano i delinquenti, esposti alle asprezze delle stagioni, agli insulti della plebe. Il cibo, che consisteva in pane ed acqua, era dato ai condannati mediante una funicella. Tale supplizio durò fino al 1518, anno in cui, come racconta il cronista Erizzo, P. Francesco da san Polo, tento fuggire rompendo la cheba nella quale era stato rinchiuso. V. anche l’opuscolo esistente nella Biblioteca Marciana intitolato: Lamento di prè Agustino messo in cheba e condannato a pane et acqua (1518). Sono curiose le querele di prè Agostino. Eccone un saggio:

Mi porgono il mangiar per un sol buso
Con l’acqua che mi dan ‘n vece di vino,
Or con ragion il mio peccato acuso;

E più mi duol che ogni sera e matino
Da meggio di, e a tutte quanto l’ore
Mi chiaman i fanciui: o pre Agustino?

Mi danno alcune volte tal stridore
Che son costreto de pissarli adosso
Por isfogar alquanto el mio dolor

– raccogliere ogni venerdi;(1) finalmente alcuni autori parlano di certa prescrizione bizzarra fatta dal Governo alle meretrici, le quali doveano stare alla finestra col seno scoperto, onde allettare gli uomini e distoglierli dal peccare contro natura.(2)

La mattina del 27 marzo 1511 Venezia fu spaventata da un forte terremoto. Si credette fosse un castigo del cielo pei peccati degli uomini, e il patriarca Antonio Contarini predicò allora contro le molte e nefande colpe, invitando a penitenza e intimando digiuni di tre giorni a pane ed acqua, e processioni e canti di litanie. «Cosse, conclude argutamente il Sanudo che io le laudo quanto ad bonos mores et ad religionem, ma quanto a remedii di teramoti, ch’è cossa natural, nihil valebat».(3)

Il 18 maggio 1529 una gran folla di popolo si accalcava in piazza San Marco intorno la pietra del bando, sulla quale un eremita perugino, seminudo e scalzo, battendosi il petto con grosse pietre, esortava i Veneziani a far penitenza dei loro peccati, annunziando prossima la fine del mondo.(4)
Tutti questi fatti, che la storia non cura, servono a farci comprendere le tendenze del tempo, e quali fossero allora gli uomini, le loro idee, i loro costumi.

Le condanne pubbliche pei delitti contro la moralità molte volte erano circondate dallo scherno, volendo saviamente lo Stato che il popolo stesso coprisse del –

(1) Anche a Lucca nel 148 s’istituì l’Ufizio dell’onestà intento a punire le passioni contro natura ed a ravvivare gli amori leciti.
(2) GALLICCIOLI, t. VI.
(3) SANUDO, t. XII, c. 40.
(4) Ibid., t. I, c. 223.

– suo disprezzo tali colpe. Il 10 luglio 1502, i Signori di notte emanarono una strana sentenza contro un popolano di nome Alvise Beneto, il quale era giunto a tal grado d’infamia da trafficare sull’onore della moglie e da notare i guadagni in un libro.
Fu condannato a girar per la città montato sopra un asino, e vestito in giallo, con grandi corna in testa. (1)
Altra volta (9 luglio 1507) lungo la Merceria furono frustate tre femmine, colpevoli di esser giaciute con turchi. (2)
Il 23 marzo 1514, per deliberazione della Quarantia, fu posto sopra un solaio in piazza San Marco, con una corona di diavoli in testa, un avvocato al Tribunale del Forestier, colpevole di falsa testimonianza in un atto di procura. (3)

La città era qualche volta funestata da violenze, ferimenti ed uccisioni. Ma ai delitti seguivano pronte e terribili le condanne, alle atrocità degli uomini rispondeva la fierezza della legge.
Alcuni rei di assassinio erano condotti sopra una chiatta, nudi fino all’ombellico, e legati ad un palo, da San Marco a Santa Croce, lungo il Canal Grande, ricevendo nel tragitto varii colpi di tanaglia infuocata.
Da Santa Croce erano trascinati a coda di cavallo, fino a un certo punto della città, ove si tagliava loro la destra; quindi si conducevano fino in Piazzetta, fra le due colonne, per venire decapitati. I cadaveri eran poi divisi in quarti. (4)

(1) SANUDO, t. IV, c. 137 tergo.
(2) Ibid., t. VII, c. 55.
(3) Ibid., t. XVIII, c. 32.
(4) A tale supplizio era stato condannato Pietro Ramberti per avere ucciso una sua zia materna e due suoi cugini. Il Ramberti si avvelenò in carcere, ma Nadalin da Trento, reo di furti.

Astuta e previdente era la polizia veneziana. Le sole minacce verbali contro lo Stato erano severamente punite. Un Rizzardo francese, che avea insultato i Veneziani, dicendo che avrebbe voluto lavarsi le mani nel loro sangue, fu condannato al capestro.(1)
Ma la Repubblica poteva tenersi secura, giacchè v’era sempre qualcuno che vegliava alla sua salute, sia per ottenere il premio concesso alle rivelazioni, sia per zelo de amore della patria, come rispose alla signoria quel gentiluomo Grioni, che, rifiutando ogni compenso, nel 1449 denunziò il Crassioti, ladro dei gioielli del Tesoro di San Marco.(2)

Al Governo doveva molto importare la moralità pubblica, se nel 1510 aveva perfino tentato di togliere fra i soldati il turpiloquio e la bestemmia.
Se non che i Provveditori in campo, consultati su tale argomento dal Collegio, risposero che a siffatto male non ci sarebbe proprio stato che un rimedio, quello di tagliare a metà i bestemmiatori, come facevano i turchi.(3)sacrileghi, Giacomo dei Secchi, ed altri ancora, subirono la terribile pena (V. Criminali e Registri dei giustiziati).

Fra i nobili, molti cimentavano la vita per la causa pubblica, e mettevano l’ingegno a servigio della patria, ma alcuni obbedivano pur troppo alle più malvagie passioni e ad ogni più basso istinto.
Quindi fra tanti patrizi benemeriti e illustri, non era strano vederne alcuni prestarsi aiuto nelle candidature con illeciti mezzi, scagliarsi ingiurie nei consigli, minacciare i giudici nei tribunali, tumultuare nelle adunanze, aver debiti, tenere in casa propria forte mano –

(1) TASSINI, Condanne, ecc., pag. 49.
(2) Arch. Stato, Raspe, vol. IX.
(3) SANUDO, T. x, c. 12 tergo.

– di bravi e di scherani.(1) In un dispaccio del 25 giugno 1492 Taddeo Vimercati, ambasciatore milanese presso la Repubblica, riferisce come cosa pressochè incredibile che per li bandi, che in questi giorni fuereno dati a ruffiani di questa terra, sono levati de qua sino al presente giorno cento undeci zentilhuomeni, quali tenevano femine in guadagno, et exerciveno el ruffianesmo, ultra molti pretti et fratti. Ben mi è facto sapere – aggiunge l’oratore – a che questi ordini et parte sono facte una bona parte per removere zentilhomini da tale vituperoso et illecito guadagno et officio.(2)

Eppure i nobili non poteano trovare un incoraggiamento a misfare nei privilegi della legge, che non guardava in faccia a nessuno. Lorenzo Polani, Sebastiano Bollani, Alessandro Navagero, Baldassare Molin, tutti quattro patrizi, convinti di ladroneccio, perdettero nel 1513 la vita per mano del boia.(3)
Nè valsero la nobiltà e le cospicue aderenze a salvare dal patibolo Giorgio Bragadin (1417), Andrea Contarini (1430), Girolamo Tron (1504), Gaspare Valier (1511), Orsatto Priuli (1515), Lodovico Erizzo (1547), Alessandro Bon (1566), Gabriele Emo (1585) ed altri molti.
Il 3 febbraio 1503 fu pubblicata una grossa taglia contro certi giovani patrizi, che giravano la notte di nascosto pei rivi della città, rompendo le gondole che trovavano legate all’approdo.(4)

(1) Tutto ciò si può provare con documenti. V. CECCHETTI, Nobili e popolo di Venezia (Arch. Veneto, vol. III, pag. 436).
(2) Arch. Stato di Milano, Carteggio dipl. degli orat, milanesi, Disp. 25 giugno 1492.
(3) Ibid., Criminali, vol. II,
(4) SANUDO, t. V, c. 386 tergo.

Severissime pene altresì erano statuite contro il broglio,(1) mediante il quale i patrizi, incuranti del bene comune, miravano a conseguire con mezzi indiretti, magistrati, offitii, reggimenti et altre dignità, la distribuzione delle quali conviene che sia fatta con giustizia et sincerità.(2)

Le antiche e fiere virtù moveano guerra implacata alla corruttela, e il padre stesso era pronto a chiedere, per primo, la condanna del figlio colpevole. Narra Marin Sanudo con terribile brevità, come “Ser Andrea Morexini erra avogador et chome suo fiol per aver basà una dona e toltoli uno zoiello fo menato in Pregadi, et lui publice diceva: impiu chelo, taieli la testa – et cussì fu condannato“.(3)
Il costume esigeva pronti rimedi, se nel gennaio del 1518 in Rialto e a San Marco fu pubblicato un ordine del Consiglio dei X, che bandiva dalla terra i mezzani nel termine di tre giorni.(4)

Ai vizi pubblici rispondeano di conseguenza i vizi della vita privata. Anche l’esistenza tranquilla della donna era alle volte turbata da piccoli intrighi e da vendette volgari. A meglio dipingere tali costumi ci sembra significante l’aneddoto seguente.
La mattina del 4 marzo 1522 si trovarono bruttate di pece le porte di Marc’Antonio Veniero, di Andrea Diedo, di Nicolò Tron e di Antonio Cappello. Il Veniero, sulla –

(1) Si chiamava così, dall’antico brolio, quella parte della loggia delle Procuratie, ove i patrizi solevano radunarsi prima di recarsi al Consiglio, e ove si indettavano per le nomine e facevano intrighi. Da ciò la voce broglio o intrigo.
(2) Arch. Stato, 1588, 12 ottobre, C. x; 21 ottobre 1623, C. x.
(3) Sanuvo, t. III, c. 117 (12 maggio 1500).
(4) Ibid., t. XXVI, c. 213 tergo.

– porta del quale era stato inoltre appiccicato un paio di corna, mosse lagnanza al Consiglio dei X, ricordando l’esempio del doge Veniero, il quale avea lasciato morire in prigione un suo figliuolo, per aver fatto ad una gentildonna consimile insulto.
Si venne a scoprire che certa Marietta Caravello, moglie ad un patrizio Moro, era stata quella che avea fatto lordar di pece le porte dei palazzi patrizi, per vendicarsi delle gentildonne Veniero e Diedo, che non aveano voluto andar con essa ad una festa in casa di ser Marco Grimani. La Marietta fu bandita per dieci anni da Venezia.(1)

Le soavi compiacenze di marito e di padre non si ricercavano più come per lo innanzi; la vita coniugale era combattuta dal desiderio dei piaceri mutabili,(2) e dall’opportunità di poter troppo facilmente procurarsi bellissime schiave nei mercati di Oriente.
In fondo al quadro della vita veneziana campeggiano queste figure d’uomini e donne senza patria, sbalestrati fra le lagune chi sa da quali strani avvenimenti.
Fino dai tempi più remoti, leggi, altrettanto severe quanto inefficaci, punivano perfino di morte quei mercanti veneziani, che facevano l’infame commercio di carne umana, il quale però non andò cessando se non sul finire del cinquecento.
Nell’Archivio Notarile esistono volumi interi di contratti di compravendita, permuta, donazione, cessione, ecc., di schiavi, che cominciano dal secolo XII e giungono –

(1) SANUDO, t. xxxm, c. 4, 33, 39, 86, 233.
(2) Non era sconosciuta la bigamia. Il SANUDO (t. LVI, c. 57 tergo) parla di un ser Paulo da Canal che fu condannato il 24 aprile 1532, per aver sposato prima una meretrice e poi una gentildonna Valier.

– quasi alla fine del secolo xvi, ma in misura decrescente. È curioso che intervenissero a rogare siffatti contratti notai preti, chè preti erano tutti i notai fino quasi al 1600, in onta allo Stato, ai papi ed ai concilii. Arrivavano perfino carichi di schiavi a Venezia, e si vendevano al pubblico incanto a san Giorgio e a Rialto. (1)
Erano per la maggior parte Tartari, Russi, Saraceni, Mingreliani, Bosniaci, Greci, de genere Avogassiorum (Circassi) de genere Alanorum. (2)
Le donne Circasse, Giorgiane e delle regioni circonvicine, giovani di dodici, quattordici e sedici anni, dichiarate sane et integre dei loro membri occulti e manifesti, (3) erano vendute nel secolo xiv per quaranta, cinquanta e sessanta ducati d’oro, prezzo altissimo, tenuto conto del tempo.
Dal 1393 al 1491 si registrano nell’Archivio dei notai veneti centocinquanta vendite di schiavi e schiave, dall’età più tenera fino a quella di anni trentasette. Il minimo del prezzo è di ducati d’oro sedici, pari a italiane lire 382 circa, il massimo 87 ducati pari a lire 2093.
La schiava venduta, pei patti contrattuali, passava in dominio dell’acquirente, il quale poteva farne ciò che voleva e per anima et corpore judicandi, tamque de re sua propria. (4)

(1) È curioso il quaderno di spese pel trasporto a Venezia di una compagnia di schiavi, che noi riportiamo in fine del volume al Documento H.
(2) CIBRARIO, Della schiavitù e del servaggio, Milano 1868.
(3) Sana omnibus suis membris, infirmitatibus et magagnis tam publice quam occultis (Atti Fusculo Nicolò, 1368, 7 ottobre, III, filza 4). Sana a male caduco, a malo capitis et brachiarum et tibiarum et corporis (Istr. di ca va di una schiava Tartara ventenne. Atti Fusculo, 1372, 31 marzo).
(4) In una nota di chosse della Chomessaria de missier Sebastian Badoer dade a Madonna Agnexina Badoer dopo aver indicato lettiere, arredi, credenze, lampade, ecc. nomina tre schiave Marcella, Ester, Benvegnuda appressade ducati 180. (Arch, not. Racc. a parte. Atti di Andreolo Cristiano, 1390).

A Venezia gli schiavi erano battezzati, ed al loro nome originario si sostituiva quello battesimale. La loro vita non era triste, e doveano essere trattati meglio dei domestici, perchè nei testamenti, che si conservano nell’Archivio Notarile, si dispongono legati di case ammobigliate e denaro a favore delle schiave, specialmente se avevano qualche figlio, bastanti per viver bene.
Ciò non accadeva mai pei domestici. Esaminando i testamenti e i contratti non è difficile arguire quale fosse la vita degli schiavi.
Nel suo atto di ultima volontà, un abitante a San Silvestro, ordinava che un suo schiavo dovesse adoperarsi al servigio della padrona in tutto quello che vorrà per sei anni interi, e che dopo fosse libero e franco, e godesse il legato per lui disposto.
Le schiave doveano servir come nutrici, giacchè in alcuni stromenti di compravendita si cedono schiave col loro latte. (1) Mediante contratto, una gentildonna si fa cedere da un suo nipote o cugino una schiava, ch’egli possedeva, pagandogliela ad altissimo prezzo.
Fra due preti avviene la compravendita di una schiava, ma il di seguente il contratto viene stornato, perchè la schiava è gravida.

La bassa sensualità dell’ Oriente tragittavasi in riva alle lagune; e non è a meravigliarsi che le chiese, aperte allora anche la notte, dovessero chiudersi per i disordini che vi succedevano, nè che i patrizi dimenticassero la loro alterigia al punto di dare il loro –

(1) Arch. Not., Atti Filosofis Domenico, 1405, III, 2, 5. Atti de Paolo, 1445, III, 5, 4.

– nome a qualche cortigiana, (1) o di aprire i loro palazzi a balli di meretrici, e (2) che finalmente, a detta di un orator milanese, lo stesso doge Pietro Mocenigo, già settuagenario, dormisse soventi volte fra due turche giovani e belle con lui venute dal Levante. (3)

Ma gli schiavi non aveano cooperato soltanto a pervertire il costume, bensì ad accrescere ancora le superstizioni, turbando i giudizi e accendendo le menti del volgo con fattucchierie ed altre operazioni diaboliche, contro le quali fu mandata fuori il 28 ottobre del 1410 una severissima legge. (4) E perfino i pievani, –

(1) Nel 1526 un Andrea Michiel si sposa con una ricca cortigiana Cornelia Griffo. Le nozze furono fatte nel monastero di san Giovanni in Torcello. (SANUDO, t. XLI, t. 108).
(2) « Cossa per mia opinion vergognosa a questa ben istituita Republica » dice il SanuDO, t. XXVI, c. 277 tergo (26 febbraio 1518). E in data 27 gennaio 1523 scrive: « In questa sera per alcuni zentilhomeni nostri a Muran in la caxa di ser Lunardo Zustinian qm ser Bernardo cav. Procurator fo fato un festin con p…… sontuose zircha xv, le qual ballono et cenono con li virtuosi et gran piaceri. Vi fo solum un Compagno a la festa. Et veno tre Procuratori stravestiti a ballar: Ser Marco Da Molin, ser Francesco di Priuli e ser Marco Grimani, li quali in una camera con alcune di esse ballono, sì che la festa durò fino hori x e più. » T. xxxv, c. 221. Pare che i padroni trovassero nei servi imitatori. U. diamo ancora il SanuDO: « 14 febbraio 1524. In questa sera a Santa Maria Formoxa in la caxa sul ponte da cha Moroxini per una compagnia de famegii di zentilhomeni, fo fato una festa et balli qualli messono un ducato per homo et tutti con la sua p….. et ballono tutta la notte et cenono; lì no volse alcun vi entrasse. Siche a concorrentia di nobili li famegii fanno festa. Fo mal fato e li cai di x dovea proveder. » T. XXXVII, C. 349 tergo.
(3) Arch. Stato, Milano. Carteggio diplomatico, Dispaccio 11 febbraio 1475.
(4) GALLICCIOLI, II, 20, 863, 864. La legge del Maggior Consiglio dice: Sclavos et servos… in faciendo herbariam, vel facturariam, aut in dando aliquid comedere, vel portare adossum, quod est herbaria et facturaria, ecc.

– durante la messa, per ordine del Patriarca, raccomandavano di denunziare le streghe che si credeva esercitassero nascostamente le loro malie, (1) fomite di corruttela tra il popolo. (2)

(1) SANUDO, t. XXVI, c. 115 (23 novembre 1518).
(2) Del resto continuavano in tutta Europa le superstizioni del medio evo: stregonerie, paura del diavolo, magie, sogni, visioni, profezie, uso di amuleti, talismani, ecc. Allorchè Ravaillac assassinò Enrico IV, l’Ebreo Errante s’era mostrato a Beauvais, a Noyon ed in molte città della Piccardia. (LACROIX, Sciences et lettres au moyen âge, p. 282). GIAMPIETRO STOPPANO in un libro delle azioni di san Carlo Burromeo, manoscritto nell’Ambrosiana, attesta aver udito nei processi delle streghe, che nei loro conventicoli non di rado erano sollecitate dal diavolo a calpestar la croce: il che mentre in cieca frenesia tentavano, ne videro sprizzar sangue » Cantu’, Commento ai Promessi sposi, ecc. Milano, 1874, p. 82.

Tratto da Google Libri
La storia di Venezia nella vita privata, dalle origini alla caduta della Repubblica…
Di Pompeo Molmenti