Un’avventura di Carnevale

I.

– Voi conoscete Milord, che, se i vostri amici di Londra potessero vedervi così travestito sopra una strada postato nel bel mezzo della notte, e di che notte, buon Dio! La stravaganza del vostro travestimento e della vostra avventura farebbe ridere più delle ingenuità infantili della piccola Sanderson.

Era per lo meno la ventesima volta che il dottore Merry dirigeva in questa guisa la parola ad un giovine signore sulla strada che conduce da Padova a Roma. Ma il Gentleman avvolto nel suo mantello, sembrava troppo preoccupato per rispondere al suo compagno di viaggio, poichè il povero dottore aveva parlato egli solo fino dalla villa di Ferrano. Non sapendo più che pensare del silenzio di Lord Enrico Pearl, il dottore si era ridotto alla mutolezza più intera e ripassava nella sua testa tutti i motivi che potevano aver prodotto quello stravagante pellegrinaggio che il giovine Lord gli faceva fare nel mezzo di una fredda notte di febbraio.

Lord Enrico Pearl era un giovine di ventidue anni, figlio d’un Pari d’Inghilterra. Sua madre aveva perduta la vita nel darla a lui. Il Conte, che temeva per suo figlio il soggiorno di Oxford, aveva affidata al dottore Merry, l’amico della famiglia, la sua educazione. All’età di diciott’anni Enrico era un giovinotto biondo, di mediocre statura, colla pelle bianca come quella di una donna, coll’occhio turchino e limpido. Il suo carattere era fermo, e vasta era la sua erudizione, tutte cose tenute in gran pregio dalle ricche reditiere di Londra.
Ma all’età di ventidue anni la salute del giovine declinò: a dispetto delle passeggiate a cavallo che faceva la mattina di buon’ora egli dimagrò in modo spaventevole: il pallore subentrò al suo vivace colorito, perdette la sua allegria, e si distaccò da tutti i suoi amici: a mala pena il dottore poteva penetrare nella sua stanza, ove passava le intiere giornate a scrivere o a pensare colla testa fra le mani.
L’onorevole dottore Merry fu tosto al fatto di quel subitaneo deperimento. Fino allora la salute del giovine Lord non era stata che una salute fattizia; il suo temperamento era per formarsi definitivamente, e la sua vita dipendeva dalla crisi della quale era minacciato.
Dopo una lunga conversazione fra Merry ed il Lord fu stabilito che Enrico partirebbe per l’Italia in compagnia del dottore. La sua salute non migliorò a Roma; la sua malinconia divenne di giorno in giorno maggiore: tutta l’estate ei la passò nel far rare scorse per le campagne di Roma e qualche studio di archeologia.
Al principio dell’inverno tutto cangiò. Enrico divenne l’anima di tutte le partite di piacere: viveva in mezzo ai cani, ai cavalli agli amici. Merry dopo aver tentate alcune rimostranze riuscite inutili contro il motteggio spiritoso del giovine Lord, attribui quella metamorfosi ad un ritorno di salute, e tacque. Ma qui la scienza si trovò ingannata; ed ecco come.

II.

Una mattina che Enrico, si era sentito peggio del solito era andato a passeggiare a cavallo per due ore; indi ritornato, aveva ordinato una colazione di sostanza nella quale contro la sua abitudine aveva bevuto una bottiglia di vino del più spiritoso. Dopo questa bravura, colla testa in fuoco, rosso in viso e coll’occhio brillante si era recato da uno dei più celebri medici dell’Italia.
Signore, gli diss’egli quando furono soli, vengo a chiedervi un servigio importante: un mio amico, il migliore che io m’abbia, soffre da lungo tempo una malattia di petto: sapendo quanto ci amiamo tutti i medici che ho consultati fino ad ora nè hanno dato delle speranze di guarigione, ma io vi credo poco. Comunque sia la cosa io ho il massimo interesse a conoscere la verità per dolorosa ch’ella possa essere. – Se io . . . se questo infelice deve soccombere al male terribile che lo consuma; io ritornerò con lui in Inghilterra; perchè voi saprete quanto sia terribile il morir giovine lungi dalla patria, lungi dalla famiglia, lungi dagli amici: le loro cure calmeranno almeno l’amarezza dei suoi ultimi momenti.

– Spiegatevi, signore, disse il dottore in tuono grave.

Il giovine lord represse a grande stendo un accesso di tosse secca da cui era stimolato, ed alzando la voce espose con un sangue freddo imperturbabile tutti i particolari della sua malattia, ne spiegò con chiarezza tutti i sintomi, tutti gli accidenti tutti i dolori, tranquillo e lisciandosi intanto gli stivali con lo scudiscio.
– Avete finito? disse il dottore colla medesima flemma, quando Enrico ebbe cessato di parlare.

– Si, Signore, rispose il giovine Inglese respirando.

Il dottore abbassò la testa, come un uomo che ricapitola tutti i fatti prima di pronunciare un giudizio. Quel momento di silenzio fu orribile, parve un secolo al paziente. Se il dottore avesse alzati gli occhi, si sarebbe accorto dell’estremo pallore del volto d’ Enrico. Il giovine Lord in fatti era spaventato della sua propria audacia: tutto il suo corpo tremava: perfino tentato di uscire a un tratto dalla stanza senza aspettare la risposta del medico; ma ripreso coraggio, ed appoggiandosi ad un mobile che era vicino a lui:

– Ebbene, signore?
– Parta prima di tre mesi, rispose il dottore.
– Vi ringrazio, Signore, disse Lord Enrico lasciandogli cadere due ghinee sulla tavola: vi ringrazio del servigio che mi avete reso.
E nel turbamento cagionatogli dalla sentenza del dottore aprì per isbaglio un’altra porta che quella per la quale era entrato. Allo strepito ch’ei fece, una giovine fanciulla occupata a disegnare alzò la testa.
– Di qua, Signore, disse il dottore.
Lord Enrico s’inchinò gentilmente, scusandosi del suo errore, ed il medico lo accompagnò con mille pulitezze.
Dal momento di quella visita, Lord Enrico ritrovò la sua allegria, e cambiò, come dicemmo, il suo metodo di vita.

III.

Ma egli è tempo dopo questa spiegazione necessaria, che ritorniamo sulla strada ove lo abbiamo lasciato cavalcando in compagnia dell’onorevole dottore Merry.
– Voi converrete, riprese ancora Merry, risoluto a vincere a qualunque costo la taciturnità del suo allievo, voi converrete che sarebbe molto meglio…
– Voi converrete, mio caro Merry interruppe finalmente Lord Enrico, che se la Facoltà potesse vedervi vestito originalmente come siete e ad un’ora come questa, ella vi prenderebbe piuttosto per l’Angiolo della morte che per il conservatore dei vivi.
Questa facezia non piacque punto al dottore, perchè la lasciò senza risposta. Il giovine lord ricadde nelle sue meditazioni; ma temendo d’avere offesa la sensibilità del suo compagno di viaggio:
– Voi non indovinate, soggiunse mettendo il cavallo al passo, la cagione che mi ha fatto abbandonare precipitosamente la festa mascherata della Contessa Ferrano.
Il dottore crollò la testa.
– Ebbene ecco il motivo di quella partenza repentina: voi conoscete senza dubbio il dottore Roncalli?
– È un uomo di talento, interruppe Merry.
– Un uomo di molto talento, ripetè il giovine Lord.
– Un medico dotto, continuò Merry.
– Un medico di grande abilità e che ha una bellissima figlia!
– Non lo sapevo.
– Una bellissima figlia che io amo.
– Voi?
– Ed alla quale sono assai indifferente.
– Voi?
– Ascoltatemi senza interrompermi: e poi alla fine, è l’ultima delle mie pazzie. È inutile ch’io vi racconti ora dove e quando ho veduta la bella Stefania Roncalli; ed è anche più inutile ch’io vi dica i passi che ho fatti per parlarle. Ho messo in uso tutti i miei mezzi, il mio denaro i miei nuovi amici sono stato presentato in tutte le case nelle quali speravo di trovarla. Le sue freddezze non hanno potuto estinguere il mio amore, il mio primo amore, Merry! e l’ultimo sicuramente! aggiuns’egli tristamente.

– Merry, quanto tempo credete che mi resti ancora di vita?

Il dottore meravigliato di questa inaspettata domanda, era in procinto di spacciargli una litania di incoraggiamenti: che lord Enrico non era mai stato meglio, che la sua salute non aveva mai ispirato meno timori; che l’influenza del morale sul fisico era immensa, ecc. ecc.
Enrico lo arrestò alle prime parole.
– Questo amore, io non l’ho confidato che a tre sole persone; a Stefania che non gli corrisponde, a Domenico Massei che lo incoraggia ed a voi che avreste la tentazione di dimostrarne la pazzia.
– Hum! fece il dottore in segno d’affermativa.
Questa mattina, mi ha detto Domenico che io la vedrei al ballo della Contessa Ferrano, e ch’ella avrebbe un domino turchino, mi ha dato due biglietti d’invito uno per voi l’altro per me. Al ballo io l’ho cercata da per tutto, e voi stesso, mio caro Merry, io vi ho fatto fare un personaggio poco conveniente alla vostra gravità, pregandovi di tener dietro a tutti i domino turchini che vedreste.
Disperavo di trovarla e malcontento delle mie ricerche infruttuose, ero per ritirarmi quando una voce mi disse all’orecchio: Sei ingannato, Stefania è al ballo del Conte Alessandro Maldini. Io mi sono voltato, ma non ho veduto vicino a me che una donna piccola di circa quarant’ anni tutta occupata a giuocare col suo ventaglio. Ora, sapete voi dove andiamo?
– Dal Conte.
– Certamente, e mettete il vostro cavallo al galoppo.

IV.

Confessate, Signora, che siete ben capricciosa!
– Che volete Domenico? è il mio ultimo capriccio da fanciulla! Fra poco tempo avrò un padrone, e questo sarete voi: fino allora io comando e voi dovete obbedire. Su, datemi il braccio per uscire di questa sala dove si muor soffocati.
Stefania e Domenico passarono in una sala vicina, e si misero a sedere presso ad una finestra. La fanciulla si tolse la maschera e si asciugò il viso.
Ouf! esclamò Domenico levandosi la sua. Eccomi sbarazzato per un momento della brutta parte che la vostra fantasia m’ha destinata ! Finalmente per piacervi, io l’ho fatta da maestro, e sicuramente nessun buffone avrebbe potuto farla meglio.
– È una giustizia che debbo rendervi, rispose Stefania sorridendo, voi avete superato in facezie il cavaliere di Mortange che si dice essere il più spiritoso il più allegro Francese che sia a Roma: ma, non io ho nessuna parte nel vostro trionfo? Senza la scelta che io fatta per voi di questa maschera così grottesca, che ride così bene e fa ridere così bene, sareste voi stato la più ridicola delle maschere della festa?
– Sì, Stefania, ho fatto bene la mia parte da buffone, ma se ne ho avuta l’allegria apparente, ne ho avuta anche la tristezza segreta; pensavo ai vostri capricci, alle vostre pazze allegrie da fanciullo, dicevo meco stesso, Stefania, che voi non potreste mai amarmi come io vi amo.
– Oh! oh! della morale! Sia pure Domenico, ma rimettete la vostra maschera, ve ne scongiuro, sarà la scena la più comica, quella di udire una lunga predica da quella gran bocca.
– Incorreggibile!
– È la vera parola; perchè mentre la vostra immaginazione si abbandonava a così belli e così cupi pensieri, sapete voi a che cosa pensavo io? a quel povero Inglese, che probabilmente ora va errando per le sale deserte del Ferrano in cerca di certi domino turchini che voi riconoscete così bene. Domani andrete ad informarvi della sua salute.
– Stefania sarebbe bene di porre un termine a questa burla. Enrico Pearl è un bravo e nobil giovine, che io stimo sebbene egli vi ami.
– E che io detesto con tutto il cuore! Un vano, un egoista, pallidissimo, magrissimo, bruttissimo; che conta sulle sue ghinee per comprarmi, e che avrò il piacere di mistificare con tutto il comodo fino al giorno delle mie nozze.
Stefania alzò la testa nel dire queste parole, e vide dietro di sè un uomo in maschera vestito di nero, che stava ascoltando colle braccia in croce.
Ella si rimise precipitosamente la maschera; e si accingeva a rientrare con Domenico nella sala del ballo; ma lo sconosciuto si avanzò con grazia verso di lei e l’invitò a ballare. Stefania accettò l’invito, e lasciò il braccio dell’amante per prender quello del nuovo cavaliere.

V.

– Una parola, buffone, diceva un’ ora più tardi un astrologo prendendo Domenico pel braccio, dove corri tu così?
– Lasciami non sono in vena di risponderti, riprese Domenico cercando di sciogliersi.
– Io so chi tu cerchi.
– E dunque perchè domandarmelo? Ma lasciamo gli scherzi va a vendere ad altri le tue parole.
– Ed io so dov’è.
– Chi?
– La signora Stefania.
– In fatti è lei che cerco.
– Ballava un ora fa con un cavaliere vestito tutto di nero.
– Sì.
– E finita la danza è scomparsa.
– Sì.
– Che mi darai, buffone, se ti dico dov’è?
– Parla, parla.
– Al ballo della Contessa Ferrano; ella ha un domino turchino, rispose l’astrologo togliendosi la barba e riprendendo la sua voce naturale.
– Tu menti loard Pearl, perchè eccola là seduta presso suo padre nel vano di una finestra.
– Signor Domenico, voi siete un vile, io so tutto; perchè son io quello che vi ascoltava un’ora fa in questa sala; son io quello che ha fatto ballare Stefania! Voi avete abusato della mia buona fede per secondare le pazzie d’una fraschetta, voi mi avete ingannato.
L’alterco si riscaldò. Si faceva circolo intorno ai due rivali, e gli spettatori di quella scena, persuasi che fosse tutta cosa concertata, incoraggiavano la contesa colle loro facezie.
– Bravo l’astrologo!
– Coraggio, buffone!
– Non era infatti possibile immaginare cosa più grottesca dell’ udire Domenico con una maschera di Sileno gettar parole di collera. Stefania salita sopra una panchetta rideva sgangheratamente, e batteva le mani per eccitare il suo re de’matti, come ella lo chiamava.
Lord Enrico e Domenico scesero tosto nel giardino, gran numero di curiosi li seguirono per vedere la fine di quella commedia. I due avversarj tiraron fuori i loro pugnali e si precipitarono l’uno sopra l’altro.
Si cercò di separarli; ma sull’asserzione d’uno degli spettatori non essere quelli che pugnali da teatro, si lasciarono fare.
La lotta fu accanita. Due volte i combattenti si erano gettati a terra e si erano rialzati in mezzo alle risate degli astanti. Enrico più debole del suo avversario si sentiva venir meno le forze; fece un ultimo sforzo, e gettatosi sopra Domenico gli vibrò un colpo terribile, ma la lama del pugnale si spezzò sulla fibbia della cintura del nemico. Domenico alla sua volta afferrò pel collo l’Inglese e gli cacciò nel petto il pugnale fino al manico. Il sangue sgorgò: Enrico cadde a terra.
Questa notizia portò lo scompiglio in tutta la festa. Le danze cessarono. Merry si precipitò verso il luogo ove giaceva il suo sventurato allievo, il dottore Roncalli lo seguì, e visitata la ferita, riconobbero ch’ era mortale.
– Dottore Roncalli, voi mi avevate predetta la mia morte, son ora due mesi, e…

Queste furono le ultime parole di Lord Enrico Pearl. L’indomani, Merry scrisse al Conte, che Enrico ad onta di tutte le cure aveva soggiaciuto alla malattia di petto che lo consumava.

Da: L’Eco, giornale di scienze, lettere, arti, mode e teatri
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